Kitobni o'qish: «Il Ritorno», sahifa 3

Shrift:

… le venne in mente il volto di Kevin, così netto e perfetto da poter essere scambiato per una fotografia, e Luna si tenne stretta a quell’immagine con più forza possibile, come avrebbe potuto stare aggrappata a un palo durante un uragano. Non avrebbe perso Kevin, non si sarebbe lasciata sfuggire un singolo frammento del suo ricordo. Non avrebbe perduto i momenti trascorsi con lui. Quegli istanti sembravano essere scolpiti in lei, da quando era stata insieme a lui nell’Istituto della NASA, alla fuga nel bunker per sfuggire all’ondata di vapore, al tentativo di sconfiggere insieme gli alieni.

In qualche modo, c’era qualcosa di più luminoso in quei momenti, confronto al resto. Si stagliavano indelebili nella mente di Luna, e lei riuscì ad aggrapparvisi, tenendosi stretta ai pensieri di Kevin e di tutte le cose che provava per lui. Quel bisogno e quell’affetto sembravano come un faro nel buio che minacciava di avvolgerla.

“Portatela da questa parte,” esclamò Barnaby, e Luna sollevò lo sguardo vedendo che aveva completato la sua cella di contenimento. Era stato così veloce che questo bastò a ricordarle il suo talento quando si trattava di costruire qualcosa. Sembrava una struttura piuttosto grezza, ma il metallo era grosso e gli spazi tra le sbarre tanto piccoli che Luna non sarebbe riuscita a passarvi attraverso.

La portarono verso la gabbia, e il suo corpo continuò a lottare anche se la sua mente sperava che la gabbia fosse abbastanza resistente da contenerla. Sentì un suo piede che andava a sbattere contro la mandibola di un uomo, un gomito che sbatteva contro lo stomaco di qualcun altro. I colpi erano tanto forti da procurare di sicuro dei lividi o addirittura da rompere qualche osso, ma parve non sortire alcuna differenza. La maggior parte delle persone impegnate nel trasporto ora non erano membri dei Sopravvissuti, o almeno Luna non pensava che lo fossero. Avevano invece l’aspetto cencioso di chi era stato prima un trasformato. Sembravano desiderosi di darle una mano, anche se altri avevano paura.

La sollevarono e la lanciarono dentro alla gabbia. Luna non sentì l’impatto con il suolo. Si alzò invece subito in piedi e corse alla porta, ma neanche la sua sfrenata velocità le fu sufficiente per arrivarvi prima che il metallo sbattesse andando a chiudere la cella e i Sopravvissuti la chiudessero in modo sicuro.

Luna si scagliò contro le sbarre, testandone la forza. Le pulsanti istruzioni dell’Alveare le dicevano di liberarsi e uccidere, di fare quanti più danni potesse prima che loro la eliminassero, ma il metallo non cedette sotto le sue mani, neanche quando lei lo colpì tanto forte da far sanguinare le dita. Avrebbe dovuto sentire dolore, ma come tutto il resto, in quanto trasformata sembrava che ogni cosa accadesse come in un sogno, come se succedesse a qualcun altro.

L’unico problema era che quel qualcun altro era lei, e questo le avrebbe fatto male sul serio se Ignazio aveva ragione nel dire che l’avrebbe riportata indietro.

“Dove andiamo ad elaborare quello che abbiamo trovato?” chiese Leon ad Ignazio e Barnaby. “Ci serve solo un laboratorio, giusto?”

Luna tentò di distogliere lo sguardo. Non pensava che gli alieni stessero traendo conoscenze sui Sopravvissuti da lei, ma non aveva modo di saperlo per certo. Lupetto su quello aveva ragione: lei era una minaccia per tutti per ogni cosa che poteva vedere e sentire. Poteva attirare lì, come un faro, orde di controllati.

“Non basta un laboratorio qualsiasi,” disse Ignazio. “Ci servono attrezzature speciali. L’Università di sicuro le aveva, ma con l’attacco temo che possano essere sparite.”

“Allora dove?” chiese Leon.

Luna vide Ignazio scrollare le spalle e in quel momento capì che non c’era nessuna certezza. Ignazio aveva fatto intendere che il processo per riportarla indietro era semplice, ma ovviamente non sapeva effettivamente dove trovare quello che stavano cercando. Nessuno di loro ne aveva idea, e in qualche modo Luna sospettava di avere solo un tempo molto limitato prima che tutta se stessa scomparisse per sempre. Anche in quel momento poteva sentire il peso dell’infezione aliena che la opprimeva, cercando di schiacciare la sua essenza. Era come se dietro ci fosse nascosta una mano che si chiudeva lentamente su di lei per far succedere questa cosa.

“Ci sono dei posti che potrebbero avere ciò che ci serve,” disse Barnaby, indicando verso la città come una guida turistica. “Ci sono degli edifici industriali da quella parte, e se riusciamo a trovare un impianto chimico, lì ci sarà tutto quello che ci serve. Oppure possiamo andare da quella parte e vedere negli edifici più accademici. Oppure possiamo esplorare meglio l’interno dell’università e sperare che qualcosa sia sopravvissuto.”

Leon pensò per un momento o due. Luna sapeva cosa avrebbe scelto lei, optando per l’opzione più vicina, anche se era la meno probabile. Voleva che facessero questa cosa il prima possibile, e non solo perché non voleva stare più del necessario nella condizione in cui si trovava. Sapeva anche che ogni secondo che lei passava in quello stato era una grossa minaccia per gli altri.

Sembrava però che Leon la pensasse in modo diverso, perché indicò verso le fabbriche.

“Quelle sono la nostra migliore possibilità,” gridò ai Sopravvissuti che lo circondavano. “Ignazio e Barnaby vi diranno esattamente ciò che stanno cercando. Ci serve la giusta attrezzatura per salvare Luna, e per salvare altri trasformati che potremmo trovare.”

Il gruppo si riunì attorno a loro. Erano così tanti adesso, praticamente un esercito, anche se in quel caso ci sarebbe dovuta essere della disciplina, piuttosto che quell’avanzare liberamente in avanti, tutti insieme. Marciarono verso le fabbriche, andando ora a piedi, dato che l’autobus non avrebbe potuto muoversi tra le macerie dovute alla battaglia. Trascinarono Luna con il trailer che la conteneva, le ruote che cigolavano a ogni giro, la struttura della gabbia che sobbalzava sul terreno irregolare. Le sembrava di essere un reperto in mostra in un museo, o forse un prigioniero in una qualche antica guerra, messa in mostra prima della morte.

Non morirò, disse a se stessa, tentando di convincersene e di crederci. Si teneva aggrappata al pensiero di poter rivedere Kevin, l’unico punto saldo e certo mentre tanti altri elementi e ricordi le scivolavano via.

La processione andò dritta in direzione delle fabbriche e Luna doveva solo sperare che sarebbero arrivati in tempo, prima che lei perdesse ogni pezzo di sé e non potesse più stare aggrappata ai pensieri di Kevin.

CAPITOLO QUATTRO

Kevin stava camminando in mezzo a posti che conosceva, posti in cui era stato. Vi stava girovagando in strane combinazioni che non avevano senso, passando da un luogo all’altro con facilità. Stava camminando sulla navicella madre dell’Alveare su cui era stato, e le strade mutavano trasformandosi in quelle di Mountain View, dove era cresciuto. Passò attraverso una porta e si trovò nella foresta pluviale colombiana, circondato da militari pronti a combattere per il diritto di controllare la capsula dell’Alveare.

Ogni passo lo portava in un momento diverso, mutando e cambiando, cosicché era difficile tenere traccia di tutti. Passò dai momenti nella sala dei segnali, dove decifrava messaggi inviati alla Terra, al primo istante in cui aveva visto la gente trasformata in mostri, quando aveva capito che era troppo tardi per fermare l’invasione…

… all’istante in cui il dottore gli aveva detto che stava morendo.

Kevin divenne allora meno cosciente del proprio corpo: si sentiva così lontano che era come se vi stesse fluttuando sopra. Poteva sentire il dolore alla testa, così forte che pareva fargliela esplodere. Il tremore del corpo sembrava essersi impossessato di lui completamente, e gli pareva impossibile essere capace di muoversi in tutti quei posti.

Non poteva essere, lo sapeva. Stava sognando, stava ricordando, e stava morendo.

Non si dovrebbe dire a un ragazzo di tredici anni che sta morendo. Ricordò di averlo pensato allora, quando tutto questo aveva avuto inizio, nello studio dello specialista. Ora nessuno glielo stava dicendo: Kevin lo sapeva e basta, come sapeva anche cosa significasse un segnale lontano, o la voce di Luna.

Poteva sentire la malattia progredire dentro di lui. Era stata frenata per un breve periodo quando si era trovato parte dell’Alveare, ma era subito ricomparsa quando si era liberato.

Altri momenti attraversarono i suoi sogni: la traversata lungo la costa con Chloe e Luna, il tempo passato nel bunker, insieme in un angolo del dormitorio per quella breve notte in cui erano stati al sicuro. Kevin non era sicuro se fosse solo un sogno o quella cosa che aveva sentito, di quando la vita ti passava davanti agli occhi prima della morte, o qualcosa del genere.

Altro dolore lo pervase, questa volta come una morsa al cuore, una pressione che lo schiacciava e lo teneva fermo, tanto che Kevin non ne poté più sentire il battito. Era un genere di dolore che non avrebbe mai creduto possibile, il genere di dolore che sembrava avvolgere ogni cosa contemporaneamente.

C’erano così tante immagini nei suoi sogni, così tante cose che aveva fatto e che forse non avrebbe mai avuto l’occasione di fare se il mondo fosse stato un posto diverso. Se non avesse avuto il suo potere, l’Alveare sarebbe comunque arrivato? Lui sarebbe stato in tutti quei posti, avrebbe visto tutte quelle cose?

Per quante cose Kevin avesse fatto, non era stato abbastanza. Lui non voleva morire. Non avrebbe mai voluto morire. Non era giusto.

“Dai, dovete fare qualcosa!”

Le parole sembrarono giungere da molto lontano, era come se la voce di Chloe passasse attraverso un sottile velo, comunque troppo spesso per permetterle di arrivare pienamente a lui.

“Ci stiamo provando,” rispose una voce, e anche se Kevin non poté riconoscere di chi fosse, capì che si trattava di uno degli Ilari. “Se avessimo avuto il tempo per studiare ciò che gli stava succedendo…”

“Non c’è tempo,” disse il generale s’Lara. “Fate quello che bisogna fare.”

“Aspettate,” tentò di dire Kevin, ma le parole non gli uscirono di bocca. “Cosa intendete dire?”

Il dolore lo colpì, e se prima pensava di sapere cosa volesse dire dolore, questo era cento volte peggiore. Sembrava scorrere contemporaneamente in ogni singola cellula, come se bruciasse e congelasse allo stesso tempo, come se tirasse e schiacciasse. Gli sembrava che lo stesse facendo a pezzi, atomo per atomo, ricomponendolo poi un pezzo alla volta. Ogni cellula era leggermente diversa, leggermente modificata, e ora sentì un’ondata fresca pervaderlo, trasformandolo al suo passaggio.

L’oscurità sorse nuovamente in lui, ma questa volta non assomigliava a quella della morte. Era invece calmante, delicata e pura. Avvolse Kevin come una coperta, e alla fine lui poté nuovamente percepire il proprio corpo.

“Ora puoi aprire gli occhi, Kevin,” disse il generale s’Lara.

Kevin sentiva gli occhi pesanti e come incollati. Si sentiva stanco…

“Kevin,” disse Chloe con tono molto meno gentile. “Svegliati.”

Kevin aprì gli occhi di scatto e vide la stanza attorno a sé, le pareti bianche e l’aspetto accogliente. Attorno a lui c’erano alieni dalla pelle blu, con uniformi immacolate che gli parevano familiari. Gli ci volle solo un momento per rendersi conto che si trovava in un altro ospedale. Stava passando un po’ troppo tempo in questi posti. C’era anche il generale s’Lara, e lo guardava con ovvia preoccupazione. Allo stesso modo lo fissava Ro, ed era strano vedere quell’espressione sul volto di una specie aliena che normalmente non provava emozioni.

Poi c’era Chloe. Era vicino a lui e Kevin vide che aveva pianto, anche se adesso le sue lacrime sembravano essere di gioia piuttosto che di dolore. Allungò le mani verso di lui.

“Kevin, pensavo che fossi morto!” disse. “Pensavo che…”

“Anche io pensavo di essere morto,” disse Kevin, cercando di scherzarci sopra, anche se non c’era molto da ridere. Pensava ancora al dolore che gli aveva stritolato il cuore, così schiacciante e pericoloso, praticamente letale. Aveva davvero creduto che sarebbe morto. Aveva pensato a tutte le cose che aveva fatto, a tutte le cose che avrebbe perso.

Mentre Kevin guardava Chloe, però, provò un’ondata di vergogna, perché non era a lei che aveva pensato nel momento in cui era stato certo di trovarsi sul punto di perdere ogni cosa. Era stata Luna a venirgli in mente. Erano stati i tempi passati con Luna che erano apparsi tra i suoi pensieri quando aveva riportato alla memoria ciò che era stato più importante nel suo passato. Era stato al ricordo di Luna che si era aggrappato, tenendoselo stretto nel momento in cui stava per morire. Era stata Luna, e non Chloe, che aveva temuto di perdere. Solo guardando Chloe adesso si sentiva un traditore, anche se non era una cosa che potesse evitare.

“Kevin, cosa c’è?” chiese Chloe. Ovviamente se n’era accorta.

“Niente,” disse Kevin, cacciando quel pensiero. Si alzò invece in piedi e fece un giro della stanza, cercando di valutare le sue sensazioni, pronto a sentire il corpo debole e vicino al collasso per il semplice sforzo di aver tentato di muoversi. In effetti fu un po’ sorpreso che il personale medico gli permettesse di farglielo fare, ma forse anche loro volevano testare la sua condizione.

E invece di cadere si sentì… bene. Kevin non era certo di essersi mai sentito così in salute in nessun momento della sua vita. Respirava senza difficoltà e non aveva male alla testa, nessuna pressione al petto. Con tutti i malanni ora scomparsi dal suo corpo, adesso era davvero in grado di capire quanto spiacevole fosse stata prima la sua condizione.

Era come se prima d’ora non ci fosse mai stato un singolo giorno in cui lui fosse stato veramente bene, perché questo benessere pareva quasi alieno se paragonato a tutto ciò che aveva provato prima.

“Sei sicuro di stare bene?” gli chiese Chloe, e Kevin annuì. Non era sicuro di come poterlo descrivere.

“Non penso di essermi mai sentito così bene in vita mia,” disse. Si voltò a guardare il generale s’Lara e il personale medico. Tutti sembravano guardarlo come se stessero tentando di controllare che le cose funzionassero come avrebbero dovuto. “Cos’avete fatto?”

“Ti abbiamo curato,” rispose il generale. “Abbiamo scansionato il tuo corpo alla ricerca degli schemi difettosi e poi abbiamo usato la nostra tecnologia di cura per riscrivere gli stessi schemi con qualcosa di nuovo. Il tuo cervello è stato stabilizzato, in modo che la tua malattia non possa progredire.”

“E la mia capacità di tradurre i segnali?” chiese Kevin, e poi capì la risposta a quella domanda prima ancora che qualcuno degli altri potesse dire qualcosa. Gli Ilari non parlavano la sua lingua, ma lui li poteva comunque capire, e poteva percepire i segnali delle Intelligenze Artificiali che comunicavano tra loro, riuscendo a tradurre i messaggi quando diventavano più forti.

… sembra essersi ripreso del tutto…

… può essere necessario…

“La procedura non dovrebbe aver influenzato null’altro che la tua malattia,” disse il generale s’Lara dando un’occhiata a uno dei medici, che annuì. Kevin poté vedere il sollievo del generale di fronte a quella conferma.

Kevin avrebbe dovuto provare gioia per quella notizia. Provava gioia, ma c’era anche dell’altro. Si sentiva come se in qualche modo le cose avessero dovuto essere più complicate. Dopo tutto il lavoro che gli scienziati avevano fatto sulla Terra tentando di stabilizzarlo e guarirlo, gli sembrava impossibile che questi alieni lo potessero far stare bene con un così minimo sforzo.

“Voi… mi avete guarito,” disse. “Perché? Perché mi avete guarito? Sapete quello che ho fatto. Sapete che sono responsabile della distruzione del mondo in cui vi nascondevate.”

“E ti abbiamo messo a processo per questo,” disse il generale s’Lara. “Abbiamo concordato di farti restare. Pensi che avremmo evitato la tua guarigione pur avendo la possibilità di aiutarti? Non siamo fatti così. Non è una cosa giusta.”

La bontà e benevolenza di quel gesto travolse Kevin. Come potevano questi alieni essere così buoni? Sembrava impossibile che qualcuno potesse essere tanto generoso con una persona che aveva tentato di fare loro del male. Dopo tutto quello che lui aveva fatto…

“Non è stata colpa tua, Kevin,” disse Chloe.

Kevin avrebbe voluto poterci credere. Ma il massimo che poteva fare era provare un’enorme gratitudine per essere trattato a quel modo.

“Grazie,” disse al generale. “Io… non so cosa dire.”

Gli avevano ridato la sua vita. Lo avevano guarito laddove nessun altro era stato in grado di farlo, e l’avevano fatto quando lui era certo che non avessero alcun motivo per farlo.

“Non serve che tu dica niente,” disse il generale s’Lara. “Noi aiutiamo coloro che ne hanno davvero bisogno. Cerchiamo la pace dove la si può trovare. Perdoniamo.”

Sembrava impossibile da credere. Kevin non era sicuro che sarebbe mai stato capace di perdonare l’Alveare. Se avesse avuto la possibilità di distruggerlo, l’avrebbe fatto. Eppure… si voltò a guardare Ro. Kevin non lo odiava. Si fidava addirittura di lui, eppure l’ex Puro era stato tra coloro che avevano tentato di distruggere il suo pianeta.

“Ho così tanto da imparare,” disse Kevin.

Guardò verso Chloe e di nuovo provò quella sensazione di colpa per aver pensato a Luna e non a lei quando era in punto di morte. C’era stata Chloe con lui sulla navicella spaziale dell’Alveare. Era stata lei ad aiutarlo a fuggire. Lui sapeva ciò che lei provava per lui, e sentiva anche lui qualcosa… ma era il volto di Luna che gli appariva nella mente quando chiudeva gli occhi, era a Luna che pensava in ogni momento tranquillo, anche se probabilmente ora era perduta nella massa dei trasformati.

“Ti è stato donato un nuovo inizio,” disse il generale s’Lara, gentilmente, come se avesse capito l’enormità di tutto ciò che gli stava accadendo. “La domanda è cosa intendi farne.”

Kevin in quel momento non poteva stare nella stanza. Era troppo. Non era solo il fatto che non sapesse cosa dire o cosa pensare, ma voleva respirare un po’ di aria aperta. Voleva ricordare a se stesso cosa volesse dire realmente essere vivo. Che poteva davvero potenzialmente avere un futuro.

C’erano porte che dall’infermeria portavano a una specie di balconata che sembrava essere cresciuta dall’albero stesso. Si curvava attorno al tronco come una specie di grosso fungo cresciuto lì, sufficientemente grande da sostenere lui e una dozzina di altre persone. Kevin vi si portò, trovandosi circondato dall’albero, con la bellezza del mondo dispiegata sotto di sé. Qua e là piccole navicelle sfrecciavano tra gli alberi, agili come uccelli, cantando melodie che riempivano lo spazio di musica, mentre le piante rampicanti pendevano dai rami arrivando quasi a toccare terra, e creature pelose grandi la metà di Kevin salivano e scendevano da esse.

L’aria era dolce, e non solo per il muschio e i fiori della foresta o la vegetazione rigogliosa, sebbene quel contesto fosse certamente di aiuto. Era il fatto che ora Kevin poteva respirare a pieni polmoni senza provare dolore, e stare lì in piedi senza lo stordimento che gli derivava dalla leucodistrofia che minacciava di travolgerlo. Era così strano starsene lì a quel modo, e più Kevin vi rimaneva, più era certo che tutta la sua vita fosse stata influenzata dalla sua malattia. Aveva pensato che si fosse presentata nella sua vita solo pochi mesi prima, ma con un solo respiro aveva capito che invece l’aveva avuta da sempre, da subito lì in agguato e in attesa, e lui se n’era accorto solo quando si era fatta più invasiva.

Rimase fermo lì ad ammirare l’enormità e la bellezza del mondo che lo circondava, e l’emozione gli parve semplicemente travolgente. Gli erano successe così tante cose, e adesso si sentiva più in forma che mai. Lo stesso aveva la percezione di essere piccolo in proporzione a tutto ciò che gli stava attorno. Era come se ci fossero troppe cose che lui ancora non sapeva, troppe cose che doveva ancora imparare e capire. Aveva tutta la sua nuova vita da trascorrere, e c’erano così tante cose da fare e imparare, che non sapeva proprio da che parte cominciare.

“Kevin, stai bene?” chiese Chloe uscendo dietro di lui.

Per un momento o due Kevin avrebbe voluto nascondersi dietro alla stranezza di tutta quella situazione che aveva vissuto. Avrebbe voluto dirle che era solo lo shock di ciò che era successo, o quell’improvvisa guarigione. Avrebbe voluto fingere che tutto andasse bene. Avrebbe voluto mentire, anche se Chloe era una persona che non meritava bugie.

Ma sapeva di non poterlo fare.

“Io… Chloe, devo dirti una cosa.”

“Sei innamorato di Luna,” disse lei. Rimase ferma lì, immobile come una statua, senza dire niente, ovviamente aspettando che fosse Kevin a decidere di prendere la parola. Gli ci volle qualche secondo, semplicemente per lo shock di aver sentito Chloe svelargli quella cosa prima di lui.

Annuì. “Io… siamo amici da sempre. Penso a lei tutto il tempo. Vorrei… vorrei poter provare questo per te, ma non è così.”

Chloe rimase ferma lì per quella che gli parve un’eternità, e Kevin si trovò a desiderare di non averle inflitto quel genere di dolore, anche se sapeva che non ci sarebbe stata altra scelta. Non voleva farle del male, ma non voleva neanche mentirle. Kevin si aspettava che esplodesse, che gli gridasse contro, che reagisse con quel genere di emozioni che sempre la riempivano fino all’orlo. Invece lei rimase ferma come una statua.

“Sì,” disse alla fine. “Lo so.”

“Lo sai,” disse Kevin. “Tutto qui?”

“Cosa vuoi che dica?” ribatté lei più dura, e Kevin percepì il dolore nella sua voce. “Fa male, ovvio che fa male, ma nell’Alveare ho visto quanto peggio potessero andare le cose. Ho visto quanto sia malvagio tentare di forzare quello che si prova nelle persone. Ho…”

Kevin vide le lacrime che iniziavano a salirle agli occhi e automaticamente le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé per confortarla. Era piuttosto sicuro che se uno diceva a qualcun altro che non lo amava, non avrebbe dovuto offrirsi di confortarlo, ma non poteva farne a meno.

“Mi spiace,” disse. “Vorrei…”

“Cosa vorresti, Kevin?” chiese Chloe. “Che niente di tutto questo fosse successo? Non desiderarlo. Io non lo vorrei.”

Una parte di Kevin lo desiderava, nonostante tutto. Desiderava che l’invasione degli alieni non ci fosse mai stata. Desiderava non aver aperto la capsula che avevano inviato, o di essere stato capace di fare qualcosa per fermare i danni che erano stati causati. Non poteva neanche contare il numero delle persone cui era stato fatto del male, o peggio, a causa dei ciò che era successo. Se avesse potuto riportare indietro quelle cose, l’avrebbe fatto, semplicemente perché odiava l’idea che nell’universo ci fosse del dolore generato da lui. Eppure se tutto questo non fosse successo, lui non avrebbe mai incontrato Chloe. E non avrebbe mai fatto neanche la metà delle cose strabilianti che aveva compiuto.

Kevin allora capì che Chloe aveva ragione: non dovevano desiderare che le cose fossero andare in modo diverso. Ad ogni modo continuava a pensare a come risponderle quando vide il cielo che iniziava a farsi più scuro, con una forma fin troppo familiare che si posizionava sopra al mondo.

“No,” sussurrò. “No…”

La navicella madre dell’Alveare si mise in posizione come una specie di scherzo visivo: un momento la si vedeva e l’attimo dopo no. Stava sospesa sopra al mondo degli Ilari, ne dominava l’orizzonte e delle navicelle da atterraggio già iniziavano ad uscirne, dando l’impressione che muovere una cosa così grande e terrificante fosse una bazzecola.

Kevin vide il generale s’Lara accorrere sul balcone con lo stesso orrore che provava lui in quel momento. Avevano pensato di essere salvi. Avevano pensato per lo meno di avere tempo.

“Com’è possibile?” chiese. “Come hanno fatto a trovarci quando li avevamo seminati?”

Guardò Kevin e Chloe, poi si voltò verso Ro, che si trovava ancora all’interno dell’infermeria. I suoi sospetti erano ovviamente per Kevin, ed era difficile non condividerli. Non che Kevin pensasse che Ro avesse potuto fare qualcosa del genere apposta, ma era forse possibile che in lui ci fossero dei residui di connessione con l’Alveare? E se invece stavano seguendo le tracce di Kevin e non di Ro?

Stava ancora pensando quando Chloe si fece avanti, tendendo il braccio.

“Sta… sta pulsando. Penso… penso che lo stiano tracciando. Levatemelo. Levatelo!”

Kevin non sapeva davvero cosa dire. Sopra di loro la navicella madre stava ferma in posizione, sputando fuori navicelle più piccole che promettevano nient’altro che morte. Kevin sollevò lo sguardo verso di esse. Gli sembrava tutto così ingiusto. Gli Ilari lo avevano appena salvato, gli avevano appena concesso una possibilità di vivere il resto della sua vita.

Ora l’Alveare era lì, e Kevin non capiva in che modo sarebbero potuto scampare alla morte.

Bepul matn qismi tugad.

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Litresda chiqarilgan sana:
15 aprel 2020
Hajm:
241 Sahifa 3 illyustratsiayalar
ISBN:
9781094311241
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