Faqat Litresda o'qing

Kitobni fayl sifatida yuklab bo'lmaydi, lekin bizning ilovamizda yoki veb-saytda onlayn o'qilishi mumkin.

Kitobni o'qish: «Racconti e novelle», sahifa 5

Shrift:

»Nella primavera dell'anno… mi recai dunque, pieno di illusioni e di speranze, alla capitale del regno. Mi accompagnava il cognato Bartolomeo. Ignari sì l'uno che l'altro degli usi del mondo, non ci eravamo data veruna briga per premunirci di lettere commendatizie. Noi giungevamo a Torino colla semplice scorta del mio talento ignorato e colle cento lire messe assieme dalla famiglia per le spese di quel primo cimento. – Ci recammo da un capocomico per ottenere che mi lasciasse suonare qualche pezzo fra gli intermezzi della rappresentazione. – A chi ho l'onore di parlare? chiese il capocomico. – Io mi chiamo, rispose il cognato, Bartolomeo Zuffolone di Biella, e questo giovane è il signor Bartolomeo Scannagatta… – Quanti Bartolomei! interruppe l'artista – e tutti di Biella?.. Basta! penseremo… rifletteremo… – In quel punto sopravvenne un signore, che era, per quanto sapemmo dippoi, il proprietario del teatro. L'artista drammatico si tenne in obbligo di presentarci a lui. – Zuffolone! Scannagatta! che razza di nomi! esclamò il nuovo personaggio, squadrandomi dal capo al piede come fossimo due mendicanti. – Ci mancherebbe altro! Con questi due nomi sull'avviso, faremmo scappare la gente. – E ci piantò là, traendo seco il capocomico. – Confusi, umiliati da questo primo accoglimento, uscimmo dal teatro e ci demmo a passeggiare per più di un'ora sotto i portici di Po, meditando e discutendo sul da farsi. Per caso, ci venne veduto un magazzino, dove si davano cembali a nolo. Entrammo, sotto pretesto di noleggiare uno strumento, e dopo alcune parole, parendo a noi che il padrone della bottega fosse un uomo ammodo, chiedemmo a lui delle informazioni sulle pratiche a farsi per dare un concerto. – Un concerto di pianoforte!.. esclamò il dabben uomo inarcando le ciglia – ella non farebbe un soldo in questo momento… Abbiamo qui uno dei più celebri pianisti d'Europa che fa furore nelle sale e nei circoli – la società torinese farnetica per questo straordinario talento – ella avrebbe l'aria di voler sfidare un confronto impossibile… insomma… io la sconsiglio dal tentare la prova. – E come si chiama questo portento dell'arte? domandai io, con un leggiero accento di ironia che tradiva le prime emozioni del mio orgoglio giovanile. – Si chiama… si chiama, rispose il noleggiatore dei pianoforti ingrossando la voce, monsieur Etzcy'. – Salute! Dio la prosperi! esclamammo ad una volta mio cognato ed io, credendo che l'altro avesse sternutito – e vedendo che quegli non parlava: – dunque si chiama? replicò mio cognato. Ma non glie l'ho già detto? Etzcy'!.. – Ti scoppi il naso! – brontolò mio cognato – e senza altro dire, uscimmo dalla bottega.

»Com'io riuscissi, dopo molte noie e molti sacrifizi, a dare il mio primo ed unico concerto a Torino, non val la pena ch'io lo narri. Voi foste testimonio (e qui il narratore diresse a me la parola) dello scarso concorso di spettatori, del loro contegno indifferente e quasi nemico. Non ho mai dimenticato nè sarò mai per dimenticare che voi, quasi solo, osaste interrompere con applausi e con voci di ammirazione il mio ultimo pezzo. La stretta di mano amichevole e le incoraggianti parole che mi volgeste dopo il concerto furono il solo compenso che io mi ebbi in quella angosciosa serata; senza di voi, il mio giovane cuore da artista si sarebbe lasciato vincere dalla disperazione.

»Tornammo a Biella di assai cattivo umore. Di quel mio debut non parlò alcun giornale tranne un ignobile fogliaccio umoristico, dove il cronista teatrale si scusava coi suoi lettori di non aver assistito al concerto per la diffidenza che gli avevano ispirato i due nomi di Scannagatta e di Bartolomeo.

»Si tenne un consiglio di famiglia. Voi non oblierete, mio ottimo padre, quanto io abbia combattuta la vostra idea fissa di farmi ritentare la prova a Milano In me era già entrata la convinzione che col mio nome di Bartolomeo Scannagatta non era possibile il successo fuori dalla Biella nativa.

»Le vostre istanze mi vinsero. – Voi mi persuadeste che il nostro maggior torto era quello di andare a Torino senza lettere commendatizie, e questa volta me ne procacciaste una mezza dozzina. Partii solo. Il nome di Bartolomeo Scannagatta mi pareva abbastanza grottesco senza condur meco, per rinforzare il ridicolo, un Bartolomeo Zuffolone. Io presagiva che qualora mio cognato mi avesse seguito a Milano, qualcheduno ci avrebbe accolto colla solita esclamazione di ironia: che posso io fare per due Bartolomei? E il mio presentimento colpiva nel vero. Se a Torino il mio sciagurato nome aveva alienata da me l'attenzione e la protezione dei dilettanti, a Milano mi accadde di peggio.

»Quando io mi recai al Conservatorio per ottenere una audizione privata, l'egregio direttore dello Stabilimento mi accolse con paterna benevolenza. Adunò i professori e gli scolari nella sala dei concerti, accompagnò la mia presentazione con parole incorraggianti; ma non appena egli ebbe proferito il mio nome, io m'accorsi che i giovani alunni ed anche qualcuno dei maestri si erano sbandati per nascondere la loro ilarità. – Che volete? Mi appressai al pianoforte di mala voglia – suonai quattro o cinque pezzi dinanzi ad un uditorio svogliato e disattento, e all'atto di abbandonare il mio posto, mi accorsi che nella sala non v'era più alcuno, tranne l'ottimo direttore.

»Questi mi mosse incontro, mi pose paternamente la mano in sulla spalla, e dopo aver encomiato le mie composizioni: «Mio buon figliuolo, soggiunse; è indubitabile che ella possiede un talento notevole, ma pure mi trovo in obbligo di avvertirla che in Milano difficilmente ella potrà farsi strada in questi tempi. Ella ha un torto grandissimo in faccia a quella che ora si suol chiamare la grand'arte, e questo torto consiste nella desinenza del suo nome… – Oh! che dunque? esclamai vivamente – sarebbe ancora questo sciagurato nome di Scannagatta!..

»Oramai a tale siamo giunti, proseguì il direttore-maestro, con un accento che rivelava l'angoscia, che i nomi di desinenza italiana non hanno più credito sulla piazza. – La straniomania è giunta a tale che io mi meraviglio sieno ancora tollerati al nostro Conservatorio una dozzina di maestri, nati e cresciuti nel nostro clima. La si figuri che l'altra settimana in questa medesima sala dov'ella ha trovato degli uditori così indifferenti od avversi, ha destato fanatismo un pianista compositore piovuto dal nord, a lei incomparabilmente inferiore sotto ogni aspetto. Ma egli aveva la fortuna di chiamarsi Sfrrrt…

»A quel punto, due gatti che stavano giocolando sul tappeto, fuggirono a salti per la scaletta che conduce al palco scenico. – Vedete! proseguì il Direttore – questi nomi che mettono in fuga i gatti fanno a Milano ben altri miracoli – giornalisti, musicisti, dilettanti, professori, alunni ne rimangono ammaliati… Se più dura la voga di questi nomi senza vocali e gonfi di aspirazioni, non si potrà parlare di musica e di concerti senza sputare ogni volta mezza dozzina di denti.

»L'egregio vecchio mi aveva dipinta al vero la situazione dell'arte e dei musicisti. Io presentai le mie lettere a due o tre giornalisti, i quali neppure si degnarono di annunziare il mio concerto – e dopo aver suonato al teatro Santa Radegonda, dinanzi ad un pubblico composto per la massima parte di droghieri e di ex-impiegati in pensione, i quali ebbero la bontà di applaudirmi a furore e chiedermi il bis di due pezzi, all'indomani ebbi la soddisfazione di leggere nell'appendice di un grave giornale che un pianista di nome Scannagatta, dopo essersi prodotto fra gli intermezzi della commedia, era partito alla mezzanotte da Milano in un omnibus carico di Biellesi venuti espressamente per ricondurre in patria quel loro genio incompreso.

»Fu allora, che esacerbato, avvilito, ma pure fidente nel mio ingegno e nel mio avvenire, io risolsi di abbandonare l'Italia per cercare all'estero quella protezione che dai nostri mi era negata. Mi scritturai in qualità di maestro concertatore, con un impresario di Stoccolma. Mi tuffai anima e corpo nella musica per dodici anni – ridussi, composi, trascrissi, diressi orchestre, diedi lezioni di canto e di pianoforte, mi produssi in concerti, e rinunziando al mio nome, come avevo rinunziato alla patria, mi creai e feci imprimere sulle mie carte di visita quel Daniel Nabaäm De-Schudmoëken, che in oggi fa tanto dispetto e tanta ira a mio padre.

»Chi esperimentò a vivere per molti anni lontano dal proprio paese, non ignora che quel malessere chiamato nostalgia assale, più presto o più tardi, anche coloro i quali non ebbero in patria che sconforti ed amarezze. – Questa fase della nostalgia venne anche per me. Era un bisogno, una sete di respirare l'aria nativa non solo, ma anche di assaporare il successo in quel paese che a me, negletto e rejetto, non cessava mai di presentarsi quale un giardino incantato delle arti.

»Doveva io, poteva io, dopo le traversie del passato, riprendere il mio sciagurato nome di Bartolomeo Scannagatta, nel giorno appunto in cui io veniva qui per chiedere ai miei connazionali il battesimo della gloria? I fatti che io vi ho narrati vi suggeriranno la risposta. Certo è che, appena fiutata l'aria di Milano, ho dovuto applaudirmi della mia risoluzione. Qual differenza fra l'accoglimento che in oggi viene fatto a Daniel Nabaäm De-Schudmoëken e quello già toccato al povero Bartolomeo Scannagatta di Biella! L'altro ieri, recandomi a visitare il più erudito dei vostri giornalisti, l'ho veduto estasiarsi di ammirazione nell'affissare il mio biglietto di visita. Un altro, nel proferire Nabaäm, rimase per due minuti a bocca spalancata, cogli occhi smarriti nelle palpebre. Due o tre membri della Società del quartetto, nell'udire un mio esecrabile waltzer tutto pieno di dissonanze, parvero assaliti da catalessi – tutte le dame patronesse vogliono vedermi, reclamano le primizie del mio talento – nelle aule del Conservatorio da due giorni è una gara fra maestri, alunni ed alunne, a chi meglio proferisca il mio nome – Stamattina ho ricevuta una lettera di quattro pagine, colla quale un giornalista mi chiede scusa se il mio nome venne stampato senza i due puntini sull'oë, e mi prega di attribuire questa irriverenza alla ignoranza del proto. Insomma…»

– Insomma, interruppe il padre dell'artista, poichè il mondo è tanto buffo, tanto gaglioffo, tanto infatuato di pregiudizi e di minchionerie…

– Trattiamolo com'esso merita – non è vero? E così parlando, l'artista prese amorevolmente fra l'una e l'altra mano la buona testa del vecchio, e gli impresse un bacio sulla fronte.

– Via! via! – riprese quell'ottimo padre raddolcito – chiamati Rabadam, chiamati Balaäm, chiamati come vuoi al concerto – ma quando il pubblico ti avrà applaudito, quando le dame saranno in svenimento, quando i giornalisti avranno sbuffato i loro oh! oh! di ammirazione – ti prometto ch'io salterò in mezzo della sala per gridare a tutta voce: «Sappiate, signori minchioni illustrissimi e colendissimi, che questo bel mobile che ha suonato come nessuno sa suonare, si chiama il signor Bartolomeo Scannagatta, figlio e scolaro di Girolamo Scannagatta qui presente, quondam organista della cattedrale di Biella…

– E musicista, perdio! e maestro come ce ne hanno pochi nel mondo…!

– E poi torneremo insieme a Biella…

– A far della buona e bella musica, in mezzo a gente che se ne intende davvero, perchè ha cuore e buon gusto.

La Corte dei Nasi

I

Piperio III, re dei Panami, era un principe saggio e di indole assai mite. I suoi sudditi lo adoravano. Assunto al trono in età giovanissima, egli aveva proclamato ai suoi popoli uno statuto dei più liberali. Gli avventurosi abitatori della Panamia avevano veduto in pochi anni, mercè l'iniziativa del loro principe ben amato, realizzarsi tutte le riforme sociali e umanitarie reclamate dai tempi… e dai ladri.

Piperio III poteva chiamarsi un re felice. Nel territorio a lui soggetto non esisteva che un solo giornale repubblicano il quale osasse talvolta indirizzargli qualche frizzo mordace. Piperio leggeva quel foglio tutte le mattine tra una fumata e una tazza di caffè. L'ottimo principe sorrideva dei lazzi democratici che lo assalivano. Egli si sentiva troppo integer vitae scelerisque purus, per irritarsi di ogni baja giornalistica.

Nullameno, la esistenza serena di questo principe privilegiato tratto tratto era annebbiata da una leggiera nubecola, da un'ombra nera, che poteva essere gravida di procelle. Quest'ombra era projettata da un naso, dal naso stesso del principe. La natura avea dato a codesto accessorio del volto principesco dei contorni così spiccati, e, diciamolo francamente, delle proporzioni così eccedenti, che a vederlo di profilo, quel naso attirava l'attenzione, e poteva provocare dei sorrisi irriverenti. Naso profilato, simmetrico, perfettamente modellato, ma alquanto più lungo dei nasi ordinari. Il principe, vedendolo riflesso dagli specchi, non osava arrestarvi lo sguardo, e sempre in vederlo sentiva una stretta nel cuore, e la sua fronte si increspava di una ruga sinistra.

Ma quelle impressioni di disgusto non erano che lampi fugaci. Piperio era amato dalla generalità, nè giammai gli era accaduto di sorprendere nel volto di alcun suddito il menomo accenno di ironia all'indirizzo del suo naso. Quel principe osservatore, dopo dieci anni di regno, già cominciava a persuadersi che il difetto da lui solo avvertito, non fosse altra cosa che un'ottica menzogna degli specchi.

Ma la provvidenza non opera a caso

Quando crea un grand'uomo od un gran naso: e aggiungiamo pure quest'altra sentenza infallibile: Da grandi cause non possono prodursi che grandi effetti.

Strana potenza della parola stampata! A ridestare nella mente di re Piperio tutti gli allarmi assopiti, bastarono tre parole del giornale repubblicano stampate in corsivo.

Qual'è l'uomo, per poco sia assiduo lettore di giornali, che mai non abbia impallidito e tremato dinanzi ad una frase in corsivo?

Era un bel mattino di maggio. Il re si svegliava da un olimpico sonno. A destra del letto, da una guantiera sfavillante di oro e di gemme, esalavano i profumi di un moca squisitissimo. Dall'altro lato, sovra un bacile d'argento cesellato, stavano schierati dodici grossi zigari del colore dell'ambra.

Il re accese uno zigaro, assorbì voluttuosamente un primo sorso di caffè, poi, sciolta la fascia al giornaletto democratico, tuffò in esso il suo sguardo penetrante e sereno.

Che è stato? Lo zigaro è caduto dalle auguste labbra. La mano convulsiva del principe tenta invano di riprendere la tazza… Se è vero che l'occhio del basilisco abbia potenza di istupidire i riguardanti, direste che il principe abbia appunto, in quella fitta compagine di parole stampate, incontrato lo sguardo del rettile fascinatore. Il primo movimento del principe fu quello di portare la mano al naso; dopo quell'atto, da pallido che era, l'augusto volto divenne livido e deforme.

Eppure la frase terribile non era formata che da poche innocenti parole allusive al ministro delle finanze: Noi speriamo che la nuova tassa votata dal Parlamento non avrà mai, sotto il regno dell'augusto Piperio una seria applicazione; il nostro re ha troppo buon naso per non comprendere l'impopolarità a cui egli stesso andrebbe incontro apponendovi la sua firma. Sì, noi lo ripetiamo, il nostro re ha troppo buon naso per commettere di tali errori!»

Sotto l'impressione di tale lettura, il re suonò il campanello con impeto violento. Il maggiordomo accorse nella stanza, e, vedendo la strana lividezza del volto regale, mandò un grido di all'armi. Il re fece uno sforzo per dominarsi, e, dissimulando, come poteva, il proprio turbamento, domandò al maggiordomo con voce abbastanza pacata: che tempo abbiamo, Battista?

– Bellissimo, maestà.

– Pure non veggo sole… Il cielo mi sembra bujo!

– Al contrario, maestà!.. il sole è limpidissimo! una vera giornata di primavera… Se vostra maestà si degnasse di mettere il naso alla finestra…

Quelle parole furono uno zolfanello gettato nella polveriera. Piperio balzò dal letto, staccò dalla muraglia una lunga scimitarra, e la testa del maggiordomo rotolò sul pavimento. Tuttociò era accaduto in un lampo. Il re, dopo quell'impeto d'ira, ricadde sovra una seggiola come istupidito.

II

Quell'atroce avvenimento rimase per alcun tempo involto di mistero. La giovane regina a cui l'augusto consorte era solito aprirsi interamente, non ebbe la parola di quell'enigma sanguinoso. Il fatto fu in diverse guise commentato alla corte; il popolo mormorò sommessamente, ma ben presto cessò di occuparsene.

Ciò che più seriamente dava a pensare alla regina, ai ministri, alla corte ed al popolo di Panamia, era lo strano cambiamento sopravvenuto nel carattere e nelle abitudini del principe. Quell'uomo sì mite e manieroso, sì affabile ed espansivo, di giorno in giorno diveniva più tetro e irascibile. Usciva rare volte dal palazzo, e sempre in carrozza coperta, a cortine abbassate. Passava molte ore rinchiuso nel suo gabinetto. Rare volte assisteva al consiglio dei ministri. Ogni qual volta gli accadesse di trovarsi in presenza di estranei, si notava nello sventurato una singolare premura di portare la mano al naso e di tenervela accavallata con una pertinacia inesplicabile. A quella posa insolita della mano, il primo ministro e consigliere intimo di re Piperio annodò, come vedremo, le fila che lo condussero alla scoperta del segreto.

Questo primo ministro e consigliere si chiamava Canella, e dopo la regina, era la persona più influente alla corte. Le sue osservazioni erano quasi sempre infallibili. Egli possedeva il colpo d'occhio che scruta i pensieri e approfondisce i più intimi arcani di un cuore. Un giorno, mentre la regina si doleva fra lacrime e singulti degli strani furori del principe, l'arguto ministro proferì a mezzo labbro tre parole: questione di naso! La regina, come ognun può immaginare, provò una scossa nervosa, e chinò il capo arrossendo.

Il gran Canella non s'ingannava. Per accertarsi, non gli rimaneva che tentare una prova sull'animo del re. Egli non pose tempo di mezzo. Un'ora dopo, il ministro ed il re si trovavano di fronte.

– Maestà! disse il ministro con accento risoluto; io son venuto a rassegnarvi le mie dimissioni…

– Io spero, mio ottimo Canella, che tu vorrai palesarmi le ragioni che ti spingono ad abbandonare il tuo sovrano in questo grave momento.

– Maestà! io vi ho sempre parlato colla massima franchezza, ed è quello che farò anche nell'ora di separarmi per sempre da voi… Da qualche tempo, vostra maestà è di un umore insopportabile. Per ogni nonnulla (e qui il ministro fissò nel volto reale una occhiata incisiva come un trapano), per ogni nonnulla vi sale la mosca al naso

– Sciagurato! gridò il re balzando dalla seggiola e portando la mano al pugnale…

Ma il ministro non gli diè tempo di tradurre in atto quell'impeto di collera, e, facendosi barricata di una sedia a braccioli, gridò a sua volta con voce di tuono: «O re, la tua ira mi ha tutto rivelato… Il mio sospetto è omai certezza.. Poichè non si tratta che di una questione di naso, io ritiro le mie dimissioni.»

Il re ed il ministro stettero alcun tempo immobili, guardandosi in silenzio. Il principe si sentì soggiogato. I suoi occhi si gonfiarono. Egli ricadde in sulla seggiola singhiozzando e ripetendo con accento convulso: «è vero: questione di naso!.. questione di naso!»

L'arguto Canella non proferì che queste parole: «due soluzioni possibili: o tagliare… o incrociare!..»

III

Le case dei regnanti hanno le muraglie di vetro.

Tutte le precauzioni imaginate dal gran ministro di re Piperio perchè quel segreto di… naso non uscisse dalla corte, tornarono infruttuose. Di là a poche settimane, non vi era principe d'Asia il quale non ne fosse informato.

– Voglio vedere questo naso! – esclamò il Re di Citrulia, appena letto il dispaccio del suo ambasciatore. E così parlando trasmise il foglio al suo primo ministro.

Il dispaccio era così concepito.

«Sire!

«Finalmente ci venne dato scoprire e siamo in grado di comunicare alla maestà vostra l'origine e la causa persistente della grave perturbazione di spirito avvenuta da pochi mesi nel re dei Panami. Questa perturbazione, che potrebbe o tosto o tardi dar luogo a serissime complicazioni politiche e produrre delle inaspettate tensioni nei rapporti dei diversi stati dell'Asia e dell'universo, ripete la sua ragione dal… naso del re. Salvo dunque il rispetto che io debbo ad una sacra e reale maestà, io mi tengo in obbligo di informare il mio augusto sovrano e signore che il suddetto naso di re Piperio, per quali cause si ignora, ha preso in sul cadere dello scorso anno uno sviluppo così straordinario, da produrre il più vivo allarme nell'intero corpo diplomatico qui residente. L'altra sera, alla festa da ballo della baronessa Golasecca, ho inteso colle mie due orecchie l'ambasciatore di Noce Moscata esternare a tale soggetto delle opinioni molto avventate. Per mia parte non credo arrischiar troppo asserendo che quel naso è gravido di avvenimenti. Non tacerò alla maestà vostra che io non ho mancato, com'era debito mio, di ideare i più ingegnosi stratagemmi per avere accesso al sovrano onde verificare co' miei propri occhi il singolare fenomeno. Tutte le mie pratiche riuscirono fino ad ora infruttuose. Il cameriere intimo del re, corrotto dal mio oro, mi assicurava l'altro ieri che il naso del suo augusto signore già sorpassa i due metri di lunghezza. Spero fra pochi giorni con nuovo sacrifizio di denaro, aver in mano la misura precisa, e in tal caso non mancherò di spedirla alla maestà vostra aggiungendo quelle altre informazioni di dettaglio, che naturalmente debbono interessarla. Profitto dell'incidente per insistere presso vostra maestà acciò si degni accordarmi un piccolo aumento di fondi segreti – mi pare che le circostanze lo esigano. Qualora tanto ottenessi dalla vostra grazia sovrana, io confido di indurre al più presto il già menzionato corruttibile cameriere a rilevare con cera o con gesso i contorni di questo naso eccezionale, che forse è già prossimo a partorire… qualche cosa di inaspettato.»

»Accolga la maestà vostra, ecc., ecc., ecc.,»

– Decisamente voglio veder questo naso! ripetè il re di Citrulia – fra due giorni noi ci metteremo in viaggio. Tutta la corte mi seguirà… Sarà la gita di piacere che tante volte ho promessa alla regina, ai ministri, ai generali, ai miei più affezionati. Vi prometto che rideremo! Voglio ben vedere le smorfie che vorrà fare il mio augusto cugino allorquando sarà costretto a sfoderare la sua proboscide al cospetto di tutta la mia corte!.. Presto! Gli si annunzi la nostra prossima visita!.. Ah! vorrei essere nel suo gabinetto quando riceverà il telegramma!.. C'è a scommettere che il suo naso si allunga di due spanne!..

Di tal guisa parlando, il re di Citrulia si era lasciato cadere sui cuscini del trono, e rideva grossamente colle guancie e col ventre.

– Mi perdoni la maestà vostra – osservò timidamente il ministro – ma a me corre obbligo di ricordare che un tale viaggio verrà a costare una diecina di milioni, e mi pare che… nelle attuali strettezze della Citrulia…

– I Citrulli hanno sempre pagato e pagheranno! interruppe il principe di mal garbo: – non annoiarmi colle tue economie, affrettati a dar gli ordini pel viaggio, e guai se mi aggiungi parola!

Il ministro fece un inchino fino a terra e si allontanò mormorando: «degno re dei Citrulli!»

Yosh cheklamasi:
12+
Litresda chiqarilgan sana:
28 oktyabr 2017
Hajm:
370 Sahifa 1 tasvir
Mualliflik huquqi egasi:
Public Domain

Ushbu kitob bilan o'qiladi