Kitobni o'qish: «Una Ragione per Nascondersi », sahifa 2

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CAPITOLO DUE

Tre ore più tardi si incontrò con Ramirez, proprio dopo la fine del suo turno. Lui aveva risposto con entusiasmo alla sua chiamata, ma era anche sembrato stanco. Era stato per quello che avevano scelto da incontrarsi vicino al Charles River, su una delle molte panchine che lo fiancheggiavano dalle passeggiate che si snodavano lungo il lato destro del fiume.

Mentre camminava verso la panchina su cui si erano accordati, vide che lui era appena arrivato. Era seduto e guardava verso il fiume. La stanchezza che gli aveva sentito nella voce era evidente sul suo volto. Tuttavia sembrava tranquillo. Era una cosa che aveva notato in lui diverse volte, come diventasse silenzioso e introspettivo ogni volta che si trovava davanti a un panorama della città.

Gli si avvicinò e lui si girò udendo i suoi passi. Sfoggiò un sorriso vincente e in un batter d'occhio non sembrò più stanco. Una delle molte cose che le piacevano di Ramirez era il modo in cui la faceva sentire ogni volta che la guardava. Era chiaro che c'era molto di più che una semplice attrazione; lui la guardava con apprezzamento e rispetto. Quello sguardo, oltre al fatto che le diceva quotidianamente che era bellissima, la faceva sentire più al sicuro e desiderata di quanto riuscisse a ricordare.

“Giornata dura?” chiese Avery mentre si univa a lui sulla panca.

“Non proprio,” rispose Ramirez. "Ho avuto molto da fare. Denunce per rumori molesti. Una rissa in un bar che è finita nel sangue. E giuro che ho persino ricevuto una chiamata per un ragazzino che si è arrampicato su un albero per scappare da un cane.”

“Un ragazzino?”

“Un ragazzino,” ripeté Ramirez. “L’eccitante vita di un detective quando la città è tranquilla e noiosa.”

Entrambi ammirarono il fiume in un silenzio che nel corso delle ultime settimane aveva iniziato a diventare confortevole. Anche se tecnicamente non stavano insieme, erano giunti ad apprezzare il tempo insieme non riempito di chiacchiere tanto per il gusto di parlare. Lentamente e con deliberazione, Avery si tese e gli prese una mano.

“Vuoi camminare un po' con me?”

“Certo,” disse lui, stringendole la mano.

Anche tenersi per mano era un evento monumentale per Avery. Lei e Ramirez lo avevano fatto spesso e si erano baciati brevemente in qualche occasione, ma prendergli intenzionalmente la mano era stato fuori dalla sua zona di comfort.

Sta diventando piacevole, pensò lei mentre iniziavano a camminare. Che diavolo, ormai lo è da un bel po' di tempo.

“Stai bene?” chiese Ramirez.

“Sì,” rispose lei. “Ho passato una bella giornata con Rose.”

“Credi che le cose inizino finalmente a diventare normali?” domandò lui.

“Tutt’altro che normali,” rispose Avery. “Ma ci stiamo avvicinando. E a questo proposito…”

Si fermò, confusa dal motivo per cui le era tanto difficile dire quello che voleva. Con tutto quello che aveva passato, sapeva di essere emotivamente forte... quindi perché le era così complicato esprimere la vera se stessa quando era importante?

“Ti sembrerà sdolcinato,” iniziò Avery. “Quindi per favore, sopportami e tieni a mente la mia estrema vulnerabilità.”

“Okay…” disse Ramirez, chiaramente confuso.

“È da un po' di tempo che so che devo fare qualche cambiamento. La parte più grossa parte di questo cambiamento è stato cercare di aggiustare le cose con Rose. Ma ci sono anche altre questioni. Questioni che ho quasi avuto paura di ammettere con me stessa.”

“Tipo quali?” chiese Ramirez.

Lei capì che stava iniziando a sentirsi a disagio. In precedenza erano stati sinceri l'uno con l'altra, ma mai fino a quel punto. Era molto più difficile di quanto si fosse aspettata.

“Senti… lo so che praticamente ho rovinato le cose tra di noi,” ammise Avery. “Tu sei stato molto paziente e comprensivo mentre io mi occupavo dei miei problemi. E so che ti ho lasciato avvicinare un po' per poi respingerti.”

“È piuttosto accurato, sì,” disse Ramirez con una punta di divertimento.

“Non riuscirò mai a scusarmi abbastanza per questo,” continuò Avery. “Ma se tu trovassi la forza nel tuo cuore di perdonare la mia esitazione e le mie paure... mi piacerebbe molto avere un'altra occasione.”

“Un’occasione per cosa?” domandò Ramirez.

Vuole che ceda e lo ammetta, pensò. E me lo merito.

La sera volgeva al tramonto e rimanevano solo poche persone lungo i sentieri e le passeggiate che si snodavano attorno al fiume. Era una scena pittoresca, come tratta da uno di quei film che solitamente detestava guardare.

“Un’occasione per noi due,” disse Avery.

Ramirez si fermò ma tenne la mano nella sua. La guardò con grandi occhi scuri e sostenne il suo sguardo. “Non può essere solo un’occasione,” affermò. “Deve essere una cosa vera. Una cosa sicura. Non puoi continuare a spingermi e a tenermi sempre in sospeso.”

“Lo so.”

“Quindi se riesci a spiegarmi che cosa intendi dire con noi due, potrei anche pensarci.”

Lei non riusciva a capire se era serio o se stava cercando di fare il difficile. Distolse lo sguardo e gli strinse la mano.

“Accidenti,” esclamò. “Hai intenzione di farmela pagare, non è vero?”

“Beh, credo di…”

Avery lo interruppe attirandolo a sé e baciandolo. In passato, i loro baci erano stati brevi, goffi e pieni della sua solita esitazione. Invece quella volta si lasciò travolgere. Lo strinse a sé il più possibile e lo baciò con maggior passione avesse messo in qualsiasi contatto fisico dopo l'ultimo anno felice di matrimonio con Jack.

Ramirez non cercò di opporsi. Lei sapeva che lo voleva da molto ormai e riusciva a sentire il desiderio che gli scorreva in tutto il corpo.

Si baciarono come adolescenti innamorati sulla riva del fiume Charles. Fu un bacio tenero e appassionato allo stesso tempo, elettrizzato dalla frustrazione sessuale che da mesi era sbocciata tra di loro.

Quando le loro lingue si incontrarono, Avery si sentì come attraversata da una corrente di energia, un'energia che sapeva di voler usare in una determinata maniera.

Interruppe il bacio e appoggiò la fronte sulla sua. Si guardarono per diverso tempo in quella posizione, godendosi il silenzio e il peso di ciò che avevano appena fatto. Avevano oltrepassato una linea. E nel silenzio teso, entrambi percepirono che ce n'erano ancora molte altre da superare.

“Ne sei certa?” chiese Ramirez.

“Sì. E mi dispiace che mi sia servito tanto tempo per rendermene conto.”

Lui l’attirò a sé e l’abbracciò. Avery percepì qualcosa di simile al sollievo nel corpo del partner, come se gli si fosse sollevato un enorme peso dalle spalle.

“Voglio provarci,” dichiarò Ramirez.

La lasciò andare e la baciò di nuovo, piano, sul lato della bocca.

“Penso che dovremmo festeggiare l'occasione. Vuoi andare a cena?”

Lei sospirò e gli lanciò un sorriso tremante. Aveva già superato una barriera emotiva confessandogli i suoi sentimenti. Che male poteva fare ormai continuare a essere spudoratamente sincera con lui?

“Credo anche io che dobbiamo festeggiare,” gli rispose. “Ma adesso, in questo preciso momento, non sono molto interessata a mangiare.”

“Quindi cosa hai voglia di fare?” domandò lui.

La sua innocenza era fin troppo adorabile. Avery si appoggiò a lui e gli sussurrò all'orecchio, godendosi la sensazione di quell’uomo contro il proprio corpo e dell'odore della sua pelle.

“Andiamo a casa tua.”

Lui si allontanò di scatto e la guardò con la stessa espressione seria di prima, ma in più c'era anche qualcos'altro. Era un'espressione che aveva già visto sul suo volto di quando in quando, qualcosa che somigliava molto all'eccitazione e nasceva dal desiderio fisico.

“Davvero?” chiese lui incerto.

“Davvero,” ripeté lei.

Mentre correvano sull'erba verso il parcheggio in cui avevano lasciato le auto, entrambi stavano ridacchiando come bambini. Era giusto, dato che Avery non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui si era sentita così sollevata, emozionata e libera.

***

La passione che avevano provato in riva al fiume covava ancora mentre Ramirez apriva la porta del suo appartamento. C'era una parte di Avery che voleva saltargli addosso lì e subito, prima ancora che lui avesse il tempo di chiudere la porta dietro di sé. Avevano continuato a toccarsi delicatamente per tutto il viaggio fino a casa sua e ora che erano arrivati, Avery si sentiva come se fossero all'inizio di una svolta.

Dopo che Ramirez ebbe chiuso la porta e girato la chiave, lei si sorpresa che non l’avvicinasse subito. Invece il partner attraversò il soggiorno fino alla sua modesta cucina, dove si versò un bicchiere d’acqua.

“Acqua?” le offrì.

“No, grazie,” rispose lei.

Lui bevve tutto il suo bicchiere e guardò fuori dalla finestra della cucina. Era scesa la notte e le luci della città brillavano attraverso i vetri.

Avery si unì a lui nella cucina e gli tolse maliziosamente di mano il bicchiere. “Quale è il problema?” chiese.

“Non voglio dirlo,” rispose lui.

“Hai… beh, hai cambiato idea su di me?” volle sapere. “Dopo tutta quell'attesa non mi vuoi più?”

“Dio, no,” esclamò lui. Le mise le braccia attorno alla vita e lei capì che stava cercando di trovare le giuste parole.

“Possiamo aspettare,” disse lei, sperando che lui non accettasse.

“No,” rispose lui, con una certa urgenza. “È solo che... merda, non lo so.”

Quella fu una sorpresa per Avery. Con i corteggiamenti esperti e le parole seducenti nel corso degli ultimi mesi, era certa che sarebbe stato persino un po’ aggressivo quando e se fosse mai giunto il momento. Ma invece sembrava incerto, quasi nervoso.

Si chinò in avanti e gli baciò un angolo della guancia. Lui sospirò e si tese verso di lei.

“Che cosa c’è?” chiese lei, sfiorandogli la pelle con le labbra quando parlò.

“È solo che ora questo è reale, capisci? Non è una storia di una notte e basta. È reale. Io tengo a te, Avery. Ci tengo davvero. E non voglio affrettare le cose.”

“Ci stiamo girando attorno da quattro mesi,” disse lei. “Non credo che stiamo correndo.”

“Ottima osservazione,” commentò lui. La baciò su una guancia e sulla piccola parte della spalla che la sua maglietta lasciava vedere. Poi le sue labbra trovarono il collo e quando la baciò lì, lei pensò che avrebbe potuto accasciarsi al suolo sul posto, trascinando anche lui insieme a sé.

“Ramirez?” disse, rifiutandosi ancora giocosamente di usare il suo nome di battesimo.

“Sì?” chiese lui, con il volto ancora appoggiato al suo collo, intento a depositare baci.

“Portami in camera da letto.”

Lui la attirò a sé, la sollevò e le lasciò stringere le gambe intorno alla sua vita. Iniziarono a baciarsi e lui le obbedì. La portò lentamente in camera e quando chiuse la porta della stanza, Avery era talmente presa dal momento che nemmeno la udì richiudersi.

Tutto ciò di cui era consapevole erano le sue mani, la sua bocca, il corpo muscoloso che premeva contro il proprio mentre la sdraiava sul letto.

Lui interruppe il loro bacio abbastanza a lungo da chiederle: “Ne sei certa?”

E se lei avesse avuto bisogno di un'altra ragione per desiderarlo, quella domanda le sarebbe bastata. Lui le voleva sinceramente bene e non voleva rovinare quello che c'era tra di loro.

Avery annuì e lo attirò giù, su di sé.

E per un po', lei non fu più una frustrata detective della squadra Omicidi o una madre in difficoltà, né una figlia che aveva dovuto guardare la madre morire per mano del padre. Allora fu semplicemente Avery Black... una donna come tutte le altre, che si godeva i piaceri che la vita aveva da offrire.

Si era quasi dimenticata come si faceva.

E non appena iniziò a riprenderci la mano, giurò a se stessa che non li avrebbe mai più dimenticati.

CAPITOLO TRE

Avery aprì gli occhi e guardò il soffitto sconosciuto sopra la sua testa. La tenue luce dell'alba entrava dalla finestra della camera da letto, ricadendo sul suo corpo quasi completamente nudo. Illuminava anche la schiena scoperta di Ramirez accanto a lei. Si voltò leggermente e sorrise assonnata. Lui era ancora addormentato, con il volto girato dall’altra parte.

Avevano fatto l’amore due volte la notte prima, prendendosi due ore tra ogni sessione per preparare una cena veloce e per discutere di come andare a letto insieme avrebbe potuto complicare il loro rapporto di lavoro, se non fossero stati attenti. Era quasi mezzanotte quando erano scivolati nel sonno fianco a fianco. Avery era stata assonnata e non riusciva a ricordare il momento in cui si era addormentata, ma rammentava il suo braccio attorno alla vita.

Voleva provarla di nuovo… la sensazione di essere desiderata e al sicuro. Pensò di fargli scorrere le dita lungo la base della spina dorsale (oltre che in qualche altro punto, magari) solo per svegliarlo perché lui la potesse stringere.

Non ne ebbe mai l’occasione. La suoneria dei messaggi del suo cellulare squillò. Lo stesso fece quella di Ramirez. Suonarono in contemporanea, un evento che poteva significare una cosa sola: riguardava il lavoro.

Ramirez si alzò in fretta. Nel gesto, il lenzuolo gli scivolò di dosso e svelò tutto. Avery diede un’occhiatina, non riuscendo a resistere alla tentazione. Lui afferrò il telefono dal comodino e lo fissò, con occhi stretti dal sonno. Nel frattempo Avery recuperò il proprio cellulare dalla pila di abiti sul pavimento.

Il messaggio veniva da Dylan Connelly, il supervisore della Omicidi dell’A1. In perfetto stile Connelly, il messaggio era diretto e dritto al punto:

È stato trovato un corpo. Molto ustionato. Forse un trauma alla testa.

Porta il culo al sito di costruzioni abbandonato sulla Kirkley St ORA.

“Ma che bello svegliarsi così, di prima mattina,” borbottò lei.

Ramirez scese dal letto, ancora completamente nudo, e si accovacciò sul pavimento insieme ad Avery. L’attirò a sé e commentò: “Sì, è molto piacevole svegliarsi in questo modo, il mattino.”

Avery si appoggiò a lui, leggermente allarmata da quanto fosse follemente soddisfatta in quel momento. Borbottò di nuovo e si alzò in piedi.

“Merda,” disse. “Arriveremo tardi sulla scena. Devo prendere la mia auto e anche tornare a casa per un cambio di vestiti.”

“Andrà tutto bene,” la rassicurò Ramirez mentre iniziava a vestirsi. “Io gli risponderò tra pochi minuti, mentre tu vai a prendere l’auto. Fai passare un po’ di tempo prima di rispondere. Magari lo squillo del messaggio non ti ha svegliata. Forse ti ho dovuta chiamare io per tirarti in piedi.”

“Sembra un inganno,” rispose lei, infilandosi la maglietta.

“È una furbata, ecco cosa è,” replicò lui.

Si sorrisero l’un l’altra mentre finivano di vestirsi. Poi andarono in bagno, dove Avery fece del suo meglio per dare un senso ai suoi capelli mentre Ramirez si spazzolava i denti. Si affrettarono in cucina e Avery mise insieme due tazze di cereali.

“Come puoi vedere,” spiegò, “sono una cuoca provetta.”

Lui l’abbracciò da dietro e sembrò godersi il suo profumo. “Staremo bene?” chiese. “Possiamo farlo funzionare, vero?”

“Credo di sì,” rispose lei. “Andiamo là fuori e proviamoci.”

Divorarono i loro cereali, passando la maggior parte del tempo a guardarsi a vicenda, cercando di valutare la reazione dell’altro a ciò che era successo la notte prima. Da quello che Avery riusciva a capire, Ramirez era felice esattamente quando lei.

Si diressero fuori dalla porta d’ingresso, ma prima che Ramirez la chiudesse alle loro spalle, si fermò. “Aspetta, torniamo dentro un secondo.”

Confusa, lei tornò in casa.

“Dentro,” disse lui, “siamo fuori servizio. Non siamo ufficialmente partner, giusto?”

“Giusto,” rispose Avery.

“Quindi posso fare questo un’altra volta,” replicò lui.

Si chinò e la baciò. Fu un bacio stravolgente, tanto forte da farle cedere leggermente le ginocchia. Lei lo spinse via allegramente. “Come ho detto prima,” annunciò, “non iniziare. A meno che tu non abbia anche intenzione di finire.”

“Devo rimandare,” disse Ramirez. La ricondusse fuori e quella volta chiuse la porta dietro di loro. “Okay, ora siamo in servizio. Faccia strada, detective Black.”

***

Seguirono il piano di Ramirez. Avery rispose al messaggio di Connelly solo sedici minuti dopo. A quel punto era quasi tornata al suo appartamento ed era ancora su di giri per come era andata la serata. Riuscì a vestirsi, a prendere un caffè e a tornare in strada in meno di dieci minuti. Il risultato, ovviamente, fu che arrivò sulla scena su Kirkley Street circa mezz’ora più tardi di quanto Connelly avrebbe preferito.

C’erano già diversi agenti che si aggiravano per la zona. Erano tutti volti familiari, volti che era arrivata a conoscere e a rispettare da quando era diventata detective della Omicidi. Le espressioni sulle loro facce quella mattina le fecero intuire che sarebbe stata una giornata lunga e difficile.

Tra i presenti c’era anche Mike O’Malley. Avery trovò preoccupante che il capitano fosse là fuori così presto. In qualità di capitano del più grande dipartimento di polizia di Boston, era raro vederlo in mezzo ai lavori sulle normali scene del crimine, per quanto fossero mostruose. In quel momento O’Malley stava parlando con altri due agenti, uno dei quali era Finley. Avery era arrivata a rispettare Finley in quanto agente, anche se tendeva a essere un po’ troppo distaccato per i suoi gusti.

Notò subito Ramirez; stava chiacchierando con Connelly dall’altra parte del lotto abbandonato.

Mentre si avvicinava ai due uomini, studiò la scena con più accuratezza possibile. Aveva attraversato quel quartiere della città diverse volte ma non ci aveva mai veramente fatto attenzione. Era una delle molte zone rovinate dalla crisi economica in quella parte della città, un’area dove imprenditori entusiasti avevano investito grosse quantità di denaro in proprietà, solo per vederle perdere di valore e allontanare rapidamente i potenziali acquirenti. Non appena i tentativi di costruire erano stati interrotti, l’area era stata lasciata in rovina. E sembrava inserirsi perfettamente nell’ambiente circostante.

In lontananza si stagliava una coppia di ciminiere, ritte come giganti sporchi. Di tanto in tanto entrambe liberavano per aria pennacchi di fumo, offuscando il chiarore del mattino, ma solo in quella parte della città. Dall’altra parte del lotto abbandonato, Avery riusciva a vedere la riva di quello che avrebbe potuto essere un promettente ruscelletto che sarebbe potuto scorrere dietro i terreni delle case costruite per una borghesia medio-alta. Ma ormai rovi ed erbacce avevano preso il sopravvento. Buste di plastica, incarti di merendine e altra spazzatura erano intrappolati tra la vegetazione secca. Le rive basse erano fangose e in stato di abbandono, aggiungendo un nuovo livello di degrado all’aspetto putrido della zona.

Nell’insieme, quell’area era diventata una parte della città che praticamente chiunque avrebbe preferito evitare. Avery percepiva bene quella sensazione; mentre si avvicinava a Ramirez e a Connelly e osservava i dettagli, si sentiva sempre più oppressa.

Un posto come questa non può essere una coincidenza, pensò. Se qualcuno ha ucciso qui o anche solamente ha lasciato qui un corpo, deve avere avuto un motivo… per l’omicidio in sé o per l’assassino stesso.

Subito a destra di Connelly e Ramirez, un agente aveva appena finito di piantare dei sottili paletti rossi per confinare una sezione rettangolare del terreno. Mentre il suo sguardo si abbassava su ciò che c’era all’interno del rettangolo, la voce di Connelly rimbombò verso di lei a pochi metri di distanza.

“Maledizione, Black… perché ci hai messo così tanto?”

“Scusi” disse lei. “Non ho sentito la vibrazione del messaggio. È stato Ramirez a chiamarmi per svegliarmi.”

“Beh, di certo non sei in ritardo perché eri impegnata a farti i capelli o a truccarti,” notò Connelly.

“Lei non ha bisogno del trucco,” commentò Ramirez. “Quella robaccia è per le femmine.”

“Grazie, ragazzi,” rispose lei.

“Non importa,” concluse Connelly. “Che cosa ne pensi di questo?” chiese, accennando con il capo verso il rettangolo tracciato dai paletti rossi.

All’interno dell’area contrassegnata, c’erano quelli che immaginò essere resti umani. Per lo più ciò che vide era uno scheletro, che sembrava brillare. Non doveva essere lì da molto. Senza alcun dubbio si trattava di uno scheletro che di recente era stato privato di tutta la carne. Intorno a esso vide della cenere o qualche altro tipo di polvere. Qua e là notò dei frammenti che potevano essere muscoli o tessuti che erano rimasti attaccati alle ossa, in particolare attorno a quelle delle gambe e delle costole.

“Che accidenti è successo?” chiese.

“Bene, la nostra migliore detective inizia con una domanda intelligente,” commentò Connelly. “Ecco cosa sappiamo finora. Circa un’ora e quindici minuti fa, una donna che stava facendo la sua corsa mattutina ci ha chiamati per denunciare quello che secondo lei era uno strano rituale satanico. E ci ha portati a questo.”

Avery si accovacciò vicino ai paletti rossi e scrutò la zona. Un’ora e quindici minuti prima. Significava che se il materiale nero attorno allo scheletro era davvero cenere, un’ora e mezza prima la pelle ricopriva ancora quelle ossa. Ma non sembrava probabile. Sarebbe servita una determinazione perversa e una pianificazione precisa per uccidere qualcuno e bruciarlo miracolosamente fino alle ossa in un tempo tanto breve. In effetti, pensò che sarebbe stato quasi impossibile.

“Qualcuno ha dei guanti per le prove?” chiese.

“Un secondo,” rispose Ramirez.

Mentre il partner correva da Finley e dagli altri agenti che si erano allontanati per lasciarle spazio, notò un odore nella zona. Era debole ma percettibile, un odore chimico che al naso le sembrò quasi candeggina.

“Lo sentite anche voi?” domandò.

“Qualche cosa di chimico, giusto?” chiese Connelly. “Secondo noi una bruciatura chimica è l’unico modo con cui avrebbero potuto friggere un corpo in questa maniera e così rapidamente.”

“Non credo che sia stato bruciato qui,” affermò lei.

“Come fai a esserne sicura?” chiese Connelly.

Non lo sono, pensò lei. Ma l’unica cosa che per me avrebbe senso a una prima occhiata sembra piuttosto assurda.

“Avery….” cominciò Connelly.

“Un attimo,” disse lei. “Sto pensando.”

“Gesù…”

Lei lo ignorò, studiando le ceneri e lo scheletro con occhi indagatori. No… il corpo non può essere stato bruciato qui. Intorno allo scheletro non ci sono segni di bruciature. Qualcuno che stesse andando a fuoco si agiterebbe e correrebbe in giro. Qui non c’è niente di bruciato. L’unico segno di un incendio di qualsiasi genere sono queste ceneri. Quindi perché un assassino brucerebbe un corpo e poi lo riporterebbe qui? Forse è qui che ha preso la vittima…

Le possibilità erano infinite. Una di esse, secondo Avery, era che forse lo scheletro era di proprietà di un laboratorio medico e che si trattasse solo di uno stupido scherzo perverso. Ma dato il luogo e la sfrontatezza dell’atto, dubitava che fosse quello il caso.

Ramirez tornò con un paio di guanti di plastica per le prove. Avery se li mise e si chinò fino alle ceneri. Ne strinse un po’ tra l’indice e il pollice. Strofinò insieme le dita e le portò al volto. Le annusò e le guardò con attenzione. Sembravano comuni ceneri ma avevano una traccia di quell’odore chimico.

“Dobbiamo far analizzare queste ceneri,’ disse. “Se è stata usata una sostanza chimica, c’è una buona possibilità che ce ne siano ancora delle tracce.”

“Il team della Scientifica sta già venendo qui,” annunciò Connelly.

Lentamente, Avery si rialzò in piedi e si tolse i guanti di plastica. O’Malley e Finley si avvicinarono e Avery non fu sorpresa di vedere che l’agente rimaneva a una certa distanza dalle ossa e le ceneri. Li guardava come se lo scheletro avrebbe potuto saltargli addosso da un momento all’altro.

“Sto lavorando con la città per ottenere le riprese di ogni telecamera di sicurezza entro il raggio di sei isolati,” disse O’Malley. “Dato che non ce ne sono molte in questa parte della città, non dovrebbe volerci molto.”

“Non sarebbe una brutta idea raccogliere anche i numeri delle aziende che vendono sostanze chimiche molto infiammabili,” sottolineò Avery.

“Potrebbero essercene un milione,” disse Connelly.

“No, ha ragione lei,” intervenne O’Malley. “Non è stato bruciato con un detersivo o uno spray casalingo. Io direi che è una sostanza chimica concentrata. Finley, puoi cominciare a lavorarci su?”

“Sì, signore,” rispose Finley, chiaramente felice di avere un motivo per allontanarsi dalla scena.

“Black e Ramirez… ora questo è un vostro caso,” continuò O’Malley. “Lavorate insieme a Connelly per mettere insieme una squadra che se ne occupi.”

“Certo,” disse Ramirez.

“E Black, facciamo in modo di essere puntuali d’ora in avanti. Il tuo ritardo di questa mattina ci ha fatto perdere quindici minuti.”

Avery annuì, non lasciandosi attirare in una discussione. Sapeva che la maggior parte degli uomini di grado superiore al suo stavano ancora cercando qualsiasi ragione per sgridarla. E non poteva lamentarsi. Con il suo sordido passato, quasi se lo aspettava.

Mentre iniziava ad allontanarsi dai paletti rossi, notò qualcos’altro a diversi metri di distanza, sulla destra. Lo aveva visto quando si era avvicinata ai resti, ma non ci aveva fatto caso, considerandolo semplice spazzatura. Ma avvicinandosi al detrito, vide che sembrava un frammento spezzato di qualcosa. Doveva essere del vetro, o qualcosa che a un certo punto era stato all’interno di un forno. Raggiunse l’oggetto, dando una bella occhiata al ruscello stagnante e fangoso in fondo al lotto.

“Qualcuno ha preso nota di questo?” chiese.

Connelly lanciò un’occhiata verso di lei, poco interessato.

“Solo spazzatura,” rispose.

Avery scosse la testa.

“Non credo,” replicò lei.

Si rinfilò i guanti di plastica e ne sollevò una scheggia. A un’ispezione più accurata, vide che qualsiasi cosa fosse stata, era effettivamente di vetro, non un materiale ceramico. Non sembrava esserci polvere o segni del tempo sui frammenti. Ce n’erano sette pezzi piuttosto grandi, circa della grandezza della sua mano, e moltissime piccole schegge a terra. A parte il fatto che era rotto, qualsiasi cosa fosse andato in mille pezzi sembrava piuttosto nuovo.

“Qualsiasi cosa sia stata, non è qui da molto,” disse lei. “Assicuratevi che la Scientifica lo analizzi alla ricerca di impronte.”

“Dirò alla Scientifica di occuparsene,” disse Connelly con un tono che indicava quanto non apprezzasse prendere ordini. “Ora, voi due… voglio che torniate all’A1 entro la prossima mezz’ora. Farò qualche chiamata e vi farò trovare una squadra ad aspettarvi in sala conferenze. La scena del crimine ha meno di due ore; vorrei catturare questo bastardo prima che abbia troppo vantaggio su di noi.”

Avery lanciò un’occhiata finale allo scheletro. Senza lo strato protettivo della pelle, era come se stesse sorridendo. A lei diede l’impressione che l’assassino stesso le stesse rivolgendo un ghigno, trattenendo una risata di derisione. Non fu solo la visione delle ossa quasi completamente ripulite a darle un brutto presentimento e un senso di catastrofe imminente. Era il posto, le cataste di ceneri perfettamente ordine attorno alle ossa, i resti appositamente lasciati allo scoperto e l’odore chimico.

Tutto sembrava indicare qualcosa di preciso. Sottintendeva un’intenzionalità e una pianificazione. E per quel che riguardava Avery, poteva significare solo una cosa: chiunque fosse stato, lo avrebbe di certo fatto di nuovo.

43 164,43 soʻm
Yosh cheklamasi:
16+
Litresda chiqarilgan sana:
10 oktyabr 2019
Hajm:
231 Sahifa 3 illyustratsiayalar
ISBN:
9781640292604
Mualliflik huquqi egasi:
Lukeman Literary Management Ltd
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