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Kitobni o'qish: «La plebe, parte I», sahifa 5

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– Bada sopratutto, per qualunque cosa ti possa dire ser Barnaba, a non lasciarti sfuggir di bocca parola intorno al medichino.

Meo divenne rosso più che un tacchino in bizza, e i suoi occhi di cristallo rotearono come usano quelli delle figure di cera dei gabinetti meccanici.

– Ah! Il medichino, rispos'egli a denti stretti; oh sì il medichino… Potessi vederlo impiccato quel cicisbeo della malora!

Queste parole avevano dato l'aire alla collera ed alle ciancie della Maddalena.

Allorchè mastro Pelone sopraggiunse, perchè non trovando nello stanzone di sopra nè la fante ne il garzone, era disceso nella canova; allorchè egli sopraggiunse, la ragazza diceva sfavillante d'ira gli occhi:

– Tu non parlerai, o guai a te!

– Parlerò: rispondeva coi denti serrati e colla sua aria e col suo accento da testardo, il giovane tenendo sempre fra le mani il piatto e la bottiglia.

– Che cosa è questo? Esclamò Pelone pigliando dal suo sdegno tanta forza da poter parlare ad alta voce e con accento concitato. Figlioli di male femmine che state qui a perdere il tempo a bisticciarvi invece di servir gli avventori!.. Non so chi mi tenga dal misurarvi un calcio dove so io… che il fistolo v'accoppi.

Maddalena che mostrava chiaro non esser per nulla intimorita alle parolaccie del padrone, si volse vivacemente a quest'esso e gli disse in tutta fretta:

– Questo martuffo di Meo vuol dire al signor Barnaba che il medichino era qui adess'adesso.

Pelone divenne pallido, se pur poteva dirsi che la sua pelle d'alluda impallidisse. Stette un momento senza parlare, quasi glie ne mancasse il fiato, poi con voce soffocata ma tremenda, disse al garzone:

– Disgraziato! Se una sola parola ti sfugge, hai finito di vivere.

Alle parole del padrone, Meo rimase il più sgomento uomo del mondo. Stava là piantato sulle sue gambaccie, cogli occhi sbarrati, colla bocca larga, e guardava mastro Pelone con un'attonitaggine spaventata che fece rompere la Maddalena in uno scoppio di risa.

Il bettoliere, rimessosi alquanto della emozione che lo aveva fatto uscire in quella minaccia, disse al garzone colla sua voce più affranta e più cavernosa di prima:

– Or va, sollecita, servi messer Barnaba, e bada di tenere la lingua a segno.

Meo balbettò qualche parola inintelligibile, roteò gli occhi ancora smarriti, fissando ora Pelone ora Maddalena, e salì la scala coi piatti e col fiasco in mano, seguito dalle risate beffarde della giovane.

– Sei qui finalmente, lumacone d'un addormentato? Disse Barnaba vedendo comparirsi dinanzi il povero Meo ancora tutto sconvolto. Eh! ci vuol egli un secolo a portar questa poca roba?

Il garzone non rispose e mise innanzi all'avventore. Ma questi s'accorse che nell'apparecchiargli in tavola, le mani di Meo tremavano, e guardatolo in faccia, gli vide i segni del turbamento, da cui non s'era ancora compiutamente riavuto.

– Che cos'hai. Meo, che la tua faccia par quella d'un mascherone da fontana?

Meo crollò la testa, soffiò forte, e rispose in fretta a parole mozzicate:

– Nulla, non ho nulla.

E fece per andarsene tosto: ma Barnaba lo trattenne.

– Sta qui meco un momento, che diavolo!.. Tu hai dei dispiaceri, povero tambellone, non è vero? Te lo leggo chiaro su quella luna piena che ti serve da faccia.

Meo sospirò a suo modo, ma non disse verbo.

– Vuoi che te lo dica il tuo segreto? Tu sei innamorato morto.

Il babbuino si torse della persona con mossa di vergognoso, divenne rosso in volto e fece nello stesso tempo il più scemo sorriso.

– Quella birbona di Maddalena, eh?

– Ah sì! Quella birbona! Non potè a meno di ripetere Meo con un grosso sospiro.

– La è una civettuola che si lascia amoreggiare dal terzo e dal quarto.

– Ah si! Tornò ad esclamare Meo con un altro sospiro.

– Ed inoltre fra tutti i suoi galanti ce ne avrà qualcheduno di preferito.

Altro sospirone ed altra esclamazione affermativa di Meo.

– E questo preferito non sei tu?

– Non son io: ripetè dolentemente il garzone chinando la testa, con un sospiro più desolato degli altri.

– Ma sai tu almeno questo fortunato mortale chi sia?

Il giovane alzò vivamente la testa, ed un lampo balenò nei suoi occhi da stupido.

– Oh! se lo so: diss'egli serrando i pugni.

Barnaba si sporse di più verso il garzone e soggiunse sotto voce:

– Si dice che sia un cotale che viene qui soltanto di soppiatto: un bel giovane che fa il signore…

Meo digrignava i denti e seguitava a far girare le pallottole di vetro dei suoi occhi, come fanno quelle certe figure dipinte su alcuni dei pendoli a contrappesi.

Il poliziotto s'accostò ancora maggiormente al giovane, e continuò con voce più sommessa ancora ma con accento autorevolmente affermativo, fissando bene in volto l'imbecille:

– E questo tale è conosciuto qui col nomignolo di medichino.

A questa parola il povero Meo tutto si riscosse e si trasse indietro vivamente spaventato, come alla vista improvvisa d'una voragine che gli si aprisse sotto i piedi.

– Non so nulla: esclamò egli; non ho detto nulla; non mi fate dir nulla.

Barnaba lo prese ad un braccio e lo tirò presso di sè.

– Ah, ah! Disse. Ho posto il dito sulla piaga io. Vien qui, tambellone; e non ti pentirai d'aver parlato meco; ne avrai anzi sotto ogni riguardo vantaggio. Quel tal medichino, adunque…

Ma in quella l'uscio a vetri s'aprì, e comparvero, prima il naso enorme, poi la faccia cadaverica di mastro Pelone.

– Eh! marmotta: disse questi parlando a Meo. Si ha bisogno di te, e tu pianti le radici dappertutto dove ti fermi.

Barnaba lasciò andare tostamente il braccio di Meo, il quale s'affrettò a partire. Il poliziotto mirava con una certa intentività acuta e maliziosa il bettoliere ed il garzone.

– Comandate qualche cosa? Chiese Pelone a Barnaba, avanzandosi verso il suo desco.

– No, non mi occorre più nulla: rispose Barnaba. Va pure alle tue faccende anche tu, che io mangerò tranquillamente questa roba senz'altro.

L'oste che pareva desiderar mediocremente soltanto di rimanere un'altra volta solo coll'agente della polizia, uscì sulle peste di Meo, e Barnaba rimase solo.

Allora questi si alzò, e con passo leggerissimo corse all'uscio a vetri a chiarirsi se di là ci fosse chi potesse vedere entro la stanza: tirò bene le tendoline ai cristalli, e poi si diede ad esaminare minutamente le pareti della camera, intorno alle quali correva ad altezza d'uomo una impiallacciatura di legno volgare di pioppo mal verniciato.

Guardò, toccò, battè riguardosamente qua e colà colla nocca delle dita, e ad un punto si fermò più lungamente che altrove. Gli parve poi udire l'appressarsi di qualcheduno, e più lesto ed agile che un gatto, fu al suo posto dove riprese a mangiare così tranquillo come se non si fosse mai mosso.

– Va bene: diceva egli intanto fra sè. I miei sospetti s'afforzano e spero diventeranno certezze. Andrò a far strabiliare il commissario… E ad ogni modo quell'imbecille di Meo sarà uno stromento che saputo maneggiare finirà per aprirci il segreto di ogni cosa.

CAPITOLO VIII

Maurilio, uscito dalla stanza a vetri dopo il colloquio con Gian-Luigi, venne sollecito al desco a cui aveva lasciato il ragazzo trovato per la strada. Questi, dopo aver ben mangiato e ben bevuto, aveva appoggiate le sue piccole braccia sulla tavola, messovi su la sua piccola testa, e s'era saporitamente addormentato, a dispetto di tutto il baccano che veniva facendosi intorno a lui entro al denso aere di quella stanza, baccano che non era punto sminuito, ma piuttosto era venuto aumentandosi.

Maurilio stette un istante a contemplare quel ragazzo. Ei dormiva così tranquillamente, con tale una sembianza di benessere, che il giovane ebbe un momento d'esitazione prima di svegliarlo per condurlo via. Ma poi si decise a riscuoterlo, e già tendeva una mano per mettergliela sulla spalla, quando una nuova scena sopravvenne che ne lo fece sostare, tutta a sè chiamando la di lui attenzione.

Andrea e Marcaccio erano ancora a quel medesimo posto, in quella medesima attitudine, tornati ai medesimi discorsi, se non che l'ebrietà in ambidue era maggiore.

Marcaccio faceva allusione a quel furto vistoso di cui udimmo un cenno sulle labbra di Barnaba, commesso a danno del signor Bancone, uno dei principali banchieri della città; e con argomento che un maestro di logica avrebbe chiamato ad hominem, diceva al suo compagno che se fra quei capi di vaglia i quali avevano fatto il colpo si fossero per fortuna trovati ancor essi, avrebbero ora le tasche piene di denaro, e potrebbero bere tutta la canova di mastro Pelone; alle quali parole Andrea, che il lume della ragione omai ce l'aveva perduto tutto, rispondeva; sempre più balbuziente, con dei sicuro frammisti a voci inarticolate ed accompagnati da pugni sulla tavola.

Quegli altri dalle triste fisionomie, usciti fuor della camera vicina con Gian-Luigi, si erano sparsi qua e colà per la bettolaccia, alcuni rimanendo a gruppi fra di loro, altri ad uno, a due andandosi a frammischiare alle brigatelle che già erano formate intorno ai deschi, e susurrando a bassa voce nell'orecchio di qualcuno, con certe arie misteriose che ti davan sembianza di gente che comunicasse qualche parola d'ordine o qualche segreta istruzione.

In quella una donna miserissimamente vestita aprì l'uscio d'ingresso e stette sulla soglia peritandosi d'entrare, quasi timorosa, lanciando tutto intorno nell'aer crasso della bettola uno sguardo inquietamente ricercatore.

Alcuni, cui dava fastidio l'aria fresca che s'introduceva per la porta semiaperta, volsero a quella parte il capo e gridarono di mala grazia:

– Ehi là! Chiudete quell'uscio, che vi colga un accidente! Volete darci una scarmana che ci mandi a far terra per le pignatte?

Uno di loro riconobbe la donna chi fosse.

– Ah ah! siete voi, Paolina?.. La solita storia eh?.. Venite a cercare vostro marito, ci scommetto… Entrate, Paolina, che diavolo! Entrate e chiudete quel battente in vostra buon'ora… Vostro marito è laggiù.

Paolina entrò del tutto e lasciò richiudersi dietro sè la porta. Era una donna di età ancora giovane, ma dai patimenti affatto stremata. Il viso color della cera, le labbra con livido pallore, livide le occhiaie infossate, gli occhi ardenti dalla febbre. Aveva intorno alle membra macilente una misera ciopperella di panno di cotone in più luoghi e con istoffe d'altri colori rappezzata; copriva il capo con un fazzoletto sbiadito, logoro, sfilacciato, ora tutto inumidito dal nevischio che il tempo freddoloso pareva stacciare traverso la nebbia nelle strade, e di sotto a questo fazzoletto le uscivano scarmigliate alcune ciocche di capelli nerissimi, fra cui cominciavano immaturamente ad essere frequenti i fili d'argento. Il dorso e il petto avea ricoperti da un pezzo qualunque di stoffa che le serviva da scialle.

Non la miseria soltanto, ma la malattia ed il dolore erano stampati sul viso di quella povera creatura che pareva reggersi e camminare con istento.

Ella ringraziò colui che le aveva parlato ed aguzzò gli occhi continuando a cercare per entro la densa atmosfera di quello stanzone.

– Dov'è egli, Andrea?

– Laggiù, vi dico: rispose ancora quel tale: in fondo, a sinistra… To', guardatelo là con Marcaccio.

Paolina fece un atto come di sdegno, il quale venisse a sopraggiungersi all'abbattimento ed al dolore che già la possedevano; e i suoi occhi vivamente balenarono fissandosi sulla testa di Marcaccio, la quale stava curva verso quella di Andrea, parlando a costui come sappiamo che faceva.

La donna, a quella vista, parve acquistare vigore e smettere affatto la timidezza e la peritanza; camminò risolutamente verso il desco a cui erano seduti i due uomini che abbiamo nominati, ed accostandosi al marito, gli pose, senza pur dir una parola, la mano sopra la spalla.

Andrea si riscosse in sussulto e levò il capo che gli cadeva abbandonato sul petto, mostrando la sua faccia imbestialita dall'ebbrezza.

Al vedere un'ombra comparire e stare presso di loro, anche Marcaccio alzò gli occhi verso di essa, e visto chi fosse, corrugò minacciosamente la fronte.

– Ah Paolina! Diss'egli con tono burbero ed impertinente. Ne siamo forse di nuovo alle solite. Che cosa venite qui a fare? A romper le tasche a vostro marito come sempre?

La donna fece guizzare verso Marcaccio un rapido ma ardentissimo sguardo, in cui c'era tutto il rancore e tutto l'abborrimento che può avere un'anima onesta verso il mal genio della sua famiglia e l'autore di tutti i suoi mali; ma non rispose pure una sillaba.

– Andrea: diss'ella al marito con voce soffocata, affannosa, ma pur tuttavia dolcissima, e con accento di amorevole rampogna: Andrea, vieni a casa.

L'ubbriaco guardava la moglie coll'occhio stupidamente rimbambolito.

– A casa? Ripetè egli: sì a casa… Adesso ci vado appena che abbia finito di bere… Ma prima bisogna finire di bere… Ehi! oste del contagio, porta qui una di barbèra.

– Andrea, bisogna venirci subito a casa: disse la moglie con una certa autorità che a tutta prima fece impressione sull'ubbriaco.

Egli accennò volersi alzare, come per obbedire a quel cenno: ma il suo corpo non era in caso di far ciò con tanta agevolezza, e Marcaccio dandogli uno spintone, mentr'e' stava a mezza strada, lo fece ricadere seduto com'era prima.

– Sei tu matto? Disse beffardamente Marcaccio. Da quando in qua le donne hanno da comandare agli uomini come noi? che vuoi tu lasciarti metter le dande e menar a lascia?

Andrea fissò il suo sguardo avvinazzato in quello del compagno, e ripetè con una grossa bestemmia:

– Menar a lascia?.. No giuraddio!

Alla donna un po' di sangue salito al viso arrossò un istante i pomelli delle ceree guancie; ma non degnò Marcaccio neppure d'uno sguardo.

– Sentite, Paolina, le diceva intanto quest'esso; se volete, sedete lì un momento, e vi daremo una volta da bere…

Paolina non potendo più frenarsi, gli si volse incollerita e colle labbra tremanti ed accento pieno di sprezzo lo interruppe:

– Con voi non parlo.

La figura di Marcaccio divenne terribile per feroce e scellerata espressione: ma poi tosto egli diede in una grassa risata.

– Oh oh! sentite che tono, la signora marchesa! Con noi non si degna!.. Allora date retta ad un mio consiglio, Paolina, e sarà il vostro meglio. Alzate i tacchi, e non seccateci più la gloria.

Paolina tornò rivolgersi al marito, senza dare a Marcaccio altra risposta.

– Vieni, diss'ella nuovamente con supplichevole accento. È tardi. Sai che gli è fin dal primo imbrunire che ti attendiamo… Sono i tuoi figliuoli che ti attendono… Tu dovevi venirci a portare i denari della cena… E non sei venuto; e mentre tu stavi qui a sbevazzare, mentre ci sei, i tuoi figliuoli hanno fame…

Andrea si passò la mano sulla fronte che incominciava a diventar calva, e stette così un poco, come per raccogliere le sue sparse e confuse idee.

– I miei figliuoli hanno fame: ripetè egli poi con accento doloroso, come se quelle tremende parole avessero avuto potenza di farlo rientrare in sè.

Marcaccio si mise a canterellare sull'aria d'una sconcia canzone de' trivii.

– La la le ralà! Ci siamo colla solita storia… Hanno fame? Vadano a letto. Chi dorme mangia, dice il proverbio… E ci lascino tranquilli.

Queste ciniche parole, però, non parvero andare compiutamente a' versi ad Andrea, per quanto ebbro egli fosse.

– I miei figli! Balbettò esso. I miei poveri figli!

– Sì, i tuoi figli: riprese Marcaccio. Ecco lì il bel gusto di caricarsi d'una famiglia. Si ha una frotta di marmocchi che vi strillano alle orecchie e una donna che vi tien dietro e vi sta addosso come una mignatta… Che cosa hai tu da fare pei tuoi figli? Hai tu denaro in tasca da recar loro?

Andrea scosse dolorosamente la testa.

– Non ne hai: continuava Marcaccio. Ti ho trovato che ti aggiravi come una mosca senza capo, per la città, disperato e senza saper che cosa fare di te, pronto a dar la pelle per un quattrino in aria… Non avevi trovato lavoro da nessuna parte, non avevi la croce d'un maledetto centesimo, e la pelle del ventre ti toccava l'osso della schiena. Che cosa ti ho detto io eh? Andrea sono un amico o non sono un amico, corpo di cento boja!.. Vieni qui all'osteria di Pelone che una frittata alle cipolle ed un fiasco di vino, ce ne ho sempre da offrirteli a tua disposizione. Si chiama parlar bene codesto o no, per le carezze di mastro Impicca? Sei venuto, abbiamo fatto ballare de' bei boccali; puoi tu lamentarti di qualche cosa? Saresti stato più allegro andando a casa ad udire strillare i bambini e borbottare la moglie? Bella musica! Le rampogne d'una donna con accompagnamento di guaìti fanciulleschi. Sì, sì, va ora con lei. Gli è quel bell'accoglimento che ti prepara a casa. Mi par già di sentirla. «Bel modo di regolarti! E che hai tu fatto qui? E che hai tu fatto là?» Il fastidio dei rimproveri e l'umiliazione di dover render conto dei fatti tuoi alla moglie.

Andrea fece un atto vivace di ripugnanza.

– No: esclamò egli, non voglio rimproveri, non li vo' tollerare giurabacco!.. Un uomo non lo deve!

– Bene. Disse la donna frenando con tutte le forze che le restavano la collera onde sentiva l'anima commossa verso Marcaccio. Sta certo. Non te ne farò neppur uno di rimproveri, ma vieni a casa.

– Sì, proruppe beffardamente Marcaccio, vacci, bamboccio, e vedrai che valore hanno le promesse delle donne.

Paolina non ci resse più.

– Tacete, Marcaccio: gridò volgendoglisi sdegnosamente. Non vi basta ancora tutto il male che ci avete già fatto? Voi siete il diavolo tentatore del mio pover'uomo.

– E voi non sapete quello che vi dite. Se questo buon uomo passa ancora qualche momento d'allegria, lo deve a me; e se ascoltasse i miei suggerimenti vivrebbe un poco meglio di quanto ora gli tocca.

– I vostri suggerimenti? Santa Vergine Maria! So di che genere sono; e se mai Andrea li seguisse tutti e davvero avrebbe cessato di essere un onest'uomo.

– Ohei! Che modo di parlare è codesto? Gridò Marcaccio battendo un forte pugno sulla tavola. Sapete voi che queste parole non le soffrirei da nessun uomo al mondo, fosse il più forte di tutti? E pensate voi voglia lasciarmele sputare in faccia da una miseruzza di donnicciuola come voi?

Il suo aspetto di scellerato era tale veramente da incuter timore, ma la donna è un essere che quando è posseduto da una giusta indignazione ha un coraggio cui null'altro uguaglia.

– Credete voi d'impormene, Marcaccio? Riprese Paolina. I brutti musi non mi fanno paura. E poichè vi trovo e mi ci avete incitata, vi dirò una buona volta il fatto vostro. Siete voi che avete recato il disordine e la miseria nella nostra famiglia. Siete voi che avete tolto a me ed a' miei figli l'animo di Andrea. Sia maledetto il momento in cui avete posto il piede in casa nostra, e siate maledetto voi stesso!.. Ma per l'anima mia, vi dico che nella mia povera soffitta, là dove sono i miei bambini, non vi lascierò entrar più o che mi caschi piuttosto la testa.

Marcaccio mandò una violenta imprecazione, poi afferrato il braccio di Andrea lo scosse rozzamente.

– Odi tu le belle cose che dice tua moglie? Va là che sai fartene proprio rispettare! Gli è lei che manda via di casa chi le pare e piace; e se tu vuoi avere un amico hai da domandarle licenza, e devi fare ciò ch'ella vuole, e levarti i calzoni e darglieli addirittura a lei.

L'ubbriaco pareva dagli occhi infiammati del compagno attingere la collera ancor egli.

– Levarmi i calzoni, diceva lo sciagurato non più conscio menomamente di sè: darglieli a lei!.. No giuraddio!

– Gli è che sei un bamboccio, gli gridava Marcaccio sotto il muso, che ti sei lasciato mettere i piedi sul collo e ti lasci menare pel naso.

– No, no, mille volte no, sacramento! Urlava l'ubbriaco.

– Non dar retta a questo tristo: supplicava Paolina con tutta amorevolezza. Vieni a casa meco, te ne prego.

– Non seccarmi la gloria! Faccio quel che mi pare e piace.

– Bravo! Esclamò Marcaccio.

– Non voglio andare a casa, e non ci vado… e non ci vo!

E come per paura che lo venissero a strappar di là, si attaccò con tutte due le mani al desco.

– Bravissimo! Tornò ad esclamare Marcaccio. E dille che i tuoi amici sei in caso da sapertegli scegliere da te stesso e che in casa tua sei padrone tu.

– Sì, sono padrone io…

– E che le donne non hanno da alzare il becco…

– Non hanno da alzare il becco… Diceva Andrea come un eco.

– Altrimenti…

E il tristo arnese faceva un cenno troppo chiaro di minaccia.

– Altrimenti… Ripeteva ancor esso l'ubbriaco, dominato per l'affatto dalla volontà del compagno.

– Che? Prorompeva la donna vieppiù indignata. Minacci tua moglie tu? Sei tu ancora il mio Andrea? Oh che cosa mai hanno fatto di te!.. Andrea, ti scongiuro, vieni a casa… Vieni a vedere i tuoi figli…

E voleva cingerlo colle braccia; ma egli rigettandola:

– Lasciami ti dico; vacci tu a casa e non seccarmi dell'altro.

– No, non ti lascio: insisteva essa tornando a volerlo abbracciare; voglio che tu venga meco…

– Ah! Quanto sei babbeo a lasciarti piantar di queste grane: diceva Marcaccio. Se foss'io, a quest'ora l'avrei già ridotta alla ragione.

– Va via: urlò l'ubbriaco serrando i pugni.

– Non vado: rispose animosamente Paolina. Sono venuta a prenderti per condurti presso i tuoi figli; non esco se tu non vieni meco.

E siccome ella era sul punto di gettargli le braccia intorno al collo, il disgraziato la respingeva allungando innanzi a sè il braccio col pugno serrato, il quale colpiva violentemente a mezzo il petto la povera donna.

Paolina gettava un grido e cadeva alla rovescia mentre una schiuma sanguigna le veniva alle labbra.

– Bene! Ben fatto! Così la si mette a posto: diceva quello scellerato di Marcaccio, mentre Maurilio in un salto era presso la donna e sollevatala la adagiava sopra una panca vicina su cui quelli che v'eran seduti s'affrettavano a farle posto.

Visto cader così sua moglie, un profondo e subito rimutamento si fece in Andrea. Parve per un istante da lui dileguata ogni ebbrezza. Sorse di scatto e fu presso alla misera donna, turbato, commosso, pentito.

– Paolina! Diss'egli con accento pieno d'affetto, di rincrescimento, quasi di pianto, Paolina!

E parve volesse dire mille cose, ma che, l'intelligenza non soccorrendogli, non sapesse in altro modo esprimerle che ripetendo il nome di lei:

– Paolina! Paolina!

Maurilio intanto interrogava con molto interesse la donna.

– Vi sentite male? Se prendeste qualche sorso di brodo caldo? O meglio se veniste alla più vicina farmacia a farvi dare un cordiale?

Paolina si asciugava colle mani medesime, in mancanza di pezzuola, la schiuma sanguigna che le era venuta alle labbra, si sforzava ad abbozzare un sorriso, e rispondeva colla voce affannosa:

– Non è nulla… Grazie… Non è nulla… Da un pezzo di tempo sono così debole, che il dito d'un ragazzo mi getterebbe in terra… Soffro sempre tanto qui…

E si premeva il petto con tutte due le mani.

– Paolina! Diceva ancora Andrea venutole presso, volendo prenderle la destra.

– Lasciatela stare: proruppe vivacemente Maurilio indignato. Non avete vergogna? Trattar così una donna, ed una donna ammalata!

Andrea curvò il capo tutto mortificato. Ma Paolina, dando al marito quella mano che egli cercava, disse benignamente:

– Oh il mio Andrea è buono. Non è lui che ne abbia colpa. È il vino che ha in corpo ed i consigli di certa gente… Va, te, ti perdono, Andrea… So che mi vuoi ancora bene.

E l'uomo commosso:

– Sì che te ne voglio di bene… tutto il mio bene…

Ed esaltandosi, come in ogni cosa agli ebbri suole avvenire, si cacciò le mani negli arruffati capelli e stracciandoseli a ciocche, piangendo ed esclamando soggiunse:

– Ma sono uno scellerato, un miserabile che merito le mazzate… sì, sì le merito… Mia moglie! I miei figli! Uh! uh! uh!.. Sono io che li ho messi sulla paglia… Ah dovrei andarmi ad affogare, che sarebbe meglio per tutti.

Paolina, già un po' riavutasi, gettògli le braccia al collo con ispavento e con infinito amore.

– No, non dirle queste brutte cose. Andrea, ti prego… Calmati, via, non piangere… Io ti perdono… I tuoi figli ti perdonano… Purchè tu lo voglia, la nostra sorte può cambiare e ridiventar quella di prima. Tu sarai di nuovo un buon operaio com'eri un tempo e guadagnerai come allora, io guarirò; e torneremo a vivere quei giorni felici che abbiamo già vissuto.

– Sono uno scellerato! Ripeteva colla sua ostinazione da ebbro il povero Andrea.

– Sei sempre il mio uomo, sei sempre il padre de' miei figli. Vieni presso di loro… E' t'aspettano. E' piangono per non vederti.

– Piangono!.. Piango anch'io che sono un miserabile…

Marcaccio non s'era mosso di posto, e guardava ed ascoltava tutto codesto con un sorriso di scherno e crollando le spalle.

– E quello è un uomo? Diceva egli così da poter esser udito da Andrea. Che pan bagnato!

– Io! pan bagnato? Esclamava l'ubbriaco cambiando espressione, e volgendosi a Marcaccio. Pan bagnato un corno!..

– Non dargli retta! Supplicava Paolina, tirando Andrea per i panni affine di volgerlo dalla sua parte.

Maurilio le venne in soccorso; si mise innanzi ad Andrea, fra lui e Marcaccio, e ponendo in testa allo ubbriaco il berretto che gli era caduto in terra e il giovane aveva raccolto, disse alla donna:

– Avviatevi, e traetelo con voi, senza lasciarlo più parlare con quest'altro.

Poi, dirigendosi ad Andrea, con quel tono autorevole che egli sapeva assumere e che abbiamo visto produrre effetto persino su Gian-Luigi avvezzo a comandare, soggiunse:

– Andate a casa vostra, e ringraziate il cielo che vi ha dato una tal donna.

L'ubbriaco balbettò, parve un istante voler ribellarsi all'autorità con cui quello sconosciuto si arrogava di parlargli, ma incontrato lo sguardo potente di lui, dovette chinare il suo a terra. La moglie lo tirò seco facendogli carezze e dicendogli dolci parole; ed Andrea finì per cedere ed uscire di là borbottando ma con riluttanza leggiera e facilmente superabile.

Marcaccio guardava di traverso il giovane che si era intromesso in aiuto di Paolina.

– Tant'è: diceva egli fra sè; questo cotale mi va a sangue come un bicchiere di vin cercone. Poichè il medichino lo conosce non sarà una spia… Ma gli è qualche cosa da non dirsela coi nostri noi… Per questa volta, in grazia al medichino, la passi liscia; ma se ancora gli avverrà di trovarmisi fra le gambe, il suo muso s'accorgerà com'è fatto il pugno di Marcaccio… Quanto ad Andrea, e' non mi scappa più. Può tardare di qualche giorno, ma ci cascherà. Abbiamo bisogno di lui, e sarà nostro.

Yosh cheklamasi:
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30 iyun 2017
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