Faqat Litresda o'qing

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Kitobni o'qish: «Le meraiglie del Duemila», sahifa 2

Shrift:

In lontananza un grande piroscafo fumava, dirigendosi verso la costa americana; lungo le scogliere dell’isola alcune barche pescherecce s’avanzavano dolcemente, tornando verso il porto della piccola borgata; alla base della rupe le onde s’infrangevano rompendo il silenzio che regnava sull’immenso oceano. I tre uomini tacevano: il notaio sembrava profondamente commosso; Brandok e Toby un po’ preoccupati. Rimasero così parecchi minuti, guardando ora le barche ed ora il sole che pareva si tuffasse in acqua; poi ad un tratto il dottore si scosse, dicendo:

«Non ti penti della parola data, James?».

«No» rispose Brandok, con voce calma.

«Anche se non dovessimo risvegliarci mai più?»

«Nemmeno.»

«Signor Max, salutiamoci ed abbracciamoci, poiché non ci rivedremo mai più, a meno di un miracolo.»

«Bisognerebbe che campassi centoquarant’anni, una età impossibile» disse il notaio, sospirando. «Io morrò, mentre voi risusciterete.»

«Un abbraccio, amico, e lasciamoci.»

Il signor Max, vivamente commosso, cogli occhi umidi, si strinse fra le braccia il dottore, tenendoselo per qualche momento sul petto.

«Addio, signor Brandok» disse poi, con voce rotta, porgendogli la mano. «Vi auguro di tornare in vita e di ricordarvi di me.»

«Ve lo promettiamo» rispose il giovane. «Addio, signor Max: noi andiamo a dormire.»

Il notaio s’allontanò, volgendosi più volte per un gesto d’addio; poi scomparve pel sentiero che conduceva alla base della rupe dove aveva collocato una grossa cartuccia di dinamite, per distruggerlo.

«Vieni James» disse Toby, quando furono soli. «Guarda un’ultima volta l’oceano.»

«L’ho guardato abbastanza, e poi non lo troveremo certo cambiato, se risusciteremo.»

Aprirono la porticina ed entrarono nella loro tomba, che gli ultimi raggi di sole illuminavano a sufficienza, facendo scintillare la cupoletta di vetro.

Toby prese dalla mensola una bottiglia e due bicchieri e la stappò.

«Un buon bicchiere di champagne» disse, versando lo spumeggiante nettare. «Alla nostra risurrezione, James!»

«O alla nostra morte, che per me sarà lo stesso» rispose il giovine, forzandosi di sorridere. «Almeno lo spleen non mi tormenterà più.»

Vuotarono d’un fiato i bicchieri, poi il dottore chiuse in un plico alcuni documenti che collocò entro una cassetta di metallo.

«Che cosa fai, Toby?» chiese Brandok.

«Qui dentro vi sono le fiale contenenti il misterioso liquido che dovrà ridarci la vita, e insieme la ricetta che insegnerà come dovranno servirsene coloro che verranno a risvegliarci.»

«Hai finito?»

«Sì. Un altro bicchiere.»

«Sia» rispose Brandok.

Vuotarono la bottiglia, poi il dottore sturò una fiala ed empì due piccole tazze. Era un liquore rossastro, un po’ denso, che aveva un profumo speciale.

«Bevi» disse, porgendo una delle tazze a Brandok.

«Cos’è?»

«Il narcotico che ci addormenterà, o meglio che sospenderà la nostra vita e che impedirà alle nostre carni di corrompersi.»

Il giovane prese la tazza con mano ferma, guardò il liquido in trasparenza, poi lo tracannò senza che un muscolo del suo viso avesse trasalito.

«È un po’ amaro, però non è cattivo» disse. «Ah! che freddo, Toby. Mi pare di avere un blocco di ghiaccio al posto del cuore.»

«Non è nulla, e poi durerà poco. Gettati sul letto e copriti.»

Mentre Brandok obbediva, il dottore bevve anch’egli la sua tazza, poi s’accostò barcollando ad un vaso di terra che si trovava in un angolo ed afferrato un martello che si trovava li presso, con un colpo vigoroso ne spezzò il coperchio, poi raggiunse frettolosamente il compagno.

Una temperatura da Siberia aveva invaso la stanza. Pareva che da quel vaso misterioso uscisse una corrente d’aria gelata, come quella che spira nelle regioni polari.

Il dottore guardò Brandok: il giovane non dava più segno di vita. Pareva che la morte l’avesse colto di colpo.

«Fra… cento… anni…» ebbe appena il tempo di balbettare il dottore, e stramazzò a fianco dell’amico. Nello stesso momento l’ultimo raggio di sole si spegneva e le prime ombre della notte scendevano sul sepolcreto.

UNA RISURREZIONE MIRACOLOSA

Una mattina degli ultimi giorni di settembre del 2003, tre uomini salivano lentamente lo scoglio di Retz, aiutandosi l’un l’altro per superare le rocce, non essendovi alcuna traccia di sentiero.

Il primo era un uomo piuttosto attempato, fra i cinquanta e i sessant’anni, eppure ancora assai vigoroso, senza barba e senza baffi, le braccia e le gambe lunghissime, perfino troppo in proporzione del tronco, e gli occhi molto dilatati e quasi bianchi.

Gli altri due erano più giovani di qualche dozzina d’anni, anch’essi bene sviluppati, con muscolature possenti e cogli occhi egualmente bianchi e smorti.

In tutti e tre poi si osservava uno sviluppo assolutamente straordinario della testa e specialmente della fronte.

I loro vestiti erano d’una certa stoffa color caffè chiaro, che pareva una seta, e consistevano in casacche larghissime, e in calzoni corti ed ampi, fermati sotto il ginocchio.

Giunti sull’orlo superiore dello scoglio, si erano fermati dinanzi ad un’alta cancellata di ferro arrugginito e corroso dai sali marini che racchiudeva una piccola costruzione di forma circolare, sormontata da una cupoletta di vetro.

Una lastra di metallo situata in cima ad un palo, portava la seguente scritta, ancora abbastanza visibile: Proprietà privata del dottor Toby Holker.

«Ci siamo» aveva detto l’uomo attempato, levandosi da una tasca una chiave vecchissima, d’una forma speciale, e una carta ingiallita. «Che belle chiavi si usavano cent’anni fa!»

«E sperate di farlo risuscitare il vostro antenato signor Holker?» domandò uno dei due che lo accompagnavano.

«Almeno le sue ossa le troveremo, ed anche quelle del suo amico» rispose il signor Holker.

«Ed i milioni, giacché voi siete l’unico erede.»

«È vero, signor notaio.»

«Potrete aprire?»

«Proviamo» rispose il signor Holker.

Introdusse la chiave nella toppa e, dopo qualche sforzo, fece scattare il chiavistello.

«Non fabbricavano male a quei tempi, i fabbri,» disse, spingendo il cancello. «Non credevo che dopo cent’anni le serrature funzionassero ancora.»

Il piccolo recinto era coperto di ginestre e di sterpi e di cumuli di erbe secche. Si capiva che nessuno, da moltissimo tempo, era entrato colà.

«Vediamo» disse Holker, aprendosi il passo fra gli sterpi.

S’accostò, non senza provare una certa emozione, alla piccola costruzione e, rizzandosi quanto era lungo, appoggiò il viso alla cupoletta di vetro.

Subito un grido gli sfuggì.

«È incredibile! Sono là ambedue e mi sembrano intatti! Che il mio antenato sia proprio riuscito a scoprire un filtro così meraviglioso da poter sospendere la vita per cent’anni?»

I suoi due compagni, avevano gettato uno sguardo attraverso i vetri, e anch’essi non avevano potuto frenare un grido di stupore.

«Sono là! Sono là!»

«E pare che dormano» disse Holker, che era in preda ad una viva emozione.

«Signor Holker, vi sareste ingannato?» chiese il notaio.

«Non so che dire; ora ho una lontana speranza di poter rivedere vivo il mio antenato.»

«Entriamo, signore. Avete la chiave del sepolcreto?»

«Sì; non entriamo subito, però.»

«Perché?…»

«Il mio antenato ha lasciato scritto che si lasci prima la porta aperta per qualche minuto.»

«Non riesco a comprenderne il motivo» disse il compagno del notaio.

«Per non esporci ad un potente raffreddore, signor sindaco» disse Holker. «Si fa presto a buscarsi una polmonite.»

«Che vi sia molto freddo lì dentro?»

«Sembra che il dottor Toby, oltre il filtro avesse anche scoperto un certo liquido capace di sprigionare un freddo polare.»

«Deve trovarsi in quel vaso che scorgete là in quell’angolo.»

«Aprite, signor Holker» disse il notaio. «Sono impaziente di assistere alla risurrezione di quei due uomini.»

Fecero il giro della piccola costruzione, finché scoprirono una porticina di ferro.

Holker introdusse la chiave nella serratura ed aprì facilmente. Subito una corrente estremamente fredda investì i tre uomini, costringendoli a retrocedere rapidamente.

«Vi è un banco di ghiaccio là dentro!» esclamò il sindaco. «Che cosa contiene quel vaso per produrre un simile freddo? Che gli scienziati di cent’anni fa valessero meglio di quelli d’oggi?»

«Grand’uomo quel mio antenato» disse Holker. «Farò una ben meschina figura io, vicino a lui!…»

Attesero alcuni minuti, poi, quando la corrente fredda diminuì, uno alla volta s’introdussero nel sepolcreto, avanzandosi carponi, essendo la porta assai bassa e stretta.

Si trovarono in una stanza circolare, colle pareti coperte da lastre di vetro, ben connesse da armature di rame.

Nel mezzo vi era un letto abbastanza largo e su di esso, avvolti in grosse coperte di feltro, si scorgevano due esseri umani coricati l’uno presso l’altro.

I loro volti erano gialli, gli occhi chiusi, e le loro braccia, che tenevano sotto le coperte, parevano irrigidite. Non si riscontrava su di loro alcun indizio di corruzione delle carni.

Il signor Holker s’era accostato rapidamente a loro e aveva sollevato le coperte.

«È incredibile!» esclamò. «Come si possono essere conservati così questi due uomini, dopo cent’anni? Possibile che siano ancora vivi? Nessuno lo ammetterebbe.»

I suoi compagni si erano anche essi accostati e guardavano con una specie di terrore quei due uomini, chiedendosi ansiosamente se si trovavano dinanzi a due cadaveri o a due addormentati.

Quello che si trovava a destra era un bel giovane di venticinque o trent’anni, coi capelli di color biondo rossiccio, di statura alta e slanciata; l’altro invece dimostrava cinquanta o sessant’anni, aveva i capelli brizzolati, ed era più basso di statura e di forme più massicce.

Sia l’uno che l’altro erano meravigliosamente conservati: solo la pelle del viso, come abbiamo detto, aveva assunto una tinta giallastra, simile a quella delle razze mongoliche.

«Qual è il vostro antenato?» chiese il notaio.

«Il più vecchio. L’altro è il signor James Brandok.»

«Agirete subito?»

«Senza ritardo.»

«Siete medico, è vero?»

«Come il mio antenato.»

«Sapete come dovete operare?»

«Il documento lasciato da Toby Holker parla chiaro. Non si tratta che di far due iniezioni.»

«Ed il liquido misterioso?»

«Deve trovarsi in quella cassetta» rispose il signor Holker, indicando una scatola di metallo che si trovava in fondo al letto.

«Torneranno subito in vita?»

«Non credo; forse dopo che li avremo immersi nell’acqua tiepida.»

«Dovremo quindi portarli fino alla borgata?»

«Non è necessario» rispose il signor Holker. «Ho dato ordine al mio macchinista di raggiungermi col Condor e non tarderà a venire. Porterò il mio antenato ed il signor Brandok a casa mia, a Nuova York. Desidero che tutti ignorino per ora la risurrezione di questi due uomini.»

Mentre parlava aveva aperto la cassetta di ferro dove si vedevano dei documenti, due fiale di cristallo piene d’un liquido rossastro e delle siringhe.

«Ecco il filtro misterioso» disse, prendendo le fiale. «Agiremo senza perdere tempo.»

Denudò il petto dei due addormentati, poi immerse una siringa in una delle due fiale, dicendo:

«Una iniezione in direzione del cuore e una nel collo: vedremo se avranno qualche effetto».

«Signor Holker,» disse il notaio «voi che siete dottore, vi sembra che siano morti? Hanno un certo aspetto…»

«Di mummie egiziane?»

«No, perché le loro carni hanno ancora una certa freschezza.»

«Allora di persone non morte» disse il signor Holker.

«Sapete che non dispero?»

«Batte il loro cuore?»

«No.»

«Sono freddi?»

«Sfido io, colla temperatura che regnava qui dentro! Sono immersi in una specie di catalessi, che mi ricorda gli straordinari esperimenti dei fakiri indiani.»

«Dunque non disperate?»

«Mah… Constato solamente che sono meravigliosamente conservati dopo venti lustri. Aiutatemi, signor Sterken.»

«Che cosa devo fare?»

«Tenete semplicemente una di queste fiale, mentre io inietto il liquido scoperto dal mio antenato.»

«Che sia invece fatale?»

«Io eseguisco la sua ultima volontà; se muore, ammesso che dorma ancora, non sarà colpa mia. Proviamo!…»

Il signor Holker prese la siringa, appoggiò la punta acutissima sul petto del dottore in prossimità del cuore e fece una iniezione abbondante, sottocutanea. Ripeté la medesima operazione sul collo, prese la vena giugulare, poi attese, in preda ad una profonda ansietà, tenendo in mano il polso del suo antenato. Nessuno parlava: tutti tenevano gli sguardi fissi sul dottore, colla speranza di sorprendere su quel viso giallastro una mossa qualsiasi, che potesse essere indizio d’un ritorno alla vita. Era trascorso un minuto, quando il signor Holker si lasciò sfuggire un grido di stupore.

«È incredibile!»

«Che cosa avete?» chiesero ad una voce il notaio ed il sindaco.

«Quest’uomo non è morto!»

«Batte il suo polso?»

«Ho sentito una leggera vibrazione.»

«Che vi siate ingannato?» domandò il notaio, che era diventato pallidissimo.

«No… è impossibile… il polso batte… leggermente sì, tuttavia batte… Non sogno io.»

«Dopo cent’anni!…»

«Silenzio… ascoltiamo se anche il cuore dà qualche segno di vita…»

Il signor Holker aveva appoggiato il capo sul largo petto del suo antenato.

«È freddo?» chiese il sindaco.

«Finora sì.»

«Cattivo segno: i morti sono sempre freddi.»

«Aspettate, signor sindaco, il filtro ha appena cominciato ad agire.»

«E…»

«Tacete! Meraviglioso!… incredibile!… Cos’ha inventato il mio antenato? Che cosa sono in suo paragone i medici moderni? Degli asini, compreso me!»

«Batte dunque il cuore?» chiesero ad una voce il sindaco ed il notaio.

«Sì… batte…»

«Non v’ingannate?»

«Sono un medico.»

«Eppure la tinta giallastra non scompare ancora» disse il notaio.

«Dopo… dopo il bagno forse… Sì, il cuore batte!… È un miracolo!… Ritornare in vita dopo cent’anni! Chi lo crederebbe?»

«Ed il polso?»

«Vibra sempre con maggior forza.»

«Rivolgetevi al signor Brandok, dottore» disse il sindaco.

In quel momento un fischio sonoro echeggiò al di fuori.

«Il mio Condor» disse il signor Holker. «Giunge in tempo!»

«Desiderate qualche cosa dal vostro macchinista?» domandò il notaio.

«Che porti una leva per aprire il sotterraneo. Ed ora occupiamoci del signor Brandok»,

Denudò il petto del giovane e ripeté su di lui le iniezioni fatte già al signor Toby.

Due minuti dopo, udì un lieve fremito nei polsi, e constatò per di più che la tinta giallastra tendeva a scomparire e che un lievissimo rossore compariva sulle gote dell’addormentato.

«Quale miracolo!» ripeteva il signor Holker. «Domani questi uomini parleranno come noi.»

Il notaio era ritornato con un negro di statura imponente, un vero ercole, con spalle larghissime, braccia grosse e muscolose.

«Harry,» disse il signor Holker, rivolgendosi verso il gigante «prendi queste due persone, e portale sul Condor. Bada di non stringerle troppo.»

«Sì, padrone.»

«Sono pronti i materassi?»

«E anche la tenda.»

«Sbrigati, ragazzo mio.»

Il signor Holker spostò il letto e mise le mani su una piastra di ferro di forma circolare, munita d’un anello.

«Deve essere qui sotto il sotterraneo contenente i milioni del mio antenato e del signor Brandok» disse.

«Vi saranno ancora?» chiese il notaio.

«Solo noi potevamo sapere che i due addormentati ve li avevano posti, e poi noi abbiamo veduto che tutto era in ordine qui dentro, quindi nessuno può esservi entrato.»

Passò la leva portata dal macchinista nell’anello e alzò, non senza fatica, la piastra.

Essendo già calate le tenebre, accese una lampada elettrica e scorse una scaletta scavata nella viva roccia.

Scese giù, seguito dal notaio e dal sindaco e si trovò in una celletta di due metri quadrati contenente due casseforti d’acciaio.

«Sono qui dentro i milioni» disse.

«Li fate portare sul vostro Condor?» chiese il notaio.

«Appartengono al mio antenato ed al signor Brandok. Essendo vivi, non ho più alcun diritto su queste ricchezze… Harry!»

Il negro che era già tornato, dopo aver portato via Toby e Brandok, scese nel sotterraneo.

«Aiutami» gli disse Holker.

«Basto io, signore» rispose il gigante. «I miei muscoli sono solidi e le mie spalle larghe.»

Prese la cassa più grossa e la portò via.

«Signori,» disse Holker, quando anche la seconda fu levata «la vostra missione è finita. Il signor Brandok ed il mio avo sapranno ricompensarvi presto della vostra gentilezza.»

«Ce li condurrete un giorno?» chiese il notaio.

«Ve lo prometto.»

«Siete ormai certo che essi tornino in vita?» domandò il sindaco.

«Io lo spero, dopo un buon bagno nell’acqua tiepida. Fra quattro ore io sarò a Nuova York e domani vi darò mie notizie.»

Uscirono dal sepolcreto e dalla cinta, chiudendo il cancello e si diressero verso il margine della rupe che si affacciava sull’oceano, dove si vedeva vagamente e fra le tenebre, una massa nera che agitava sopra di sé delle ali mostruose.

«Accendi il fanale, Harry» disse il signor Holker.

Uno sprazzo di luce vivissima si sprigionò, illuminando tutta la cima della rupe e la massa che si agitava presso il margine.

Era una specie di macchina volante, fornita di quattro ali gigantesche e di eliche grandissime, collocate al di sopra di una piattaforma di metallo, lunga e stretta, difesa all’intorno da una balaustra. Nel mezzo, collocati su un soffice materasso e riparati da una cortina, si trovavano il dottor Toby e Brandok, coricati l’uno presso l’altro. Il negro stava invece all’estremità della piattaforma, dietro ad una piccola macchina, munita di parecchi tubi.

«Arrivederci presto, signori» disse Holker, salendo sulla piattaforma e sedendosi presso i due risuscitati.

«Buon viaggio, signor Holker» risposero il notaio ed il sindaco. «Dateci domani notizie del dottore e del signor Brandok.»

«A cento miglia all’ora, ragazzo mio» disse Holker al negro. «Ho molta fretta.»

Le ali e le eliche si misero in movimento e la macchina volante partì con velocità fulminea, passando sopra l’isola di Nantucket e tenendo la prora verso il sud-ovest. Il signor Holker esaminava intanto il dottore Toby ed il suo compagno, appoggiando spesso la mano sui loro petti e tastando di quando in quando anche i polsi.

La vitalità tornava lentamente nei due addormentati. Il loro polso cominciava già a battere, assai debolmente però, ma ancora non respiravano ed il cuore rimaneva muto.

«Vedremo dopo il bagno» mormorava il signor Holker. «Morti non sono, quindi non devo disperare. Quale sorpresa per loro quando riapriranno gli occhi! Rivivere dopo cent’anni! Quale meraviglioso filtro ha scoperto il mio antenato! E, cosa inesplicabile, non sono invecchiati!»

Il Condor intanto continuava la sua corsa fulminea. Aveva passato l’isola e correva sopra l’oceano, mantenendosi ad un’altezza di centocinquanta metri.

La sua lampada mandava sempre un lungo sprazzo di luce che si rifletteva sulle onde.

A mezzanotte, verso ovest, si scorsero a un tratto delle ondate di luce bianca che salivano a grande altezza.

«Nuova York, padrone» disse il negro.

«Di già?» rispose Holker. «Hai superato le cento miglia all’ora, mio buon Harry. Sbrighiamoci, e bada di non urtare qualcuno.»

Si era alzato e guardava verso quelle luci.

«Arriveremo presto» mormorò.

Venti minuti dopo il Condor correva sopra un raggruppamento di case immense, di torri e di campanili.

Descrisse alcuni giri in aria, proiettando il fascio di luce sui tetti delle case, poi calò su una vasta terrazza di metallo, situata sulla cima d’un palazzo di venti piani.

«Siamo giunti, padrone» disse il negro.

«Prendi i due addormentati e portali nella mia camera. E silenzio con tutti!»

LE PRIME MERAVIGLIE DEL DUEMILA

Erano trascorse altre due ore, quando il dottor Toby pel primo aperse finalmente gli occhi, dopo cent’anni che li aveva tenuti chiusi.

Dopo una immersione durata un quarto d’ora, in una vasca piena di acqua tiepida, aveva già cominciato a dare qualche segno di vita e a perdere la tinta giallastra, nondimeno era stata necessaria una nuova iniezione del filtro misterioso perché il cuore riprendesse finalmente le sue funzioni.

La rigidità dei muscoli era rapidamente scomparsa ed il colorito roseo era tornato sul suo volto in seguito alla ripresa della circolazione del sangue.

Appena aperti gli occhi, il suo sguardo si fissò sul signor Holker che gli stava presso, occupato a soffregar il petto di Brandok.

«Buongiorno…» gli disse il pronipote, accostandoglisi rapidamente.

Toby era rimasto muto; nondimeno i suoi occhi parlavano per lui.

Vi era nel suo sguardo dello stupore, dell’ansietà, fors’anche della paura.

«Mi udite?» chiese Holker.

Il dottore fece col capo un segno affermativo, poi mosse le labbra a più riprese, senza che potesse emettere alcun suono. Certo la lingua non aveva ancora riacquistata la sua elasticità dopo essere stata per tanti anni immobilizzata.

«Come vi sentite? Male forse?»

Toby fece un gesto negativo, poi alzò le mani facendo dei segni assolutamente incomprensibili pel signor Holker. Ad un tratto le abbassò puntandole verso il signor Brandok, che stava coricato in un letto vicino.

«Mi chiedete se il vostro compagno è vivo o morto, è vero?»

Il dottore accennò di sì.

«Non temete signor… zio, se non vi rincresce che vi chiami con questo titolo di parentela, poiché appartengo alla vostra famiglia come discendente di vostra sorella… Non temete, anche il vostro compagno sta per tornare alla vita e fra poco riaprirà gli occhi. Provate molta difficoltà a muovere la lingua? Vediamo, zio… sono dottore anch’io al pari di voi.»

Gli aprì la bocca e tirò parecchie volte quell’organo, che pareva si fosse atrofizzato, ripiegandolo poi in tutti i sensi, per fargli riacquistare la perduta agilità.

«Agisce ora?»

Un suono dapprima confuso uscì dalle labbra del dottor Toby, poi un grido:

«La vita! La vita!».

«Mercé il vostro filtro, zio.»

«Cent’anni?»

«Sì, dopo cent’anni di sonno» rispose Holker «non credevate certo di poter tornare vivo.»

«Sì! Sì!» borbottò il dottore.

In quell’istante una voce fioca chiese:

«Toby? Toby?».

Il signor Brandok aveva aperto gli occhi e guardava il suo vecchio amico con uno stupore facile a comprendersi.

«Toby!» ripeté per la terza volta, tentando di rizzarsi sul guanciale.

«Non vi movete, signor Brandok» disse Holker. «Sono lieto di darvi il buongiorno e di udirvi anche parlare. Rimanete coricati; vi è necessario un buon sonno, del vero sonno.»

S’avvicinò ad un tavolino su cui stavano parecchie fiale, ne prese una e versò il contenuto in due tazze d’argento.

«Bevete questo cordiale» disse, porgendo ad entrambi le tazze. «Vi darà forza… ah!… mi scordavo di dirvi che i vostri milioni sono al sicuro, qui in casa mia… Ricoricatevi, fate una buona dormita e questa sera pranzeremo insieme, ne sono certo.»

Il dottor Toby aveva mormorato:

«Grazie, mio lontano parente».

Poi aveva quasi subito chiusi nuovamente gli occhi. Il signor Brandok dormiva di già, russando sonoramente.

Il signor Holker rimase nella stanza parecchi minuti, curvandosi ora sull’uno ora sull’altro dei risuscitati, e ripetendo con visibile soddisfazione:

«Ecco il vero sonno che farà ricuperare loro le forze. Meraviglioso filtro!… Ecco un segreto che, se divulgato, renderà il mio antenato l’uomo più famoso del mondo. Lasciamoli riposare. Credo che ormai siano salvi».

Otto ore dopo il dottor Toby veniva svegliato da un sibilo leggero, che pareva venisse dal disotto del guanciale.

Assai sorpreso, s’era alzato a sedere, gettando intorno a sé uno sguardo meravigliato. Nella stanza non vi era nessuno e Brandok continuava a russare nell’altro letto.

«Chi mi ha fischiato agli orecchi?» si chiese. «Che io abbia sognato?»

Stava per chiamare Brandok, quando udì una voce che pareva umana, sussurrargli agli orecchi:

«Gravi avvenimenti sono avvenuti ieri nella città di Cadice. Gli anarchici della città sottomarina di Bressak, impadronitisi della nave Hollendorf, sono sbarcati nella notte, facendo saltare parecchie case, con bombe. La popolazione è fuggita e gli anarchici hanno saccheggiata la città. Si chiamano sotto le armi i volontari di Malaga e di Alicante che verranno trasportati sul luogo dell’invasione con flotte aeree. Si dice che Bressak sia stata distrutta e che molte famiglie anarchiche siano rimaste annegate».

Il dottore aveva ascoltato, con uno stupore facile ad indovinarsi, quella voce che annunziava uno spaventevole disastro, poi aveva sollevato rapidamente il guanciale, poiché la voce s’era fatta udire più precisamente dietro la sponda del letto, e scorse una specie di tubo sul cui orlo era scritto: «Abbonamento al World».

«Una meraviglia del Duemila!» esclamò. «I giornali comunicano direttamente le notizie a casa degli abbonati. Che abbiano soppressa la carta e le macchine per stamparla? Ai nostri tempi queste comodità non si conoscevano ancora. Come è progredito il mondo!»

Stava per chiamare l’amico, che non si decideva ad aprire gli occhi, quando udì uscire dal tubo un altro fischio, poi la medesima voce che diceva:

«Guardate la scena».

Nel medesimo istante il dottore vide illuminarsi un gran quadro che occupava la parete di fronte al letto e svolgersi una scena orribile e d’una verità straordinaria.

Degli uomini erano comparsi in mezzo a delle case e correvano all’impazzata, lanciando delle bombe che scoppiavano con lampi vivissimi.

I muri si sfasciavano, i tetti crollavano; uomini, donne e fanciulli precipitavano nelle vie, mentre larghe lingue di fuoco si alzavano sopra quegli ammassi di macerie, tingendo tutto il quadro di rosso.

Gli anarchici continuavano intanto la loro opera di distruzione, e le scene si succedevano alle scene con vertiginosa rapidità e senza la minima interruzione. Era una specie di cinematografo, d’una perfezione straordinaria, veramente stupefacente, che riproduceva con meravigliosa esattezza la terribile strage annunciata poco prima dal giornale.

Per dieci minuti quel rovinio continuò, poi finì con una fuga disordinata di gente, che si rovesciava verso una spiaggia, mentre il cielo rifletteva la luce degli incendi.

«Straordinario» ripeteva il dottore, quando la parete tornò bianca. «Che progresso ha fatto il giornalismo in questi cento anni! E chissà quante meraviglie dovremo vedere ancora. Brandok, hai finito il tuo sonno?»

Udendo quella chiamata, il giovane aprì finalmente gli occhi, sbadigliando come un orso che si sveglia dopo il lungo sonno invernale.

«Come ti senti, amico mio?» chiese Toby.

«Benissimo.»

«Il tuo spleen?»

«Per ora non m’accorgo che mi tormenti. E… dimmi, Toby, abbiamo sognato, o è proprio vero che noi abbiamo dormito un secolo?»

«La prova l’abbiamo nelle nostre casseforti, che hanno portato qui mentre ci riposavamo.»

«Chi potrà credere che noi siamo risuscitati?»

«Il mio parente di certo, poiché è venuto lui a toglierci dal sepolcreto.»

«E dove ci troviamo noi? Ancora a Nantucket?»

«Non lo saprei davvero.»

«E tu come stai?»

«Provo un turbamento che non so spiegarmi e mi pare di essere molto debole.»

«Sfido io, dopo un così lungo digiuno?» disse Brandok, ridendo. «Non senti appetito? Io mangerei volentieri una bistecca, per esempio.»

«Adagio, mio caro. Non sappiamo ancora come funzioneranno i nostri organi interni.»

«Se il cuore, ed i polmoni non danno segno d’aver sofferto, dopo una così lunga fermata, suppongo che anche gli intestini riprenderanno il loro lavoro.»

«Eppure temevo che si atrofizzassero» disse Toby.

In quel momento la porta si aprì ed il signor Holker comparve, seguito dal gigantesco negro che portava dei vestiti simili a quelli che indossava il suo padrone e della biancheria candidissima.

«Come state, zio? Mi permettete di chiamarvi così, d’ora innanzi?»

«Certo, mio caro tardo nipote» rispose il dottore. «Mi trovo abbastanza bene.»

«Anche voi, signor Brandok?»

«Ho solamente un po’ di fame.»

«Buon segno; vestitevi e poi andremo a pranzare. Le vesti saranno un po’ diverse da quelle che si portavano cent’anni fa, però sono più comode e dal lato igienico nulla lasciano a desiderare, essendo disinfettate perfettamente.»

«E anche la stoffa mi sembra diversa.»

«Stoffa vegetale. Già da sessant’anni abbiamo rinunciato a quella animale, troppo costosa e poco pulita in paragone a questa. Ah! Troverete il mondo ben cambiato; per ora non vi dico altro per non scemare la vostra curiosità. Vi aspetto nella sala da pranzo.»

Il dottor Toby e Brandok si cambiarono, fecero un po’ di toeletta, poi lasciarono la stanza, inoltrandosi in un corridoio le cui pareti lucidissime avevano degli strani splendori, come se sotto la vernice che le copriva vi fosse qualche strato di materia fosforescente, ed entrarono in un salotto abbastanza ampio, illuminato da due finestre larghe e alte fino al soffitto, che permettevano all’aria di entrare liberamente.

Era ammobiliato con semplicità, non esente da una certa eleganza. Le sedie, la credenziera, gli scaffali situati negli angoli e perfino la tavola che occupava il centro, erano formati di un metallo bianco e lucentissimo che assomigliava all’alluminio.

Il signor Holker era già seduto a tavola, la quale era coperta da una tovaglia colorata che non sembrava di tela.

«Avanti, miei cari amici,» disse, andando loro incontro «il pranzo e pronto.»

«E dove lo mangeremo?» chiese Brandok, che non aveva scorto sulla tavola né piatti, né bicchieri, né posate, né salviette, né cibi di alcun genere.

«Ah! mi scordavo che un secolo fa gli albergatori erano pure indietro di cento anni!» disse Holker, ridendo. «Hanno progredito anche loro. Guardate.»

S’accostò ad una parete ed abbassò una lastra di metallo lunga un paio di metri e larga una trentina di centimetri, unendola alla tavola in modo da formare un piccolo ponte. L’altra estremità s’appoggiava ad una piccola mensola sopra la quale sta scritto: «Abbonamento all’Hôtel Bardilly».

«E ora?» chiese Brandok che guardava con crescente stupore.

«Premo questo bottone ed il pranzo lascia le cucine dell’albergo per venire sulla mia tavola.»

«Dove si trova questo Hôtel? In questa casa?»

«Anzi, è piuttosto lontano: sulla riva opposta dell’Hudson.»

«Siamo dunque a Nuova York?!» esclamarono ad una voce Toby e Brandok.

«Dove credevate di essere? Ancora a Nantucket?»

«Quando ci avete trasportati?» domandò Brandok al colmo della sorpresa.

«Ieri sera. Alle otto ho lasciato l’isola e a mezzanotte eravate qui.»

«In quattro sole ore, mentre cent’anni fa se ne impiegavano sedici e con una scialuppa a vapore!» esclamò il dottore.

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30 avgust 2016
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