Kitobni o'qish: «Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96», sahifa 12

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Cotila o Cotilia, riconosciuta nell’odierno borgo di Paterno, è di fondazione remotissima perchè presso di essa dovean trovar pace i Pelasgi, secondo l’antichissimo oracolo di Dodona, inciso al dir di Dionisio d’Alicarnasso in un tripode con caratteri antichi nel tempio di Giove:

Pergite quaerentes Siculum Saturnia rura

Atque Aborigenum Cotylen, ubi se insula vectat

Queis misti, decimas Clario transmittite Phoebo.

Certo è che Cotila fu dapprima in dominio degli Umbri, che ne furono cacciati dai Sabini, i quali la tennero fino ai tempi romani. Cotile è parola greca e sembra derivare dal prossimo lago, detto parimente Cotile, ossia conca o cratere. Questo lago, che è l’odierno Pozzo di Ratignano, vicino ad un altro più grande detto Lago di Paterno, era dai Sabini tenuto sacro alla Vittoria, detta Vacuna in lingua sabina, e custodito con recinti, come inaccessibile. Soltanto in alcuni tempi si facean sacrifizi e coloro che vi convenivano ascendevano all’isoletta coperta di erbe e virgulti, che col diametro di circa 50 piedi emergeva solo un piede e galleggiava nel lago ove spingevala il vento, a somiglianza di quelle isole mobili fatte di pietra pomice, formata certo da concrezioni prodotte dalla natura delle acque.

Presso Cotila sorse poi la villa paterna dell’imperatore Vespasiano, dove questi era solito recarsi nell’estate a godere le fredde acque che intorno vi scorrevano, acque solfuree ed acidule, villa che ei nomò Falacrine a ricordo del vico natale, e dove egli morì, e morì poi anche suo figlio Tito.

Sigillo, situato a 621 m. d’altezza, è un misero borgo, frazione del comune di Posta, che nulla offre d’importante: ma importante è invece la via che vi conduce. Questa via, di recente costruita carrozzabile, si svolge nelle anguste gole dette del Velino dal fiume che vi scorre. Si parte essa da Antrodoco e segue la riva destra del fiume addossata alle falde della giogaia centrale del Terminillo, mentre dal lato opposto sorge dirupato il Monte Giano (1826 m.).

Le gole profonde e strette fra monti dirupati, ammirevoli nella loro varietà e nel loro aspetto, selvaggio sì, ma pur sempre bellissimo, erano percorse dalla antica via Salaria che serviva di comunicazione fra i Sabini e i Sanniti, e si vedono tuttora tracce della via antica e sopratutto i tagli colossali fatti nelle rupi per aprir l’adito alla strada. Sigillo è a circa 10 chilometri da Antrodoco, ma le gole continuano fino quasi a Posta, due chilometri più oltre.

Da Posta il fiume Velino scorre in ampia valle; al di là di Cittareale (12 km. da Posta, 24 da Antrodoco) trova le sue sorgenti nel luogo detto Capo d’Acqua alle falde del monte La Speluca, nella piccola valle di Falacrine, ove a poco meno di 4 km. dall’attuale Cittareale, era l’antico borgo Sabino di Falacrine (altri dicono Phacina), il cui nome è rimasto alla valle, vico celebre nella storia per aver dato i natali a Vespasiano.

Leonessa, graziosa cittadella di 5359 abitanti, elevata 974 m. sul livello del mare, è in un altipiano circondato dai monti che sorgono da un lato sulla valle del Velino, dall’altro sulla valle della Nera, ai piedi del monte Tilia (1779 m.) che negli scrittori è, più correttamente che nelle carte dello I. G. M., denominato Attilia. A piccola distanza corre il fiumicello Corno che si scarica nella Nera. I monti vicini sono coperti di boschi di faggio, di quercie, di cerri, ed offrono ricca caccia di volatili, cinghiali, lepri, volpi, lupi ed anche qualche orso.

Questa cittadella, che fu costruita nel 1252, è menzionata nella storia per esser stata donata da Carlo V alla propria figlia Margherita, quando andò sposa ad Ottavio Farnese: e ricordano quest’epoca un superbo reliquario in argento di squisito lavoro, con lo stemma di casa Farnese, e la fontana fatta edificare da Margherita d’Austria nel 1548, sulla base della quale si leggono i seguenti distici che il tempo comincia a far scomparire:

Dulcior hac nulla est, hac nulla salubrior unda

Monstrorum licet e faucibus illa cadat

Austriacae donum est Divae, quae non modo nobis

Sed docet ingenium milius esse feris.

Leonessa è un luogo veramente alpino per la sua posizione bellissima, per le amene escursioni che offre, per la sua elevazione; ma pur troppo vi mancano tutte le comodità che si rendono indispensabili a chi voglia farvi lungo soggiorno.

A Leonessa adducono varie vie: la via carrozzabile di Antrodoco-Posta-Leonessa, lunga circa 26 km.; la via pure carrozzabile di Rieti-Morro-Leonessa, lunga circa 30 km. e quella che parte da Rieti o da Cittaducale ed è carrozzabile fino a Cantalice, e diventa poi mulattiera lungo il vallone di Cantalice dapprima e poi lungo il vallone del Tascino, ambedue pittoreschi.

Accennati così i principali luoghi dai quali possiamo partire per l’ascensione al Terminillo, vediamo ora le vie che dobbiamo seguire per compierla.

Partendo da Rieti si può scegliere fra due itinerarii: quello per Cantalice e quello per Lisciano.

Cantalice dista da Rieti circa km. 9 di via carrozzabile; Lisciano km. 7, pure di via carrozzabile.

Da Lisciano in direzione di N. si comincia subito a salire sulla costa di Monte Calcarone, poi a circa 850 m. d’altezza si volge, abbandonando le falde del cennato monte, verso E. sempre continuando a salire, per piegare quindi a NE. Volgendo poi verso SE., in due ore e mezzo circa da Lisciano si arriva alla località impropriamente detta Piano dei Faggi, la quale non è che il declivio di un colle, ove sgorga, in una serie di trogoli scavati nei tronchi d’albero e l’uno all’altro sovrapposti, una sorgente di limpida, fresca ed eccellente acqua. Maestosi faggi stendono i loro rami in tutte le direzioni. Si sale dipoi ad una specie di colle che è quasi un contrafforte del monte, e dopo una ripida salita si scoprono le prime rocce del Terminillo, tutte a picco, interrotte qua e là d’estate da piccoli nevai. Si trovano quindi vari pozzi di neve ed in 6 ore circa da Lisciano si giunge alla vetta del Terminilletto, denominazione omessa nella carta dell’Istituto Geografico Militare e che alcuni impropriamente denominano Terminillo, per dare il nome di Sassatelli alla cima più elevata, mentre il nome di Sassatelli spetta ad una punta alta 2079 m. che è sulla cresta che si parte in direzione di NO. dalla cresta più alta.

Dal Terminilletto (2108 m.) occorre un’ora (d’estate) per giungere al Terminillo (2213 m.) e la via, che presenta d’inverno difficoltà fortissime, tanto da dare il carattere di vera ascensione alpina di prim’ordine a questa del Terminillo, d’estate offre una piacevole e variata arrampicata non priva di emozioni.

Dal Terminilletto occorre discendere per un certo tratto sopra una cresta sottile di roccia frantumata che forma lo spartiacque dei due ripidissimi pendii del monte: qua e là sorgono spuntoni di roccia compatta che bisogna girare o attraversare; poi, dopo percorsa la lunga cresta, si sale ripidamente su per lungo dorso roccioso, per giungere al segnale trigonometrico elevato dall’Istituto Geografico Militare.

Sono in tutto 7 ore da Lisciano per la salita: per la discesa saranno bastanti 4, d’estate ben inteso. D’inverno è ben difficile fare un calcolo; tutto dipenderà dallo stato della neve. Io partito una volta d’inverno da Antrodoco alle 4,50 ant., non giunsi sulla vetta che alle 4,15 pom. avendo dovuto impiegare quasi tre ore e mezzo per passare dalla vetta del Terminilletto a quella del Terminillo.

Da Cantalice (680 m.) lasciando a sinistra il vallone omonimo, si esce in direzione di NE. per un sentiero che conduce al colle Varco (950 m.): quindi costeggiando a S. il colle Accuni (1218 m.), per un sentiero tutto sassoso attraverso alcune collinette si arriva al disopra del vallone di Tagliata, si piega a SE., si scende al vallone, si sale al di là verso il fosso delle Rocchette e quindi per un’erto pendio fra boschi si giunge alla cresta SE.-NO. che è fra Sassatelli (2079 m.) e il Terminillo (2213 m.). Anche questa cresta o schiena del monte, come quella NE. descritta, è molto irregolare e conviene ora salire, ora scendere, ora arrampicarsi su rocce; è però più breve e quindi più presto si arriva all’ultimo cono.

Da Cantalice occorrono circa 8 ore per l’ascensione e 5 per la discesa, nella stagione estiva.

Da Antrodoco si prende un sentiero che, attraverso una pittoresca zona di castagni, pel casale Manetti, conduce fino a monte Oro (1580 m.) e quindi ad una fontana detta fonte Corcina. Superata poi la zona dei faggi, si arriva alla regione più elevata e scoperta detta Campo Forogna (1751 m.) e quindi a Prato Comune, acrócori ondulati su cui si elevano i cocuzzoli e le erte rupi del monte. Si sale quindi al Terminilletto e da questo, per la via già descritta nell’itinerario da Lisciano, si arriva al Terminillo.

Anche da Antrodoco occorrono circa 7 ore per la salita e 4 per la discesa.

Da Leonessa (974 m.) si esce a SE. e si entra nella stretta gola dove scorre il fosso Tascino, dapprima fra i monti di Corno (1738 m.) a destra e della Croce (1873 m.) a sinistra, poi fra i monti La Tavola (1695 m.) e Catabio. Dopo un lungo percorso, là ove sbocca il sentiero che viene da Cantalice, la gola piega verso E. ed assume il nome di Valle Vallonina; più innanzi volge verso S.: siamo nel pittoresco bosco Vallonina e passando per le ruine di un convento (1175 m.) si sale su pel bosco verso il vallone della Meta. Si giunge così in un bacino (1500 m.) contornato dalle punte del masso centrale del Terminillo. Qui due vie si presentano: o prendere a destra in direzione SO. uno degli aspri e rocciosi canaloni che adducono alla cresta (2014 m.) fra Sassatelli e Terminillo sopra descritta, via pittoresca ma più faticosa, oppure proseguire in direzione SE. per la regione Costa Gioiosa, girare le rocce che scendono dalla lunga cresta rocciosa che si stacca dal monte i Porcini (2081 m.), da altri detto Pozzone, in direzione NS. e salire per l’erto pendio orientale dell’ultimo cono.

Anche da Leonessa si possono nella stagione estiva calcolare 7 ore per la salita e 5 per la discesa.

Aspra è la via da Sigillo per il Terminillo ed io che la percorsi in discesa, ne tornai coi piedi massacrati e le gambe rotte; è però molto pittoresca e sarebbe preferibile seguire questo itinerario in salita anzichè in discesa. La via segue il torrente di Valle Scura che s’apre a occidente del villaggio. La lunghissima valle, pittoresca per la sua varietà ed i suoi monti rocciosi, s’arresta (1200 m.) di fronte ad una ripida parete rocciosa a scaglioni, che costituisce il versante orientale della più volte accennata cresta che parte dal monte i Porcini. Bisogna arrampicarsi su per gli scaglioni della parete seguendo un’erto e dirupato sentiero. Si giunge così a 1965 m. e per pascoli e quindi per rocce si arriva al Terminillo per la seconda delle vie accennate nell’itinerario da Leonessa.

Da Sigillo l’ascensione richiede 6 ore in salita e 4 in discesa.

Descritti gli itinerari per salire alla vetta del monte, diamo uno sguardo al panorama che, se abbiamo fortuna di una serena e limpida giornata, esso offre alla nostra vista. La felice posizione del Terminillo dà agio di scorgere lunga distesa del Mediterraneo da un lato ed un breve tratto dell’Adriatico dall’altro. A N. si ha la cresta dei monti che divide l’Abruzzo dall’Umbria da Monte Pizzuto a Monte Carpellone e un poco verso E. il bellissimo gruppo dei Sibillini con Monte Vettore (2477 m.) e Monte Sibilla. Ad O. il verdeggiante piano di Rieti con i vaghi suoi laghetti ed al di là i monti dell’Umbria, principale di questi il Monte S. Pancrazio; a SO. oltre i colli Umbri nei quali primeggia la Tancia, la valle del Tevere e fino al mare Mediterraneo la campagna Romana, nella quale con un buon cannocchiale si distingue facilmente la città Eterna. Al S., dopo i colli Umbri che sorgono a mezzodì di Rieti e circondano Rocca Sinibalda, i monti della provincia Romana, i Simbruini, i Prenestini, gli Ernici. A SO. imponente sovra tutti il gruppo del Velino (2487 m.) che domina l’ampio bacino del Fucino, ed il Sirente (2349 m.). Ad E. il gigante dell’Apennino, il Gran Sasso d’Italia con le varie sue punte, Corno Grande (2921 m.), Corno Piccolo (2637 m.), Pizzo Cefalone (2532 m.) e Pizzo d’Intermesole (2646 m.). A NE. i monti della Laga col Pizzo di Sevo (2422 m.) e Pizzo di Moscio (2411 m.), al disopra di Amatrice. In una insenatura fra i monti della Laga ed il Gran Sasso una striscia azzurra indica il mare Adriatico.

Questo nelle sue linee generali il vasto ed interessante panorama abbellito dal verde dei piani, dalle cupe rocce sottostanti, dagli estesi campi di nevi sempiterne, dalle valli intersecanti in tutti i sensi l’esteso territorio, dai numerosi paesi situati sui colli, nelle pianure, nelle vallate, fino alla città dominatrice del mondo.

Ecco il gruppo degno d’essere studiato e percorso, che d’estate offre piacevoli passeggiate, d’inverno difficili salite, ecco il monte ardito e bello che reclama un Rifugio che ne renda più facile la lunga salita e più agevole lo studio.

Dott. Enrico Abbate
(Sezione di Roma).

Ghiacciai di Valletta, di Patrì e ramo nord di Money, fra la Punta Vermiana e il Grand St.-Pierre

Da una fotografia dell’ing. A. Druetti presa dal Colle Sud dell’Herbetet.


Il Gruppo del Terminillo. Schizzo topografico ricavato dalle pubblicazioni dell’Istituto Geografico Militare


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Osservazioni sui Ghiacciai del Gruppo del Gran Paradiso

All’appello rivolto dalla Commissione nominata dalla Sede Centrale del C. A. I.63 a tutti i volonterosi perchè facessero ricerche atte a fornire elementi per lo studio del movimento dei ghiacciai, noi rispondemmo accingendoci con premura e con la massima buona volontà a compiere una campagna glaciologica nel gruppo del Gran Paradiso.

Nelle pagine seguenti rendiamo pertanto ragione delle poche osservazioni che vi potemmo fare, dolenti che alla nostra buona volontà non fossero adeguati nè i mezzi di cui potevamo disporre, nè la capacità. L’esperienza d’un anno ci ha insegnato molte cose, delle quali profittando, nutriamo fiducia di poter fare assai più e molto meglio in avvenire.

Per quanto siamo noi stessi convinti della pochezza dell’opera nostra, pur tuttavia ci siamo decisi a fare la presente pubblicazione e per corrispondere al gentile invito della Direzione Centrale del C. A. I. e perchè l’esempio nostro serva di sprone e decida altri più capaci e meglio forniti dei mezzi necessari a dedicare l’opera loro ad uno studio sulla cui importanza è qui inutile di insistere.

Serva poi a tutti di stimolo, quanto su questo argomento s’è fatto all’estero, in Germania, in Svizzera, in Francia, per impulso specialmente del prof. Forel, del sig. Marshall, del prof. Kilian, del principe Orlando Bonaparte.

I

Per uno studio sistematico e razionale dei ghiacciai, il Gruppo del Gran Paradiso si presta mirabilmente in virtù della svariata sua configurazione orografica, della entità variabilissima dei suoi ghiacciai dall’umile vedretta alle enormi fiumane di ghiaccio, e dell’orientazione loro in ogni senso. Tutte queste condizioni mutabili da luogo a luogo, possono anche rendere meglio attendibili le conclusioni che si potranno ricavare circa l’influenza loro specifica sul regime dei ghiacciai a parità d’un altro fattore la cui influenza è per ora poco nota, ma che, certamente non trascurabile, merita d’essere studiata; cioè la natura litologica dei bacini alimentanti ed incassanti. Ed una tale ricerca riesce specialmente possibile nel gruppo del Gran Paradiso dove le vette, le creste e i valloni che più strettamente dipendono da quell’eccelsa cima o ad essa fanno corona, presentano una grande uniformità di costituzione litologica, appartenendo tutti per buon tratto all’intorno (specialmente verso sud e verso est) alla formazione prepaleozoica inferiore, al così detto gneiss centrale.

D’altra parte se il mutar della litologia d’una regione può esercitare influenza sul regime dei suoi ghiacciai, tale influenza può essere ricercata nelle vicine regioni più a nord e a nord-est dove emergono la Grìvola, la Tersiva, la Rosa de’ Banchi, ecc., nelle quali regioni si frammischiano con grande varietà i gneiss recenti e tabulari, i micascisti, i calcescisti, le quarziti ed i calcari cristallini, con le serpentine e rocce affini e con le numerose varietà di rocce anfiboliche, rocce tutte ascritte alla formazione prepaleozoica superiore.

Nella scelta da noi fatta di quella località per eseguirvi le nostre modeste osservazioni, fummo poi insperatamente felici per avervi trovato in alcuni punti dei dati preziosi e sicuri sul fenomeno glaciale locale, i quali ci permettono di ricostruire con certezza le sue vicende risalendo fino a parecchie diecine d’anni addietro.

Non è còmpito nostro dilungarci a descrivere una regione classica per l’alpinismo, molto nota e già da molti e valenti minutamente descritta; basteranno pertanto alcuni brevi cenni.

Il gruppo del Gran Paradiso, fra la Valle della Dora Baltea e la Valle dell’Orco, è costituito da un’ellissoide o nocciolo interno di gneiss centrale, rivestito tutt’intorno dalla numerosa famiglia di rocce appartenenti all’arcaico superiore o zona delle pietre verdi. La direzione del suo asse di sollevamento è all’incirca quella di SO.-NE. Un solco profondo, scavato dapprima e per breve tratto in direzione da nord a sud, quindi volgente verso sud-est, ed infine decisamente verso est, separa il gruppo del Gran Paradiso propriamente detto dalla Valle d’Aosta, interponendovi quel gruppo di montagne che si riannodano al Monte Æmilius (3559 m.) ed alla Tersiva (3513). Questo solco è costituito dalla valle di Cogne ad ovest e da quella di Champorcher ad est, spioventi dal comun colle della Finestra di Champorcher (2838 m. carta I. G. M. e 2826 carta Paganini) fra la Tersiva e la Rosa dei Banchi (3164).

L’anticlinale degli strati non passa per la massima elevazione del Gran Paradiso (4061), ma più in basso per il Becco della Tribolazione (3360), con un leggero ribaltamento verso sud-est, ciò che concorda col fatto della maggior inclinazione degli strati sul versante nord-est dell’ellissoide in confronto di quella degli strati sull’opposto versante nord-ovest64.

Verso est il gruppo del Gran Paradiso vien limitato dalla Valle Soana che vi raggiunge l’elevata cresta Ondezzana-Lavina-Rosa de’ Banchi colle sue ultime ramificazioni di Forzo e di Campiglia, mentre la Valsavaranche limita verso ovest le formazioni montuose direttamente dipendenti dal Gran Paradiso.

Nei primi tentativi di uno studio sistematico dei ghiacciai da noi fatti l’anno scorso, abbiamo limitato le nostre osservazioni al bacino alimentante i valloni confluenti nella Valle di Cogne.

Questa penetra nel cuore del gruppo del Gran Paradiso e ne raggiunge le più elevate altezze insinuandovisi coi tre valloni di Bardoney, di Valeille e di Valnontey, dei quali quest’ultimo è il più importante.

Questi tre valloni si staccano quasi normalmente dalla Valle di Cogne, e penetrano nell’ellissoide del Gran Paradiso tagliando in direzione normale alla stratificazione, dapprima le rocce dell’arcaico superiore che fasciano tutt’intorno il gneiss centrale e poscia nella loro parte superiore quest’ultima formazione. Essi sono pertanto valloni di chiusa o d’erosione, a fianchi tanto più ripidi e dirupati quanto più la condizione della detta normalità è verificata, come appare dal confronto del vallone di Valeille, a fianchi ripidissimi, con quello di Valnontey, e del tronco inferiore di questo, normale alle formazioni arcaiche superiori, col suo tronco superiore scavato nel gneiss centrale alle cui stratificazioni riesce alquanto obliquo65.

Le creste che contornano e separano questi valloni sono una lunga e numerosa serie di gigantesche muraglie sormontate da griglie e picchi arditissimi formanti degna corona al gran gigante delle Alpi totalmente italiano.

E così, da est procedendo verso ovest percorrendo la cresta spartiacque fra le valli della Dora Baltea e quelle dell’Orco, si incontrano:

La Punta Lavina (3308), la Grand’Arolla (3302), la Punta Sengie (3408), la Punta Ondezzana (3482), il Grand St.-Pierre (3692).

Dalla Grand’Arolla e dal Grand St.-Pierre si dipartono, in direzione da sud a nord, due catene che separano, la prima il vallone di Bardoney da quello di Valeille con la roccia Chesere (3118); la seconda questo vallone da quello di Valnontey con la Tour St.-André (3650), la Tour St.-Ours (3630), la Punta Patrì (3583), la Punta Cisseta (3417), la Punta Valletta (3375), la Punta Vermiana (3250) e la Punta Fenilia (3054).

Riprendendo l’interrotto cammino sulla cresta, dopo il Grand St.-Pierre s’incontrano la Testa di Money (3564), il Becco della Pazienza (3552), la Roccia Viva (3650), la Becca di Gay (3670), la Testa di Valnontey (3543), la Testa della Tribolazione (3642), la Punta di Ceresole (3773), la Cresta Castaldi (3862), la Becca di Moncorvé (3865) e finalmente il Gran Paradiso (4061).

Da quest’eccelsa altezza la cresta volge a nord separando il vallone di Valnontey dalla Valsavaranche, e vi si riscontrano ancora picchi arditissimi e piramidi gigantesche. Si succedono con ordine da sud a nord: il Piccolo Paradiso (3920), la Becca di Montandeyné (3850), le Punte Budden (3704-3687), l’Herbetet (3778); quindi il Grand Sertz (3510), la Punta del Tuf (3416), la Punta Timorion (3029), la Punta dell’Inferno (3384), e si arriva al Colle del Lauzon (3301), oltrepassato il quale un nuovo gruppo d’altissime vette s’affaccia, mentre che dal Colle di Pian Tsalende (3283) si distacca da ovest verso est la Costa della Vermiana a chiudere la Valnontey di fronte all’omonimo villaggio, separando il vallone del Lauzon da quello del Pousset. Del nuovo gruppo sovraccennato la prima vetta che s’incontra è la Punta Nera (3692), con a destra la Punta Rossa (3652) ed a sinistra la Punta Bianca (3801), donde s’arriva alla svelta piramide della Grìvola (3969). Dal gruppo della Grìvola discendono alla valle di Cogne tre valloni: quello del Pousset che sbocca a Crétaz; quello di Trajo che sbocca di fronte ad Epinel, e quello di Nomenon che scende su Silvenoire.

Le numerose vette nominate non sono che parte delle numerosissime che rendono interessante e tanto caro agli alpinisti il gruppo del Gran Paradiso.

Nell’epoca glaciale, quando in causa delle grandi precipitazioni ed accumulazioni nevose sulle Alpi successe la massima espansione di ghiacciai che diede luogo all’invasione glaciale fin nella Valle Padana, il gruppo del Gran Paradiso funzionò esso pure da grande accumulatore di ghiaccio e contribuì potentemente all’alimentazione e alla discesa alla pianura dell’unico immane ghiacciaio della Valle d’Aosta.

Coll’osservazione delle roccie lisciate, striate ed arrotondate, e dei più elevati lembi morenici dal ghiacciaio abbandonati su per i fianchi della valle, possiamo ricostruire l’entità e l’andamento del fenomeno glaciale ed immaginarci il grandioso spettacolo presentato da quell’immenso mare di ghiaccio dalla cui superficie emergevano, sotto forma di isole acuminate, allungate o tondeggianti, parte delle costiere e le vette sovranominate. I ghiacciai discendenti dai valloni di Grauson, d’Urtier, di Bardoney, di Valeille si riunivano a Cogne con quello maggiore di Valnontey, e, rinforzati ancora da quelli minori d’Arpisson sulla destra, del Pousset, del Trajo e di Nomenon sulla sinistra, costituivano il gran ghiacciaio della Valle di Cogne. Questo ghiacciaio a Cogne poteva raggiungere l’altitudine di circa 1800 metri (Cogne è a 1534) con una potenza di più che 250 metri. Unendo con una retta il punto sulla verticale di Cogne all’altitudine di 1800 m. con le parti più elevate dell’attuale ghiacciaio della Tribolazione a 3800 m. d’altitudine circa, si può ritenere che tale retta rappresenti la linea di massima pendenza del ghiacciaio di Valnontey nell’epoca della sua massima entità. Per tale dislivello di 2000 m. circa e per la distanza orizzontale di circa 12.500, la pendenza di tale linea risulta approssimativamente del 16 p.%.

Abbiamo così gli elementi per formarci un’idea di quell’immensa superficie ghiacciata, sulla quale, cadendo un macigno di gneiss centrale staccatosi dalla suprema vetta del Gran Paradiso, poteva, per il moto d’avanzamento del ghiacciaio, essere trasportato per la Valnontey, la Valle di Cogne e la Valle di Aosta alla fronte estrema del gran ghiacciaio della Valle d’Aosta, e, dopo un percorso di 120 chilometri circa, venir deposto con altri compagni di viaggio di diversa provenienza nella morena frontale di Candia, Caluso, Mazzè, ecc. Se si ammette per quel ghiacciaio una media velocità di avanzamento di 150 metri all’anno, per compiere tale percorso quel macigno avrebbe dovuto impiegare non meno di 800 anni.

Venuta meno l’intensità del fenomeno glaciale per l’aumentata trasparenza dell’atmosfera66 e conseguente diminuzione delle precipitazioni nevose, i ghiacciai, per mancanza di nutrizione, dovettero retrocedere, ritirandosi poco a poco entro le valli alpine, restringendo sempre più il loro dominio intorno alle grandi altitudini, dove ora si trovano confinati. Delle vicende della loro ritirata, fattasi talora con lunghe fermate, e talvolta anche con deboli tentativi di nuovi avanzamenti, lasciarono numerosi segni, come già del loro avanzamento, nei cordoni morenici, livellamenti di fondo di valli, bacini lacustri, ecc.

Il ghiacciaio della Valle di Cogne di mano in mano che retrocedeva si distaccava dai suoi confluenti, si scindeva cioè nei suoi diversi costituenti ritirantisi ciascuno nel proprio vallone. Si osservano pertanto depositi morenici, alcuni caratteristici e ben conservati in molte località. Staccatosi il ghiacciaio della Valle di Cogne dal gran ghiacciaio della Valle d’Aosta, depositò una morena frontale a Pont d’El ed altra morena a Vièyes. Abbandonato quindi il ghiacciaio del vallone del Gran Nomenon che ritirandosi lasciò la morena di Pian Pessey, ammantava di depositi morenici molti punti di quel tratto di valle, quali Silvenoire, Senagy, Pian Bois, Sisoret, vallone di Tzasèche.

Analogamente successe nel vallone del Trajo, dove il suo ghiacciaio ritirandosi lasciò le morene di Grangette e Chinaz, ed il ghiacciaio principale costrusse quelle di Géofré e Pianesse, mentre addossava sul versante opposto della valle, ad Epinel, un ammanto morenico in cui il torrente d’Arpisson scavò il suo sbocco nella Grand’Eyvia.

Ad Epinel la valle s’allarga a costituire un vero bacino, l’incantevole bacino di Cogne, che si prolunga per 7 chilometri fino a Lilla; in questo bacino l’accumulazione dei detriti morenici raggiunse un altissimo valore, naturale conseguenza delle condizioni orografiche locali preesistenti, le quali vennero qui notevolmente modificate dal fenomeno glaciale, per la sovrapposizione di imponenti formazioni moreniche.

A Cogne infatti si riunivano in un’unica corrente, i ghiacciai d’Urtier, di Bardoney, di Valeille, di Valnontey e di Grauson, accumulando ivi un’enorme quantità di ghiaccio ricco di materiale morenico. Per l’allargata sezione e per il brusco cambiamento di direzione dovuto subire dalla grande corrente proveniente dalla Valnontey, si produsse un vero ristagno nella massa di ghiaccio premente contro il pendio di Gimilian, quasi un rigurgito con sopraelevazione di pelo. Approssimativamente possiamo anche calcolare che la massa glaciale addensatasi nel bacino fra le seguenti località: sul dorso di Moncuc, sopra Buttier, Rubat, il Ronc, Les Ors, e passando sul versante destro a valle di Crétaz e rimontando il versante stesso per Gimilian e Moline, avesse circa 4 chilometri quadrati di superficie, che per una potenza di 250 metri dànno un miliardo di metri cubi di ghiaccio.

È facile comprendere quale enorme quantità di detriti rocciosi una così colossale massa dovesse rinchiudere nel suo seno e quale ricchezza di morene dovesse portare sulla sua superficie.

Benchè in ragione minore, qualche cosa di analogo successe pure superiormente, cioè alla confluenza dei ghiacciai di Valeille e di Urtier a Lilla.

Si spiega quindi facilmente come lunghissimo debba essere stato il tempo di regresso del ghiacciaio da Epinel fino a Cogne e a Lilla, e si comprende come difficile e lungo sia stato il lavorìo d’ablazione necessario per distaccare l’uno dall’altro i ghiacciai di Valnontey, Urtier, Bardoney, Valeille e Grauson, quasi che «compagni fino allora ed uniti solidariamente in una sola fiumana di ghiaccio, si peritassero a separarsi per rimontare nei loro rispettivi bacini», come con frase felice si esprime il Baretti nei suoi «Studi Geologici sul Gruppo del Gran Paradiso».

Ecco pertanto come per spiegare un maggior attardarsi di ghiacciai nel bacino di Cogne durante il periodo di regresso, non sia nemmeno necessario ricorrere ad un vero periodo d’arresto nell’indietreggiamento, cioè ad una diminuzione del valore del rapporto fra la velocità di fusione e quella di alimentazione dei ghiacciai stessi.

Basta insomma considerare che può essere successo per quel ghiacciaio qualche cosa di paragonabile a ciò che vediamo succedere per un fiume in piena attraversante un grosso lago, e che il Lombardoni chiamò il potere moderatore dei laghi, quando all’altezza di piena del fiume si sostituisca la velocità di regresso nel ghiacciaio. Ammessa l’uguaglianza in una data piena fra la portata integrale d’un fiume immittente in un lago e quella integrale dell’emissario, si sa che per questo l’altezza di piena è minore e la sua durata è maggiore rispettivamente all’altezza e alla durata della piena del fiume immittente. Così nel periodo di ritiro d’un ghiacciaio, ammessa costante la velocità di fusione, se vi ha un maggior addensamento di ghiaccio in una espansione valliva, a quella corrisponde una minor velocità di regresso della fronte del ghiacciaio, epperciò una maggior permanenza del ghiacciaio sul luogo.

L’accumulazione di depositi morenici raggiunse adunque la massima entità lungo tutto il versante destro da Epinel a Gimilian, dove venivano ad urtare e confondersi le principali morene discendenti dalla Valnontey con quelle d’Urtier, originandovi un immenso accumulo caotico prima di risvoltare quasi ad angolo retto per discendere lungo la valle.

63.Vedi “Riv. Mens. C. A. I.„ vol. XIV (1895) pag. 199.
64.Baretti M.: Studi geologici sul Gruppo del Gran Paradiso, nelle Mem. R. Acc. Lincei, Serie 3ª, vol. Iº, 1877.
65.Notiamo però che la suesposta legge che stabilisce una relazione fra la direzione degli strati e quella dell’asse della valle in essi scavata, ed il pendio dei fianchi di questa, non va intesa in senso assoluto essendochè nelle valli di comba o d’interstratificazione il pendio dei fianchi dipende essenzialmente dalla inclinazione degli strati. Questa nelle valli di comba influisce altresì grandemente sulla degradazione superficiale, mentre nelle valli di perfetta chiusa tale degradazione dipende essenzialmente dalla natura litologica delle rocce.
66.De Marchi L.: Le cause dell’Êra glaciale. Pavia, Fusi, 1895.
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