Kitobni o'qish: «Assassino Zero»
ASSASSINO ZERO
(UNO SPY THRILLER DELLA SERIE AGENTE ZERO – LIBRO 7)
J A C K M A R S
Jack Mars
Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che include sette libri. È anche autore della nuova serie prequel LE ORIGINI DI LUKE STONE, che al momento comprende tre libri, e della serie thriller AGENTE ZERO, che al momento include sette libri.
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I LIBRI DI JACK MARS
SERIE THRILLER DI LUKE STONE
A OGNI COSTO (Libro 1)
IL GIURAMENTO (Libro 2)
SALA OPERATIVA (Libro 3)
CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)
OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)
IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)
REGNO DIVISO (Libro 7)
SERIE PREQUEL CREAZIONE DI LUKE STONE
OBIETTIVO PRIMARIO (Libro 1)
COMANDO PRIMARIO (Libro 2)
MINACCIA PRIMARIA (Libro 3)
SERIE DI SPIONAGGIO DI AGENTE ZERO
AGENTE ZERO (Libro 1)
OBIETTIVO ZERO (Libro 2)
LA CACCIA DI ZERO (Libro 3)
UNA TRAPPOLA PER ZERO (Libro 4)
DOSSIER ZERO (Libro 5)
IL RITORNO DI ZERO (Libro 6)
ASSASSINO ZERO (Libro 7)
UN RACCONTO DELLA SERIE AGENTE ZERO
PROLOGO
“Non riesco a trovare Sara”.
Questo era ciò che Todd Strickland gli aveva detto al telefono. Non era nemmeno passato un giorno da quando Zero era tornato dal Belgio, dopo aver smascherato la cospirazione del presidente russo per annettere l'Ucraina con l’aiuto del presidente americano, e già ricevette una terribile notizia. Strickland aveva tenuto d'occhio Sara da quando era andata via di casa e si era trasferita in Florida, ma ora sembrava essere svanita nel nulla. Il suo numero di cellulare sembrava disabilitato e non si riusciva a determinare la sua posizione. Perfino i suoi coinquilini avevano affermato che non la vedevano da due giorni.
Mandami il suo indirizzo con un messaggio, gli aveva ordinato Zero. Vado all'aeroporto.
Poco meno di tre ore dopo si trovava fuori dalla casa sgangherata di Jacksonville, in Florida, il posto nel quale Sara abitava da poco più di un anno. Zero salì i gradini di cemento e bussò alla porta con il pugno ripetutamente e senza fermarsi, finché qualcuno alla fine rispose.
“Amico”, gli disse un adolescente biondo e magro con tatuaggi che gli correvano giù per le braccia. “Che diavolo stai facendo?”
“Sara Lawson”, gli disse Zero. “Sai dove potrebbe essere?”
Le sopracciglia del ragazzino si alzarono in un'espressione dubbiosa, ma la sua bocca si piegò in un ghigno. “Perché? Sei l'ennesimo agente che la sta cercando?”
Agente? Un brivido gli percorse la schiena. Se qualcuno che affermava di essere l'FBI si fosse già presentato a quella porta, ciò poteva significare che era stata rapita.
“Sono suo padre”. Si fece avanti, spingendo indietro il ragazzo con una spallata mentre entrava in casa.
“Ehi, non puoi fare irruzione qui!” cercò di protestare il ragazzo. “Chiamo la polizia…”
Zero si voltò verso di lui. “Sei Tommy, vero?”
Gli occhi del ragazzo biondo si spalancarono, ma non rispose.
“Ho sentito parlare di te”, gli disse Zero a bassa voce. Strickland gli aveva fornito molte informazioni mentre era in viaggio. “So tutto di te. Non chiamerai la polizia. Non chiamerai il tuo papà avvocato. Ti siederai lì, sul divano, e chiuderai quella dannata bocca. Hai capito?”
Il ragazzo aprì la bocca come se volesse dire qualcosa…
“Ho detto di chiudere la bocca”, scattò Zero.
Il ragazzo magro si ritirò sul divano come un cane preso a calci, sedendosi accanto a una ragazza che dimostrava a malapena diciott'anni.
“Sei Camilla?”
La ragazza scosse la testa. “Sono Jo”.
“Io sono Camilla”. Una ragazza latina, mora e troppo truccata, scese le scale in quel momento. “Sono la compagna di stanza di Sara”. Guardò Zero dall'alto in basso. “Sei davvero suo padre?” chiese dubbiosa.
“Sì”.
“E di cosa ti occupi?”
“Che cosa?”
“Che lavoro fai. Sara ci ha detto del tuo lavoro”.
“Non ho tempo per questi interrogatori”, mormorò alzando gli occhi al cielo. “Sono un contabile”, disse poi alla ragazza.
Camilla scosse la testa. “Risposta sbagliata”.
Zero rise, incredulo. Non mi sorprende che Sara abbia detto ai suoi amici la verità su di me. “Cosa vuoi che ti dica? Che sono una spia della CIA?”
Camilla lo guardò interdetta. “Beh… sì”.
“Davvero?” disse il ragazzino biondo sul divano.
Zero alzò le braccia, in preda alla frustrazione. “Per favore. Ditemi quando avete visto Sara per l'ultima volta”.
Camilla guardò i suoi compagni di stanza, poi il suo sguardo si spostò al pavimento. “Va bene”, disse piano. “Qualche giorno fa, stava cercando della roba, e io le ho dato…”
“Roba?” chiese Zero.
“Droga, amico. Continua”, disse il ragazzo biondo.
“Aveva bisogno di qualcosa per calmarsi”, continuò Camilla. “Le ho dato l'indirizzo del mio ragazzo. È andata lì. Poi è tornata. E la mattina dopo è uscita di nuovo. Pensavo andasse al lavoro, ma non è più tornata a casa. Non riesco a raggiungerla al telefono. So solo questo”.
Zero quasi perse la pazienza di fronte a quei ragazzini irresponsabili che avevano mandato una ragazza da sola a casa di uno spacciatore. Ma per lei ingoiò tutta la sua rabbia. Doveva trovarla.
Lei ha bisogno di te.
“Questo non è tutto quello che sai”, disse a Camilla. “Voglio il nome e l'indirizzo del tuo ragazzo”.
*
Venti minuti dopo Zero era in piedi davanti a una villetta a schiera di Jacksonville con un cancello sudicio e una lavatrice rotta sulla veranda. Secondo Camilla, questa era la casa dello spacciatore, un tizio di nome Ike.
Zero non aveva una pistola con sé. Aveva avuto una tale fretta di arrivare all'aeroporto che era corso fuori dalla porta con nient'altro che le chiavi della macchina e il telefono. Ma ora avrebbe voluto tanto averne una.
Cosa dovrei fare? Mi precipito dentro, lo prendo a calci, pretendo delle risposte? Oppure busso e faccio una chiacchierata?
Decise che, per cominciare, avrebbe optato per la seconda opzione.
Dopo che ebbe bussato tre volte, una voce maschile gridò dall'interno della casa. “Aspetta, sto arrivando!” Il ragazzo che comparve sulla porta era più alto di Zero, più muscoloso di Zero e molto più tatuato di Zero (che non aveva alcun tatuaggio). Indossava una canottiera bianca con quella che sembrava una macchia di caffè e jeans troppo grandi per lui, che pendevano bassi sui fianchi.
“Sei Ike?”
Il ragazzo lo guardò dall'alto in basso. “Sei un poliziotto?”
“No. Sto cercando mia figlia. Sara. Ha sedici anni, è bionda, è alta più o meno così…”
“Amico, non ho mai visto tua figlia”. Ike scosse la testa. Aveva uno strano cipiglio sul viso.
Ma Zero notò la lieve, quasi impercettibile contrazione dei suoi occhi. Un tremolio sulle labbra nel tentativo di non lasciar trapelare alcuna emozione. Rabbia. Al nome di Sara, un lampo di rabbia gli aveva attraversato gli occhi.
“Ok. Mi dispiace di averti disturbato”, disse Zero.
“Va bene”, disse il ragazzo in tono inespressivo. Poi fece per chiudere la porta.
Non appena Ike si fu leggermente allontanato, Zero sollevò un piede e diede un forte calcio proprio sotto alla maniglia della porta. Questa si aprì, andando a sbattere forte contro il ragazzo e gettandolo a terra sul tappeto marrone.
Zero lo raggiunse in un secondo e gli bloccò la gola con un avambraccio. “La conosci”, ringhiò. “L'ho visto nei tuoi occhi. Dimmi dove è andata, o io…”
Udì un ringhio e poi un Rottweiler nero e marrone dal collo spesso si gettò verso di lui. Ebbe a malapena il tempo di reagire, e non poté fare a meno di seguire il cane rotolando con lui. Il cane digrignò i denti mordendo l'aria e alla fine trovò il suo braccio e affondò i canini nella sua carne.
Zero strinse forte i denti e continuò a rotolare in modo che l’animale fosse sotto di lui, e lo spinse con il braccio, cercando di reprimere la forza del cane e di liberare il suo avambraccio.
Il ragazzo si alzò in piedi e fuggì dalla stanza mentre Zero cercava intorno a sé qualsiasi cosa potesse afferrare. Il cane si dimenò e si agitò sotto di lui, cercando di liberarsi, ma Zero gli pizzicò le zampe in modo che non riuscisse a rimettersi in posizione di attacco. La sua mano raggiunse una logora coperta appoggiata sul divano di pelle.
Con la mano libera diede un solo colpo al muso del cane, non sufficientemente forte da ferirlo gravemente, ma abbastanza deciso da stordirlo e indurlo a lasciagli il braccio. Nel mezzo secondo prima che le mascelle si serrassero di nuovo, avvolse la coperta intorno alla testa del cane e rilassò le gambe in modo da poter rialzarsi.
Quindi passò l'estremità della coperta sotto il suo corpo e legò le estremità dietro la testa, fino ad avvolgere la parte anteriore del Rottweiler nella coperta. Il cane si agitò e si lasciò andare, cercando di liberarsi, e a momenti ci sarebbe riuscito. Quindi Zero si alzò in piedi e si precipitò all'inseguimento dello spacciatore.
Scivolò in una minuscola cucina appena in tempo per vedere Ike che stava estraendo una piccola e brutta pistola dal cassetto. Cercò di puntarla verso di lui, ma Zero fece un balzo in avanti e lo fermò, poi con una stretta che slogò, o forse spezzò, una delle dita del ragazzo, gliela tolse di mano.
Ike strillò forte e si rannicchiò, tenendosi la mano, mentre Zero gli puntava la pistola alla fronte.
“Non spararmi”, piagnucolò. “Non sparare. Per favore, non sparare”.
“Dimmi quello che voglio sapere. Dov'è Sara? Quando l'hai vista per l'ultima volta?”
“Va bene! Ok. Senti, è venuta da me, ma non poteva pagare, quindi ci siamo accordati, lei mi avrebbe aiutato con delle commissioni in città…”
“Droga”, lo corresse Zero. “Le hai chiesto di consegnare droga. Fai prima a dirlo”.
“Si. Droga. Erano passati solo pochi giorni, e lei stava bene, ma poi le ho dato un grosso lotto di pillole… “
“Di cosa?”
“Pillole da prescrizione. Antidolorifici. Ed è sparita, amico. Non si è mai presentata, non ha mai consegnato. La mia gente era incazzata. Ho perso mille dollari. E ha persino preso una delle mie macchine, perché non ne aveva una sua…”
Zero rise forte. “Le hai dato un migliaio di dollari di droga e lei è scappata?”
“Proprio così”. Alzò lo sguardo su Zero, tenendo le mani in alto, vicino al viso, sulla difensiva. “Se ci pensi, sono io la vittima qui…”
“Sta zitto”. Spinse delicatamente la canna contro la fronte di Ike. “Dove doveva andare, e che tipo di macchina aveva?”
*
Zero si mise alla guida dell'Escalade nera, che aveva “preso in prestito” da Ike insieme alla sua pistola, e usò il GPS del suo telefono per guidare il più velocemente possibile verso il punto di riconsegna, cercando nel frattempo una berlina Chewy azzurra del 2001 a quattro porte.
Non ne vide nessuna prima di raggiungere il punto di consegna, che con suo grande dispiacere non era altro che un centro ricreativo locale. Ma non poteva preoccuparsene al momento. Invece pensò tra sé: che cosa aveva fatto Sara? Dove era andata?
Prima ancora di porsi la domanda, già aveva la risposta. Insieme a quel pensiero, gli tornò alla memoria il profumo del sale.
Non era un segreto nella loro famiglia che Kate, la madre di Maya e Sara, avesse un posto preferito nel mondo. Aveva portato le ragazze lì in tre diverse occasioni; la prima volta, Maya aveva otto anni e Sara sei e aveva detto loro: “Questo è il mio posto preferito”.
Era una spiaggia del New Jersey, e Zero, in un altro contesto, avrebbe trovato quella frase imbarazzante. La spiaggia era troppo rocciosa e l'acqua, tolti i due mesi più caldi dell'estate, era sempre troppo fredda, ma non era quello che Kate amava. Lei amava il paesaggio. Ci andava ogni anno quando era una bambina, per tutta l'adolescenza, e provava un amore viscerale e incondizionato per quel posto.
La spiaggia. Sapeva che Sara sarebbe andata alla spiaggia.
Cercò sul suo telefono le spiagge più vicine e si diresse lì come un maniaco, tagliando la strada ad altre macchine, ignorando qualsiasi segnaletica e sorprendendosi di tanto in tanto che nessun poliziotto lo fermasse. I parcheggi sulla spiaggia erano piccoli, lunghi e stretti e pieni di macchine e famiglie felici. Ma non vide alcun veicolo che corrispondesse a quello descritto da Ike.
Cercò in tre delle spiagge più grandi e vicine alla casa e al lavoro di Sara ma non trovò nulla. Stava scendendo rapidamente la sera. Nel frattempo, era stato eletto un nuovo presidente degli Stati Uniti; l'ex presidente della Camera aveva fatto il giuramento proprio quel pomeriggio. Maria era stata invitata alla cerimonia, e molto probabilmente si trovava già a qualche cocktail party, pieno di politici soffocanti e individui facoltosi, sorseggiando champagne e parlando pigramente di un futuro luminoso, mentre Zero cercava sua figlia sulla costa di Jacksonville, proprio quella figlia che, l'ultima volta che si erano visti, aveva chiamato la polizia e gli aveva urlato che non voleva vederlo mai più.
“Dai, Sara”, mormorò mentre accendeva i fari. “Dammi un segno, aiutami a trovarti. Ci deve essere una…”
Si interruppe quando si rese conto del suo errore. Stava cercando tra le spiagge pubbliche. Spiagge famose. Ma la spiaggia di Kate era piccola e poco frequentata. E Sara aveva un carico di droga del valore di mille dollari. Non avrebbe voluto trovarsi nei dintorni di altre persone.
Si avvicinò al lato della strada e consultò nuovamente il telefono. Cercò freneticamente spiagge meno popolari, spiagge rocciose, luoghi in cui la gente non andava spesso. Fu una ricerca difficile, e stava perdendo la speranza, quando pensò di cercare tra le immagini: a quel punto la vide…
Una spiaggia che assomigliava moltissimo alla spiaggia di Kate. Era proprio come la ricordava.
Zero si diresse lì guidando a centotrenta chilometri all'ora, senza preoccuparsi della polizia o degli altri conducenti, schivando le automobili troppo lente, piene di persone che tornavano a casa tranquille senza la preoccupazione che loro figlia potesse essere morta.
Scivolò nel minuscolo parcheggio di ghiaia e, quando la vide, frenò di colpo. Una berlina blu, l'unica macchina nel parcheggio, parcheggiata nel punto più nascosto. Era calata la notte, quindi lasciò i fari accesi e parcheggiò l’Escalade proprio in mezzo al parcheggio, scese dalla macchina e corse verso la berlina.
Aprì la porta sul retro.
Ed eccola lì, era una visione celestiale e infernale al contempo: la sua bambina, la sua figlia più giovane, dalla pelle pallida e luminosa, giaceva prostrata sul sedile posteriore di un'auto con gli occhi vitrei e semiaperti, pillole sparse sul pavimento sotto di lei.
Zero controllò immediatamente il suo battito. C'era, seppure fosse molto lento. Quindi inclinò la testa all'indietro e si assicurò che le sue vie respiratorie fossero libere. Sapeva che la maggior parte dei decessi per overdose erano il risultato del blocco delle vie aeree, che causava a sua volta insufficienza respiratoria e infine arresto cardiaco.
Ma stava respirando, anche se molto debolmente.
“Sara?” disse con voce rotta. “Sara?”
Lei non rispose. La sollevò dall'auto e la tenne in posizione verticale. Non riusciva a stare in piedi da sola.
“Mi dispiace”, le disse. E poi le infilò due dita in gola.
Lei vomitò immediatamente, più e più volte, nel parcheggio. Tossì e annaspò mentre lui la teneva e le ripeteva: “Va tutto bene. Andrà tutto bene”.
La mise sull’Escalade, lasciando le porte della berlina aperte e le pillole sui sedili, e guidò per tre chilometri, finché trovò un piccolo negozio di alimentari. Comprò due litri d'acqua con una banconota da venti dollari e si precipitò fuori senza aspettare il resto.
Lì nel parcheggio di una stazione di servizio in Florida, si sedette con lei sul sedile posteriore, con la testa in grembo mentre le accarezzava i capelli, aiutandola a bere e cercando di capire se avrebbe dovuto portarla in ospedale. Le sue pupille erano dilatate, ma le sue vie respiratorie erano aperte e il suo polso stava lentamente tornando alla normalità. Le sue dita si contrassero leggermente, ma quando lui fece scivolare la mano nella sua si chiusero attorno alle sue. Zero trattenne le lacrime, ricordando quando era solo una bambina, quando la teneva in grembo e le sue piccole dita stringevano le sue.
Restando seduto lì con lei, perse la cognizione del tempo. Quando guardò l'orologio, vide che erano trascorse più di due ore.
Poi lei sbatté le palpebre, gemette leggermente e disse: “Papà?”
“Si”. Rispose in un sussurro. “Sono io”.
“È tutto vero?” chiese, con voce persa e sognante.
“È tutto vero”, le disse. “Sono qui e ti porterò a casa. Ti porterò via da qui. Mi prenderò cura di te… anche se mi odi per questo”.
“Ok”, disse lei dolcemente,
A quel punto lui si tranquillizzò, rendendosi conto che il pericolo era passato. Sara si addormentò e Zero scivolò sul sedile anteriore del SUV. Non poteva metterla su un aereo in questo stato, ma poteva tornare indietro in macchina nella notte. Maria si sarebbe sbarazzata del veicolo per lui, senza fare domande. E le autorità locali avrebbero fatto visita a quello spacciatore, Ike.
La guardò: era raggomitolata sul sedile posteriore con le ginocchia sollevate e la guancia appoggiata sul sedile di pelle, apparentemente tranquilla, ma vulnerabile.
Lei ha bisogno di te.
E lui aveva bisogno che qualcuno avesse bisogno di lui.
4 SETTIMANE DOPO
CAPITOLO UNO
“Sei pronto?” Chiese Alan Reidigger, con voce bassa mentre impugnava la Glock nera con la sua mano robusta. Lui e Zero davano le spalle a una struttura in legno compensato, nascosta nell'oscurità. Era quasi troppo buio per vedere, ma Zero sapeva che in pochi istanti l'intero posto sarebbe stato illuminato come in pieno giorno.
“Sono sempre pronto”, sussurrò Zero. Teneva una Ruger LC9 nella mano sinistra, una piccola pistola argentata con un caricatore a nove colpi, mentre riscaldava le dita della mano destra. Soffriva ancora della ferita che aveva subito quasi due anni prima, quando un'ancora d'acciaio gli aveva schiacciato la mano mettendola fuori gioco. Dopo tre interventi chirurgici e diversi mesi di terapia fisica, aveva riacquistato gran parte della mobilità, nonostante il danno permanente al nervo. Riusciva sparare con una pistola, ma la sua mira era leggermente spostata verso sinistra, un piccolo inconveniente a cui stava cercando di lavorare.
“Io vado a sinistra”, spiegò Reidigger, “e faccio strada. Tu vai a destra. Tieni gli occhi aperti e controlla ad ampio raggio. Scommetto che ci aspetta qualche sorpresa”.
Zero sorrise. “Oh, ora sei tu la mente dell'operazione?”
“Tu cerca di stare al passo, vecchio”. Reidigger ricambiò il sorriso da dietro la folta barba che oscurava la metà inferiore del suo viso. “Pronto? Andiamo”.
Immediatamente si allontanarono dalla facciata in compensato alle loro spalle e si separarono. Zero sollevò la Ruger, la sua canna seguì il suo campo visivo mentre scivolava dietro l'angolo buio e percorreva uno stretto vicolo.
All'inizio non ci fu che silenzio e oscurità, non si udì alcun suono. Zero dovette ricordare ai suoi muscoli di non contrarsi, di rimanere allentati e di non rallentare la sua velocità di reazione.
Non c'è niente di nuovo, si disse. L'hai già fatto molte volte.
Poi, le luci esplosero alla sua destra, una serie di lampi abbaglianti. Un forte bagliore, accompagnato dal rumore assordante degli spari. Zero si gettò in avanti rotolando e si sollevò su un ginocchio. La figura era a malapena più di una sagoma, ma ciò che vedeva fu sufficiente per prendere la mira e sparare.
Non mancò il colpo. Si alzò in piedi ma rimase basso, avanzando con cautela. Attenzione. Controlla ad ampio raggio… Si girò di scatto appena in tempo per vedere un'altra figura scura che scivolava dietro di lui, bloccando la strada. Zero si lasciò ricadere all'indietro, atterrando sulla schiena mentre sparava altri due colpi. Udì dei proiettili fischiare proprio sopra la sua testa, che gli sfiorarono i capelli. Entrambi i suoi colpi colpirono la figura, al busto e alla fronte.
Dall'altro lato della struttura arrivarono tre colpi in rapida successione. Poi il silenzio. “Alan”, sibilò nell'auricolare. “Via libera?”
“Aspetta un attimo”, fu la risposta. L'aria venne squarciata da un'esplosione di fuoco, e poi da altri due colpi della Glock. “Via libera. Incontriamoci dietro l’angolo”.
Zero tenne le spalle al muro e avanzò rapidamente, mentre il ruvido compensato tratteneva il suo giubbotto. Notò un vago movimento in avanti, dal tetto della struttura piatta. Un singolo colpo alla testa eliminò immediatamente la minaccia.
Raggiunse l'angolo della struttura e fece una pausa per prendere fiato. Mentre svoltava, puntando la Ruger, si ritrovò faccia a faccia con Reidigger.
“Ne ho presi tre”, gli disse Zero.
“Io due”, grugnì Alan. “Il che significa…”
Zero non fece nemmeno in tempo a finire la frase che vide un'altra figura scivolare dietro Alan. Sollevò la pistola, proprio sopra la spalla di Alan, e sparò due volte.
Ma non fu abbastanza veloce. Mentre i colpi di Zero raggiungevano l'obiettivo, Alan gemette e si afferrò una gamba.
“Ah, dannazione!” Disse Reidigger. “Di nuovo”.
Zero sussultò nel vedere tutte le luci fluorescenti accendersi simultaneamente illuminando l'intero campo di addestramento. Si sentirono dei tacchi sul pavimento di cemento, e un attimo dopo comparve Maria Johansson, le braccia incrociate sul suo blazer bianco e un'espressione accigliata in viso.
“Che ti prende?”. Protestò Reidigger. “Perché ci siamo fermati?”
“Alan”, lo rimproverò Maria, “forse dovresti seguire il tuo stesso consiglio e controllare ad ampio raggio”.
“Cosa? Per questo?” Alan fece un gesto verso la sua coscia, dove una palla di vernice verde aveva macchiato i suoi pantaloni. “Questo non è niente”.
Maria rise. “Quello avrebbe potuto causare un sanguinolento femorale. Saresti potuto morire in meno di novanta secondi”. Poi aggiunse, rivolta a Zero: “Bel lavoro, Kent. Sembri quello di una volta”.
Zero sorrise ad Alan, che furtivamente gli fece il dito medio.
Il magazzino in cui si trovavano era un ex impianto di imballaggio, fino a quando la CIA non lo aveva acquistato e non lo aveva trasformato in un campo di addestramento. Il corso stesso era stato prodotto dall'eccentrico ingegnere dell'agenzia Bixby, che aveva fatto del suo meglio per simulare un raid notturno. La “base” che avevano preso d'assalto era fatta di strutture di compensato squadrato, mentre i lampi erano luci stroboscopiche disposte in tutta la struttura. Gli spari venivano riprodotti digitalmente e trasmessi da altoparlanti ad alta definizione, che echeggiavano nell'enorme spazio e suonavano all'orecchio allenato di Zero quasi come veri e propri colpi. Le figure a forma umana erano poco più che dei manichini in gel balistico e fissati alle piste dei dolly, mentre le pistole a vernice erano automatizzate, programmate per sparare quando i sensori di movimento rilevavano il movimento a varie distanze.
L'unica cosa reale nell'esercizio erano le armi che utilizzavano, motivo per cui sia Zero che Reidigger indossavano giubbotti antiproiettile e la struttura di addestramento era aperta solo agli agenti delle Operazioni Speciali, di cui Zero si era ritrovato a far parte ancora una volta.
Dopo il fiasco in Belgio, in cui i due avevano affrontato il presidente russo Aleksandr Kozlovsky e scoperto il patto segreto che aveva siglato con il presidente degli Stati Uniti Harris, Zero e Reidigger si erano trovati in una situazione spinosa. Erano diventati fuggitivi internazionali, ricercati in quattro paesi per aver infranto più di una dozzina di leggi. Ma avevano avuto ragione riguardo alla cospirazione, e non sembrava giusto che passassero il resto della loro vita in prigione.
Così Maria fece tutto ciò che poté per i suoi amici ed ex compagni di squadra. Fu a dir poco un miracolo, ma in qualche modo era riuscita a far passare tutte le loro azioni come un'operazione top-secret sotto la sua supervisione.
Il compromesso, ovviamente, fu che avrebbero dovuto tornare a lavorare per la CIA.
Sebbene Zero non lo ammettesse ad alta voce, per lui era come tornare a casa. Aveva lavorato duramente il mese scorso, era tornato in palestra, si era esercitato ogni giorno nel tiro a segno, nel pugilato e nel combattimento a corpo libero con avversari che avevano quasi la metà dei suoi anni. Aveva nuovamente perso tutto il peso che aveva guadagnato durante il suo anno e mezzo di fermo. Stava migliorando nella mira con la mano destra infortunata. Maria aveva ragione; sembrava quasi lo Zero di una volta.
Alan Reidigger, invece, non era così entusiasta. Aveva trascorso gli ultimi quattro anni della sua vita facendo credere all'agenzia di essere morto, vivendo sotto lo pseudonimo di un meccanico di nome Mitch. Tornare alla CIA era l'ultima cosa che desiderava, ma per evitare di finire in una buca a H-6, aveva accettato con riluttanza le condizioni di Maria, ma aveva chiesto di essere considerato una risorsa piuttosto che un agente sul campo. Il coinvolgimento di Alan sarebbe avvenuto solo in caso di necessità; avrebbe fornito un supporto quando possibile e avrebbe aiutato a formare gli agenti più giovani.
Ma ciò significava che entrambi avrebbero dovuto ritornare in forma per il combattimento.
Reidigger cercò di togliere la vernice verde dai suoi pantaloni, ma non fece altro che spargerla ulteriormente. “Lascia che mi ripulisca, poi ricominciamo”, disse a Maria.
Lei scosse la testa. “Non ho intenzione di passare la mia giornata chiusa in questo posto a guardarti mentre ti fai colpire. Riprenderemo dopo le vacanze”.
Alan borbottò qualcosa, ma annuì in ogni caso. Ai suoi tempi era stato un eccellente agente, e anche adesso si era ancora dimostrato abile sul campo. Era veloce nonostante i chili in eccesso. Ma era sempre stato una specie di magnete per i proiettili. Zero non riusciva a ricordare quante volte Reidigger fosse stato colpito nella sua carriera, ma era certamente un numero a due cifre, soprattutto da quando era stato colpito sulla spalla durante le loro avventure in Belgio.
Un giovane tecnico avanzò portando un carrello di attrezzi, mentre una squadra di altre tre persone riorganizzava il corso di addestramento. Zero ripose la Ruger nel carrello. Quindi strappò le cinghie di velcro del giubbotto antiproiettile e se lo tolse, sentendosi improvvisamente più leggero di parecchi chili.
“Quindi, per caso ci hai ripensato?” chiese ad Alan. “In merito alla festa del Ringraziamento. Alle ragazze farebbe piacere vederti”.
“Anche a me piacerebbe rivederle”, rispose, “ma declino l'invito. Le ragazze potranno passare un po' di tempo con te”.
Alan non ci aveva pensato, non ne aveva avuto bisogno. La relazione di Zero con Maya e Sara era stata molto tesa nel corso dell'ultimo anno e mezzo. Ma ora Sara era stata con lui per diverse settimane, da quando l'aveva trovata sulla spiaggia in Florida. Lui e Maya avevano parlato sempre più spesso al telefono: stava per precipitarsi a casa quando aveva sentito cos’era successo a sua sorella minore, ma Zero l'aveva calmata e l'aveva convinta a rimanere a scuola fino alle vacanze. Quella settimana sarebbe stata la prima volta dopo tanto tempo in cui tutti e tre sarebbero stati sotto lo stesso tetto. E Alan aveva ragione; c'era ancora molto lavoro da fare per riparare il danno che li aveva separati per così tanto tempo.
“Inoltre”, disse Alan con un sorriso, “abbiamo tutti le nostre tradizioni. Io andrò a mangiare un intero pollo arrosto e ricostruirò il motore di una Camaro del '72”. Diede un'occhiata a Maria. “Che mi dici di te? Passerai un po' di tempo con il tuo vecchio papà?”
Il padre di Maria, David Barren, era il direttore dei servizi segreti nazionali, essenzialmente l'unico uomo, ad eccezione del presidente, a cui il direttore della CIA Shaw doveva rispondere.
Maria scosse la testa. “Mio padre sarà in Svizzera, in realtà. Fa parte di un gruppo di diplomatici portavoce del presidente”.
Alan si accigliò. “Quindi sarai da sola al Ringraziamento?”
Maria si strinse nelle spalle. “Non è un male. Sono molto indietro con le scartoffie da quando passo tutto questo tempo con voi due idioti. Mi metterò un paio di pantaloni della tuta, mi farò un po' di tè e mi chiuderò…”
“No”, la interruppe Zero con fermezza. “Non se ne parla proprio. Vieni a cena con me e le ragazze”. Lo disse senza pensarci fino in fondo, ma non se ne pentì. Piuttosto, sentiva qualche senso di colpa, poiché l'unica ragione per cui era sola il giorno del Ringraziamento era a causa sua.
Maria sorrise riconoscente, ma i suoi occhi erano titubanti. “Non credo che sia una buona idea”.
Aveva ragione; la loro relazione era finita poco più di un mese prima. Per più di un anno avevano vissuto insieme come… beh, non sapeva come chiamare la loro relazione. Una frequentazione? Non ricordava di essersi mai riferito a lei come la sua ragazza. Sembrava troppo strano. Ma in fondo non aveva importanza, perché Maria aveva ammesso che voleva una famiglia.
Se Zero avesse voluto ricominciare, non avrebbe voluto farlo con nessun’altra se non con Maria. Ma dopo averci pensato per un po', si era reso conto che non era quello che voleva. Aveva del lavoro da fare su sé stesso, doveva riprendere i rapporti con le sue figlie ed esorcizzare i fantasmi del suo passato. E poi quell'interprete, Karina, era entrata nella sua vita, una storia d'amore troppo breve, vertiginosa, pericolosa, meravigliosa e tragica. Il suo cuore era ancora pieno di dolore per la sua morte.