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Kitobni o'qish: «Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II», sahifa 6

Shrift:

"Accogliete giovani volontari, resto onorato di dieci battaglie, una parola d'addio! Io ve la mando commosso d'affetto dal profondo della mia anima. Oggi io devo ritirarmi, ma per pochi giorni. L'ora della pugna mi troverà con voi ancora accanto ai soldati della libertà italiana.

"Che ritornino alle loro case quelli soltanto chiamati da doveri imperiosi di famiglia, e coloro che gloriosamente mutilati, hanno meritato la gratitudine della patria. Essi la serviranno nei loro focolari coi consigli e coll'aspetto delle nobili cicatrici che decorano la maschia figura di vent'anni. All'infuori di questi, gli altri restino a custodire le gloriose bandiere.

"Noi ci ritroveremo fra poco, per marciare insieme al riscatto dei nostri fratelli schiavi ancora dello straniero. Noi ci troveremo fra poco per marciare insieme a nuovi trionfi della libertà.

G. Garibaldi.

Il giorno del suo ingresso in Napoli il Re Vittorio Emanuele indirizzava ai popoli dell'Italia Meridionale il seguente proclama:

17 novembre 1860.

Ai popoli Napoletani e Siciliani

"Il suffragio universale mi dà la sovrana potestà di queste nobili Provincie. Accetto quest'altro decreto della volontà Nazionale, non per ambizione di Regno, ma per coscienza d'italiano. Crescono i miei, crescono i doveri di tutti gli italiani. Sono più che mai necessarie la sincera concordia e la costante abnegazione. Tutti i partiti debbono inchinarsi devoti dinanzi alla maestà dell'Italia che Dio solleva.

"Noi dobbiamo instaurare un governo che dia guarentigia di viver libero ai popoli e di severa probità alla pubblica opinione. Io faccio assegnamento sul concorso efficace di tutta la gente onesta.

"Dove nella legge ha freno il potere e presidio la libertà, ivi il Governo tanto può pel pubblico bene, quanto il popolo vale per la virtù.

"All'Europa dobbiamo addimostrare che, se la irresistibile forza degli eventi superò convenzioni fondate sulle secolari sventure d'Italia, noi sappiamo ristorare nella Nazione Unita l'impero di quegli immutabili dommi, senza dei quali ogni società è inferma, ogni autorità combattuta ed incerta".

Vittorio Emanuele.

Il 3 novembre, il generale Della Rocca d'ordine del Re scriveva una lusinghiera lettera a Garibaldi con la quale ammirava i prodigi di valore e i sagrifizi dell'Esercito Meridionale, ed esprimeva la riconoscenza che la patria italiana deve al loro eroismo.

Garibaldi a sua volta scrisse un'affettuosa lettera di commiato al Re, la quale si chiudeva con queste parole:

"Vogliate Maestà, permettermi una sola preghiera nell'atto di rimettervi il supremo potere. Io Vi imploro affinchè mettiate sotto l'altissima Vostra tutela, coloro che mi ebbi a collaboratori in questa grand'opera di affrancamento dell'Italia Meridionale, e che accogliate nel Vostro Esercito i miei commilitoni che han ben meritato della patria e di Voi".

CAPITOLO XXI

Ritiro di Garibaldi a Caprera

Il giorno 8 di novembre il Generale volle vedere Elia, al quale fece invito di andare con lui a Caprera. "Sarete fratello a Menotti" gli disse stringendogli la mano. L'Elia commosso ringraziò il generale a cui fece capire che egli aveva altri sacri doveri da compiere verso la madre vedova e verso le sue quattro sorelle orfane; e prese congedo con dolore da quel grande che in meno di sei mesi aveva assicurata l'unità italiana, unendo sotto lo scettro di Vittorio Emanuele l'Italia Meridionale, con quasi otto milioni di sudditi devoti.

La mattina del 9 Garibaldi s'imbarcava per Caprera.

Fu grande fortuna d'Italia la rivoluzione siciliana del 4 aprile 1860.

Questa provocò la spedizione dei Mille. Se questa spedizione non veniva in tempo – come è provato dalle rivelazioni di Brassier de Saint-Simon – l'Italia si sarebbe sistemata in base ai risultati della guerra del 1859 – e secondo il volere di Napoleone non si sarebbe avuta l'unità ma la federazione, ed il Papa ne sarebbe stato il Capo e tutt'ora Re di Roma!

La spedizione dei Mille ha avuto un'importanza massima, più di qualsiasi altro evento della Storia d'Italia.

CAPITOLO XXII

Presa di Capua e di Gaeta

La mattina del 28 ottobre ambo gli eserciti settentrionali e meridionali erano intorno a Capua. Una conferenza tra Garibaldi ed i generali Menabrea e Della Rocca aveva già determinato il piano di espugnazione della fortezza, per l'esecuzione del quale il generale Menabrea diede i suoi ordini agli ufficiali del genio e prendeva tutte le misure per una pronta espugnazione della piazza, mentre il generale Della Rocca dava le sue disposizioni all'artiglieria ed agli altri corpi, per effetto delle quali, le truppe piemontesi rinforzavano il posto di Caiazzo abbandonato dai borbonici, di S. Maria e di S. Angelo; il genio e l'artiglieria si distribuivano nelle rispettive posizioni intorno alla fortezza e tutto era ordinato per il bombardamento.

Più di ventimila borbonici si erano trincerati con potenti artiglierie a Mola di Gaeta. Il 4 di novembre vennero destinati a conquistare quella posizione, la brigata granatieri di Sardegna, il 14o e 24o bersaglieri, due squadroni di lancieri di Novara e due batterie d'artiglieria.

Mola, è la parte più a mare della cittadella di Formia, ed è addossata ad una linea di colline che scendono sul mare lasciando appena posto per la strada.

Il 24o battaglione bersaglieri si andò a stendere su un'altura a cavallo della strada; a destra, sulle prime alture, si stendeva il 1o reggimento granatieri; il 2o reggimento granatieri si collocava più indietro; il 3o in riserva; il 14o battaglione dei bersaglieri venne mandato a sloggiare i borbonici che occupavano il paese di Maranola, situato in altura sopra Mola.

Alle ore 11 s'incominciò l'assalto con fuoco vivissimo da ambo le parti; un battaglione del 1o granatieri è mandato in sostegno del 14o bersaglieri e con vigoroso attacco scacciano i borbonici da Maranola.

Il battaglione granatieri dopo di avere cacciato i borbonici da Maranola, rinforzato da altro battaglione del 2o granatieri si scaglia arditamente contro l'alta posizione chiamata Madonna di Ponza fortemente occupata e difesa da due batterie; i nostri con slancio ammirabile vi sono sopra, fugano il nemico e s'impossessano dei cannoni.

Eseguite queste due brillanti operazioni, tutta la linea dei nostri si slancia risolutamente all'attacco di Mola sotto il fuoco assai ben nutrito del nemico, attraverso un terreno difficile, seminato da siepi, da muri e da fossi; marciano in testa la 3a e la 4a compagnia del 2o granatieri che primi scavalcano le barricate e penetrano nel paese, mettendo in fuga il nemico che lascia in potere dei nostri undici cannoni. Non restava che di espugnare la posizione del Castellone fortemente tenuta dai borbonici; i granatieri e bersaglieri esaltati dalle riportate vittorie, si lanciano valorosamente all'assalto e, superati tutti gli ostacoli ed ogni resistenza, riescono vittoriosi e l'espugnano.

Ricoverati entro le mura di Gaeta, i Borboni di Napoli si sforzavano di tener ancora testa alle forze vigorose dell'unificazione d'Italia, con una guarnigione di oltre 15 000 combattenti e con ben 528 bocche da fuoco.

Nella notte del 10 novembre 1860, otto pezzi da campagna aprivano il fuoco con tiri in arcata, producendo grande sgomento negli assediati; nella notte successiva il fuoco fu ripreso. Il giorno 12 il generale Cialdini, comandante delle due divisioni 4a e 7a, che aveva occupato tutte le alture dominanti la città e spinti i suoi avamposti più presso il Borgo di Gaeta – oggi Tlena – decise di ricacciare entro la cinta quella parte di truppe borboniche che aveva stabiliti i suoi bivacchi sull'istmo fino all'attrattina: le fa assalire da buon nerbo di bersaglieri che colla punta della baionetta l'obbliga ad abbandonare ogni esterna posizione.

Alla fine di dicembre tutte le batterie erano piazzate e l'8 di gennaio Cialdini ordinava si aprisse il fuoco. Mentre seguiva il bombardamento la diplomazia non mancava d'agitarsi. Napoleone III s'interponeva fra i belligeranti e riusciva a fissare un armistizio che aveva principio la stessa sera dell'8 gennaio per terminare il 19.

Dal 19 al 21 furono fatte pratiche per la resa, ma avendo il Borbone rifiutato, alle ore 8 1/2 ant. del giorno 22 tutte le batterie assedianti entrarono in azione. Il bombardamento durò fino al 12 febbraio, producendo danni non lievi alla città e provocando esplosioni di magazzini di polvere. Infine il giorno 13 verso le 3 pomeridiane un orribile esplosione succedeva nelle batterie Malpasso e Transilvania, essendovisi appiccato il fuoco all'enorme quantità di 26 mila chilogrammi di polvere. Lo spavento in Gaeta fu così grande che rese necessario risolversi alla capitolazione, la quale fu firmata alle ore 5 pomeridiane.

Francesco II non s'intromise nella capitolazione e prima che l'esercito italiano entrasse a Gaeta s'imbarcava sul vapore francese "La Muette" che lo condusse a Civitavecchia.

Molti dei nostri valorosi ufficiali si distinsero nei combattimenti di Mola e nell'assedio di Gaeta e fra questi il prode capitano di San Marzano che veniva decorato della Croce militare di Savoia e promosso.

A Caprera il generale non rimaneva inoperoso; egli aveva l'anima fissa al riscatto di Roma e di Venezia ed invitava gli amici a preparare i mezzi occorrenti. Con questi concetti scriveva al Bellazzi alla fine di dicembre 1860.

Caprera, 29 dicembre 1860.

Caro Bellazzi,

"Io desidero l'apertura concorde di tutti i comitati italiani di provvedimento per coadiuvare al gran riscatto. Così Vittorio Emanuele con un milione d'italiani armati questa primavera, chiederà giustamente ciò che manca all'Italia.

"Nella sacra via che si segue, io desidero che scomparisca ogni indizio di partiti; i nostri antagonisti sono un partito, essi vogliono l'Italia fatta da loro col concorso dello straniero e senza di noi.

"Noi siamo la Nazione, non vogliamo altro capo che Vittorio Emanuele; non escludiamo nessun italiano, che voglia francamente come noi; dunque sopra ogni cosa si predichi energicamente la concordia di cui abbisogniamo immensamente.

Vostro
G. Garibaldi".

Dopo aver preso parte ad una seduta tempestosa alla Camera dei Deputati, Garibaldi era tornato a Caprera, quando il 6 giugno si sparse la fulminea notizia che Cavour era morto. L'impressione fu enorme; l'Italia perdeva il suo più grande uomo di Stato, la libertà un devoto amico, la Dinastia di Savoia uno dei suoi più validi sostegni.

Il Ministro Ricasoli, succeduto al Conte di Cavour, volle accontentare il generale Garibaldi coll'istituzione dei Tiri a Segno Nazionali, ma dopo pochi giorni il Barone Ricasoli non era più al Governo; il partito moderato voleva che si fosse proceduto allo scioglimento dei Comitati di Provvedimento, ma egli in nome della libertà di associazione, rifiutò e diede le dimissioni. Gli successe Rattazzi, che, conseguente al disegno del Ricasoli, commise al generale la direzione dei Tiri a bersaglio.

All'Elia che ne voleva istituire uno in Ancona il generale così scriveva:

Caprera, 18 gennaio 1862.

Caro Elia,

"Italia e Vittorio Emanuele è il programma consentaneo ai voti della nazione e fu di guida a tutti i Comitati di Provvedimento.

"Oltre ai servizi che hanno già resi alla patria, amministrati che siano da persone intelligenti ed oneste, potrebbero renderne altri importanti in avvenire, raccogliendo i fondi pel riscatto di Roma e Venezia.

"Qualunque altro Comitato che sorga con programma e fini diversi non potrebbe reggersi, perchè la Nazione lo riproverebbe.

"Accetto adunque con piacere l'offerta vostra di erigere in cotesta importante città un Comitato di Provvedimento. Intendetevi a tal fine con persone oneste e patriottiche e mettevi in relazione col sig. Federico Bellazzi, persona di mia confidenza, il quale ha diretto devotamente il Comitato Centrale di Genova, ma che si è ritirato, non accettando la presidenza di quel nuovo comitato.

"Gradite i sensi di stima e d'affetto dal

vostro
G. Garibaldi".

Nei primi giorni di maggio 1862, quando già da qualche tempo il generale era in giro nella Lombardia per l'impianto dei tiri a bersaglio, incominciarono a manifestarsi i sintomi di un tentativo per la liberazione di Venezia; il tentativo di Sarnico, che venne impedito dal governo.

Disgustato da questo avvenimento, il generale erasi di nuovo ritirato a Caprera, quando amici della Sicilia lo invitarono ad andare a visitare le terre da lui liberate. La notte del 7 luglio coi pochi amici, che si trovavano all'Isola, prese imbarco per la Sicilia. A Palermo fu accolto con delirio. Chiamato nei luoghi dell'epopea del 1860, Alcamo, Partinico, Calatafimi, Corleone, Sciacca ed altre città, si spinse fino a Marsala. Dovunque passava dimostrava la necessità di riprendere le armi per la liberazione di Roma, essendo un'onta per la Nazione, che la sua Capitale rimanesse schiava del Papa. E fu allora che ebbe principio il grido di Roma o morte!, grido che condusse al doloroso fatto di Aspromonte ed alla gloriosa disfatta di Mentana.

CAPITOLO XXIII

Aspromonte – Sollevazione in Polonia

Ad Aspromonte, il generale veniva ferito al piede da palla italiana; il fatto suscitò profonda commozione non solo in ogni angolo d'Italia, ma in quante contrade era giunto il nome dell'Eroe condottiero e l'eco delle sue vittorie. I volontari accorsi intorno a lui, venivano dispersi ed egli stesso veniva portato in prigione nel forte del Varignano. Ecco come si svolsero i dolorosi fatti:

Il Governo, istigato dall'imperatore dei Francesi, aveva determinato di arrestare Garibaldi sulla via di Roma, incaricando il generale Cialdini di anche combatterlo, qualora fosse necessario, e ad ogni costo arrestarlo disperdendo i suoi seguaci.

Il general Mella, comandante della brigata Piemonte mandato in Sicilia sotto gli ordine del Cialdini, sapendo che diversi ufficiali suoi dipendenti erano stati compagni a Garibaldi nelle guerre combattute per l'indipendenza, considerando che questi mal si sarebbero trovati se condotti a combattere contro Garibaldi ed i loro antichi compagni, riuniva gli ufficiali superiori e, intesosi con questi, chiamava a rapporto gli ufficiali subalterni, e faceva loro intendere, che quelli che non si sentissero di combattere contro Garibaldi, potevano chiedere le dimissioni, giacchè l'ufficiale non essendo legato come il soldato, era libero di dimettersi; rammentava ad essi che da ufficiali d'onore avevano l'obbligo di francamente dichiararsi; accordava per ciò mezz'ora di tempo per decidersi.

Gli ufficiali che erano stati compagni a Garibaldi, senza calcolare fin dove poteva arrivare la competenza dei loro superiori, piuttosto che combattere contro Garibaldi, il che avrebbero pur fatto anche a malincuore pur di compiere il loro dovere, in numero di trentadue rassegnarono le loro dimissioni, mai immaginando che ciò facendo il loro onore potesse rimanere intaccato. Le dimissioni furono da ognuno così formulate:

"A termini delle parole del Comandante del Reggimento e del generale, al rapporto del quale gli ufficiali furono chiamati, il sottoscritto domanda le dimissioni".

Gli ufficiali dimissionari in seguito alle dichiarazioni del generale Mella e degli ufficiali superiori del 3o e 4o reggimento, Brigata Piemonte, furono i seguenti:

Capitani: Bennici Giuseppe, Buttinoni Francesco, Burruso Giuseppe, Alessi Antonio, Bonafini Francesco, Pastori Enrico, Bonetti Pietro. —Luogotenenti: Tosti Paolo, Maggioni Ulrico, Bonighi Arnoldo, Armanni Ernesto, Amadesi Alfonso, Bresciani Giuseppe, Nizzori Antonio, Plebani Luigi. —Sottotenenti: Quercioli Egisto, Zanoncelli Michelangelo, Sassi Francesco, Cucchiarelli Levino, Archieri Federico, Lucianetti Lodovico, Rosignoli Francesco, Bergalli Nicolò, Bertone Luigi, Orsoni Emilio, Conti Carlo, Pollina Pietro, Sparacio Giuseppe, Aceto Emidio, Fioravanti Valentino, Sulli Giovanni, Belluzzi Raffaele, De Carli Carlo.

Di questi dimissionari, uno che maggiormente s'era nella campagna precedente distinto, e che corse serio pericolo di essere due volte fucilato fu un carissimo amico di Bixio, un valorosissimo ufficiale e caldo patriota, Giuseppe Bennici; preso con l'armi in pugno dai borbonici alli 21 di maggio 1860 sui Monti di Monreale, come capo squadra dell'insurrezione siciliana, il giorno 27 doveva essere tradotto sul banco dei rei colpevoli di fellonia e di ribellione al Re di Napoli. La condanna a morte era sicura; ma la fortuna volgeva uno sguardo pietoso sulla patria e sul bravo giovane di Piana de' Greci.

All'alba del 27 Garibaldi entrava in Palermo, la sentenza restava sospesa e dopo tre giorni era reso libero cittadino in libera terra. Da quel giorno Giuseppe Bennici giurava affetto eterno e fede costante al liberatore Giuseppe Garibaldi; Bixio lo vide, lo volle con sè e ne fece il suo aiutante.

Dopo quasi due anni nell'agosto del 1862 in Adernò gli veniva ordinato di battersi contro Garibaldi che con la medesima bandiera dei plebisciti marciava alla liberazione di Roma, o, se meglio gli fosse piaciuto, rassegnasse le sue dimissioni. Il giovane non aveva di ricchezza che la sua sciabola, e tutto il suo avvenire era basato nell'intrapresa carriera militare; ma per lui la riconoscenza verso il suo liberatore s'imponeva, e depose le spalline. Incontrato Garibaldi a Catania, si univa a lui ed ai suoi vecchi compagni di Calatafimi e del Volturno. Ad Aspromonte venne fatto prigioniero; trasportato alla Sede del comando del generale Pallavicini, gli si partecipava che sarebbe stato fucilato. Alla mezzanotte, data la muta alla guardia, il capo scorta gli ordinava di seguirlo; gli si fece percorrere tutta la linea degli avamposti e lo si accompagnava al posto, ove doveva essere fucilato, quando sopraggiunse un ufficiale latore di un contr'ordine.

L'indomani sotto buona scorta fu mandato a Scilla, il 31 a Reggio ed il 1 settembre fu trasportato a Messina e rinchiuso nel forte Gonzaga. Il 9 di ottobre era condotto innanzi al tribunale militare, dal quale veniva emanata la seguente sentenza:

NELLA CAUSA
contro

"Bennici Giuseppe, del fu Gerlando d'anni 21, nato a Piana de' Greci, celibe, Luogotenente nella 8a Compagnia del 4o Reggimento Fanteria.

detenuto e accusato

"di tradimento, per aver portato le armi contro lo Stato, prestando servizio nelle file del generale Garibaldi, arrestato il giorno 29 agosto p.p. ecc.

"Condanna alla pena di morte previa degradazione ecc."

Ma anche questa volta un altro angelo salvatore vegliava sulle sorti del Bennici; il generale Pinelli si adoperò con ogni sua possa per ottenergli, se non la grazia, la commutazione della pena, e così il 26 di ottobre S. M. il Re firmava il decreto col quale si commutava la pena di morte in quella dell'ergastolo.

La madre del Bennici, angosciata per la sorte del figlio, si rivolse con calde preghiere al generale Garibaldi, e ne riceveva questa confortante lettera.

Pisa, 11 novembre 1862.

Signora,

"Mi commuove il modo eroico col quale sopportate la vostra sventura. Vostro figlio sarà libero e presto; io appena potrò farlo, m'incaricherò di lui.

"Le catene di vostro figlio sono gloria per lui.

"Credetemi

G. Garibaldi.

Fu un conforto per Bennici e per gli altri ufficiali compromessi pel fatto di Aspromonte udire come patrioti, quali il Mordini, il Crispi, il Cadolini, il Macchi, ed altri perorarono la loro causa in Parlamento, e fu gioia e speranza per essi il sapere che nobili Signore, come Donna Pallavicino Trivulzio, Laura Mancini, Laura Mantegazza ed altre, facevano coprire da molte migliaia di firme una petizione al Sovrano per la loro liberazione.

Finalmente il 14 marzo 1865 si aprivano le porte del Castello di Vinadio, ed il Bennici ed altri compagni che vi erano stati tradotti, venivano posti in libertà.

Primo pensiero dei liberati fu quello di dirigersi al camposanto e formato circolo sul luogo che racchiudeva le ossa di alcuni loro compagni di sventura, il più anziano tra i graduati, dinnanzi alle autorità civili e militari, pronunziava un discorso funebre, che concludeva con queste commoventi e nobili parole.

"E lassù sono i nostri compagni d'armi caduti in Aspromonte, e lassù gli altri trapassati, sopraffatti dai dolori; e di lassù ci mirano le anime dei nostri undici compagni che lasciarono il loro misero corpo in questo tenebroso recinto, ed esultano nel ricevere questo tributo d'affetto; e lassù faranno voti, che ognora il nostro cammino sia quello dell'onore e della gloria.

"E noi, forti sotto l'usbergo della nostra pura coscienza, osiamo gridare arditamente a' quattro angoli d'Italia, che dall'Esercito che ha saputo vincere a S. Martino, a Castelfidardo, a Calatafimi e sulle barricate di Palermo, non escono e non usciranno giammai traditori. Pronti a chinare il capo ad una espiazione militare, sdegnosamente protestiamo, contro qualunque accusa infamante, per chi col vessillo tricolore alla liberazione di Roma con Garibaldi, marciava. Si! per Roma solo andavamo; per Roma abbiamo sofferto, e per Roma questi undici nostri compagni sono morti! Quando nel tempio di Marsala il duce dei Mille giurava Roma o morte, non era per ribellarsi contro il principe eletto da liberi plebisciti.

"Garibaldi, facendosi interprete del bisogno supremo dell'Italia, intimava la crociata del 1862, solo ambizioso di offrire, come fece al Volturno della corona delle due Sicilie, Roma a Vittorio Emanuele, in Campidoglio…

"Si paralizzino i nostri sensi, e la vergogna ricopra le nostri fronti, se cesseremo di combattere, finchè il vessillo tricolore non isventoli sulla pina di S. Pietro".

Dopo Aspromonte e dopo sì avversa fortuna, i liberali, prima di ritornare alle loro case, vollero sulla cenere dei loro morti rinnovare il giuramento di Marsala, "Roma o morte".

La palla del 29 agosto 1862, se abbattè il corpo del temuto capitano, fece percorrere alla idea sua animatrice per tal fatto, un cammino quale non avrebbe potuto sperare con la più splendida vittoria.

Aspromonte giovò alla questione romana in modo decisivo.

Nel 1862 il Governo Russo aveva ordinata la leva generale in tutto l'impero, ma per la Polonia si prescriveva, che fossero esenti dall'obbligo di leva i contadini ed i grandi proprietari rurali, per cui la legge colpiva soltanto gli abitanti delle città. Questo privilegio promosse una agitazione grandissima in tutta la Polonia, e quando il Governatore di Varsavia volle applicare la legge, il 18 gennaio 1863, il Comitato Nazionale di Varsavia bandì l'insurrezione e la lotta incominciò.

Il Generale era infermo a Caprera, e si doleva di non poter accorrere in aiuto dei Polacchi per pagare un debito di gratitudine verso un paese che tanti suoi figli aveva sacrificati per la causa della nostra libertà. Non potendo pagare di persona scriveva all'Europa: "Non abbandonate la Polonia".

Ed in Italia recar soccorso alla Polonia era come un dovere. Il valoroso Nullo Francesco dei Mille, impaziente d'indugio e di martirio, partiva e, unitosi ai ribelli, trovava la morte sugli argini di Skutz.

In Genova si era costituito il Comitato Generale di soccorso ai Polacchi sotto il patronato di Garibaldi, e presieduto dal generale Clemente Corte.

Alla fine di maggio due emissari Polacchi sbarcavano a Caprera apportatori di un audacissimo progetto:

Sommuovere la Rumenia, coll'aiuto del Rossetti e del Bratiano, rovesciare il principe Couza; formare la base dell'insurrezione nel principato; penetrare nella Bessarabia e di là in Polonia, per dare mano forte alla rivoluzione.

In Ancona pure, fin dai primi del 1863 si era costituito un comitato di soccorso per la Polonia.

Il 16 marzo 1863 Elia riceveva la seguente lettera dal generale Clemente Corte, accompagnata da poche linee del generale Garibaldi.

Genova, 16 marzo 1863.

Pregiatissimo Signore,

"Ho ricevuto il di lei foglio 15 corrente e m'affretto a risponderle, che sentii con molto piacere come la sottoscrizione per la Polonia sia stata iniziata e promossa in Ancona, da cittadini distinti pel loro patriottismo.

"È urgente che tale sottoscrizione sia spinta con la maggiore sollecitudine possibile, e che il denaro raccolto venga spedito al nostro Comitato di Genova. Confido quindi, che Ella e gli altri patrioti d'Ancona, faranno in modo di soddisfare a tale mia richiesta.

"Le accludo copia della lettera colla quale il generale Garibaldi autorizza il nostro Comitato a raccogliere e disporre dei fondi suddetti

"Aggradisca i miei più cordiali saluti e mi creda con distinta stima

Dev.mo suo
Clemente Corte."
Caprera, 1 marzo 1863.

Signori,

Vogliate pregare i Comitati italiani per la Polonia di mettersi in relazione con Voi, acciò si possa disporre dei fondi raccolti in favore della rivoluzione.

Vostro
G. Garibaldi.

Al Comitato per la Polonia

Genova.

Il gennaio del 1864, Elia data la sua piena adesione al movimento insurrezionale della Polonia e deciso di prendervi parte, gli venne trasmesso dall'organizzatore generale del Governo Nazionale, il decreto qui trascritto col quale lo si creava organizzatore delle forze insurrezionali a favore della Polonia nell'Adriatico e lo si nominava provvisoriamente Capitano di Fregata.


En vertu des pouvoirs qui nos sont confères pour le Gouvernement National Polonais par un Decret du 10 fevrier 1864 daté de Varsavie, nous nommons au post d'Organizateur des forces Navales Polonais sur le mer Adriatique le Citoyen Auguste Elia sujet du Roy.me de l'Italie, natif d'Ancone, et lui conferons provisoirement le grad de Capitaine de Fregate dans la Marine Nationale; il aurà a se conformer dans l'esercice de ses funtions a nos ordres et instruction ulterieurs.

F.to F. K.
Organizateur General.

Il 13 marzo Elia ricevette dal Cy John Robson di Londra la seguente lettera, con la quale l'avvisava dell'arrivo in Ancona di un vapore a lui diretto e gli dava commissione di vendere il carico e di fare del vapore quell'uso, che più gli fosse piaciuto, dandogli assicurazione, che il vapore medesimo era pienamente adatto pel servizio dei passeggeri nel mare Adriatico e per non lunghe navigazioni.

London, 1864 mars 13th

Dear Sir,

"Having been furnished with your address by my commercial friend. I avail myself of the opportunity, and beg of yon, to take in your charge my steamer the "Princess," Master Sainscler, destined to your port and charged with goods insended for speculation. Should yon accept this commission, I then will send you the power for sale, or to dispose of her in manner yon would think proper. She is fit for transport, and passengers trade of short distance, and I think she will answer well in the Adriatic. She may be in your place towards the end of this month.

"The bearer of this letter, the Master of the steamer, will require your aid and your advice, which yon will kindly afford him and oblige.

"Your obedient servant

John Robson".

Nell'aprile, insistendo Elia che non aveva avuto altre notizie, perchè gli si facesse fare qualche cosa, riceveva la seguente lettera:

Torino, 22 aprile 1864.

Pregiatissimo Signore,

Ho ricevuto la vostra del 11 aprile. Aspettate e fate aspettare gentilmente, fino a che non riceverete notizie positive da Londra.

Spero che gli avvenimenti camminino e che con loro camminerà anche il nostro affare. Fra poco riceverete da parte mia la lettera patente commerciale, che ho ricevuto oggi e che manderò a voi col mezzo di una persona sicura. A tutti i miei saluti.

Aggradite l'espressione della mia sincera amicizia e del mio distintissimo rispetto

Vostro dev.mo
S. S.

Ma passò del tempo. Il vapore annunziato non erasi veduto, nè arrivavano altre notizie, quando da persona sconosciuta gli venne portata la seguente lettera:

Torino, 30 giugno 1864.

Mio caro Elia,

"Se potete e volete consacrarvi ad una grande impresa, che vi allontanerà per qualche tempo dalla vostra famiglia, ma che può e deve essere base della nostra gloria e della grandezza avvenire, venite immediatamente a Torino e da Torino al Campo di S. Maurizio, dove debbo dirvi cosa e come. Non dite niente a nessuno. Il latore non sa nulla e non gli dite nulla.

"Se poi le vostre ferite non vi permettessero di viaggiare per mare e per terra rispondetemi non posso.

"Attendo con impazienza voi od una vostra riga. Tacete tutto e vogliate sempre bene al

Sempre Vostro
Nino Bixio"

È da immaginarsi con che premura Elia rispondesse all'appello del caro amico generale Bixio, che già presentiva essere d'accordo col Re Vittorio Emanuele e con Garibaldi per qualche ardita e gloriosa impresa. Non indugiò la partenza e raggiunse dopo due giorni, Bixio al Campo di S. Maurizio.

Montati a cavallo si recarono in una casina di proprietà di Accossato, dove Elia ebbe l'altissimo onore e la grande soddisfazione di stringere la mano che gli veniva stesa dal Padre della Patria, Re Vittorio Emanuele II, che ebbe parole assai benevoli per lui. Elia ricevette verbali ordini e disposizioni intorno ad una combinata operazione e ritornò in Ancona in attesa di essere chiamato.

Anche Mazzini cooperava con Vittorio Emanuele e spronava gli amici suoi a dare il loro appoggio per l'insurrezione in Gallizia, e nel trovare appoggio nei principati Balcanici, e sopratutto nel Montenegro, per un forte diversivo contro l'Austria, per poi marciare colle forze nazionali alla conquista del Veneto.

Intanto che tali trattative correvano, il generale Garibaldi, invitato dal popolo inglese a recarsi in Inghilterra, la mattina dell'11 aprile vi faceva il suo ingresso, accolto da per tutto da una moltitudine fremente d'ammirazione e di amore.

Fra le feste che gli furono fatte merita di essere ricordata quella della prima autorità cittadina.

Il Lord Mayor di Londra salutava in lui in nome della libera Inghilterra:

"Il grande Apostolo della libertà; l'eroico e cavalleresco soldato che non impugnò mai la spada che per una giusta causa; il conquistatore di un regno per liberarlo dall'oppressione; colui che rimase povero per arricchire gli altri; il cittadino amante della sua patria e di tutta la razza umana, assai più della propria vita; l'uomo sinceramente buono e giusto di cui le private virtù sono superate soltanto dalle virtù pubbliche, dalla magnanimità più che spartana o romana".

Invitato ad un banchetto di amici polacchi ed italiani tra i quali Mazzini, Saffi e Mordini, al levare della mensa Mazzini si levò e propose un brindisi al generale Garibaldi con queste parole:

Yosh cheklamasi:
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Litresda chiqarilgan sana:
31 iyul 2017
Hajm:
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Mualliflik huquqi egasi:
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