Kitobni o'qish: «Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III»
LIBRO DECIMO
SOMMARIO
Pensieri di Buonaparte dopo le sue vittorie contro Alvinzi. L'Austria manda nuove genti in Italia sotto la condotta dell'arciduca Carlo. Qualità comparative di Buonaparte e dell'arciduca, e lor modo di guerreggiare. S'incomincia una nuova guerra. Contrasto dei due generali emoli al Tagliamento, e passo di questo fiume eseguito dai repubblicani. L'arciduca si ritira cauto e rannodato. Sollevazioni dei popoli del Tirolo a favore dell'Austria: Joubert in pericolo; si ritira, secondo gli ordini di Buonaparte, per la valle della Drava, verso Villaco. Passi della Ponteba, e di Tarvisio. Speranze dell'arciduca di vincere a Tarvisio: gli vengono rotte dall'insufficiente difesa fattavi da un suo generale. I Francesi entrano vittoriosi in Villaco, Lubiana, e Clagenfurt. L'arciduca si ritira ai passi più montuosi a difesa della metropoli dell'Austria. Modo diverso di guerreggiare dei Francesi e degli Austriaci; e perchè i primi avessero il vantaggio. Buonaparte in qualche pericolo: pure a Vienna prevale la parte della pace; arrivano plenipotenziari al campo Francese; tregua, e preliminari di Leoben. Buonaparte fatto sicuro dell'Austria si volta contro la repubblica di Venezia; opera rivoluzioni nella terraferma Veneta per aver occasione di darla all'Austria. Rivoluzioni di Bergamo, Brescia, e Crema. Insidie contro Verona. Manifesto supposto del provveditor Battaglia. Minacce rabbiose di Buonaparte contro Venezia: pacata, e grave risposta del doge. Terribile sollevazione di Verona, chiamata le Pasque Veronesi, sue cagioni, ed effetti. Predicazioni singolari di un frate cappuccino. Verona soggiogata, e come trattata. Buonaparte dichiara formalmente la guerra a Venezia. Insidie tese per fare, che il maggior consiglio riformi l'antica constituzione. Il senato non è propenso a questa innovazione. Consulta particolare, ed insolita in casa del doge. Il maggior consiglio autorizza i tre legati della repubblica mandati a Buonaparte a consentire la riforma degli ordini antichi con introduzione di qualche forma democratica. Minacce di Buonaparte al patrizio Giustiniani, e generose risposte di questo. Macchinazioni in Venezia; nuove insidie contro di lei. I patrizi spaventati, e adunati in maggior consiglio rinunziano alla sovranità, e consentono al governo democratico; il che fu in quel punto la ruina dell'antichissima repubblica. Trattato sottoscritto in Milano il dì sedici maggio tra Buonaparte, ed i legati Veneziani. Rivoluzione totale in Venezia, e nella terraferma.
Due pensieri operavano massimamente a questo tempo nella mente di Buonaparte, securo omai di poter fare, o buon grado o mal grado del suo governo, ciò che più volesse. Siccome la fortuna tanto se gli era dimostrata prospera, così intendimento suo era, posti in non cale i pensieri del re di Sardegna, di creare un nuovo stato in Lombardia, acciocchè egli fosse della sua potenza, e del suo nome testimonio perpetuo. Ma il direttorio, che aveva anche capriccio in questo nuovo stato, desiderava tuttavia temporeggiarsi pel desiderio che aveva della pace con l'imperatore. Così il capitano della repubblica andava continuamente moltiplicando in Milano i segni del voler sottrarre dal dominio dell'Austria il paese per crearne una repubblica, mentre i deputati Milanesi mandati a Parigi per pregare libertà, riportavano dal direttorio solamente parole grate senza effetti. Si proponeva oltre a ciò Buonaparte, solito a fabbricare ne' suoi concetti grandissimi disegni, tostochè si diminuisse l'asprezza della stagione, di varcare con tutto l'esercito le Alpi Giulie, e di far sentire le sue armi nel cuore della Germania, a fine di obbligare l'imperatore alla pace, pensiero, che già aveva concetto fin dai tempi delle sue prime vittorie in Italia, e che solo era stato interrotto dall'incredibile costanza dell'Austria nel sostituire nuovi eserciti ad eserciti vecchi. Confortavano massimamente questa sua deliberazione la singolarità, e la grandezza dell'impresa non più tentata dai Francesi dal secolo di Carlomagno in poi, l'avere a cimentarsi con l'arciduca Carlo, fratello dell'imperatore, che aveva recentemente combattuto vittoriosamente le armi repubblicane sulle sponde del Meno e del Reno, e che era stato preposto, come ultima speranza, all'esercito Italico; il fare finalmente quello, dall'Italia venendo, che non avevano potuto fare Moreau e Jourdan, che avevano guerreggiato sulle terre stesse dell'Alemagna; perciocchè o l'imperatore Francesco, sbigottito a quel suono tanto insolito dei Francesi nel cuore degli stati ereditari avrebbe consentito agli accordi, ed in tale caso acquistava Buonaparte un segnalato favore in Francia; ovvero il sovrano Alemanno si ostinava nel voler usare le armi, ed in tale caso il capitano di Francia distendeva i suoi pensieri sino all'occupazione di Vienna, impresa anch'essa, che avrebbe fatto il suo nome immortale. In questo poi era suo intento di affrettarsi, sì perchè, credendo di poter fare da se, non voleva che Moreau, calandosi per le rive del Danubio, lo ajutasse, e sì perchè aveva a cuore di assaltare l'arciduca innanzi che le genti di nuova leva, che già marciavano, avessero ingrossato le reliquie dei vinti. A condurre a fine queste fazioni due cose principalmente abbisognavano, l'una il non lasciarsi nissun sospetto alle spalle, l'altra il procacciarsi maggiori compensi a dare all'imperatore, se questi fosse obbligato a rinunziare alla Lombardia. L'uno e l'altro fine conseguiva col far rivoluzione nei paesi Veneti.
Con questi pensieri si accostava Buonaparte alla guerra d'Alemagna. Reggeva cinquantamila soldati fioritissimi, e veterani tutti dell'esercito Italico, ed a questi si erano congiunti ventimila venuti dal Reno sotto la condotta di Bernadotte. Gli aveva per tal modo distribuiti nelle stanze, che l'ala sua sinistra governata da Joubert e grossa di più di ventimila soldati molto agguerriti, guardava i passi del Tirolo sulla sponda sinistra del Lavisio oltre al Trento, distendendosi da una parte sino ai fonti dell'Adda verso Bormio, dall'altra sino a quei della Brenta. La mezza schiera condotta da Massena alloggiava Bassano; l'ala destra, alla quale presiedeva Buonaparte stesso, e che aveva un novero di trentamila soldati, alloggiava nel Trivigiano sino alle rive della Piave. Così con le tre schiere sovrastava Buonaparte ai tre passi, che dall'Italia danno l'adito all'Alemagna, primamente a quello, che da Bolzano dà, a traverso del monte Brenner, verso Inspruck, passo aspro e difficile; secondamente a quello, che dalla Ponteba pei fonti del Tagliamento, e per Tarvisio si apre verso Villaco; finalmente al terzo, che per cammino più facile e più diritto porta da Gorizia a Clagenfurt, a Gratz, ed a Vienna. Ma intenzione di Buonaparte era, poichè inoltrandosi verso Vienna aveva bisogno di tutte le sue forze, che Massena, occupati prima Feltre e Belluno sulla Piave, s'impadronisse del passo della Chiusa, e giunto per tal via nella superior valle del Tagliamento viaggiasse per Ponteba e Tarvisio alla volta di Villaco. Nè ciò bastando al suo disegno, aveva ordinato a Joubert, che ove si fosse fatto padrone di Bolzano e di Brissio, non istesse più a camminare oltre alla volta d'Inspruck, ma che anzi, vinti i Tedeschi, e voltandosi a destra marciasse per Bruneca, e Toblaco a Linzo sulle rive della Drava, e per tal modo accostasse le sue genti a Villaco ed a Clagenfurt. Per tale guisa, rotta tutta la fronte degli Austriaci, ed adunate tutte le sue genti sulla strada maestra per a Vienna, sperava, che tra la forza ed il tenore, gli sarebbe venuto fatto o di costringere alla pace l'imperatore, o di conquistare la metropoli dell'Austria. Dava nuovo incentivo a questi pensieri il sapere, che una parte forte in Vienna, fino negl'imperiali consigli, inclinava alla pace, la quale parte più efficacemente operando, quando più fosse imminente il pericolo, avrebbe fatto che l'opinione sua restasse superiore. Questa parte era ajutata dai ministri di Spagna e di Napoli, che speravano, per mezzo della pace coll'imperatore, veder vantaggiata la condizione dei sovrani loro. Mescolavansi in questo maneggio donne di alto legnaggio, alle quali piaceva o l'ambizione d'intromettersi nelle faccende di stato, o le parole di libertà, o la gloria di Buonaparte. Tutti questi umori e diligentemente saputi, e studiosamente nutriti dai repubblicani, erano i fondamenti principali a cui si appoggiavano le speranze del direttorio, quando mandava Clarke a trattare gli accordi in Italia. A loro si opponeva per la rettitudine dell'animo suo l'imperator Francesco. Opponevasi ancora, e molto gagliardamente Thugut ministro, o che inclinasse alla parte d'Inghilterra, come pubblicavano i repubblicani, o che credesse, come è più verisimile, che la pace fosse più pericolosa della guerra. Per cagione di questo era Thugut divenuto segno di ogni più vile ingiuria nelle gazzette repubblicane di Francia; nè Buonaparte si ristava, solito a vituperare chi meglio serviva alla patria, che a lui. Mandava anche bandi agli Ungari, affinchè si ribellassero contro la casa d'Austria, e si vendicassero in libertà. Così mescolando le seduzioni alle armi, e le armi alle seduzioni, e niuna cosa santa ed inviolata avendo, s'incamminava a sconvolgere la monarchia d'Austria, e il mondo.
Animava i suoi soldati per fargli star saldi alle nuove pruove: badassero, diceva, che già avevano vinto quattordici campali battaglie, settanta minori, preso più di cento mila prigionieri, conquistato cinquecento cannoni leggieri, due mila grossi, piatte per quattro ponti, si ricordassero, avere senza spesa del pubblico vissuto un anno, mandato trenta milioni all'erario; per loro avere il museo di Parigi acquistato quanto di più bello aveva penato trenta secoli l'antica e la moderna Italia a produrre; le più belle contrade d'Europa essere in potestà della repubblica; a loro obbligate della libertà la Lombarda, e la Cispadana repubbliche; vedere per la prima volta l'Adriatico le Francesi insegne; là oltre, e poco distante mostrarsi la Macedonia antica; il re di Sardegna e di Napoli, il papa, il duca di Parma, abbandonata la lega, avere ricerco l'amicizia della repubblica; gl'Inglesi cacciati da Livorno, da Genova, da Corsica essere testimonj del loro valore; molto essersi per loro fatto, molto ancora restare a farsi; meritassero l'affezione della patria confidente nel loro coraggio; solo fra tanti nemici stare in piè ed in armi l'imperatore, l'imperatore postosi agli stipendi dei mercanti di Londra, dei perfidi isolani d'Inghilterra, che non tocchi dai mali della guerra, non tocchi dai mali del continente trionfavano; avere voluto il direttorio la pace a condizioni oneste; averle rifiutate la venduta Vienna: gissero adunque, esortava, la pace cercando nel cuore stesso degli stati ereditari d'Austria; vedrebbero popoli valorosi fatti infelici dalla guerra col Turco, fatti infelici dalla guerra con la repubblica; vedrebbero popoli sdegnati contro ministri corrotti dall'oro d'Inghilterra; la religione onorassero, i costumi rispettassero, le proprietà proteggessero, alla prode nazione Ungara la libertà recassero; la casa d'Austria venuta in odio ai popoli pei violati privilegi, sforzassero a quella pace, ch'essi stessi volessero, e la riducessero, a quella condizione di seconda potenza, a cui già si era da se medesima abbassata pei ricevuti salari d'Inghilterra. Voci molto incitatrici erano queste agli animi di soldati valorosi, vincitori, e che non conoscendo qual fosse in tanta contesa il dritto, il giusto, e l'onesto, non altro suono conoscevano, che quello delle armi.
Dalla parte dell'Austria, che mal volentieri si disponeva a lasciare del tutto le cose d'Italia abbandonate, le faccende passavano con maggior moderazione, ma non con maggior coraggio, se si guardano le risoluzioni di chi reggeva lo stato; imperciocchè, oltre le reliquie dei soldati vinti, si mandavano alla volta della Carintia, della Carniola, e del Friuli circa trentamila delle genti del Reno, nuove leve si ordinavano negli stati ereditari, la nazione Ungara volonterosamente accorreva in ajuto del sovrano pericolante. Una massa di soldati vecchi e nuovi alloggiava a Salisburgo pronta a correre ai passi dell'Alpi; un campo si ordinava a Neustadt, come antemurale alla capitale dell'impero. Tutto ciò non si faceva senza necessità, perchè grande era la debolezza dell'esercito Italico, nè era l'animo maggiore delle forze; cinque volte vinto aveva perduto l'antico ardimento; le compagnìe sceme, i soldati nuovi non usi all'armi, i vecchi sconfortati dalle sconfitte; nè ordine stabile era fra loro, nè unità di consiglio; perchè mescolate le compagnìe, mescolati i soldati, non era più fra loro abitudine comune, sola madre dell'operare accordato, e della perfetta disciplina. Deboli le fanterìe, ancora più debole la cavallerìa, nervo tanto principale degli eserciti Austriaci, perchè il fiore era perito nella Mantovana guerra. Nè i generali, o gli ufficiali fra di loro s'intendevano, perchè lo sbigottimento dà luogo al voler provvedere alla salute sua ciascuno da se, e perciò il disordine, ed eziandio i rimproveri reciproci, come suole accadere nelle disgrazie, interrompevano l'armonìa. Non ostante in mezzo a tanta depressione d'animi e di fortuna, riconfortava la sbattuta oste il pensiero dello avere a guidatore e capo delle nuove imprese l'arciduca Carlo, principe amatissimo, che recentemente aveva dato segni di non mediocre perizia, e di singolare ardimento nelle guerre d'Alemagna. Nondimeno non potevano gli Austriaci per avere ogni provvedimento debole, perduta Mantova, il fiore della cavallerìa, e tante battaglie, sperare di riconquistare i dominj loro in Italia. Solo si confidavano di arrestare ai passi dell'Alpi verso la Germania i Francesi tanto che, conservato il cuor dell'imperio, potesse Francesco imperatore o difendersi con vantaggio, o convenire con onore.
Alloggiavano nel Trentino, nel paese di Feltre, e nella Marca Trivigiana, distendendo la fronte loro dai monti di Bormio insino alla foce della Piave. Ritirava sul principio di febbraio l'arciduca il grosso sulla sinistra riva del Tagliamento, e lo alloggiava nel Friuli e nella Carintia, lasciando tre schiere sulla fronte descritta. Trovavasi Liptay con una di esse a guardare lo spazio, che corre dalla frontiera dei Grigioni a Salorno, terra posta sulla sinistra dell'Adige sopra al Lavisio, e per tal modo stava a difesa del superiore Tirolo. Spiegava la seconda le sue ordinanze da Salorno a Feltre a traverso i monti che spartono le acque dell'Adige da quelle della Piave. Obbediva questa al freno di Lusignano, ed era pronta a venire al cimento con quei soldati rischievoli di Massena. Finalmente il principe di Hohenzollern con settemila soldati custodiva il paese da Feltre, scendendo per la sinistra della Piave fin dove ella mette in mare. Fermava l'arciduca il suo principal alloggiamento in Udine, capitale del Friuli, perchè sapeva, che il più forte sforzo dell'inimico si doveva indirizzare verso Gorizia.
Dipendevano gli animi degli uomini da espettazione di cose grandi nel vedere due capitani eletti, l'uno negli occhi di tutto il mondo per le guerre d'Italia, l'altro per quelle d'Alemagna, ed entrambi pari d'età, entrambi pari di valore, vicini al venire fra di loro al cimento dell'armi. Ma sebbene l'animo, e la perizia nelle cose di guerra nei due emoli si pareggiassero, non era la medesima la natura in ambidue, nè la stessa ancora la condizione dei tempi e dei luoghi, in cui si ritrovavano. Era l'uno audace ed impetuoso, l'altro temperato e prudente; guidava il primo genti vittoriose, il secondo genti quasi tutte vinte; combatteva quegli con l'armi o con le suggestioni, combatteva questi con l'armi e con l'antica fede; aveva il repubblicano l'esercito più grosso, il principe minore; andava con la vittoria di Buonaparte la conservazione dell'impero francese in Italia, andava con la vittoria di Carlo la conservazione della monarchìa d'Austria, e la messa di lui era maggiore di quella dell'avversario. Da un altro lato erano tutto all'intorno, e dietro, più fedeli i popoli al capitano Austriaco, più avversi al Francese, il che faceva le ritirate più sicure al primo che al secondo; e se il ritirarsi era più necessario a quello, era il vincere più necessario a questo. Per la qual cosa altra maniera di guerra doveva seguitare Buonaparte, ed altra Carlo; perchè la vittoria del primo consisteva nella celerità, quella del secondo nell'indugio, ed il non vincere fra breve tempo era per quella parte un perdere, sostenere per qualche tempo la guerra era per questa un vincere. La natura adunque dei tempi conveniva alla natura d'ambi i giovani emoli, e quello che per l'uno e per l'altro era necessità, era anche inclinazione. Per questo elesse Buonaparte di spignersi frettolosamente avanti per condurre alla giornata l'avversario ovunque il trovasse, mentre prese l'arciduca partito di ritirarsi, di farsi forte ai passi, di tagliare i ritorni, di non tentare senza necessità la fortuna del combattere, e di operar per modo sì coi soldati che con le popolazioni, che di altro spazio non fosse il Francese padrone, se non di quello in cui i suoi soldati insistessero. A questa deliberazione era anche costretto dal pensare, che, non essendo ancora giunti tutti, quantunque già fossero in viaggio, i rinforzi che dal Reno, dall'Ungheria, e dagli stati ereditari aspettava, il tirarsi indietro era avvicinarsi ai medesimi, e perciò diventare ogni ora più grosso, mentre a Buonaparte continuamente scemerebbono le forze in proporzione dello avanzarsi, a cagione dei presidj che doveva e nei luoghi aperti e nei chiusi lasciarsi alle spalle, per mantenere le strade sicure verso l'Italia, donde gli venivano i sussidi di soldati e di munizioni. Certamente buon modo di guerra intraprendeva Carlo, e mancò piuttosto l'animo in Vienna, che la prudenza nel difensore.
Il primo a dare il segnale delle nuove battaglie fu il generale di Francia: il dieci marzo si muoveva con la sua destra, e con la mezzana schiera. Era suo primario intendimento di entrar fra mezzo agli Alemanni per modo che l'ala loro destra restasse separata dalle altre. Perciò aveva ordinato, che il principale sforzo in questa prima mossa fosse fatto dalla mezzana, che raunata sulle rive della Piave obbediva a Massena; perchè era evidente, che ove egli fosse riuscito ad impadronirsi della Piave superiore, occupando il paese di Cadore, era interrotta la strada dal Tirolo al Friuli. Conseguito questo intento diveniva più facile a Joubert di cacciarsi avanti gl'imperiali fino all'ultimo varco di Germania, per quindi condursi per la valle del Puster e della Drava agli ulteriori disegni di Buonaparte. Nè mancava Massena del debito suo: perchè non così tosto si mosse, che gli Austriaci, abbandonata la fronte del Cardevolo, ed i luoghi più bassi, andavano a porsi in sito forte oltre Belluno a fine di propulsare l'inimico, se tentasse d'innoltrarsi nella valle di Cadore. Seguitavagli tostamente il Francese, e quantunque Lusignano con grandissimo valore si difendesse, prevalendo i repubblicani di numero, fu alla fine obbligato, non giovandogli nè l'avere ordinato i suoi in globo per aprirsi il passo alla salute, nè un bravo menar di baionette, a por giù le armi con tutta la sua schiera, e a darsi in potestà del vincitore. Per tal modo meglio di seicento soldati, Lusignano con loro, vennero in poter dei Francesi; ma fu maggiore il numero degli Austriaci uccisi in quell'ostinato conflitto. Al tempo medesimo Serrurier e Guyeux varcavano la Piave a Vidoro e ad Ospidaletto, ed occupato Conegliano e Sacile si avvicinavano al Tagliamento. Aveva l'arciduca munito la sponda sinistra di questo, piuttosto impetuoso torrente che giusto fiume, di trincee con averle afforzate con artiglierie. Stanziavano anche numerose torme di cavalleggieri pronte a ributtare l'inimico, ove passasse. Ma queste erano meglio dimostrazioni per ritardare, che per arrestare l'inimico, perchè le acque del Tagliamento, non ancora sciolte le nevi sui monti, si potevano guadare in molti luoghi. Per la qual cosa i Francesi, schivando i passi muniti, riuscivano facilmente sulla sinistra. Fuvvi qualche incontro di cavallerìa assai brava, ma i fanti Tedeschi fecero sperienza di poca virtù, quando la cavallerìa dei repubblicani, varcato il fiume, gli ebbe assaltati. Al contrario i primi fanti francesi che avevano passato, percossi vigorosamente dalla cavallerìa tedesca, avevano contrastato con molta forza. Fu poco notabile in questo fatto la perdita dei repubblicani. Mancarono degl'imperiali meglio di seicento soldati tra uccisi e prigionieri: s'aggiunsero alle conquiste dei vincitori sei cannoni. Venne prigione in mano loro il generale Schultz.
Passato il Tagliamento, ed assicurato Buonaparte sulla sinistra per la vittoria di Massena, che già da Cadore, valicando dai fonti della Piave a quei del Tagliamento, si accostava con presti alloggiamenti alla Ponteba, si stendeva per tutto il Friuli, cacciandosi avanti verso il Lisonzo le armi Austriache, che debolmente combattendo facilmente gli cedevano del campo. Già le fortezze di Palmanova e di Gradisca, e già Gorizia erano in poter suo venute. Quindi allargandosi a destra s'impadroniva di Trieste abbandonato da' suoi difensori, e fatta una subita correrìa sopra Idria, faceva sue quelle ricche miniere d'argento vivo, bottino ricchissimo, ma non tanto quanto portò la fama. Verso sinistra, procedendo altresì molto risolutamente, prendeva Cividale e s'incamminava a Chiavoretto, perchè voleva consuonare con Massena nel carico, che questi aveva d'impossessarsi del passo importante della Ponteba. Grande era questo suo pensiero; conciossiacchè se Massena guadagnava il passo della Ponteba, poi quello di Tarvisio, che gli succede, gli sarebbe venuto fatto di spuntare il fianco destro dell'arciduca, di separarlo da Kerpen, e da Laudon, d'impedire i rinforzi, che dal Reno gli pervenivano, e forse ancora di giungere a Clagenfurt sulla strada per a Vienna innanzi che il generalissimo Austriaco vi arrivasse. Con ciò conseguiva anche l'altro intento di assicurarsi la congiunzione delle genti di Joubert, che per la valle della Drava dovevano venire dal Tirolo. Parte di questi pensieri recava ad effetto, e parte no, perchè gli venne interrotta dalla celerità e dalla prudenza dell'avversario.
Ma prima che raccontiamo le importanti fazioni che ne seguirono, necessaria cosa è il descrivere, come le cose passassero tra Joubert da un canto, e Liptay, Kerpen e Laudon dall'altro nel Tirolo. Come prima ebbe avviso Joubert dei prosperi fatti accaduti nel Friuli, si metteva all'ordine per eseguir le imprese, che alla fede, ed al valor suo aveva Buonaparte raccomandate. Varcava il Lavisio il dì venti di marzo, non ostante che i cacciatori Tirolesi posti ai passi, con ispessi tiri ogni opera facessero per impedirlo: urtava Kerpen, che aveva un forte campo sulle alture di Cembra, tentando di accerchiarlo a sinistra per Cavriana. Al tempo stesso per la strada di Bolzano, e a destra marciavano Delmas, e Baraguey d'Hilliers. Fu valida, ma non lunga la difesa, pel timore che ebbe Kerpen di essere circuito sulla destra della sua fronte, però con celeri passi si ritirava a San Michele, donde gagliardamente anche combattuto dai Francesi viemmaggiormente indietreggiando, andava a porsi più sopra a Bolzano. Grave danno patirono in tutti questi fatti gli Austriaci, avendo perduto tra uccisi, feriti e prigioni circa tre mila soldati. Entravano successivamente, benchè non senza nuove battaglie e molto sangue, i Francesi in Salorno, in Peza, ed in Newmarket. La ritirata tanto presta di Kerpen poneva in grave pericolo Laudon, che alloggiava sulla destra dell'Adige, perciocchè le raccontate fazioni accadevano sulla sinistra. Nè i Francesi trasandavano la occasione; anzi, varcato il fiume ai ponti di Salorno e di Newmarket, assalivano Laudon nel suo campo di Tranen, e lo rompevano con uccisione di molti, e con circa novecento prigioni, e parecchie artiglierìe prese. Dopo questa rotta, che faceva impossibile a Laudon di ricongiungersi con Kerpen, non ebbe altro rimedio, che di cercar ricovero nelle parti superiori della valle di Merano. Quivi stette aspettando, che la fortuna gli offerisse nuova occasione di risorgere.
Seguitavano i Francesi il corso della fortuna vincitrice, ed urtato Kerpen che aveva fatto un forte alloggiamento alla Chiusa, lo avevano sloggiato e percosso di modo, che abbandonato anche Brissio, pensava a ritirarsi a Sterzing, luogo molto scosceso, stretto, rotto, difficile, e posto nelle montagne del Brenner presso al sommo giogo dell'Alpi, dove si spartono le acque dell'Adige e dell'OEno, ultima difesa d'Alemagna contro chi viene dalle terre d'Italia. I Francesi lo assaltavano audacemente in quel fortissimo alloggiamento; fu dura e sanguinosa la battaglia; furono costretti a tornarsene indietro, o che l'intoppo fosse troppo forte, o, come pare più probabile, che l'intento loro fosse solamente di assicurarsi, non di passare, perchè era pericoloso a Joubert di condursi sino ad Inspruck, e non conveniente ai disegni di Buonaparte, che voleva vicina a se, e non lontana, nè separata da alte e disagevoli montagne quella schiera. Adunque Joubert si fermava a Brissio, dove poteva a suo grado o stare osservando le cose del Tirolo, o marciare per Bruneca e Toblaco a Linzo, e di là fino a Villaco per trovarvi Buonaparte. Ma non tardava a fare la fortuna, che quello, che era elezione per lui, diventasse necessità.
Chiamava Laudon i Tirolesi all'armi, gli chiamava Kerpen: secondava con ardenti esortazioni l'opera loro il conte di Lerback, personaggio di grande autorità, e molto potente nelle cose del Tirolo. I bellicosi abitatori di quelle montagne al suono di voci tanto gradite correvano all'armi bramosamente contro i conculcatori della patria loro: nè il sesso, nè l'età si rimanevano, perchè furono veduti e vecchi, e donne, e fanciulli, dato di mano alle armi, che il caso od il furore parava loro davanti, mettersi in piè per difendere le antiche ed amate sedi loro. Nè la stagione sinistra, nè le alte nevi, nè i grossi ed impetuosi torrenti, nè ogni disagio di guerra o di vettovaglia gl'impedivano. Passava tant'oltre quest'improvviso tumulto, che sul principiar di aprile, risuonando quelle valli d'ogni intorno d'armi e di grida guerriere, meglio di venti mila combattenti erano in pronto contro quella gente venuta da lontani paesi per conquistargli. Intanto i generali Tedeschi, che sapevano, che le moltitudini disordinate sono piuttosto preda, che danno ad un nemico bene ordinato, avevano distribuito in battaglioni giusti quella massa tumultuante, e mescolatovi, per dar polso e regola, alcuni drappelli di regolari. Principale fondamento facevano nell'opera di costoro, perchè questi popoli accorsi, sapendo il paese, potevano acconciamente ferire alla leggiera, opprimere i traviati, mozzar le strade, riuscire improvvisi alle spalle, bersagliare da lungi e da luoghi erti, soprapprendere le bagaglie, impedire la vettovaglia, insomma fare ogni cosa avanti, a' fianchi, e addietro sospetta e pericolosa.
Kerpen e Laudon, fatti forti da questo accalorato stormo, ed ingrossati anche da qualche battaglione di regolari venuti dall'esercito Renano, si consigliavano di voler cacciare del tutto dal Tirolo i repubblicani. Con questo pensiero Laudon, che aveva spogliato d'abitatori la valle di Merano, ed ordinatigli sotto le insegne, calava minacciosamente da quei luoghi alti e dirupati, ed andava a battere a mezza strada tra Brissio e Bolzano, col fine di tagliar il ritorno ai Francesi alle parti disottane dell'Adige. Gli riusciva l'intento, perchè assaltate con impeto le vanguardie Francesi, le faceva piegare, e s'impadroniva di Bolzano. Fatto poscia più audace dal fortunato successo, saliva per le rive dell'Adige per congiungersi con Kerpen, e per istringere vieppiù Joubert, che tra l'una schiera e l'altra stanziava a Brissio. Occupava la Chiusa, poi Steben, tanto ritirandosi i Francesi più in su, quanto più s'avvicinava Laudon: già Brissio medesimo pericolava. Nè se ne stava neghittoso in questo mezzo tempo Kerpen, perchè calando con le sue genti miste di Tirolesi e di Tedeschi da Sterzing, rincacciava i repubblicani fin sotto le mura di Brissio. Per questo modo a Joubert accerchiato da tre parti, a tramontana da Kerpen, a ostro ed a ponente da Laudon, non rimaneva più altro scampo, che a levante per la valle del Puster, poscia per quella della Drava sino a Villaco. Partitosi da Brissio il dì cinque aprile, e ritardato l'impeto di Kerpen, che lo voleva seguitare, con aver rotto il ponte sull'Eisaco, arrivava il giorno otto a salvamento a Linzo, dove trovava alcuni squadroni di cavalleria, che il generalissimo, geloso di quel passo, aveva mandati ad incontrarlo. Poscia marciando sollecitamente in giù per le rive della Drava, e rotte alcune squadre collettizie all'Ospedale, che volevano serrargli il passo, conduceva ad effetto a Villaco la congiunzione dei due eserciti. Ma Laudon non si ristava; che anzi cacciando all'ingiù dall'Adige i Francesi, entrava vittorioso in Trento e Roveredo. S'allargava anche sulle sponde del lago a Torbole ed a Riva. Questa mossa, che già faceva sentir il romore delle armi Tedesche nella pianura frapposta fra l'Adige e il Mincio, partoriva effetti importanti, e ne avrebbe partorito degli estremi, se l'imperatore Francesco avesse mostrato, in quest'ultima fine, maggiore costanza, ed il senato Veneziano maggiore ardimento.
La guerra si avvicinava sugli estremi confini d'Italia per opera di Massena ad un evento terminativo, per quanto spetta alla difesa degli stati ereditari d'Austria. Già si è da noi notato, di quanta importanza fosse il passo della Ponteba. Per questo aveva comandato l'arciduca a Ocskay, che lo custodiva, ostinatamente il difendesse. Confidando nel valore de' suoi, veniva in pensiero di sopraccorrere improvvisamente con forze superiori contro Massena, e di conculcarlo prima che Buonaparte avesse tempo di soccorrerlo. Il quale intento, se avesse avuto il suo effetto, l'arciduca avrebbe fatto a Buonaparte quello, che Buonaparte voleva fare a lui, cioè separare l'ala sua destra dalle genti del Tirolo, che erano la sua sinistra. A questo fine ebbe tostamente il generale austriaco adunato alcune truppe già venute dal Reno, e comandava al tempo medesimo ai generali Gontreuil e Bajalitsch, marciassero risolutamente a Tarvisio per a Ponteba; gli seguitava di pari passo, conducendo con se le artiglierie più grosse. L'accidente era importante, il momento fortunoso. Già marciava l'arciduca quasi sicuro della vittoria; ma quando più confidava di un prospero fine, gli sopravvenivano le novelle, certamente ingratissime, che Ocskay, non facendo alla Ponteba contro Massena quella sperienza che si aspettava di lui, si era tirato indietro fino a Tarvisio; che anzi velocemente seguitato dal nemico, aveva anche abbandonato Tarvisio, ritirandosi più che di passo verso Wurtzen. Quest'accidente tanto impetuoso fece precipitar l'arciduca ai rimedi: comandava a Ocskay, che tornasse incontanente, e cacciasse i repubblicani da Tarvisio. Ma il suo intento non ebbe effetto, perchè Ocskay, troppo accelerando il cammino, già era arrivato a Wurtzen, terra troppo più lontana che abbisognasse, perché ei potesse giungere a tempo alla fazione. Non si perdeva d'animo per tanto sinistro l'arciduca, e, non lasciata indietro diligenza od opera alcuna, pensava a ricuperar col valore quello, che la timidità aveva perduto. A questo fine ordinava a Gontreuil e Bajalitsch, seguitassero a marciare, e restituissero ad ogni modo alle armi austriache il passo di Tarvisio. Tanto velocemente marciò il primo, guidatore dell'antiguardo, che, valicato il colle di Ober-Preth, urtava valorosamente in Tarvisio, cacciavane i repubblicani, e perseguitandogli, gli respingeva sin oltre al villaggio di Salfnitz, e se fosse stato presto Bajalitsch ad arrivare per fermare i suoi nella battaglia, l'impresa aveva il suo compimento. Ma egli, o fosse ritardato dai luoghi aspri, o dagl'impedimenti delle artiglierìe che voleva condurre con se, non potè arrivare a tempo alla fazione, per modo che il seguente giorno, che fu ai ventitre di marzo, Massena, raccolti ed adunati i suoi, e già prevalendo di forze contro Gontreuil rimasto solo, dava dentro, prima a Salnitz, poscia a Tarvisio, e da ambi i luoghi cacciava gl'imperiali. Nè valsero il valore di Gontreuil, che fu molto notabile, nè quello delle sue genti che combatterono virilmente, nè la presenza dell'arciduca medesimo che era accorso, e fece in questa battaglia le veci non meno di esperto capitano, che di animoso soldato, ad arrestare il corso della fortuna contraria; perchè non solamente fu rotto e ferito Gontreuil, ma fu cagione, che rotto ancora fosse poco dopo Bajalitsch che arrivava; conciossiachè Massena vittorioso, rivoltatosi contro questa seconda colonna, le dava l'assalto sui confini di Raibel. Al tempo medesimo Guyeux, che si era impossessato per una battaglia di mano del forte passo della Chiusa di Plezzo, accostatosi ancor esso, l'assaliva alla coda. La schiera, urtata da tutte le parti da un nemico vittorioso, ridotta ad un'estrema lassezza pel camminare frettoloso su per quei monti, nè avendo speranza di soccorso, deposte le armi, si arrendeva. Quattro generali, quattromila soldati, venticinque cannoni, quattrocento carri carichi di bagaglie e di munizioni furono i cospicui segni delle vittorie di Tarvisio e di Raibel. Tali furono i risultamenti della mal difesa Ponteba, e per aver il nemico preso il vantaggio dei passi, restò vana la fatica ed il desiderio dell'arciduca.