Kitobni o'qish: «Non resta che scappare», sahifa 3

Shrift:

CAPITOLO CINQUE

Adele teneva la fronte aggrottata mentre guardava il suo portatile, comoda nel suo posto in prima classe fornitole dall’Interpol. L’aereo vibrava sfrecciando nel cielo, ma Adele era concentrata sullo schermo del computer che illuminava la piccola porzione della sua cabina.

Si trovò a giocherellare nervosamente con la tracolla della sua borsa porta-computer che stava appoggiata sul sedile vuoto accanto a sé, mentre continuava a scrutare le informazioni che aveva davanti. Una volta letto il file di un caso, raramente ne dimenticava i dettagli.

Si mise più comoda, appoggiandosi alla parete curva in plastica bianca, gli occhi che scattavano dai paragrafi alle foto.

Due morti fino ad ora. Tre giorni tra una vittima e l’altra. Un ritmo rapido, anche per un serial killer. Nessuna prova materiale in assoluto. Un rene mancante nella prima vittima e un rapporto medico legale ancora pendente per la seconda. Anche a questa poteva forse mancare un rene?

Giovani donne, entrambe. Espatriate. Americane che ora vivevano in Francia. Arrivate di recente. Entrambe uccise così velocemente da non aver reagito. Quella era l’unica spiegazione della natura netta dei tagli. Nessuna ferita slabbrata, nessun segno di colluttazione. Un momento le giovani donne erano vive nei loro appartamenti, e l’attimo dopo quella vita gli era stata portata via, come per opera di un fantasma.

Adele dubitava che le donne se ne fossero addirittura rese conto. Non era un grosso indizio, non ancora per lo meno. Rimase comunque concentrata, con la tendina dell’oblò abbassata, ascoltando il vibrare dei motori. Socchiuse gli occhi e continuò ad analizzare il file. Ancora, e ancora… e ancora.

***

Era riuscita a collegarsi al Wi-Fi dell’aeroporto Charles De Gaulle, e le sue sopracciglia si rilassarono quando vide l’ultimo messaggio che le aveva mandato Robert Henry, il suo vecchio mentore e amico. Diceva: Scusa, cara, non verrò a prenderti io. Hanno mandato un altro agente. Poi aveva incluso un sacco di emoji e faccine sorridenti.

Lei esitò e poi scrisse: Nessun problema. Ci vediamo in ufficio. Chi hanno mandato?

Nessuna risposta. Adele scosse la testa mentre accedeva al terminal centrale, accolta dall’aroma di caffè ultra-costoso e vecchi pasticcini che proveniva dai vari ristoranti dell’aeroporto. I suoi occhi si spostarono lungo una serie di negozi: uno di oggetti bizzarri e l’altro di libri. Rimise il telefono in tasca e andò velocemente verso il ritiro bagagli. L’altra volta l’avevano messa in coppia con John: probabilmente sarebbe successo di nuovo. Ma le cose erano rimaste sospese in modo impacciato dopo l’ultimo incontro. Mentre lei e Robert avevano continuato a mandarsi frequentemente messaggi durante quel mese, dopo il suo ritorno dalla Francia, John non l’aveva contattata una sola volta.

Neanche tu, le ricordò una vocina.

Ma lei la cacciò via con una leggera scrollata di spalle. Raggiunse il ritiro bagagli e vide la sua valigia che faceva il giro del nastro. Aspettò con pazienza, ma non riusciva comunque a cacciare quel senso di impaziente attesa che le opprimeva il petto.

Alla fine riuscì a recuperare il suo bagaglio, aspettando che si liberasse un posto attorno al nastro trasportatore.

Si ritrovò a sistemarsi i capelli dietro alle orecchie e a raddrizzare la postura anche mentre si avvicinava al controllo documenti e aspettava che l’agente di frontiera desse un’occhiata al suo speciale passaporto. Datti una calmata, pensò con severità. Perché era tutt’a un tratto così preoccupata del proprio aspetto? John o no, perché era così importante? Adele era più alta di molte altre donne, ma non in modo così insolito. I suoi capelli biondo scuro incorniciavano dei tratti del viso che lasciavano intendere la sua discendenza franco-americana. Esotica, secondo qualcuno. Aveva un neo solitario sopra al labbro, fonte di insicurezza da ragazza, ora non più.

Adele pensò all’ultima sera in cui aveva visto John, mentre nuotavano nella piscina privata che Robert aveva nella sua villa. Il modo in cui John si era posto all’inizio della serata, rispetto a come si era poi comportato alla fine. Aveva tentato di baciarla, no? Aveva forse frainteso il gesto? Qualsiasi fosse la risposta, quando lui si era ritratto, era sembrato offeso. E poco dopo se n’era andato.

Disobbedendo alle proprie confuse emozioni, Adele si scompigliò i capelli, mettendo appositamente in disordine i suoi ricci.

Poi, con espressione decisa in volto, passò oltre il controllo passaporti e arrivò all’area di accoglienza dell’aeroporto.

I suoi occhi scrutarono la folla, alla ricerca della figura alta e allampanata del precedente partner francese. Ma mentre guardava tutte le persone in attesa, non vide alcun segno della presenza di John. Il suo sorriso – che non si era accorta di avere stampato in faccia – divenne alquanto plastico quando il suo sguardo si posò su una donna in tailleur che stava appoggiata alla vetrata che si affacciava sulla strada.

Il sorriso scomparve del tutto quando Adele riconobbe la donna con le labbra corrucciate e i capelli argentati raccolti in uno chignon. Assomigliava a una pragmatica insegnante supplente, o forse a una suora senza divisa. Non c’era una sola ciocca di capelli che fosse fuori posto, e addirittura le rughe attorno agli occhi sembravano tendersi nel tentativo di mettersi sull’attenti.

Una agente con cui aveva lavorato in passato… Ma non John.

Questa particolare agente era stata il supervisore di Adele quando lei lavorava per il DGSI. Era anche stata declassata dal precedente incarico, uno scenario sfortunato del quale Adele si era ritrovava a sostenere la colpa. Tutto lo sdegno e l’impazienza erano visibili in ogni sfumatura degli occhi dell’agente Sophie Paige, ma almeno la donna alzò una mano e fece un rapido gesto indirizzato ad Adele per richiamare la sua attenzione.

Non un gesto di saluto, ma più uno di richiamo, come un padrone con il suo cane. Adele rimase impietrita un secondo, sentendo la gente che le passava accanto per andare a salutare i proprio familiari o amici. L’ambiente era ravvivato da risate, dal rumore di corpi che si abbracciavano, da mormorii sommessi di viaggiatori esausti che se ne andavano dall’aeroporto e correvano verso taxi o auto.

Per un brevissimo momento, Adele dovette resistere all’urgenza di fare dietrofront e tornare sull’aereo, lasciando Sophie Paige e il suo cipiglio lì vicino alla vetrata.

Ma alla fine raccolse un residuo di coraggio, si infilò i capelli dietro alle orecchie con rapidi gesti furtivi e avanzò verso la figura dell’agente che era stata suo supervisore e che ora le faceva da partner.

CAPITOLO SEI

Portata fuori dal centro di Parigi, nei sobborghi nord-occidentali della zona dell’Ile-de-France, Adele teneva gli occhi fissi davanti a sé mentre l’auto si fermava al quarto piano del parcheggio del DGSI. Il tragitto pomeridiano era proceduto nel più completo silenzio. Ora l’agente Paige uscì bruscamente dal veicolo, dicendo qualcosa su un incontro con Foucault. Lasciò Adele da sola a farsi strada attraverso la sicurezza per poi arrivare all’ufficio del suo vecchio mentore.

Entrare nell’ufficio di Robert fu un sollievo.

Adele poté sentire le spalle che si rilassavano come se le avessero tolto di dosso un peso, quando passò attraverso la porta dopo aver bussato delicatamente. La giornata di viaggio le pesava ancora addosso, ma il suo umore si sollevò mentre scrutava la familiare stanza. Le pareti avevano ancora le stesse vecchie foto incorniciate di auto da corsa e, sotto di esse, c’erano le mensole con polverosi tomi rilegati in pelle. Ora c’erano due scrivanie nella stanza. La seconda era stata posizionata accanto alla finestra, con una sedia girevole dallo schienale alto, rivestita in pelle, piazzata subito dietro. Sulla scrivania, una targhetta dorata diceva Adele Sharp.

Sentendo un uomo schiarirsi la gola, Adele riportò l’attenzione alla prima scrivania e al suo occupante.

Robert Henry era già in piedi. Si alzava spesso in piedi quando una donna entrava nella sua stanza. L’uomo, basso di statura e con lunghi baffi arricciati tinti di nero, teneva la schiena dritta.  Indossava un abito che gli calzava perfettamente e che Adele sospettava fosse stato realizzato su misura per lui. Robert aveva origini benestanti: il lavoro al DGSI non gli serviva, ma a lui piaceva. Forse questo era il motivo per cui possedeva una delle migliori schede al dipartimento. Robert un tempo aveva giocato a calcio per una squadra semi-professionista in Italia, ma era tornato in Francia quando era stato assoldato dal governo francese, ben prima che venisse fondato il DGSI.

Fisso Adele per un momento, ma i suoi occhi luccicarono, tradendo il sorriso che teneva nascosto dietro le labbra.

“Ciao,” disse Adele, incapace lei stessa di trattenere un sorriso.

A quel punto Robert Henry le sorrise, mostrando una schiera di denti perfettamente bianchi, dove però due erano mancanti. Adele aveva sentito molte storie su come avesse perso quei denti, una più improbabile dell’altra.

Si guardarono negli occhi da una parte all’altra della stanza, osservandosi per un momento.

Poi Adele disse: “Usi troppi emoji.”  Parte del cattivo umore di prima iniziava a stemperarsi di fronte al vecchio mentore e amico.

Robert tirò su con il naso. “La considero una forma d’arte.”

“Uhm,” disse lei. “Non eri stato tu a dirmi che l’avvento dei cartoni animati era stato la morte della cultura?”

Robert allargò le spalle e sollevò il mento, quindi rispose: “Un uomo raffinato sa come ammettere di essersi sbagliato.”

Il sorrisino appena abbozzato di Adele si trasformò in un sorriso bello e proprio. Robert Henry era stato per lei come un padre per molti anni. Il suo padre vero non era particolarmente affettuoso, ma Robert era un tipo capace di mettere da parte i propri modi per assicurarsi che lei si sentisse accolta e confortata. Robert possedeva una villa, ma ci viveva da solo e accoglieva spesso con gioia l’opportunità di avere degli ospiti. Adele sarebbe stata da lui fintanto che si sarebbe fermata in Francia.

“Ci hai messo un po’,” le disse Robert, guardando l’orologio. Era di luccicante argento, il genere di oggetto che si sarebbe normalmente visto al polso di un banchiere. Robert si sistemò i gemelli della camicia e spinse l’orologio sotto il bordo dei polsini perfettamente stirati.

Adele posò la valigia contro lo stipite della porta e appoggiò sul pavimento la borsa del computer. “Chiunque abbia programmato il mio volo, mi ha fatto fare uno scalo di tre ore a Londra,” disse. “Poi c’è voluto un po’ per arrivare alla macchina: siamo dovute andare a piedi dall’altra parte dell’aeroporto. Una persona più meschina penserebbe che lei l’abbia fatto apposta, giusto per infastidirmi.”

Robert si accigliò. “Lei? Con chi ti ha messa a lavorare, Foucault?”

Invece di rispondere, Adele attraversò la stanza e allargò le mani, abbracciando l’amico. Lei non era altissima, ma Robert era quasi dieci centimetri più basso di lei. Lo tenne stretto a sé e sentì un piacevole calore nel petto. Era più piccoletto di quanto ricordasse. Quasi… fragile. Anche se Robert si tingeva baffi e capelli, Adele non poteva trascurare il fatto che stesse invecchiando. Sciolse l’abbraccio e gli sorrise ancora. “Ho sentito che lavoreremo nei pressi del tuo ufficio,” gli disse.

Robert le diede una pacca sulla spalla con gesto confortante. “Sì, quella è tua,” disse, accennando alla scrivania che portava la targhetta con il suo nome.

“L’ho messa vicino alla finestra. Mi piace lì.”

“L’ultima volta che sei stata qui, ricordo che ti piaceva la vista da lì,” aggiunse, scrollando le spalle. Abbassò la mano e tornò alla propria sedia, sbuffando sommessamente mentre vi si accomodava.

“Va tutto bene?” gli chiese Adele.

Robert annuì, facendo un gesto con la mano come a voler cacciare via altre simili domande. “Si, certo. Le vecchie ossa non si muovono come un tempo, quindi temo che non sarò sul campo con te.”

Adele annuì evasiva. “Me l’ero immaginato. Ad ogni modo, abbiamo bisogno di qualcuno che tenga le fila delle cose da qui.”

Robert non stava più sorridendo. Tutt’a un tratto il suo sguardo sembrava duro.

“Non sei malato, vero?” disse rapida Adele. Non era sicura di quale fosse l’origine di quella domanda, ma le uscì dalla bocca prima che potesse fermarla.

Robert sorrise e scosse la testa. “No, non che io sappia. Ma,” continuò, picchiettando le dita contro la scrivania e poi guardando lo schermo del computer di fronte a sé, “sto imparando meglio come usarlo. Con le email faccio fatica. Ma ho pensato, beh, per il tuo bene…” Si interruppe, sollevando lo sguardo su di lei.

Adele provò una vampata di gratitudine. Sapeva quanto Robert odiasse la tecnologia. Nonostante la quantità di emoji che usava nei suoi messaggini, aveva fatto il testardo di fronte all’avvento dei computer. Lo stesso, lei aveva chiesto all’Interpol che gli permettessero di essere parte del team. Questo era il patto che avevano sancito quando la signora Jayne le aveva proposto il contratto.

Al tempo, Adele aveva sentito voci e pettegolezzi che il DGSI stesse tentando di allontanare Robert dalla sua posizione: una sorta di pensionamento obbligatorio. Sentì un lampo di frustrazione. Il pensiero che qualcun altro prendesse il posto di Robert era irragionevole. Avevano messo in piedi la sezione omicidi del DGSI in parte con i suoi sforzi. Lui si era fatto un nome presso altre agenzie ben prima che il DGSI venisse formato, cosa che aveva attratto un sacco di nuove reclute. Adele rispettava la maggior parte degli agenti che lavoravano per l’Intelligence francese, ma nessuno suscitava il suo rispetto quanto Robert. Quell’uomo aveva una speciale intelligenza intuitiva e molto raramente si sbagliava. Nell’ultimo caso a Parigi, aveva insistito che l’assassino fosse un uomo con i capelli rossi, e ne aveva sottolineato la vanità. Lei non ne era stata sicura, ma alla fine la deduzione si era rivelata accurata.

Però Adele ricordava gli scambi con il direttore Foucault. Il cipiglio sulla sua fronte quando lei aveva richiesto l’aiuto di Robert. L’agenzia stava cercando di sfoltire il personale. Ora però, con l’aiuto del suo mentore all’Interpol, Foucault si era trovato con le mani legate.

“Ho bisogno di te,” gli disse semplicemente. “Sei il migliore in quello che fai.”

Robert scosse la testa e sospirò. “Non so se sia vero, cara,” disse, la voce tutt’a un tratto più debole.

“È così. Non ti preoccupare dei computer: ce la farai. Ne sono sicura. Abbiamo bisogno di qualcuno con cui avere i contatti alla base, che coordini le cose da qui. E non vorrei nessun altro.”

Robert annuì di nuovo, l’espressione ancora mesta. “Sono vecchio, Adele. So che può non sembrare.” Si passò la mano tra i capelli chiaramente tinti. “Ma questa agenzia, questo posto, penso sia per gente più giovane adesso.”

Adele si fece ancora più confusa. “Perché stai dicendo queste cose?”

Robert agitò una mano in aria. “Non ha importanza. Sono contento. Probabilmente, se non avessi chiesto di me, sarei stato mandato fuori dall’agenzia nel giro di una settimana.”

Ora la confusione di Adele si tramutò in risentito cipiglio. “L’hai sentito? Qualcuno ti ha detto che stavano cercando di sbarazzarsi di te?”

Robert scosse la testa. “Sono un investigatore. Non sono fatto per stare incastrato dietro a una scrivania. A volte queste cose le sai e basta.”

“Stai pensando troppo. Il tuo valore è impareggiabile, fidati di me. E poi, se tu te ne vai, me ne vado pure io”.

Robert sorrise di fronte a quel commento e premette le dita tra loro. “Mi pare giusto. I computer non sono il mio forte, ma farò del mio meglio. Ma non mi hai ancora detto con chi ti ha messo in coppia il direttore. John?” Inarcò leggermente le sopracciglia e un leggero sorriso gli inarcò i lati della bocca, ma Adele scosse la testa, smorzando la sua espressione.

“L’agente Paige,” disse con tono greve e pesante come il martello di un giudice.

Robert la fissò incredulo.

Lei scrollò le spalle.

Lui continuò a fissarla.

“Non l’ho chiesto io,” gli disse.

“Sophie Paige?”

Adele guardò verso la porta aperta, controllando che il corridoio fosse sgombero, poi annuì. “A quanto pare. Diciamo che era contenta quanto me.”

“Foucault non conosce la vostra storia?” disse Robert alzando la voce.

“Va bene,” rispose Adele con voce più bassa. “Non so cosa sappia o non sappia il direttore. Ma le cose stanno così.”

“E John?” chiese Robert.

Adele agitò una mano in aria, come se il pensiero non le fosse neanche passato per la testa. “Intendi l’agente Renee? Beh, penso stia lavorando a un altro caso. La Paige ha detto così.”

Le sopracciglia perfettamente curate di Robert stavano inarcate sopra ai suoi occhi come nuvole scure che minacciavano tempesta. “La Paige,” disse sbuffando. “Adesso ho capito perché Foucault non me l’ha detto.”

Adele esitò. C’era qualcosa nel suo tono che non riusciva a interpretare. “Cosa intendi dire?”

Robert si stava ancora fissando le dita con sguardo cupo, e Adele dovette ripetere la domanda. Alla fine l’uomo sollevò lo sguardo. “Oh, niente… eccetto che sa quello che provo per te. E la Paige non è stata esattamente la persona più carina con te dopo l’incidente.”

Adele esitò, scrutando il suo vecchio mentore. Sapeva che Robert si sarebbe messo dalla sua parte. Ma c’era di più nel tono della sua voce. C’era qualcosa dietro a quel cipiglio che lei ancora non riusciva a capire. “Hai parlato con la Paige da quando me ne sono andata?” gli chiese lentamente.

“Parlato? No.” Si interruppe, come se fosse sul punto di aggiungere dell’altro, ma poi sembrò decidere il contrario e scosse rapidamente la testa, intrecciando le dita e piegando un pollice sopra all’altro. “No, niente del genere. Però penso che tutte e due sarete capaci di essere professionali, no?”

Adele scrollò le spalle. “Posso farlo, se lo fa anche lei.”

Magnifique,” rispose lui. “Spero tu abbia dormito in aereo. Foucault voleva vederti subito al tuo arrivo.”

Adele annuì, le labbra premute saldamente tra loro. “L’agente Paige è già da lui,” gli disse. “Dobbiamo cominciare subito?”

Il vecchio mentore annuì mentre si alzava dalla sua sedia e si spostava rigidamente facendo il giro della scrivania. “Lascia qui la valigia,” le disse. “Mando a chiamare qualcuno perché la porti a casa mia. Adesso vieni.”

Robert le prese una mano e se la mise sottobraccio, appoggiandola nell’incavo del suo gomito, quindi la accompagnò all’ascensore. Robert era un uomo dalle vecchie maniere e c’era chi lo considerava pomposo. Ma per Adele, il suo comportamento suscitava solo affettuoso divertimento.

Aspettarono il sommesso tintinnio dell’ascensore ed entrarono nella cabina. Per un brevissimo istante il dito di Adele rimase sospeso sul pulsante del secondo piano, dove c’era l’ufficio di John. Che fosse lì? No, ora non era il momento giusto. Non c’era un’attesa di tre settimane tra gli omicidi come era successo l’altra volta. Tre giorni. Solo questo tempo era passato tra un crimine e l’altro. Un ritmo rapido e sorprendente. Un ritmo che poteva solo peggiorare.

Adele premette il pulsante dell’ultimo piano, con Robert che accanto a lei la teneva per il gomito, e aspettò che l’ascensore li portasse in alto, verso l’ufficio del direttore.

***

La Paige era seduta vicino alla finestra, un certo agio nel modo in cui stava appoggiata allo schienale dalla sedia da ufficio. Il direttore Foucault osservava con i suoi occhi da falco, mangiucchiandosi un lato della bocca e scuotendo la testa.

Adele e Robert stavano in piedi, in attesa. Gli occhi di Foucault erano fissi sullo schermo del suo computer e la sua espressione si faceva man mano più buia. “Tutto qua?” chiese, sollevando lo sguardo. “Niente di nuovo?” I suoi occhi sfrecciarono all’agente Paige, che a sua volta si girò verso Adele, come a voler proiettare su di lei l’ira del direttore.

Adele esitò. La luce del sole filtrava dalla finestra aperta del grande ufficio: l’aria circolava e portava via un po’ dell’odore di fumo, anche se buona parte aveva già impregnato le pareti.

“Sono appena arrivata,” disse Adele esitante, non sapendo se la stesse incolpando di qualcosa. “Avevo intenzione di sistemare le mie cose da Robert…” Si interruppe vedendo l’occhiata che le lanciava Foucault e si schiarì la gola. “Onestamente, ho dormito in aereo. Possiamo cominciare oggi pomeriggio. Vorrei vedere la scena del crimine della seconda vittima.”

Foucault annuì agitando una mano. “Sì,” disse, le folte sopracciglia corrucciate sopra gli occhi scuri. “Sarebbe meglio. Non abbiamo tempo da aspettare con questo, uhm? No.” Annuì in direzione della Paige. “Voi due avete lavorato insieme in passato, vero?”

La Paige continuò a restare seduta in silenzio accanto alla finestra. Annuì una volta. Anche Adele annuì.

Dopo qualche momento di imbarazzato silenzio, Robert intervenne schiarendosi la gola. “Caso strano, questo,” disse sommessamente.

Adele tenne gli occhi fissi su Foucault, ma annuì d’accordo con l’amico.

Robert sbuffò mentre l’attenzione dei presenti si spostava da Adele a lui. “Le vittime devono aver conosciuto l’assassino,” disse. “Un amico? Magari un parente?”

Adele ruotò leggermente il viso, inclinando al testa verso la spalla. “Forse. O forse l’assassino le ha colte di soppiatto. Un padrone di casa? Qualcuno in possesso della chiave?”

Robert esitò un momento e nuovamente calò il silenzio. Alla fine disse: “Che dici del rene mancante?”

“Hai letto le cartelle?”

“Il secondo rapporto non è ancora arrivato.” Robert fece una pausa, guardando Foucault con espressione interrogativa.

Il direttore annuì. “Ci stanno lavorando, ma sta richiedendo tempo. Il rapporto completo dovrebbe arrivare a breve.”

Robert annuì e questa volta si rivolse a Foucault, attraversando la stanza e andando a guardare attraverso la grande finestra che si affacciava sulla strada sottostante. Un piccolo bar dalle pareti dipinte di rosa occupava la strada dalla parte opposta del DGSI.

“Ho letto il primo rapporto,” disse. “Solo il rene mancante. Perché secondo voi?

La Paige e Foucault rimasero entrambi in silenzio. Ma Adele guardò il suo mentore, osservando il modo in cui la luce del pomeriggio illuminava il lato del suo volto, gettando delle ombre contro il pavimento rivestito di moquette.

“Collezione di trofei?” gli disse.

“Forse,” rispose Robert. “Ha senso.”

“Che altro?”

Robert scrollò le spalle e il suo sguardo andò a Foucault dietro alla scrivania.

Il direttore si accigliò ancor più. “Venite pagati per scoprirlo,” disse. I suoi occhi sfrecciarono tra i tre agenti, quindi diede un colpetto al computer e aggiunse: “Abbiamo bisogno di maggiori informazioni, e non avete molto tempo per raccoglierle.”

Adele notò la rapidità con cui noi si era trasformato in voi. Esitò un momento e poi disse sottovoce: “Ho pensato alle vittime. Entrambe straniere, sì? Da ragazza ho avuto esperienza con quella comunità, anche se non molta, visto che mia madre era del posto. Ma avevo alcuni amici americani con i genitori che si erano trasferiti per lavoro.” Si fermò. “Sono una comunità vulnerabile. Molte volte isolata: barriere di lingua e cultura. Forse l’assassino sta usando questo per avvicinarsi a loro. Lo sfruttamento della solitudine, oppure una pressione ad appagare il Paese ospitante.”

Foucault rispose annuendo e scrollando le spalle. “Esplorate tutte le possibilità,” disse. “Solo,” aggiunse, “non ne faccia un caso personale.” Distolse lo sguardo da Adele. “Agente Henry, lei starà qui, presumo?” Gli occhi del direttore erano fissi su Robert.

Robert si lisciò i baffi. “Direi che lascio il lavoro sul campo ai più giovani.”

Foucault riportò l’attenzione ad Adele. “La seconda scena del crimine?” disse. “È ancora sotto la nostra supervisione.”

“Io sono pronta a cominciare, se lei non è troppo stanca,” disse la Paige, parlando per la prima volta da quando erano entrati nella stanza. Il commento sembrava innocente, ma qualcosa in esso fece venire ad Adele la pelle d’oca.

Ora che l’attenzione era di nuovo su di lei, Adele espirò piano.

Americane in Francia, espatriate: si sentiva vicina a loro. Adele sapeva cosa volesse dire spostarsi da un Paese all’altro, rimettere radici, costruire da capo una nuova vita.

Ma queste vite erano state ricostruite solo per finire, tra le macchie di sangue sul pavimento dei loro appartamenti. Nessuna prova materiale. Nessun segno di colluttazione. Nessun segno di scasso o ingresso violento.

Ora non era il momento di riposarsi.

“Io sono pronta, quando sei pronta tu,” disse Adele, poi si girò verso la porta.

44 270,06 soʻm
Yosh cheklamasi:
16+
Litresda chiqarilgan sana:
19 oktyabr 2020
Hajm:
272 Sahifa 4 illyustratsiayalar
ISBN:
9781094305530
Mualliflik huquqi egasi:
Lukeman Literary Management Ltd
Формат скачивания:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip

Ushbu kitob bilan o'qiladi