Il Look Perfetto

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Il Look Perfetto
Shrift:Aa dan kamroqАа dan ortiq
i l   l o o k   p e r f e t t o
(un emozionante thriller psicologico di jessie hunt—libro 6)
b l a k e   p i e r c e
edizione italiana
a cura di
Annalisa Lovat
Blake Pierce

Blake Pierce è autore bestseller secondo USA Today della serie mistery RILEY PAIGE, che include sedici libri (e altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE, che comprende tredici libri (e altri in arrivo); della serie mistery AVERY BLACK, che comprende sei libri; della serie mistery KERI LOCKE, che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie mistery KATE WISE, che comprende sei libri (e altri in arrivo); del sorprendente mistery psicologico CHLOE FINE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); dell’emozionante serie thriller psicologica JESSIE HUNT, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie thriller psicologica che vi farà stare con il fiato sospeso, AU PAIR, che comprende due libri (e altri in arrivo); e della serie mistery ZOE PRIME, che comprende due libri (e altri in arrivo).

Avido lettore e fan da sempre dei generi mistery e thriller, Blake adora sentire le vostre opinioni, quindi non esitate a visitare il sito www.blakepierceauthor.com per scoprire di più su questo autore e mettervi in contatto con lui.

Copyright © 2020 by Blake Pierce. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental. Jacket image Copyright Little Moon, used under license from Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE
THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Volume#1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Volume #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Volume #3)

LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)

THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)

I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)

I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)

I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)

UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE

UNA LEZIONE TORMENTATA

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)

I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

CAPITOLO UNO

Gordon Maines guardò la propria immagine riflessa nello specchio del bagno dell’hotel e non poté fare a meno di ammirare ciò che aveva davanti agli occhi.

Per essere un consigliere al terzo mandato, che stava considerando di candidarsi come sindaco, emanava la sicurezza di un uomo che piegava regolarmente il sistema alla propria volontà, piuttosto che il contrario. E poi, aveva proprio un bell’aspetto.

Si stava avvicinando ai cinquant’anni, ma grazie a un regime completo di cura della pelle (con un piccolo aiutino di Botox), era convinto di poter ancora passare per un quarantenne. I suoi capelli ondulati erano ancora più pepe che sale. La pelle era abbronzata, ma aveva al contempo un aspetto salutare. Faceva ancora la sua bella figura con addosso un abito, anche se ora non ne stava indossando uno.

In effetti, tutto ciò che portava in questo momento era una maglietta bianca e un paio di boxer. E presto si sarebbe tolto anche quelli. Mentre si infilava in bocca la piccola pillola blu e la mandava giù con un sorso di brandy, pensò a quello che lo stava aspettando nell’altra stanza.

Non era di gran lunga la prima volta che faceva questa cosa, ma la donna che aveva portato su nella camera 1441 dell’Hotel Bonaventure, poteva essere considerata la più impressionante. Il vestito viola che indossava era sofisticato ed elegante, ma tanto aderente da lasciar ben immaginare l’abbondanza nascosta al di sotto. In parte si chiedeva cosa ci facesse una donna così in quel settore lavorativo. Era tanto bella da poter essere una modella o un’attrice, o almeno una pornostar.

Ma Gordon non aveva intenzione di arrovellarsi a lungo sulle prospettive lavorative a lungo termine della ragazza. In questo momento era qui e avrebbe fatto tutto quello che lui voleva, anche se avesse dovuto tirare fuori dei soldi dal fondo illegale che teneva da parte, quello che usava per fare in modo che sua moglie non si imbattesse nei sui vari peccatucci.

Entrò nella stanza ben arredata, con le pareti tinte di bianco e decorate con quadri di arte moderna, la moquette spessa e i comò rifiniti con ripiani di marmo, e fu sorpreso di vedere il letto vuoto. Per un secondo, pensando che se la fosse svignata con la prima metà del pagamento, fece per incamminarsi verso la porta.

“Dove stai andando, ragazzone?” mormorò una voce suadente dall’angolo della stanza.

Lui si girò a guardare e la vide, la ragazza alla quale aveva chiesto di non usare nomi. Stava seduta su una sedia dallo schienale alto nell’angolo accanto alla finestra, con indosso solo un bustino nero e un paio di mutandine in tinta. Le sue curve la facevano quasi assomigliare a una Barbie, e molto presto avrebbe appurato se le misure corrispondessero.

I lunghi capelli biondi erano sciolti e le arrivavano quasi ai gomiti. La sua pelle era abbronzata come la ragazza californiana media, cosa che le donava una delicatezza e una sofisticatezza che sembravano in un certo senso esotiche in quella terra di sole e surf. Gli occhi erano azzurri, simili alle acque caraibiche dove Gordon aveva trascorso la sua luna di miele.

Subito cacciò quel pensiero dalla propria mente e si concentrò sulla creatura che aveva di fronte.

“Sto venendo verso di te,” le rispose, certo di avere un tono ammaliante.

“Prima però ti ho versato un altro bicchiere,” disse la ragazza, indicando il ripiano sopra al minibar, e sorseggiando nel contempo il proprio drink. “Ho deciso di non aspettare.”

“Maleducata,” disse lui, fingendo di essere offeso, mentre afferrava il bicchiere.

“Spero di potermi far perdonare,” gli rispose lei con voce allegra e scherzosa.

“Sono sicuro di avere in mente qualcosa,” le disse. Poi prese un sorso. “Mmm, è brandy?”

“Hai detto che era il tuo preferito quando eravamo di sotto,” gli rispose.

 

“Wow, sei stata attenta,” commentò meravigliato, prima di prendere un’altra sorsata. “La maggior parte delle ragazze che fanno il tuo lavoro non prestano attenzione a nient’altro che ai soldi.”

“Mi stai dicendo che non sono la prima ragazza con cui sei stato?” La giovane fece la finta imbronciata spingendo in fuori il labbro inferiore con un tale impeto che lui fece fatica a contenersi.

Questa è brava.

Ricordò a se stesso di aggiungere un piccolo extra se il resto della prestazione fosse andato secondo le premesse.

“Perché non ti levi la maglietta e ti metti comodo?” gli suggerì la donna, alzandosi in piedi e permettendogli di guardarla.

“Non ti preoccupare,” mormorò lui in risposta, tirandosi via la maglietta con gesti più goffi di quanto avrebbe gradito.

In effetti, mentre se la sfilava dalla testa, perse l’equilibrio e barcollò leggermente. Fortunatamente atterrò sul letto, dove riuscì finalmente a liberarsi dell’indumento, anche se sentì che così facendo i capelli si spettinavano completamente. Era irritato dalla sua mancanza di fluidità, ma ricordò a se stesso che di certo alla ragazza bionda non poteva interessare.

Ora lei era in piedi accanto a lui, l’accenno di un sorriso sul volto. Magari trovava simpatica la sua goffaggine.

“Molto maldestro,” gli disse con tono adorante mentre andava verso la sedia dove lui aveva posato i pantaloni, infilandosi nel mentre quelli che sembravano dei guanti di plastica. Gordon la guardava muoversi, ma faceva leggermente fatica a concentrarsi.

La giovane donna prese il suo portafoglio dalla tasca dei calzoni e lo aprì lentamente, tirando fuori tutte le sue carte e facendole cadere in un sacchettino di plastica. Lui intanto cercava di tirarsi su appoggiandosi ai gomiti per poter vedere meglio, ma le sue braccia non rispondevano più agli ordini inviati dal cervello.

“Eeehi…” cercò di dire, anche se la lingua impastata e si muoveva a fatica.

La ragazza si voltò a guardarlo e gli sorrise con dolcezza.

“Ti senti rilassato?” gli chiese mentre andava alla sua borsetta e vi infilava dentro il sacchettino di plastica.

Da qualche parte nei meandri del suo cervello, a Gordon venne in mente che la ragazza potesse tentare di derubarlo. Pensò anche che poteva avergli messo qualcosa nel bicchiere. Era ora di mettere fine a questa messinscena.

Con tutta la forza che riuscì a raccogliere, Gordon si spinse su e si mise a sedere. La sua testa si reclinò floscia di lato mentre cercava di fissare lo sguardo sulla ragazza.

“Tu… fermati,” cercò di gridare, ma ne venne fuori solo un indistinto biascichio. Era come se nella sua bocca ci fosse un mucchio di biglie.

Mentre lei gli si avvicinava, iniziò a vedere doppio, poi triplo, incapace di capire quale immagine fosse la vera ragazza.

“Sei carino,” disse l’immagine al centro mentre lo spingeva nuovamente in posizione sdraiata. “Incominciamo?”

Gli si mise a cavalcioni. Il corpo di Gordon era pesante e indolenzito, e quasi non sentì il peso della giovane. Vide che aveva ancora sulle mani i guanti di plastica.

Nella sua mente sempre più frastornata, sentì suonare un campanello d’allarme. Questa era più di una rapina con narcotizzazione. Qualcosa nel modo tranquillo e noncurante in cui la donna si stava muovendo gli suggeriva che non fosse interessata solo ai suoi soldi e ai suoi averi. Si stava divertendo. Il modo in cui si strusciava contro il suo torso lo fece pensare a un serpente che si arrampica lentamente risalendo il tronco di un albero.

“Cosa… facendo?” riuscì a bofonchiare.

Lei parve capirlo perfettamente.

“Sto rispettando una promessa,” rispose spensieratamente, come se stesse parlando del tempo atmosferico.

Gordon fissò i suoi occhi azzurri e vide che tutta la giocosità di prima era svanita. Ora erano freddi e concentrati. Capì di essere nei guai. Quella consapevolezza gli fece scorrere nel corpo un’ondata di adrenalina. Gli bastò per alzarsi dal letto.

Si aspettava di essere scattato in piedi facendo cadere la donna sul pavimento, invece si era alzato sì e no di dieci centimetri dal letto, e lei lo spinse nuovamente giù con la semplice pressione dell’indice contro il petto. Poi la donna si chinò su di lui e i loro volti si trovarono a pochi centimetri di distanza. I suoi capelli gli caddero negli occhi, ma non c’era niente che potesse fare per evitarlo.

“È finita per te, Gordon,” gli sussurrò in un orecchio. “Qualche ultima parola?”

I suoi occhi, l’unica parte del corpo che riusciva apparentemente a controllare, si sgranarono.

“Argh…” cercò di gridare.

“Non ti preoccupare,” disse lei bruscamente, interrompendolo. “Non che mi interessi sul serio.”

Gordon la guardò mentre si rimetteva dritta sopra di lui e gli stringeva le mani attorno al collo. Non poteva effettivamente sentire le dita che gli stringevano la gola, ma capì che stava succedendo perché respirare divenne improvvisamente difficoltoso. Gli occhi iniziarono a sporgere dalle orbite, come se potessero schizzare fuori dalla testa. Gordon cercava disperatamente di respirare, ma non sembrava riuscire a trovare un solo filo d’aria da portare ai polmoni. La vista si fece più offuscata, la sua lingua scattava a destra e a sinistra alla ricerca di ossigeno. Ma niente funzionò.

L’ultima cosa che vide prima che calasse il buio fu la donna sopra di lui che lo fissava intentamente mentre lo strangolava. Stava ancora sorridendo.

CAPITOLO DUE

Jessie Hunt sedeva nervosa al banco del Nickel Diner sulla South Main Street, a soli due isolati dalla stazione centrale del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.

Anche se la persona che avrebbe incontrato non si sarebbe per niente curata del suo aspetto, voleva fare una buona impressione. In genere si considerava in forma. Aveva occhi verde chiaro e capelli castani che le arrivavano alle spalle e che attualmente erano più lucenti del solito. Si era premurata di indossare la camicetta e pantaloni più professionali che aveva prima di andare al lavoro oggi, abbinati a un paio di scarpe basse che non accentuassero la sua già notevole altezza di un metro e ottanta. Dubitava che chi la guardasse oggi la potesse scambiare per una modella, come succedeva a volte. Ma anche se mancavano poche settimane al suo trentesimo compleanno, sapeva di essere ancora capace di poter far voltare la gente a guardarla, quando le serviva.

Considerato tutto, pensava di cavarsela piuttosto bene. Dopotutto erano passati solo sette giorni da quando era stata drogata da un sospetto assassino e le avevano fatto una lavanda gastrica. Da allora, dopo essere stata dimessa dall’ospedale, era rimasta per lo più rinchiusa nel suo appartamento, sotto le cure e la protezione del detective Ryan Hernandez.

Ryan aveva insistito di stare con lei fino a che non avesse recuperato le forze. Quindi per l’ultima settimana aveva dormito sul divano letto in salotto e le aveva fatto da mangiare. Jessie aveva scelto di accettare l’aiuto e di non andare a interpretare troppo le azioni dell’uomo che a volte le faceva da partner nei casi, e altre volte di più.

In genere, dopo un periodo prolungato di assenza dal lavoro, Jessie avrebbe ricominciato a lavorare dopo aver partecipato, insieme a Ryan, a una riunione organizzativa con il capitano del LAPD Roy Decker. Ma oggi era una giornata insolita. Aveva deciso di fissare un piccolo incontro personale prima che il capitano iniziasse a imporre regole e limiti che vincolassero la sua ripresa del lavoro.

Anche se Jessie Hunt era una consulente profiler criminale per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles e non un’effettiva agente di polizia, il capitano Decker era comunque il suo più immediato supervisore, e violare i suoi ordini poteva avere delle serie ripercussioni. Ma avere un semplice incontro con una persona e una discussione informale sull’andamento dell’indagine prima di ricevere ordini da Decker, beh, non poteva certo metterla nei guai.

Era per quel motivo che si trovava nell’affollata tavola calda alle 7.30 del mattino aspettando l’arrivo di un uomo con il quale aveva parlato solo occasionalmente e quasi sempre di sfuggita. Diede un morso al suo toast e sorseggiò la seconda tazza di caffè, ben sapendo che avrebbe fatto meglio a fermarsi dopo il primo. Lui entrò proprio mentre lei stava riappoggiando la tazza sul tavolo.

Garland Moses si guardò attorno nel locale e, notata Jessie, andò verso di lei. All’età di settantuno anni, con la pelle rovinata dal sole, i capelli bianchi spettinati e gli occhiali bifocali sempre sulla punta del naso, non attirò l’attenzione di nessuno dei clienti al suo passaggio. Nessuno di loro aveva idea di trovarsi al cospetto di uno dei forse più celebri profiler criminali dell’ultimo quarto di secolo.

Jessie non poteva biasimarli. L’uomo sembrava mantenere un’aria trasandata. Si trascinò verso di lei, apparentemente ignaro della camicia male infilata nei pantaloni e delle macchie sul suo gilet oversize. Il giubbotto sportivo grigio che indossava gli stava addosso come appeso su un attaccapanni e sembrava poterlo inghiottire da un momento all’altro.

Ma se lo si guardava meglio, apparivano chiare altre cose. Dietro agli spessi occhiali, gli occhi attenti sfrecciavano rapidi in tutte le direzioni, osservando in un istante l’ambiente. Anche se i capelli erano spettinati, la barba era ben fatta e non dava il minimo accenno di essere incolta. I denti erano ancora bianchi splendenti e in perfetta condizione. Le unghie erano ben tagliate e i lacci delle scarpe legati con il doppio nodo. Garland Moses proiettava l’immagine alla bell’è meglio di un cittadino di mezza età in stile Colombo. Ma come Jessie ben sapeva, era tutta una messinscena.

Moses aveva risolto alcuni fra i casi di omicidio più difficili nel paese nell’arco di quarant’anni. Aveva partecipato al primo in qualità di membro della celeberrima Divisione di Scienze Comportamentali dell’FBI con base a Quantico, Virginia. Poi, alla fine degli anni 90, dopo vent’anni passati a incontrare il peggio che l’umanità avesse da offrire, era andato in pensione nel soleggiato sud della California.

Ma dopo pochi mesi dal suo arrivo, il LAPD gli aveva fatto la corte perché prestasse servizio come consulente profiler. Lui aveva accettato, ponendo diverse condizioni. Primo, non sarebbe stato un formale dipendente, quindi non soggetto a regole e normative del dipartimento, libero di andare e venire come più gli piaceva. Secondo, i casi se li sceglieva lui. E, cosa per lui più importante, non avrebbe dovuto seguire nessun dress-code.

Il dipartimento era stato contento di acconsentire. E nonostante avesse un atteggiamento espressamente burbero o fosse, come un agente lo aveva chiamato, uno “stronzo taciturno e privo di pazienza”, non se ne erano mai pentiti. Rintanato nel suo ufficio isolato e grande come uno sgabuzzino al secondo piano della stazione di polizia, Moses eseguiva il suo lavoro, e si poteva contare su di lui perché risolvesse dai tre ai quattro casi di alto profilo all’anno, generalmente quelli che mettevano in difficoltà chiunque altro.

Per motivi che Jessie non aveva mai capito, Garland Moses sembrava apprezzarla, o almeno non avere niente contro la sua esistenza, che era praticamente la stessa cosa per lui. Le aveva anche dato degli occasionali consigli su qualche caso, di tanto in tanto.

E anche se non l’aveva mai riconosciuto, lei era venuta a sapere che la sua raccomandazione era stata determinante per la sua ammissione alla tanto decantata Accademie dell’FBI, corso di dieci settimane che lei aveva completato l’anno precedente.

Il programma, fortemente selettivo, accoglieva il meglio dai dipartimenti locali di polizia per fornire un addestramento che includeva le ultime tecniche investigative dell’FBI. Di solito era disponibile solo per detective con esperienza e con uno storico di alto decoro. Ma Jessie, una relativa principiante, era stata in qualche modo ammessa. Mentre si trovava lì, non solo aveva imparato da istruttori dell’unità di Scienze Comportamentali e famosi in tutto il mondo, ma aveva anche seguito un intenso allenamento fisico che includeva istruzioni nel campo delle armi e lezioni di auto-difesa.

Senza dubbio, il suo successo nella risoluzione di diversi importanti casi di omicidio, per non parlare dell’aver sventato un attentato alla propria vita da parte del proprio marito, avevano giocato un buon ruolo nella sua ammissione. Ma immensamente significativa era sicuramente stata la buona parola detta a suo credito da numerosi agenti di polizia di alto livello a Los Angeles, tra cui appunto anche Moses.

Mentre si sedeva di fronte a lei, Jessie fu certa che già percepisse lo scopo della sua richiesta di incontro la mattina presto fuori dal posto di lavoro. Nonostante il proprio nervosismo, fu per lei quasi un sollievo. Se lui poteva già immaginare quello che lei voleva, Jessie poteva fare a meno di ogni vezzo, persuasione e adulazione tipicamente necessarie per una richiesta come quella che doveva fare lei. Dopotutto lui era qui. Questo significava che era almeno leggermente interessato.

 

“Buongiorno signor Moses,” disse Jessie quando lui si fu accomodato.

“Garland,” rispose lui con il suo tipico ringhio roco, facendo cenno alla cameriera di portare un caffè. “Sarà meglio che ci sia un buon motivo, Hunt. Sei stata molto criptica al telefono. Non mi piace interrompere la mia routine mattutina. E tu l’hai decisamente interrotta.”

“Sono piuttosto certa che troverai valida la riprogrammazione,” gli assicurò. Poi decise di andare dritta al punto. “Ho bisogno del tuo aiuto.”

“Questo me l’ero immaginato. Nessuno chiede un incontro con me per discutere di tazzine da caffè+, anche se la cosa mi mortifica,” disse con volto serio.

Jessie decise di prendere la battuta come buon segno e stette al gioco.

“Sarò felice di farlo dopo, Garland, se ne hai davvero voglia. Ma per ora, il mio interesse è meno concentrato su tazzine e piattini, e più sui serial-killer rapitori di ragazzi.”

La cameriera, che era già arrivata con la sua caraffa di caffè, lanciò a Jessie un’occhiata scioccata. Una quarantenne bionda dal volto tondo e serafico il cui cartellino diceva ‘Pam’. Si riprese in fretta e distolse lo sguardo, mentre riempiva la tazza di Garland.

“Ti ascolto,” disse Garland dopo che la cameriera si fu allontanata. “A quanto pare anche Pam ti ascoltava.”

Jessie decise di non chiedergli come facesse a sapere il nome della donna, dato che non l’aveva mai guardata. Si lanciò invece nel proprio discorso.

“Sono sicura che sei al corrente del fatto che Bolton Crutchfield è ancora uccel di bosco e che solo la settimana scorsa ha rapito una diciassettenne di nome Hannah Dorsey.”

“Sì,” le rispose senza aggiungere altro.

Non c’era bisogno che lo facesse. Non c’era bisogno di essere un celebre profiler criminale per conoscere il mostruoso passato di Bolton Crutchfield, che aveva assassinato dozzine di persone con elaborata brutalità e che era recentemente scappato da una prigione psichiatrica.

“Ok,” continuò Jessie. “Probabilmente sai anche che ho un certo passato con Crutchfield: che l’ho intervistato una dozzina di volte quando era rinchiuso nel penitenziario psichiatrico del DNR, e che in quelle occasioni mi ha raccontato che il mio vecchio paparino, il serial killer Xander Thurman, era il suo mentore e che erano stati in contatto.”

“Sapevo anche questo. So anche che, nonostante la sua ammirazione per tuo padre, quando è giunto il momento di scegliere tra voi due, ti ha messa in guardia sulla minaccia da parte del tuo genitore, potenzialmente salvandoti la vita. Questo credo complichi i tuoi sentimenti nei suoi confronti.”

Jessie prese una lunga sorsata del suo caffè mentre ponderava la risposta da fornire.

“Sì,” gli concesse alla fine. “Soprattutto dato che ha specificato di volermi lasciare in pace da ora in poi, per andare a seguire altri interessi.”

“Una sorta di pausa.”

Pam tornò titubante per prendere l’ordinazione di Garland.

“Prendo quello che ha preso lei,” le disse, indicando il toast di Jessie. Pam parve delusa, ma non disse nulla e tornò in cucina.

“Giusto,” disse Jessie. “Ovviamente ero riluttante nell’accettare la parola di un feroce assassino che affermava di vivere e lasciar vivere. E poi si è preso la ragazza.”

“Questo ti ha preoccupato,” notò Garland, esprimendo ciò che sapeva essere ovvio.

“Sì,” disse Jessie. “Si tratta di una ragazza che avevo trovato tenuta prigioniera da mio padre in una casa con i suoi genitori adottivi. La stava torturando. È sopravvissuta per un pelo, come me. Le persone che le facevano da famiglia, no. Quindi, quando solo poche settimane dopo Crutchfield l’ha rapita uccidendo i suoi genitori affidatari, mi è sembrato…”

“Personale,” disse Garland completando il suo pensiero.

“Esatto,” confermò Jessie. “E ora, dopo una settimana di congedo forzato, una settimana in cui Hannah è rimasta tra le grinfie di Crutchfield, torno oggi al lavoro.”

“Ma c’è un problema,” disse Garland continuando il suo discorso, e spronando così Jessie a proseguire. E così lei fece.

“Sì. Il caso è stato assegnato all’FBI. So che quando varcherò la porta della stazione di polizia, mi verrà proibito di partecipare, a causa… dei miei collegamenti personali. Ma conoscendo la mia natura dopo quasi trent’anni su questo pianeta, non sarò per niente in grado di levarmi questa cosa dalla testa e badare ai fatti miei. Quindi ho pensato di richiedere l’assistenza di qualcuno che non sia vincolato dai regolamenti che invece terranno legate a me le mani.”

“Eppure,” disse Garland mentre il suo toast arrivava. “Ho la netta sensazione di non essere la tua prima scelta per questo compito.”

Jessie non aveva idea di come potesse averlo capito, ma non tentò di negarlo.

“È vero. Di norma non chiederei a un celeberrimo ed emerito profiler di farmi un favore, se potessi evitarlo. In particolare non mi piace chiedere alla gente di fare lo sporco lavoro di tentare con discrezione di capire ciò che sta accadendo nelle indagini di qualcun altro. Ma purtroppo la mia prima scelta non è disponibile.”

“Chi sarebbe?” chiese Garland.

“Katherine Gentry. Era responsabile della sicurezza nella prigione del DNR. Abbiamo stretto amicizia durante le mie tante visite. Ma quando Crutchfield è scappato e diverse guardie sono state assassinate, lei è stata licenziata. Da allora è diventata un’investigatrice privata. Kat è nuova nel settore, ma è brava. L’ho usata per altre ricerche in precedenza.”

“Ma…” insistette Garland.

“Ma è nel mezzo di un altro caso che richiede un sacco di sorveglianza fuori città, quindi non ha realmente il tempo di starmi dietro. E poi ho pensato che la cosa potesse essere un po’ troppo cruda per lei, considerata la sua connessione con Crutchfield. Temo che potrebbe essergli troppo vicina.”

“Capisco,” disse lui con tono malizioso. “Quindi sei preoccupata che una persona possa non essere in grado di valutare oggettivamente la situazione a causa della propria connessione personale alla situazione. Una tale descrizione si applica a qualcun altro di tua conoscenza?”

Jessie lo guardò, ben consapevole di quello che voleva insinuare. Ovviamente, se avesse saputo quanto personale fosse questo caso per lei, probabilmente sarebbe stato ancora più preoccupato. Poi le venne in mente un pensiero, un pensiero che avrebbe potuto fargli rivalutare la sua visione delle circostanze.

“Hai ragione,” gli disse. “Non sono oggettiva, ancora meno di quanto tu pensi. Vedi, Garland, ciò che solo mezza dozzina di persone al mondo sanno è che il padre di Hannah Dorsey era Xander Thurman. È la mia sorellastra, una cosa che ho scoperto meno di un mese fa. Quindi non sono per niente oggettiva in questa faccenda.”

Garland, che stava per prendere un sorso di caffè, fece una breve pausa. A quanto pareva aveva ancora la capacità di sorprendersi.

“Questa è una complicanza,” affermò.

“Sì,” disse Jessie, chinandosi decisa in avanti. “E sono piuttosto sicura che Crutchfield l’abbia presa per modellarla e farla diventare una serial killer come mio padre e come lui stesso. Era quello che mio padre stava cercando di fare con me. Quando l’ho rifiutato, ha cercato di uccidermi. Penso che Crutchfield stia tentando di riprendere da dove Thurman ha lasciato.”

“Cosa te lo fa pensare?” chiese Garland.

“Mi ha mandato una cartolina che fondamentalmente lo diceva chiaro e tondo. E poi ha lasciato un messaggio scritto con il sangue sulla parete della famiglia affidataria, reiterando lo stesso messaggio. Non sta facendo tanto il sottile in merito.”

“Sembra piuttosto ridondante,” le concesse Garland.

“Giusto,” disse Jessie, sentendo che l’uomo si stava ammorbidendo davanti alle sue richieste. “Quindi sono la prima ad ammettere di non essere esattamente la persona più indicata per questo caso. E capisco perché il capitano Decker rifiuterebbe di concedermi di occuparmene. Ma come ho detto, mi conosco. E mi è impossibile fare finta che là fuori non ci sia un serial killer che sta tentando di trasformare la mia sorellastra nella versione più piccola di se stesso. Ecco perché ho pensato di rivolgermi a qualcuno che possa essere più razionale, tenendo d’occhio il caso e aggiornandomi. Altrimenti potrei impazzire. E questa persona deve essere qualcuno capace di accedere alle informazioni, senza essere vincolato dai divieti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.”