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Il Killer della Rosa

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Il Killer della Rosa
Il Killer della Rosa
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O`qimoqda Caterina Bonanni
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Capitolo 10

La prima cosa che catturò lo sguardo di Riley fu la bambola, la stessa bambola nuda, che aveva trovato quel giorno su quell'albero vicino a Daggett, proprio nella stessa posa esatta. Per un istante, fu colpita da vederla seduta lì, nel laboratorio della scientifica dell'FBI, circondata da diversi strumenti altamente tecnologici. A Riley, apparve alquanto fuori posto, come una sorta di inquietante piccolo reliquiario di un’epoca passata, non digitale.

Ora la bambola era soltanto un'altra prova, protetta da un sacchetto di plastica. Sapeva che una squadra era stata inviata a recuperarla non appena lei l'aveva comunicato direttamente dalla scena del crimine. Nonostante questo, era una vista irritante.

L'Agente Speciale Meredith si fece avanti ad accoglierla.

“E' trascorso molto tempo, Agente Paige” le disse caldamente. “Bentornata.”

“E' bello essere tornata, signore” Riley rispose.

Lei si diresse al tavolo, per sedersi con Bill e il tecnico di laboratorio Flores. A prescindere dalle preoccupazioni e incertezze che lei potesse provare, era davvero bello rivedere Meredith. Le piaceva il suo stile rude e pratico, e l'aveva sempre trattata con rispetto e considerazione.

“Com'è andata con il Senatore?” Meredith chiese.

“Non bene, signore” fu la sua risposta.

Riley notò un cenno di fastidio sul volto del suo capo.

“Pensi che ci darà dei problemi?”

“Ne sono quasi sicura. Mi dispiace, signore.”

Meredith annuì in segno di comprensione.

“Sono certo che non sia colpa tua” le disse.

Riley immaginava che lui comprendesse perfettamente che cosa era accaduto. Il comportamento del Senatore Newbrough era indubbiamente tipico dei politici narcisisti. Probabilmente, Meredith ci era assolutamente abituato.

Flores batté rapidamente sui tasti, e, mentre lo faceva, immagini di fotografie inquietanti, rapporti ufficiali e nuove storie apparvero su grandi schermi intorno alla stanza.

“Abbiamo scavato a fondo, ed è emerso che avevi ragione, Agente Paige” Flores disse. “Lo stesso omicida ha colpito prima, prima del caso di Daggett.”

Riley sentì il brontolio di soddisfazione di Bill, e, per un secondo, si sentì felice, provò sollievo per essere tornata.

Ma poi, il suo umore precipitò. Un'altra donna era deceduta di una morte terribile. Non c'era motivo per festeggiare. A dire il vero, lei aveva desiderato di essersi sbagliata.

Perché una volta tanto non posso essere contenta di avere ragione? Si chiese.

Una mappa gigante della Virginia era esposta su tutto lo schermo principale, poi si ridusse alla metà settentrionale dello stato. Flores evidenziò un punto in alto sulla mappa, vicino al confine con il Maryland.

“La prima vittima era Margaret Geraty, trentasei anni” Flores disse. “Il corpo è stato trovato in una campagna, a circa 50 km da Belding. E' stata uccisa il 25 giugno di circa due anni fa. L'FBI non è stata chiamata ad occuparsene. La polizia del posto ha lasciato il caso irrisolto.”

Riley osservò le foto della scena del crimine che Flores aveva riportato su un altro schermo. Ovviamente, l'assassino non aveva provato a posizionare il corpo. Si era limitato a gettarlo in fretta e ad andarsene.

“Due anni fa” lei disse, pensando, raccogliendo le idee. Una parte di lei era sorpresa che lui si fosse concentrato su questo così a lungo. Mentre l'altra parte invece, sapeva che questi assassini malati potevano agire per anni. Potevano avere una pazienza sbalorditiva.

La donna esaminò le fotografie.

“Vedo che lui non aveva sviluppato il suo stile” osservò.

“Giusto” Flores disse. “Lì c'è una parrucca, e i capelli sono stati tagliati, ma non ha lasciato alcuna rosa. Ad ogni modo, è stata strangolata a morte con un nastro rosa.”

“Si è spostato in fretta per tutta la scena” Riley disse. “I nervi hanno avuto la meglio su di lui. Era la sua prima volta, e ha mancato di sicurezza. Ha fatto un po' meglio con Eileen Rogers, ma è stato con Reba Frye che ha davvero dato il meglio di sé.”

Lei ricordò qualcosa che intendeva chiedere.

“Avete trovato dei collegamenti tra le vittime? O tra i figli delle due madri?”

“Niente” Flores rispose. “Il controllo sui gruppi di genitori non ha portato a nulla. Nessuno di loro sembrava conoscere gli altri.”

La notizia scoraggiò Riley, ma non la sorprese al contempo.

“Che cosa mi dice della prima donna?” Riley domandò. “Era una madre, presumo.”

“No” Flores disse rapidamente, come se avesse aspettato di ricevere quella domanda. “Era sposata, ma senza figli.”

Riley era stupita. Era certa che l'assassino puntasse le madri. Come poteva essersi sbagliata in quel modo?

Sentì la sua crescente autostima sgonfiarsi.

Quando Riley esitò, Bill chiese: “Allora quanto siamo vicini a identificare un sospettato? E' riuscito a ottenere qualcosa da quei ricci di Mosby Park?”

“Non ho avuto fortuna” Flores rispose. “Abbiamo trovato tracce di cuoio invece che di sangue. L'assassino indossava i guanti. Sembra un tipo schizzinoso. Persino sulla prima scena, non ha lasciato alcuna impronta o tracce di DNA.”

Riley sospirò. Aveva sperato così tanto di aver trovato qualcosa, che fosse sfuggito agli altri. Ma ora, si sentiva tagliata fuori. Erano tornati al punto di partenza.

“Ossessionato dai dettagli” lei commentò.

“Anche se così fosse, credo che siamo vicini alla soluzione” Flores aggiunse.

L'uomo utilizzò un puntatore elettronico per indicare le località e tracciare linee tra di esse.

“Adesso che sappiamo del suo primo omicidio, conosciamo un ordine e abbiamo un'idea  migliore del suo territorio” Flores disse. “Abbiamo la vittima numero uno, Margaret Geraty, a Belding, qui a nord, la vittima numero due, Eileen Rogers, ad ovest del Mosby Park, e la vittima numero tre, Reba Frye, vicino a Daggett, più a sud”.

Guardando, Riley realizzò che le tre località formavano un triangolo sulla mappa.

“Stiamo osservando un'area di circa mille miglia quadrati” Flores disse. “Ma non è così male come sembra. Stiamo parlando soprattutto di aree rurali con poche piccole città. A nord, si trovano alcuni grandi tenute, come quella del Senatore. Molta aperta campagna.”

Riley scorse uno sguardo di soddisfazione professionale sul volto di Flores. Ovviamente, lui amava il proprio lavoro.

“Quello che farò è raccogliere tutti i criminali sessuali che vivono in quest'area” Flores disse.  Battè un comando con un tasto, e il triangolo venne riempito con circa due dozzine di puntini rossi.

“Adesso eliminiamo i pederasti” disse. “Possiamo essere certi che il nostro omicida non sia tra di loro.”

Flores battè un altro comando, e circa metà dei puntini sparì.

“Ora, restringiamo il campo, limitandoci ai casi di reati sessuali peggiori, uomini che sono stati in prigione per stupro o omicidio, oppure entrambi.”

“No” Riley disse bruscamente. “E' sbagliato.”

Tutti e tre gli uomini la guardarono sorpresi.

“Non stiamo cercando un criminale violento” lei disse.

Flores brontolò.

“Col cavolo che non è così!” protestò.

Cadde il silenzio. Riley sentì formarsi un'idea, ma non riusciva quasi a prendere forma nella sua mente. Stette a guardare la bambola, che era ancora seduta in maniera grottesca sul tavolo, sembrando sempre fuori posto.

Se solo tu potessi parlare, lei pensò.

Poi, cominciò lentamente a formulare i propri pensieri ad alta voce.

“Voglio dire, non ovviamente violento. Margaret Geraty non è stata stuprata. Sapevamo già che neanche la Rogers e la Frye lo sono state.”

“Sono state tutte torturate e uccise” Flores brontolò.

Una tensione colmò la stanza, e Brent Meredith apparve preoccupato, mentre Bill stava fissando uno degli schermi.

Riley puntò ad un primo piano sulle foto del corpo orrendamente mutilato di Margaret Geraty.

“Il suo primo omicidio è stato quello più violento” lei disse. “Queste ferite sono brutte e profonde, peggiori di quelle che ha fatto sulle altre due vittime. Scommetto che i vostri tecnici hanno già determinato che le ha inflitte molto rapidamente, una dopo l'altra.”

Flores annuì con ammirazione.

“Hai ragione.”

Meredith guardò Riley con curiosità.

“Questo che cosa ti dice?” Meredith chiese.

Riley fece un respiro profondo. Si trovò di nuovo a scivolare nella mente dell'assassino.

“Sono quasi sicura di una cosa” lei disse. “Non ha mai avuto rapporti sessuali con un altro essere umano in tutta la sua vita. Probabilmente, non ha mai avuto un appuntamento. E' goffo e brutto. Le donne l'hanno sempre rifiutato.”

Riley fece un attimo di pausa, per raccogliere i pensieri.

“Un giorno poi è scattato” lei proseguì. “Ha rapito Margaret Geraty, l'ha legata, spogliata e ha cercato di violentarla.”

Flores sussultò con improvvisa comprensione.

“Ma non ci è riuscito!” Flores disse.

“Esatto, è completamente impotente” Riley precisò. “E quando non è riuscito a violentarla, è diventato furioso. Ha iniziato a pugnalare, la cosa più vicina alla penetrazione sessuale che potesse fare. E' stato il primo atto di violenza che abbia mai commesso nella sua vita. Mi chiedo se non si sia neanche degnato di tenerla in vita a lungo.”

Flores indicò un paragrafo nel rapporto ufficiale.

“La tua ipotesi è corretta” lui disse. “Il corpo della Geraty è stato ritrovato soltanto un paio di giorni dopo la sua sparizione.”

Riley provò un crescente senso di terrore alle sue stesse parole.

“E gli è piaciuto” lei disse. “Gli sono piaciuti il terrore e il dolore della Geraty. Gli è piaciuto tagliare e accoltellare. Da allora, quindi, ne ha fatto il suo rituale distintivo. E ha imparato a prendersi il suo tempo per realizzarlo, godendo di ogni minuto. Con Reba Frye, la paura e la tortura sono durate più di una settimana.”

 

Un silenzio gelido investì la stanza.

“Che mi dite del collegamento con la bambola?” Meredith chiese. “Perché siete così certi che ne stia creando una?”

“I corpi assomigliano senz'altro a quelli di una bambola” Bill disse. “Almeno le ultime due. Riley ha ragione in proposito.”

“Si tratta di bambole” Riley disse tranquillamente. “Ma non conosco il motivo esatto. Probabilmente, riguarda una sorta di elemento di vendetta.”

Infine, Flores chiese: “Perciò, pensi che dovremmo cercare un criminale schedato?”

“Forse” Riley rispose. “Ma non uno stupratore, non un predatore violento. Si tratta di qualcuno di più innocuo, meno minaccioso, un guardone o un esibizionista, oppure qualcuno che si masturba in pubblico.”

Flores pigiò energicamente i tasti.

“D'accordo” disse. “Mi sbarazzerò dei criminali violenti.”

Il numero dei puntini rossi sulla mappa si ridusse ad una manciata.

“Perciò chi ci resta?” Riley chiese a Flores.

Flores diede un'occhiata ad alcuni archivi, poi sospirò.

“Penso di averlo trovato” Flores disse. “Penso di aver trovato il vostro uomo. Si tratta di Ross Blackwell. E sentite questa. Stava lavorando in un negozio di giocattoli, quando è stato colto a disporre le bambole in posizioni perverse. Come se stessero avendo degli strani rapporti sessuali. Il proprietario ha chiamato la polizia. Blackwell ha ottenuto la libertà condizionata, ma le autorità lo tengono d'occhio da allora.”

Meredith si massaggiò pensosamente il mento. “Potrebbe essere il nostro uomo” disse.

“Io e l'Agente Paige dovremmo andare a controllarlo ora?” Bill chiese.

“Non abbiamo abbastanza prove per metterlo dentro” Meredith disse. “O per avere un qualsiasi mandato per indagare. Faremmo meglio a non spaventarlo. Se è il nostro uomo ed è intelligente come crediamo, potrebbe scivolarci via dalle mani. Fategli una visitina domani. Scoprite che cosa ha da dire su di sé. Gestitelo con attenzione.”

Capitolo 11

Era buio quando Riley tornò a casa a Fredericksburg e, se non altro, sentiva che la sua serata sarebbe senz'altro peggiorata. Avvertì come un déjà vu, quando parcheggiò l'auto di fronte alla grande casa, in un rispettabile quartiere suburbano. Una volta aveva condiviso questa casa con Ryan e la loro figlia. Aveva molti ricordi legati ad essa, diversi dei quali belli. Ma da un bel po' non era così piacevole, e altri ancora erano davvero brutti.

Proprio quando stava per uscire dall'auto e recarsi in casa, la porta d'entrata si aprì. Uscì fuori April, e la sagoma di Ryan si stagliava contro la luce brillante della porta d'ingresso. L'uomo fece a Riley un cenno di saluto, mentre April si allontanò; poi lui entrò in casa e chiuse la porta.

A Riley sembrò che aveva sbattuto un po' troppo forte la porta, ma sapeva che probabilmente era frutto del lavoro della sua mente. Quella porta si era chiusa per sempre tempo prima, e quella vita era finita. Ma la verità era che lei non era mai appartenuta a un tale mondo piatto, sicuro e rispettabile di ordine e quotidianità. Il suo cuore era sempre in campo, dove caos, imprevedibilità e pericolo regnavano sovrani.

April raggiunse l'auto e si sedette al lato passeggero.

“Sei in ritardo” la ragazza sbottò, incrociando le braccia.

“Scusa” Riley disse. Avrebbe voluto aggiungere dell'altro, dire ad April quanto fosse profondamente dispiaciuta, non solo per quella sera, non solo per suo padre, ma per tutta la sua vita. Riley desiderava tanto essere una madre migliore, stare a casa, esserci per April. Ma la sua vita lavorativa non glielo avrebbe proprio consentito.

Riley tirò indietro il freno.

“I genitori normali non lavorano tutto il giorno e anche tutta la notte” April disse.

Riley sospirò.

“Te l'ho già detto prima” lei esordì.

“Lo so” la figlia l'interruppe. “I criminali non hanno il giorno libero. E' piuttosto noioso, mamma.”

Riley continuò a guidare in silenzio per alcuni istanti, desiderando parlare con April, ma era davvero stanca, troppo sopraffatta dalla sua giornata. Non sapeva più neanche che cosa dire.

“Com'è andata con tuo padre?” le chiese infine.

“Da schifo” April rispose.

Era una risposta prevedibile. April sembrava essere più arrabbiata con suo padre, di quanto non fosse con lei in quei giorni.

Un altro lungo silenzio cadde tra loro.

Poi, in un tono più dolce, April aggiunse: “Almeno, c'è Gabriela. E' sempre bello vedere una faccia amichevole per cambiare.”

Riley sorrise ancora più lievemente. Riley apprezzava davvero Gabriela, la guatemalaiana di mezz'età che era stata per anni la loro governante. Gabriela era sempre perfettamente responsabile ed affidabile, il che era più di quanto si potesse dire di Ryan. Era contenta che Gabriela fosse ancora presente per loro, e che vegliasse sempre su April ogni volta che stava a casa del padre.

Nel tragitto verso casa, Riley sentì un palpabile bisogno di comunicare con sua figlia. Ma che cosa avrebbe potuto dirle? Non era come se non capisse che cosa provava April, specialmente in una serata come quella. La povera ragazza doveva semplicemente sentirsi indesiderata, sballottata avanti e indietro tra le case dei genitori. Probabilmente era difficile essere una quattordicenne, già arrabbiata nei confronti di molte cose nella vita. Per fortuna, April aveva accettato di andare a casa del padre dopo la scuola ogni giorno, finché Riley non andasse a riprenderla. Ma quel giorno, il primo giorno della nuova sistemazione, Riley aveva dovuto fare così tardi.

A Riley venne voglia di piangere mentre guidava. Non riusciva a pensare a nulla da dire. Era semplicemente troppo esausta. Era sempre troppo esausta.

Quando giunsero a casa, April si diresse silenziosamente in camera sua e chiuse forte la porta dietro di sé. Riley restò nel corridoio per un istante. Poi, bussò alla porta della figlia.

“Vieni fuori, tesoro” lei disse. “Parliamo. Sediamoci in cucina per un po', e prendiamo una tazza di tè alla menta. O forse in giardino. E' una bella serata. E' un peccato sprecarla.”

Sentì la voce di April, che rispose: “Vai tu mamma. Sono occupata.”

Riley si poggiò contro lo stipite della porta.

“Continui a ripetere che non passo abbastanza tempo con te” disse Riley.

“E' mezzanotte passata, mamma. E' davvero tardi.”

Riley sentì un groppo alla gola, e salirle le lacrime agli occhi. Ma non sarebbe scoppiata a piangere.

“Ci sto provando, April” lei disse. “Sto facendo del mio meglio, con tutto.”

Cadde il silenzio.

“Lo so” April finalmente disse dall'interno della sua camera.

Poi, fu tutto tranquillo. Riley desiderò poter vedere il viso di sua figlia. Era possibile che avesse sentito almeno una traccia di affetto in quelle due parole? No, probabilmente no. Era rabbia allora? Riley non ne era convinta. Probabilmente si trattava soltanto di distacco.

Riley andò in bagno e fece una lunga doccia calda. Lasciò che il vapore e le gocce d'acqua calda e martellante le massaggiassero il corpo, che le doleva tremendamente dopo una giornata lunga e difficile. Nel momento in cui uscì dalla doccia per asciugarsi i capelli, si sentì fisicamente meglio. Ma dentro, si sentiva ancora vuota e turbata.

E sapeva di non essere pronta per dormire.

Indossò le ciabatte e una vestaglia, e si recò in cucina. Quando aprì un armadietto, la prima cosa che vide fu una bottiglia di bourbon quasi piena. Pensò di trangugiare un doppio whiskey.

Non è una buona idea, si disse fermamente.

Nel suo attuale stato mentale, non si sarebbe limitata ad uno solo. Nonostante tutti i problemi che aveva affrontato nelle ultime sei settimane, era riuscita a impedire che l'alcol divenisse il suo migliore supporto. Si impose una tazza di tè caldo alla menta, invece.

Poi, Riley si sedette nel soggiorno e cominciò a studiare tutte le fotografie e le informazioni relative ai tre casi d'omicidio.

Già sapeva abbastanza della vittima di sei mesi prima vicino a Daggett, quella che ora sapevano essere la seconda vittima di ben tre omicidi. Eileen Rogers era una madre sposata con due figli, che possedeva e gestiva un ristorante col marito. E, naturalmente, Riley aveva anche visitato il sito dove la terza vittima, Reba Frye, era stata lasciata. Aveva persino fatto visita alla famiglia della donna, incluso l'egocentrico Senatore.

Ma il caso Belding, risalente a due anni prima, era nuovo per lei. Mentre leggeva i rapporti, Margaret Geraty cominciò a focalizzarsi nella sua mente, come un vero essere umano, una donna che una volta viveva e respirava. Lavorava a Belding come CPA, e si era trasferita di recente in Virginia dal nord dello stato di New York. La sua famiglia, oltre al marito, comprendeva due sorelle e una madre vedova. Amici e parenti la descrivevano come affabile, ma piuttosto isolata, se non addirittura solitaria.

Bevendo il tè, Riley non poté fare a meno di chiedersi che cosa ne sarebbe stato di Margaret Geraty se fosse sopravvissuta? A trentasei anni, la vita le offriva ancora ogni tipo di possibilità, figli e molto altro ancora.

Riley ebbe un brivido, quando un altro pensiero le nacque nella mente. Solo sei settimane prima, la sua stessa vita era andata così tremendamente vicino alla fine, rischiando di finire in una cartellina proprio come quella ora aperta di fronte a lei. La sua intera esistenza avrebbe potuto essere ridotta ad un insieme di terribili fotografie e un rapporto ufficiale.

Chiuse gli occhi, provando ad allontanare tale sensazione, mentre percepiva il ritorno dei ricordi. Ma per quanto tentasse, non riusciva a fermarli.

Quando entrò nella casa buia, sentì prima grattare sotto le assi del pavimento, poi un grido d'aiuto. Dopo aver controllato le pareti, la trovò, una piccola porta quadrata, che si apriva in un'intercapedine sotto la casa. Puntò una torcia al suo interno.

Il fascio di luce cadde su una faccia terrorizzata.

“Sono qui per aiutarti” Riley disse.

“Sei arrivata!” la vittima gridò. “Oh grazie a Dio sei qui!”

Riley si mosse rapidamente sul pavimento polveroso, diretta verso la piccola gabbia nell'angolo. Maneggiò la serratura per un istante. Poi, estrasse il suo coltellino e lo inserì nella serratura, finché riuscì ad aprirlo. Un istante dopo, la donna stava strisciando fuori dalla gabbia.

Riley e la donna si diressero verso l'apertura quadrata. Ma una figura maschile bloccò il passo a Riley, quando la donna era appena uscita fuori.

Lei era in trappola, ma l'altra donna aveva una possibilità.

“Scappa!” Riley gridò. “Scappa!”

Riley si impose di tornare al presente. Si sarebbe mai liberata da quegli orrori? Certamente, lavorare al nuovo caso, connesso a tortura e morte, non le stava rendendo le cose più facili.

Nonostante ciò, c'era una persona a cui poteva sempre rivolgersi per ottenere sostegno.

Tirò fuori il cellulare e inviò un sms a Marie.

Ciao. Sei ancora sveglia?

Dopo pochi secondi, giunse la risposta.

Sì. Come stai?

Riley digitò: Abbastanza scossa. E tu?

Troppo spaventata per dormire.

Riley volle digitare qualcosa per far sì che entrambe si sentissero meglio. In qualche modo, il solo scrivere sms come quelli non sembrava affatto sufficiente.

Hai voglia di parlare? Le scrisse. Intendo, PARLARE, non solo scrivere?

Trascorsero diversi secondi prima di ricevere la risposta di Marie.

No, non penso proprio.

Per un istante, Riley fu sorpresa. Poi, si rese conto che la sua voce poteva non risultare sempre confortante per Marie. A volte, poteva persino causarle dei terribili flashback.

Riley ricordò le parole di Marie l'ultima volta che avevano parlato. Trova quel figlio di puttana. E uccidilo per me.  E mentre ponderava su quelle frasi, Riley si rese conto di avere delle informazioni che credeva Marie potesse voler sentire.

Sono tornata al lavoro, Riley scrisse.

Le parole di Marie sfociarono in un'ondata di frasi digitate.

Oh bene! Sono così contenta! Lo so che non è facile. Sono orgogliosa. Sei molto coraggiosa.

Riley sospirò. Non si sentiva così coraggiosa, non proprio in quel momento, ad ogni modo.

Le parole di Marie proseguirono.

Grazie. Sapere che hai ripreso a lavorare mi fa sentire molto meglio. Forse adesso potrò dormire. Buonanotte.

Riley scrisse: Non mollare.

Poi, mise via il cellulare. Anche lei si sentiva meglio. Dopotutto, era riuscita ad ottenere qualcosa, tornando a lavorare in quel modo. Lentamente ma sicuramente, stava davvero cominciando a guarire.

 

Riley bevve il resto del tè, poi andò dritta a letto. Si lasciò prendere dalla stanchezza e si addormentò rapidamente.

Riley aveva sei anni, ed era in un negozio di dolci con la mamma. Era così felice per tutti i dolci che la mamma le stava comprando.

Ma, poi, un uomo si avvicinò a loro. Era grosso e spaventoso. Indossava qualcosa sul volto, una calza di nylon, proprio come quelle che coprivano le gambe della mamma. L'uomo estrasse una pistola. Gridò alla mamma, intimandole di dargli la borsa. Ma la mamma era così spaventata, che non riusciva a muoversi. Non poteva dargliela.

E allora, lui le sparò al petto.

Lei cadde a terra, sanguinante. L'uomo raccolse la borsa e corse via.

Riley cominciò a gridare, e gridare e gridare.

Poi, sentì la voce della mamma.

“Non c'è nulla che tu possa fare, cara. Me ne sto andando, e non puoi impedirlo".

Riley era ancora nel negozio di caramelle, ma era completamente cresciuta ora. La mamma era proprio di fronte a lei, ed era sopra il suo stesso cadavere.

“Devo riportarti indietro!” Riley gridò.

La mamma stava sorridendo tristemente a Riley.

“Non puoi” la donna le disse. “Non puoi riportare in vita i morti”.

Riley si alzò, respirando con l'affanno, destata dal sonno a causa di un tintinnio. Si guardò intorno, allarmata. La casa ora era silenziosa.

Ma aveva sentito qualcosa, ne era certa. Come un rumore proveniente dalla porta d'ingresso.

Riley saltò in piedi, dando retta al proprio istinto. Prese una torcia ed estrasse la pistola dal cassetto, e si mosse con attenzione per la casa, dirigendosi verso la porta.

Sbirciò attraverso il piccolo pannello in vetro nella porta, ma non vide niente. Tutto era silenzioso.

Riley si preparò e spalancò rapidamente la porta, puntando fuori la torcia. Nessuno. Niente.

Muovendo la torcia intorno, qualcosa davanti alla scalinata d'ingresso catturò la sua attenzione. Alcuni ciottoli erano stati sparpagliati. Qualcuno li aveva lanciati, provocando quel rumore?

Riley si spremette le meningi, provando a ricordare se quei ciottoli si trovavano lì quando era rientrata la sera precedente. Nella sua confusione mentale, non riusciva affatto ad esserne certa.

Riley restò lì per alcuni istanti, ma non vide alcuna traccia.

Chiuse a chiave la porta d'ingresso, e tornò a percorrere il breve corridoio, che la condusse nella sua camera da letto. Quando raggiunse la fine, si stupì nel vedere che la porta della camera di April era leggermente aperta.

Riley spalancò la porta e guardò all'interno.

Il cuore le batté forte con terrore.

April era scomparsa.