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Il Killer della Rosa

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Il Killer della Rosa
Il Killer della Rosa
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O`qimoqda Caterina Bonanni
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Capitolo 4

La fiamma bianca della torcia al propano oscillava di fronte a Riley. Dovette schivarla avanti e indietro, per evitare di bruciarsi. La luminosità l'accecava e non riusciva nemmeno più  a vedere il volto del suo carceriere. Mentre la torcia oscillava, sembrava lasciare tracce persistenti nell'aria.

“Smettila!” lei gridò.“Smettila!”

La sua voce era debole e rauca per aver gridato troppo. Si chiese perché stava perdendo fiato. Lei sapeva che non avrebbe smesso di tormentarla finché non fosse morta.

Proprio allora, lui sollevò una tromba pneumatica e la soffiò nell'orecchio di lei.

Si sentì suonare il clacson di un'auto. Riley ripiombò nel presente, e alzò lo sguardo, notando che la luce del semaforo all'incrocio era diventata verde. Una fila di auto attendeva dietro il veicolo, e lei pigiò l'acceleratore.

Riley, con i palmi sudati, scacciò quel ricordo e rammentò a se stessa dove fosse. Stava andando a far visita a Marie Sayles, la sola altra sopravvissuta dell'indicibile sadismo del suo quasi assassino. Si rimproverò per essersi lasciata sopraffare da quei ricordi. Era riuscita a concentrarsi sulla guida ormai da un'ora e mezza, e aveva pensato che stava andando bene.

Riley arrivò a Georgetown, passando davanti a prestigiose case vittoriane, e parcheggiò all'indirizzo che Marie le aveva dato al telefono, una casa cittadina di mattoni rossi con uno splendido bovindo. Restò seduta in auto per un momento, chiedendosi se entrare o meno, e provando a fare appello al suo coraggio.

Infine, uscì dall'auto. Mentre percorreva le scale, fu felice di vedere Marie, che l'accoglieva  sulla soglia della porta. Vestita in modo cupo ma elegante, Marie sorrise in qualche maniera, tristemente. Il suo viso appariva stanco e tirato. Dai cerchi sotto gli occhi, Riley fu certa che avesse pianto. Il che non era affatto sorprendente. Con Marie si erano viste molte volte in quelle settimane, tramite la videochat, e c'era ben poco che potessero nascondersi a vicenda.

Quando si abbracciarono, Riley scoprì immediatamente che Marie non era così alta e robusta come si aspettava che fosse. Persino con i tacchi, Marie era più bassa di lei, apparendo piccola e delicata. Il che sorprese Riley. Lei e Marie avevano parlato molto, ma questa era la prima volta che si incontravano di persona. L'esiguità di Marie la faceva sembrare molto più coraggiosa ad essere sopravvissuta a quello che le era successo.

Riley tornò alla realtà, mentre con Marie andavano in sala da pranzo. La stanza era immacolata e arredata con gusto. Normalmente, sarebbe stata una casa gioiosa per una donna single di successo. Ma Marie teneva tutte le tende abbassate, e le luci basse. L'atmosfera era stranamente oppressiva. Riley non intendeva ammetterlo, ma questo le fece pensare alla sua stessa casa.

Marie aveva un pranzo leggero pronto sul tavolo della sala da pranzo, e, insieme a Riley si sedettero a mangiare. Restarono lì in un impacciato silenzio. Riley stava sudando ma non ne conosceva il motivo. Vedere Marie le stava riportando tutto alla mente.

“Allora . . . come ci si sente?” Marie chiese con esitazione. “Uscire fuori nel mondo?”

Riley sorrise. Marie sapeva meglio di chiunque altro che cosa avesse significato il viaggio fin lì di quel giorno.

“Molto bene” Riley rispose. “A dire il vero, abbastanza bene. Ho avuto soltanto un brutto momento, dico davvero.”

Marie annuì, comprendendo chiaramente.

“Ecco, ce l'hai fatta” Marie disse. “E sei stata coraggiosa.”

Coraggiosa, Riley pensò. Non è così che avrebbe descritto se stessa. Una volta, forse, quando era un'agente attiva. Sarebbe mai riuscita a descriversi di nuovo in quel modo?

“E tu?” Riley le chiese. “Quanto esci?”

Marie piombò nel silenzio.

“Non esci affatto, vero?” Riley domandò.

Marie scosse la testa.

Riley si allungò e le strinse il polso in segno di compassione.

“Marie, devi tentare” lei la incoraggiò. “Se resti chiusa qui dentro in questo modo, è come se lui ti tenesse ancora prigioniera.”

Un singhiozzo strozzato uscì dalla gola di Marie.

“Mi dispiace” Riley disse.

“Va tutto bene. Hai ragione.”

Riley osservò Marie, mentre mangiavano entrambe per un momento, e ci fu un istante di lungo silenzio. Lei voleva credere che Marie stesse bene, ma dovette poi ammettere che appariva fragile in modo allarmante. Questo le fece temere anche per se stessa. Anche lei era messa così male?

Riley si chiese silenziosamente se fosse positivo per Marie vivere da sola. Sarebbe stata meglio con un marito o un fidanzato? si domandò. Poi, si pose lo stesso quesito su se stessa ma sapeva che la risposta per entrambe era: probabilmente no. Nessuna di loro era in uno stato emotivo tale da sostenere un rapporto solido. Sarebbe stato semplicemente una stampella.

“Ti ho mai ringraziato?” Marie chiese dopo un po', rompendo il silenzio.

Riley sorrise. Sapeva perfettamente bene che Marie si riferisse al fatto che lei l'avesse salvata.

“Molte volte” Riley rispose. “E non hai bisogno di farlo. Davvero.”

Marie raccolse il cibo con una forchetta.

“Ho mai detto che mi dispiace?”

Riley fu sorpresa. “Ti dispiace? E per che cosa?”

Marie parlò con difficoltà.

“Se non mi avessi tirata fuori di lì, non saresti stata catturata.”

Riley strinse gentilmente la mano di Marie.

“Marie, stavo solo facendo il mio lavoro. Non puoi sentirti in colpa per qualcosa di cui non sei responsabile. E' già dura per te così com'è.”

Marie annuì, in segno di comprensione.

“Il solo alzarsi dal letto al mattino è una sfida” lei ammise. “Immagino che hai notato quanto è buia questa casa. Qualsiasi luce forte mi ricorda quella torcia che usava lui. Non riesco neanche a guardare la televisione o ad ascoltare la musica. Ho paura che qualcuno possa entrare in casa e che io non me ne accorga. Qualsiasi rumore mi crea uno stato di panico.”

Marie cominciò a piangere silenziosamente.

“Non guarderò più il mondo nello stesso modo. Mai. C'è il male là fuori, tutto intorno a noi. Non ne avevo idea. Le persone sono capaci di commettere tali orribili cose. Non so se riuscirò mai a fidarmi di nuovo delle persone.”

Mentre Marie piangeva, Riley volle rassicurarla, dirle che si sbagliava. Ma una parte di Riley non era sicura che fosse proprio così.

Poi, Marie la guardò.

“Perché sei venuta qui oggi?” lei chiese di punto in bianco.

Riley fu colta di sorpresa dalla franchezza di Marie, e dal fatto che lei stessa  non conoscesse la risposta.

“Non lo so” fu la risposta. “Volevo soltanto venire a trovarti. Assicurarmi di come stessi.”

“C'è dell'altro” Marie disse, rimpicciolendo gli occhi con una percezione inspiegabile.

Forse aveva ragione, pensò Riley. Pensò poi alla visita di Bill, e si rese conto di essere andata lì realmente a causa del nuovo caso. Che cosa voleva da Marie? Consiglio? Permesso? Incoraggiamento? Rassicurazione? Una parte di lei voleva che Marie le dicesse che era pazza,  così che potesse riposarsi definitivamente e dimenticare Bill. Ma, forse, un'altra parte di lei desiderava che Marie la costringesse a farlo.

Infine, Riley sospirò.

“C'è un nuovo caso” lei disse. “Ecco, non un nuovo caso. Ma uno vecchio che non è mai stato risolto.”

L'espressione sul volto di Marie divenne tesa e severa.

Riley deglutì.

“E tu sei venuta a chiedere se dovresti farlo?” Marie chiese.

Riley sollevò le spalle. Ma guardò anche in alto, e cercò lo sguardo di Marie, affinché la rassicurasse, incoraggiasse. E, in quel momento, realizzò che era proprio quello che sperava di trovare lì.

Ma, con sua grande delusione, Marie abbassò gli occhi e scosse lentamente la testa. Riley continuò ad attendere una risposta, ma seguì un infinito silenzio. Riley sentiva che una sorta di timore particolare si stava insinuando in Marie.

Nel silenzio, Riley si guardò intorno nell'appartamento, e i suoi occhi si posarono sul telefono fisso di Marie. Notò con sorpresa che era scollegato.

“Che cosa non va con il tuo telefono?” Riley chiese.

Marie apparve positivamente colpita, e Riley si rese conto di aver toccato un nervo scoperto.

“Lui continua a chiamarmi” Marie disse, in un sussurro appena percepibile.

“Chi?”

“Peterson.”

Il cuore di Riley le uscì quasi fuori dal petto.

“Peterson è morto” Riley replicò, con voce tremante. “Io stessa ho dato fuoco al posto. Hanno trovato il suo corpo.”

Marie scosse la testa.

“Possono aver trovato chiunque. Non era lui.”

Riley fu colpita da un'ondata di panico. Le sue stesse paure stavano riemergendo.

“Tutti dicono che era lui” Riley disse.

“E tu lo credi davvero?”

Riley non seppe che cosa dire. Ora non era affatto il momento di confidarle le sue stesse paure. Dopotutto, Marie probabilmente stava delirando. Ma come poteva Riley convincerla di qualcosa a cui lei stessa proprio non credeva?

“Lui continua a chiamare” Maria disse di nuovo. “Chiama e respira, poi mette giù. So che è lui. E' vivo. Mi sta ancora perseguitando.”

Riley ebbe un pessimo presentimento.

“Probabilmente si tratta soltanto di un tizio osceno che telefona” ribatté, fingendosi calma. “Ma posso chiedere al Bureau di verificare comunque. Posso farti mandare un'auto di sorveglianza se hai paura. Rintracceranno le chiamate.”

“No!” Marie disse bruscamente. “No!”

Riley stette a guardare, con aria enigmatica.

“Perché no?” lei chiese.

“Non voglio farlo arrabbiare” Marie rispose, piagnucolando in modo patetico.

Riley, sopraffatta, percependo l'arrivo di un attacco di panico, improvvisamente si rese conto che era stata una terribile idea andare lì. Semmai, si sentiva peggio. Sapeva che non poteva restare seduta in quella sala da pranzo oppressiva un solo istante di più.

 

“Devo andare” Riley disse. “Mi dispiace tanto. Mia figlia mi sta aspettando.”

Marie improvvisamente afferrò il polso di Riley, con sorprendente forza, conficcandole le unghie nella pelle.

Lei restò a guardare, i gelidi occhi blu erano talmente intensi che terrorizzarono Riley. Quello sguardo inquietante le bruciò l'anima.

“Accetta il caso” Marie pressò.

Riley vide nei suoi occhi, che Marie stava confondendo il nuovo caso e Peterson, fondendoli in uno solo.

“Trova quel figlio di puttana” lei aggiunse. “E uccidilo per me.”

Capitolo 5

L'uomo mantenne una breve ma discreta distanza dalla donna, lanciandole soltanto delle occhiate fugaci. Mise alcuni articoli a basso costo nel suo cestino, così da apparire come un altro cliente comune. Si congratulò con se stesso per quanto fosse stato in grado di dare poco nell'occhio. Nessuno avrebbe mai indovinato la sua vera natura.

Ma in realtà, non era mai stato il tipo d'uomo che attirava molta attenzione. Da bambino, si sentiva praticamente invisibile. Ora, finalmente, era in grado di volgere la sua stessa innocuità a proprio vantaggio.

Soltanto pochi istanti prima, si trovava accanto a lei, a poco meno di un metro di distanza.    Assorta nella scelta dello shampoo, lei non lo aveva affatto notato.

Comunque, sapeva parecchie cose di lei. Che il suo nome era Cindy; che suo marito era proprietario di una galleria d'arte; che lei lavorava in uno studio medico gratuito. Quello era il suo giorno libero. In quel momento, era al cellulare intenta in una conversazione con qualcuno,  sua sorella, apparentemente. Stava ridendo per qualcosa che l'interlocutore le stava dicendo.  L'uomo bruciava dalla rabbia, chiedendosi se stesse ridendo proprio di lui, proprio come facevano sempre tutte le ragazze. La sua ira crebbe.

Cindy indossava un paio di pantaloncini, una canottiera e scarpe da tennis costose, almeno così sembrava. Lui l'aveva osservata dalla sua auto, mentre faceva jogging, e aveva atteso finché non avesse terminato la corsa e fosse entrata nel supermercato. Conosceva le sue abitudini, in un giorno di vacanza come quello. Avrebbe portato la spesa a casa, mettendo ogni articolo al proprio posto, avrebbe fatto una doccia, poi sarebbe andata a pranzo con suo marito.

Il suo bel fisico richiedeva molto esercizio fisico. Non aveva più di trent'anni, ma la pelle intorno alle cosce non era più tonica. Probabilmente, aveva perso molto peso una volta o l'altra, forse abbastanza di recente. Ne era indubbiamente fiera.

Improvvisamente, la donna si diresse verso la cassa più vicina. L'uomo fu colto di sorpresa. Cindy aveva finito di fare la spesa prima del solito. Lui si precipitò in coda dietro di lei, quasi spingendo un altro cliente, nel farlo. Si rimproverò silenziosamente per questo.

Mentre il cassiere passava alla cassa gli articoli della donna, lui avanzò e si avvicinò molto a lei, talmente vicino da sentire l'odore del suo corpo, ora sudato e pungente, dopo una vigorosa sessione di jogging. Era un odore che presto sarebbe diventato familiare, pensò. Ma l'odore si sarebbe presto mescolato con un altro, quello che lo affascinava a causa della sua stranezza e del suo mistero.

L'odore della paura e del terrore.

Per un momento, l'uomo si sentì euforico, persino piacevolmente stordito, quasi deliziato dall’aspettativa.

Dopo aver pagato la spesa, la donna spinse il carrello fuori, passando dalle porte di vetro automatiche, e raggiunse la sua auto al parcheggio.

Lui non aveva alcuna fretta ora di pagare la sua spesa. Non aveva alcun bisogno di seguirla fino a casa. Ci era già stato, era anche stato dentro casa sua. Aveva persino toccato i suoi vestiti. L'aveva osservata di nuovo quando era tornata dal lavoro.

Ora non ci vorrà molto, pensò. Non ci vorrà molto.

*

Quando Cindy MacKinnon entrò nella sua auto, restò seduta per un istante: si sentiva agitata e non ne capiva il motivo. Ricordò la strana sensazione che l'aveva colta al supermercato. Era una sensazione inspiegabile, irrazionale di essere osservata. Ma era anche qualcosa di più. Le occorsero alcuni momenti per raccogliere le idee.

Alla fine, si rese conto che si trattava della sensazione che qualcuno intendesse farle del male.

Rabbrividì bruscamente. In quegli ultimi anni, quella sensazione non aveva fatto altro che andare e venire. Si rimproverò, sicura che fosse del tutto immotivata.

Scosse la testa, liberandosi da ogni traccia di tale sensazione. Quando mise in moto l'auto, si obbligò a pensare ad altro, e sorrise al pensiero della conversazione al cellulare avuta con sua sorella Becky. In seguito, quel pomeriggio, Cindy l'avrebbe aiutata a dare una grande festa di compleanno per la sua bambina di tre anni, inclusi torta e palloncini.

Pensò che sarebbe stata una bella giornata.

Capitolo 6

Riley era seduta nel SUV accanto a Bill, mentre quest'ultimo scalava le marce, spingendo il veicolo 4X4 del Bureau più in alto sulle colline, e lei si asciugava i palmi sui suoi pantaloni. Non sapeva come risolvere il problema del sudore, e non sapeva come comportarsi in tale circostanza. Dopo sei settimane lontana dal lavoro, aveva difficoltà a decifrare il linguaggio del proprio corpo. Essere tornata sembrava surreale.

Riley fu disturbata da quell'imbarazzante tensione. Lei e Bill si erano parlati a malapena durante il loro viaggio di più di un'ora. Il loro vecchio cameratismo, la loro giocosità, il loro rapporto  inusuale, era tutto svanito ora. Riley era sicura di sapere per quale motivo Bill fosse così distante. Non era diventato scostante, era molto preoccupato. Anche lui sembrava nutrire dubbi sul suo ritorno in campo.

Arrivarono al Mosby State Park, dove Bill le disse di aver visto la vittima dell'omicidio più recente. Mentre proseguivano, Riley assimilò tutta la geografia intorno a lei e, lentamente, il suo vecchio senso di professionalità emerse. Sapeva di doversi riprendere.

Trova quel figlio di puttana e uccidilo per me.

Le parole di Marie la perseguitavano, la guidavano affinché andasse avanti, rendendo semplice la scelta.

Ma niente ora appariva così semplice. Perché, da un lato, lei non poteva fare a meno di preoccuparsi per April. Mandarla a vivere da suo padre non era l'ideale per chiunque fosse coinvolto. Ma quel giorno era sabato, e Riley non intendeva aspettare fino a lunedì per vedere la scena del crimine.

Il silenzio profondo cominciò ad aggiungersi alla sua ansia, e sentì il desiderio disperato di parlare. Si stava massacrando il cervello alla ricerca di qualcosa da dire e alla fine se ne uscì:

“Allora vuoi dirmi che cosa succede tra te e Maggie?”

Bill si voltò verso di lei, uno sguardo sorpreso dipinto sul suo volto, e lei non riuscì a dire se fosse dovuto al fatto che avesse rotto il silenzio o alla sua domanda tagliente. Qualunque cosa fosse, lei se ne pentì subito. La sua schiettezza, come in molti le avevano detto, poteva risultare sgradevole. Non intendeva mai essere schietta, soltanto non aveva tempo da perdere.

Bill espirò.

“Lei crede che io abbia una relazione.”

Riley fu colta da uno scatto di sorpresa.

“Come?”

“Con il mio lavoro” Bill disse, ridendo un po' aspramente. “Pensa che abbia una relazione con il mio lavoro. Pensa che io ami tutto questo invece di amare lei. Continuo a ripeterle che è sciocca. In ogni caso, non posso esattamente porvi fine, non al mio lavoro”.

Riley scosse la testa.

“Sembra proprio come Ryan. Era sempre geloso da morire, quando stavamo ancora insieme.”

Si astenne dal raccontare a Bill tutta la verità. Il suo ex-marito non era geloso del lavoro di Riley. Ma di Bill. Lei si era spesso chiesta se Ryan avesse avuto una buona ragione. Nonostante la stranezza di quella giornata, si sentì davvero bene a stare vicino a Bill. Quel sentimento era unicamente di natura professionale?

“Spero che questo non si riveli un viaggio inutile” Bill disse. “La scena del crimine è stata tutta ripulita, lo sai.”

“Lo so. Voglio soltanto vedere il posto per me stessa. Foto e rapporti non vanno bene per me.”

Riley stava cominciando a sentirsi un po' frastornata ora. Era abbastanza sicura che fosse dovuto all'altitudine, mentre salivano più in alto. Anche l'aspettativa aveva qualcosa a che fare con ciò. I palmi le stavano ancora sudando.

“Quanto manca?” lei chiese, mentre osservava la foresta farsi più fitta, il terreno più remoto.

“Poco”.

Un paio di minuti dopo, Bill lasciò la strada asfaltata, imboccando un sentiero tracciato dai pneumatici. Il veicolo procedette sobbalzando bruscamente, poi si arrestò circa 400 metri all’interno della foresta.

Lui spense il motore, poi si voltò verso Riley e prese a guardarla con preoccupazione.

“Sei sicura di volerlo fare?” le chiese.

La donna sapeva esattamente che cosa lo preoccupasse. Temeva che lei tornasse a ripensare alla sua prigionia traumatica. Non importava che questo fosse un caso diverso e che ci fosse un assassino diverso.

Lei annuì.

“Sì” lei rispose, non completamente convinta di dire la verità.

La donna uscì dall'auto, e seguì Bill, passando dalla strada ad uno stretto sentiero nella boscaglia, diretta alla foresta. Lei sentì il gorgoglio di un ruscello vicino. Mentre la vegetazione cresceva più fitta, dovette farsi largo tra i rami bassi, e piccoli ricci appiccicosi cominciarono a radunarsi sui suoi pantaloni, proprio sulle gambe. Fu infastidita al pensiero di doverseli togliere di dosso.

Almeno, lei e Bill riuscirono ad emergere sulla riva del ruscello. Riley fu immediatamente colpito dal grazioso aspetto del luogo. Il sole pomeridiano filtrava in mezzo alle foglie, chiazzando l'increspatura dell'acqua  con una luce caleidoscopica. Il gorgoglio fisso del ruscello era rassicurante. Era strano pensare a quel posto come al teatro di una sanguinosa scena di un crimine.

“E' stata trovata proprio qui” Bill disse, guidandola al livello di un grosso macigno.

Quando arrivarono lì, Riley restò a guardarsi completamente intorno, e a respirare profondamente. Sì, aveva fatto bene ad andarci. Stava cominciando a rendersene conto.

“Le foto?” Riley chiese.

Si accovacciò accanto a Bill sul macigno, e insieme cominciarono a sfogliare un intero raccoglitore di fotografie, scattate poco dopo il ritrovamento del cadavere di Reba Frye. C'era un altra cartella che conteneva rapporti e fotografie dell'omicidio, su cui lei e Bill avevano indagato ben sei mesi prima, quello che non erano riusciti a risolvere.

Quelle fotografie riportarono alla mente dei vividi ricordi relativi al primo omicidio. La trasportarono indietro nel tempo, in quella fattoria vicina a Daggett. Riley ricordò come la Rogers era stata posizionata in un modo simile contro un albero.

“Molto simile al nostro vecchio caso” Riley osservò. “Entrambe le donne nei loro trent'anni, entrambe con figli piccoli. Il che sembra parte del suo modus operandi. Punta le madri. Dobbiamo indagare nei gruppi dei genitori, scoprire se ci sono collegamenti tra le due donne oppure tra i rispettivi figli.”

“Incaricherò qualcuno di farlo” Bill disse. Ora stava prendendo appunti.

Riley continuò a lavorare sui rapporti e le foto, confrontandoli con la scena effettiva.

“Stesso tipo di strangolamento, con un nastro rosa” lei osservò. “Un'altra parrucca, e lo stesso tipo di rosa sintetica posta di fronte al corpo.”

Riley posizionò due fotografie l'una accanto all'altra.

“Anche gli occhi spalancati e cuciti” lei aggiunse. “Se ricordo bene, i tecnici hanno scoperto che gli occhi della Rogers sono stati cuciti post mortem. E' stato così anche con la Frye?”

“Sì. Immagino che volesse che lo guardassero persino dopo la loro morte.”

Riley sentì un improvviso brivido lungo la schiena. Aveva quasi dimenticato quella sensazione. Ce l'aveva ogni volta che qualcosa su un caso stava per cominciare ad avere un senso. Non sapeva se sentirsi incoraggiata o terrorizzata.

“No” lei disse. “Non è questo. Non gli importava se le donne lo vedevano.”

“Allora perché l'ha fatto?”

Riley non rispose. Le idee stavano cominciando a formularsi nel suo cervello. Era euforica. Ma al contempo, non era ancora pronta a formularle verbalmente, nemmeno a se stessa.

Espose alcune paia di fotografie sulla cartellina, indicando dei dettagli a Bill.

Non sono esattamente uguali” lei disse. “Il corpo non era proprio disposto come a Daggett. Lui ha provato a spostare il cadavere quando era già rigido. Io credo che stavolta l'abbia portata qui prima che il rigor mortis avesse il sopravvento. Altrimenti, non sarebbe riuscita a metterla in quel modo …”

 

La donna frenò l'impulso di terminare la frase con “gentilmente”. Poi si rese conto che era esattamente il tipo di parola che avrebbe utilizzato, proprio sul lavoro, prima di essere catturata e torturata. Sì, stava tornando nello spirito delle cose, e sentiva la familiare, vecchia ed oscura ossessione crescere dentro di sé. Molto presto, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di tornare indietro.

Ma era una cosa positiva o negativa?

“Che cos'hanno gli occhi della Frye?” lei chiese, indicando una fotografia. “Quel blu non sembra reale.”

“Lenti a contatto” Bill rispose.

Il brivido lungo la spina dorsale di Riley divenne più forte. Il cadavere di Eileen Rogers non aveva le lenti a contatto. Era una differenza importante.

“E la lucentezza della sua pelle?” lei chiese.

“Vaselina” Bill disse.

Un'altra differenza importante. Sentiva le idee andare al proprio posto a incredibile velocità.

“La scientifica che cos'ha detto della parrucca?” lei chiese a Bill.

“Ancora niente, ad eccezione del fatto che è stata ricavata da diversi pezzi di parrucche di bassa qualità.”

L'eccitazione di Riley aumentò. Per l'ultimo omicidio, l'assassino aveva utilizzato una semplice parrucca intera, non certo una realizzata con vari pezzi. Come la rosa, era talmente economica che la scientifica non era riuscita a identificarla. Riley sentiva le parti del puzzle unirsi, non del puzzle intero, ma una grossa sezione.

“Che cosa intende fare della parrucca, la scientifica?” lei chiese.

“La stessa cosa dell'ultima volta, eseguire una ricerca delle sue fibre, provare a rintracciarla attraverso i capelli.”

Stupita dalla feroce certezza nella sua stessa voce, Riley disse: “Stanno perdendo il loro tempo.”

Bill la guardò, chiaramente colto di sorpresa.

“Perché?”

Lei percepì un'impazienza familiare in Bill, quella che trovava sempre, quando pensava un passo o due davanti a lui.

“Guarda la foto che sta provando a mostrarci. Le lenti a contatto blu, per far apparire falsi gli occhi. Le palpebre cucite, per far restare gli occhi spalancati. Il corpo posizionato seduto, le gambe spalancate in maniera strana. La vaselina per far apparire la pelle come se fosse di plastica. Una parrucca formata da pezzi di piccole parrucche, non parrucche umane, ma di bambole. Voleva che entrambe le vittime apparissero come bambole, come bambole nude in esposizione.”

“Accidenti!” Bill disse, prendendo febbrilmente appunti. “Perché non l'abbiamo visto l'ultima volta, a Daggett?”

La risposta sembrava così ovvia a Riley, che emise un lamento di impazienza.

“Non era ancora bravo in quello” lei disse. “Stava ancora studiando come inviare il messaggio. Impara man mano.”

Bill distolse lo sguardo dal suo taccuino, e scosse la testa in segno di ammirazione.

“Dannazione, mi sei mancata.”

Per quanto apprezzasse il complimento, Riley sapeva che stava per avere una nuova illuminazione. E seppe dagli anni di esperienza che non l'avrebbe forzata. Doveva semplicemente rilassarsi e lasciare che si palesasse a lei. Si accucciò silenziosamente sul macigno, aspettando che ciò accadesse. Mentre aspettava, prestò svogliatamente attenzione ai ricci attaccati alle gambe, sui pantaloni.

Che fastidio, lei pensò.

Improvvisamente, gli occhi le caddero sulla superficie in pietra sotto i suoi stessi piedi. Altri piccoli ricci, alcuni interi mentre altri ridotti in frammenti, giacevano nel bel mezzo di quelli che lei si stava  staccando ora dai pantaloni.

“Bill” la donna disse, e la voce aveva un tono di eccitazione, “questi ricci erano qui quando avete trovato il corpo?”

Bill sollevò le spalle. “Non lo so.”

Con le mani tremanti e sudate più che mai, lei afferrò un gruppo di fotografie e vi frugò nel mezzo, fino a quando ne trovò una che riprendeva il cadavere frontalmente. Lì, tra le gambe spalancate, proprio intorno alla rosa, c'era un gruppo di piccole strisciate. Quelli erano i ricci, che lei stessa aveva appena trovato. Ma nessuno aveva creduto che fossero importanti. Nessuno si era disturbato a scattare una foto più dettagliata. E nessuno si era nemmeno degnato di spazzarli via, quando la scena del crimine era stata ripulita.

Riley chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi nello sforzo di immaginare. Si sentì confusa, persino stordita. Era una sensazione che conosceva fin troppo bene, che la faceva sentire come se cadesse in un abisso, in un terribile vuoto, nella crudele mente dell'assassino. Finiva per mettersi nei suoi panni, nella sua esperienza. Era un luogo pericoloso e terrificante in cui trovarsi. Ma lei vi apparteneva, almeno in quel momento. Riley vi si tuffò.

Percepì la fiducia dell'assassino, mentre trascinava il corpo lungo il sentiero fino al ruscello, perfettamente sicuro che non sarebbe stato colto sul fatto: non aveva alcuna fretta. Forse mormorava tra sé o fischiava. Riley percepì la sua pazienza, la sua abilità, le sue doti, mentre deponeva il cadavere sul macigno.

E vide la macabra scena con i suoi stessi occhi. Sentì la sua profonda soddisfazione per un lavoro così ben fatto, la stessa calda sensazione di completamento che lei provava sempre quando risolveva un caso. L'uomo si era accovacciato su quella roccia, fermandosi per un istante, o per il tempo che aveva desiderato, ad ammirare il suo lavoro.

E, quando lo aveva fatto, si era tolto i ricci dalle gambe, sui pantaloni. Si era preso tutto il tempo necessario. Non aveva aspettato di allontanarsi per ripulirsi. E lei riusciva quasi a sentirgli pronunciare ad alta voce le sue stesse precise parole.

“Che fastidio.”

Sì, aveva persino avuto il tempo di liberarsi dei ricci.

Riley sussultò, e gli occhi le si spalancarono. Prendendo il riccio nella sua mano, notò quanto fosse appiccicoso, e che i suoi aculei erano abbastanza affilati da far sanguinare.

“Raccogli questi ricci” ordinò. “Potremmo estrarvi del DNA.”

Gli occhi di Bill si spalancarono, e lui estrasse immediatamente una borsa e delle pinzette. Mentre il partner operava, la mente di lei andò in sovraccarico, e non aveva ancora trovato una soluzione.

“Ci siamo completamente sbagliati” lei disse. “Questo non è il suo secondo omicidio. Ma è  il terzo”.

Bill si fermò e sollevò lo sguardo, chiaramente stupito.

“Come lo sai?” le chiese.

Tutto il corpo di Riley si irrigidì, provando a controllare il suo stesso tremore.

“Lui ha fatto tutto troppo bene. Il suo apprendistato è finito. Adesso è un professionista. E sta soltanto battendo la sua strada. Ama il suo lavoro. No, questa è almeno la sua terza volta.”

Riley aveva la gola secca, visto che inghiottiva con difficoltà.

“E non ci vorrà molto perché colpisca di nuovo.”