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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 2

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Emilia sapeva bene che avrebbe dovuto prevedere tutti questi inconvenienti, ma non essendo quello il momento di farle inutili rimproveri, sedette presso la zia, le prese la mano, e con quell'aria pietosa che la faceva somigliare ad un angelo custode, le parlò con infinita dolcezza. Tutti i suoi discorsi però non bastarono a calmare la signora Montoni, la quale non volle ascoltar nulla; essa aveva bisogno di sfogarsi ancor prima di essere consolata.

« Ingrato! » diss'ella, « mi ha ingannato in tutte le maniere. Ha saputo strapparmi dalla patria, dagli amici; mi chiuse in questo antico castello, e crede costringermi a cedere a tutti i suoi voleri; ma vedrà che si è ingannato, vedrà che nessuna minaccia basterà ad indurmi a… Ma chi l'avrebbe creduto? Chi l'avrebbe mai supposto che, col suo nome, la sua apparente ricchezza, costui non avesse nulla affatto? No, neppure uno zecchino del suo! Io credeva far bene: lo credeva uomo d'importanza ed opulentissimo, altrimenti non lo avrei sposato. Ingrato! Perfido! Mostro!…

– Cara zia, calmatevi; il signor Montoni sarà forse men ricco di quello che credevate, ma non è poi così povero. La casa di Venezia e questo castello sono suoi. Posso io domandarvi quali sono le circostanze che vi affliggono più particolarmente?

– Quali circostanze! » sclamò la zia furibonda. « Che! non basta? Da molto tempo rovinato al giuoco, ha perduto anche tutto ciò che gli ho donato, ed ora pretende che gli faccia cessione di tutti i miei beni. Fortuna che la maggior parte di essi sono in testa mia: ei vorrebbe dilapidare anche questi e gettarsi in un progetto infernale di cui egli solo può comprendere l'idea; e… tutto questo non basta?

– Certo, » disse Emilia, « ma rammentatevi, signora, ch'io l'ignorava assolutamente.

– E non basta, che la sua rovina sia compiuta, che sia pieno di debiti d'ogni sorta al punto che, se dovesse pagarli, non gli resterebbe nè il castello, nè la casa di Venezia?

– Sono afflittissima di ciò che mi dite…

– E non basta, » interruppe la zia, « che mi abbia trattata con tanta negligenza e crudeltà, perchè gli ricusai la cessione; perchè invece di tremare alle sue minacce, lo sfidai risolutamente, rimproverandogli, la sua vergognosa condotta? Io l'ho sofferto con tutta la dolcezza possibile. Voi sapete bene, nipote, se mi sfuggì mai una parola di doglianza fino ad ora; io, il cui unico torto è una bontà troppo grande ed una troppo facile condiscendenza! E per mia disgrazia mi vedo incatenata per la vita a questo vile, crudele e perfido mostro! »

Emilia, comprendendo che i suoi mali non ammettevano consolazione reale, e spregiando le frasi comuni, stimò meglio tacere; la signora Montoni però, gelosa della sua superiorità, interpretò quel silenzio per indifferenza o disprezzo, e le rimproverò l'oblio de' propri doveri e la mancanza di sensibilità.

« Oh! come diffidava io di quella sensibilità tanto vantata, quando sarebbe stata messa alla prova! » soggiuns'ella; « io sapeva benissimo che non v'insegnerebbe nè tenerezza, nè affetto pei parenti che vi hanno trattata come loro figlia.

– Perdonate, zia, » disse Emilia con dolcezza, « io mi vanto poco, e se lo facessi, non mi vanterei già della mia sensibilità, ch'è un dono forse più da temere che da desiderare.

– A meraviglia, nipote, non voglio disputar con voi; ma, come io diceva, Montoni minacciommi di violenze, se persisto più a lungo a negargli la cessione; era appunto il soggetto della nostra contesa quando entraste stamattina. Ora son decisa; non v'ha forza sulla terra che possa costringermivici, e non soffrirò con calma tanti mal trattamenti; gli dirò tutto ciò che merita, a dispetto delle sue minacce e della sua ferocia. »

Emilia profittò di un momento di silenzio per dirle: « Cara zia, voi non fareste che irritarlo senza necessità; non provocate di grazia, i mali crudeli che temete.

– Poco men cale, ma non lo appagherò mai; voi mi consigliereste forse a spogliarmi di tutto il mio?

– No, zia, non intendo dir questo.

– E che intendete voi dunque?

– Voi parlavate di far rimproveri al signor Montoni… » disse Emilia titubante.

– Che! Forse non li merita?

– Certo; ma non credo sia prudenza il farglieli nella situazione attuale.

– Prudenza! prudenza con un uomo che senza scrupolo calpesta perfino le leggi dell'umanità! ed userò prudenza con costui? No, non sarò vile a tal segno.

– Pel vostro solo interesse, e non per quello di Montoni, » disse Emilia modestamente, « stimerei bene di consultar la prudenza. I vostri rimproveri, quantunque giusti, riescirebbero vani, nè farebbero che spingerlo a terribili eccessi.

– Come! Dovrei dunque sottoporrai ciecamente a tutto ciò ch'ei mi comanda? Pretendereste ch'io me gli gettassi ai piedi per ringraziarlo della sua crudeltà? Pretendereste che gli facessi donazione di tutti i miei beni?

– Cara zia, io forse mi spiego male! non sono in caso di consigliarvi sopra un punto tanto delicato; ma soffrite che ve lo dica: se amate il vostro riposo, cercate di calmare il signor Montoni, anzichè irritarlo.

– Calmarlo! è impossibile, ripeto, non voglio neppur provarmici. »

Emilia, benchè piccata dall'ostinazione e dalle false idee della zia, sentiva pietà de' di lei infortunii, e fece il possibile per calmarla e consolarla, dicendole:

« La vostra situazione è forse meno disperata che non crediate. Il signor Montoni può dipingervi i suoi affari in uno stato più cattivo di quello che lo siano realmente, per esagerare e dimostrare il bisogno che ha della vostra cessione; d'altronde, finchè conserverete i vostri beni, vi offriranno una risorsa, se la futura condotta di vostro marito vi obbligasse a separarvi da lui....

– Nipote crudele e insensibile, » la interruppe impazientemente la zia, « voi dunque tentate persuadermi che non ho motivo di querelarmi? Che mio marito è in una posizione brillante? che il mio avvenire è consolante, e che i miei affanni son puerili e romanzeschi come i vostri? Strane consolazioni! Persuadermi che sono priva di criterio e di sentimento, perchè voi non sentite nulla, e siete indifferentissima ai mali altrui! Io credeva aprire il cuore ad una persona compassionevole, che simpatizzasse colle mie pene; ma mi avvedo pur troppo che le persone sentimentali non sanno sentire che per sè. Andatevene. »

Emilia, senza risponderle, uscì con un misto di pietà e disprezzo. Appena fu sola, cedè ai penosi pensieri che le faceva nascere la posizione infelice della zia. Le proprie osservazioni, le parole equivoche di Morano, l'aveano convinta che il patrimonio di Montoni mal corrispondeva alle apparenze. Vedeva il fasto di lui, il numero de' servi, le sue nuove spese per le fortificazioni, e la riflessione aumentò la di lei incertezza sulla sorte della zia e la propria, pensando al truce carattere dello zio che andava ognor più spiegandosi nella sua ferocia.

Mentre versava in questi affliggenti pensieri, Annetta le portò il pranzo in camera. Sorpresa da tal novità, domandò chi glielo avesse ordinato. « La mia padrona, » rispose Annetta. « Il signore ha comandato ch'essa pranzi nel suo appartamento ed ella vi manda il pranzo nel vostro. Ci sono state forti discussioni fra loro, e mi pare che la cosa si faccia seria. »

Emilia, poco badando alle sue ciarle, si mise a tavola, ma Annetta non taceva sì facilmente: parlò dell'arrivo degli uomini da lei già veduti sul bastione, e della loro strana figura, non meno che della buona accoglienza lor fatta da Montoni. « Pranzano essi con lui? » disse Emilia.

– No, signorina; hanno già mangiato nelle lor camere in fondo alla galleria settentrionale. Non so quando se ne andranno. Il padrone ha ordinato a Carlo di portar loro il bisognevole. Hanno già fatto il giro di tutto il castello, e dirette molte interrogazioni ai manovali. In vita mia non ho mai veduto ceffi così brutti; fanno paura a vederli. »

La fanciulla le domandò se avesse udito riparlare del conte Morano, e se vi fosse per lui speranza di guarigione. Annetta sapeva solo che trovavasi in una capanna, e molto aggravato. Emilia non potè nascondere la commozione.

« Signorina, » disse la ciarliera, « come le donne sanno ben nascondere l'amore! Io credeva che voi odiaste il conte, e mi sono ingannata.

– Credo di non odiar nessuno, » rispose Emilia sforzandosi al sorriso; « ma non sono innamorata certo del conte Morano; e sarei egualmente dispiacentissima della morte violenta di chicchessia. »

Annetta tornò a parlare de' dissensi fra i coniugi Montoni. « Non è cosa nuova, » diss'ella, « giacchè abbiamo inteso e veduto tutto fino da Venezia, sebbene non ve ne abbia mai parlato.

– E facesti benissimo, ed avresti fatto meglio a continuare a tacere; abbi dunque prudenza, che questo discorso non mi garba.

– Ah! cara signora Emilia, vedo qual rispetto avete per persone che si occupano sì poco di voi! Io non posso soffrire di vedervi illusa in tal modo; debbo dirvelo unicamente pel vostro interesse, e senza alcun disegno di nuocere alla mia padrona, quantunque, a dir vero, abbia poca ragione di amarla.

– Tu non parli certo di mia zia, » disse Emilia con gravità.

– Sì, signora; ma io sono fuori di me. Se voi sapeste tutto quel che so io, non andreste in collera. Spesso, spessissimo ho inteso lei ed il padrone che parlavano di maritarvi al conte: essa gli diceva sempre di non lasciarvi cedere ai vostri ridicoli capricci, ma di saper costringervi ad obbedire. Mi si straziava il cuore all'udire tanta crudeltà; parendomi che essendo ella stessa infelice, avrebbe dovuto compatire le disgrazie altrui e....

– Ti ringrazio della tua pietà, Annetta; ma mia zia era infelice, e forse le sue idee erano alterate. Altrimenti io penso… son persuasa che… Ma via, lasciami sola, Annetta, ho finito di pranzare.

– Voi non avete mangiato quasi nulla; prendete un altro boccone… Alterate le sue idee? affè! mi pare che lo siano sempre. A Tolosa ho inteso spesso la padrona parlare di voi e del signor Valancourt alla signora Marville e alla signora Vaison in un modo poco bello: diceva loro che durava fatica a contenervi ne' limiti del dovere, che eravate per lei un gran peso, e che se non vi avesse sorvegliata bene, sareste andata a scorrazzare per le campagne col signor Valancourt; che lo facevate venir la notte, e....

 

– Gran Dio! » sclamò Emilia facendosi di fuoco; « è impossibile che mia zia mi abbia dipinta così.

– Sì, signora, questa è la pura verità, sebbene non la dica tutta intiera. Mi pareva che avrebbe potuto parlare in altra maniera di sua nipote, anche nel caso che voi aveste commesso qualche fallo. Ma siate certa che non ho mai creduto neppure una sillaba di tutti i suoi discorsi. La padrona non guarda mai a ciò che dice, quando parla degli altri.

– Comunque sia, Annetta, » disse Emilia, ricomponendosi con dignità, « tu fai malissimo ad accusar mia zia presso di me; so che la tua intenzione è buona, ma non parliamone più; sparecchia la tavola. »

La cameriera arrossì, chinò gli occhi ed affrettassi ad andarsene.

« È dunque questo il premio della mia onestà? » disse Emilia quando fu sola. « È questo il trattamento che debbo ricevere da una parente, da una zia, la quale doveva difendere la mia riputazione, invece di calunniarla? Oh! mio tenero ed affettuosissimo padre, cosa diresti se tu fossi ancora al mondo? Che penseresti della indegna condotta di tua sorella a mio riguardo?… Ma via, bando alle inutili recriminazioni, e pensiamo soltanto ch'essa è infelice. »

Per divagarsi alquanto, prese il velo, e scese sui bastioni, l'unico passeggio che le fosse permesso. Avrebbe, sì, desiderato percorrere i boschi sottoposti, e contemplare i sublimi quadri della natura; ma Montoni non volendo ch'ella uscisse dal castello, cercava contentarsi delle viste pittoresche cui osservava dalle mura. Nessuno eravi allora colà; il cielo era tetro e tristo come lei. Però, trapelando il sole dalle nubi, Emilia volle vederne l'effetto sulla torre di tramontana: voltandosi, vide i tre forestieri della mattina, e si sentì un tremito involontario. Coloro le si avvicinarono mentre esitava. Volle ritirarsi, ed abbassò il velo, che mal ne nascondeva la beltà. Essi guardaronla attenti, parlandosi tra loro: la fierezza delle fisonomie la colpì ancor più del singolare abbigliamento. La figura in ispecie di quello in mezzo spirava una ferocia selvaggia, truce e maligna che l'atterrì. Passò rapida: quando fu in fondo al terrazzo, si volse, e vide gli stranieri all'ombra della torretta, intenti a considerarla, ed a parlare con fuoco tra loro. Ella affrettossi a ritirarsi in camera.

Montoni cenò tardi, e restò un pezzo a tavola cogli ospiti nel salotto di cedro. Gonfio del suo recente trionfo su Morano, vuotò spesso la coppa, e si abbandonò senza ritegno ai piaceri della tavola e della conversazione. Il brio di Cavignì parea al contrario scemato: guardava Verrezzi, cui aveva stentato molto a contenere fin allora, e che voleva sempre manifestare a Montoni gli ultimi insulti del conte.

Un convitato mise in campo i casi della notte scorsa, e gli occhi di Verrezzi sfavillarono: si parlò poscia di Emilia, e fu un concerto di elogi. Montoni solo tacea. Partiti i servi, la conversazione divenne più libera; il carattere irascibile di Verrezzi mescolava talvolta un po' di asprezza in quanto diceva, ma Montoni spiegava la sua superiorità perfin negli sguardi e nelle maniere. Uno di essi nominò imprudentemente di nuovo Morano; Verrezzi scaldato dal vino, e senza badare ai ripetuti segni di Cavignì, diede misteriosamente qualche cenno sull'incidente della vigilia. Montoni non parve notarlo e continuò a tacere, senza mostrare alterazione. Quell'apparente insensibilità accrebbe l'ira di Verrezzi, il quale finì a manifestare i detti di Morano, che, cioè, il castello non gli apparteneva legittimamente, e che non avrebbegli lasciato volontariamente un altro omicidio sull'anima.

« Sarei io insultato alla mia tavola, e lo sarei da un amico? » gridò Montoni pallido dal furore. « Perchè ripetermi i motti d'uno stolto? » Verrezzi, che si aspettava di vedere l'ira di Montoni volgersi contro il conte, guardò Cavignì con sorpresa, e questi godè della sua confusione. « Avreste la debolezza di credere ai discorsi d'un uomo traviato dal delirio della vendetta?

– Signore, » disse Verrezzi, noi crediamo solo quel che sappiamo.

– Come! » interruppe Montoni con gravità; « dove sono le vostre prove?

– Noi crediamo solo quel che sappiamo, e non sappiam nulla di quanto ci affermò Morano. »

Montoni parve rimettersi, e disse: « Io son sempre pronto, amici, quando si tratta del mio onore; nessuno potrebbe dubitarne impunemente. Orsù, beviamo.

– Sì, beviamo alla salute della signora Emilia, » disse Cavignì.

– Con vostro permesso, prima a quella della castellana, » soggiunse Bertolini. Montoni taceva.

– Alla salute della castellana, » dissero gli ospiti, e Montoni fece un lieve cenno di capo in segno d'approvazione.

« Mi sorprende, signore, » gli disse Bertolini, « che abbiate negletto tanto questo castello: è un bell'edifizio.

– E molto adatto ai nostri disegni, » replicò Montoni. « Voi non sapete, parmi, per qual caso io lo posseggo?

– Ma, » disse Bertolini ridendo, « è un caso fortunatissimo, ed io vorrei che me ne accadesse uno simile.

– Se volete compiacervi d'ascoltarmi, » continuò Montoni, « vi racconterò la cosa. »

Le fisionomie di Bertolini e Verrezzi esprimevano ansiosa curiosità. Cavignì, il quale non ne esternava, sapeva probabilmente già la storia.

« Sono quasi venti anni che posseggo questo castello. La signora che lo possedeva prima di me, era mia parente lontana. Io sono l'ultimo della famiglia: essa era bella e ricca, ed io le offrii la mia mano, ma siccome amava un altro, mi respinse. È probabile che il preferito abbia respinto lei, che fu assalita da una costante malinconia, ed ho tutto il fondamento di credere che troncasse ella stessa i suoi giorni. Io non era allora nel castello: è un caso pieno di strane e misteriose circostanze ch'io vo' ripetervi.

– Ripetetele, » disse una voce.

Montoni tacque, ed i suoi ospiti, guardandosi reciprocamente, si chiesero chi avesse parlato, e s'avvidero che tutti si facevano la stessa domanda.

« Siamo ascoltati, » disse Montoni; « ne parleremo un'altra volta: beviamo. »

I convitati guardarono per tutta la sala.

« Siamo soli, » disse Verrezzi, « fateci la grazia di continuare.

– Non udiste qualcosa? » sclamò Montoni.

– Parmi di sì, » rispose Bertolini.

– Pura illusione, » disse Verrezzi guardando ancora. « Siam soli. Continuate, ven prego. »

Montoni ripigliò sottovoce, mentre i convitati si serravano intorno a lui.

« Sappiate che la signora Laurentini da qualche mese mostrava i sintomi d'una gran passione e d'un'immaginazione alterata. Talvolta si perdeva in una placida meditazione, ma spesso farneticava. Una sera di ottobre, dopo uno di questi accessi, si ritirò sola nella sua camera, vietando di sturbarla. Era la camera in fondo al corridoio, ch'è stata il teatro della scena d'ieri sera: da quell'istante non la videro più.

– Come! Non fu veduta più? » disse Bertolini. « Il suo corpo non fu trovato nella camera?

– Non si trovò il suo cadavere? » esclamarono tutti unanimamente.

– Mai, » rispose Montoni.

– Quai motivi s'ebbero per supporre che si fosse uccisa? » disse Bertolini. – Sì, quai motivi? » disse Verrezzi. Montoni gli lanciò un'occhiata sdegnosa. « Perdonate, signore, soggiunse l'altro; non pensava che la signora fosse vostra parente, quando ne parlai con tanta leggerezza. »

Montoni, ricevendo questa scusa, continuò: « Vi spiegherò tosto il tutto: ascoltate.

– Ascoltate! » ripetè una voce.

Tutti tacevano, e Montoni cambiò di colore.

« Questa non è un'illusione, » disse finalmente Cavignì. – No, » disse Bertolini; « l'ho intesa anch'io.

– Questo diventa straordinario, » soggiunse Montoni, alzandosi precipitosamente. Tutti i convitati si alzarono in disordine: furono chiamati i servi, si fecero ricerche, ma non fu trovato nessuno. La sorpresa e la costernazione crebbero. Montoni fu sconcertato. « Lasciamo questa sala, » diss'egli, « ed il soggetto del nostro discorso; è troppo serio. » Gli ospiti, disposti ad uscire, pregarono Montoni di andare altrove a seguitare il suo racconto, ma invano; malgrado tutti i suoi sforzi per parer tranquillo, egli era visibilmente agitatissimo.

« Come! » disse Verrezzi; « sareste superstizioso, voi che vi burlate dell'altrui credulità?

– Non sono superstizioso, » rispose Montoni « ma convien sapere cosa ciò vuol dire. » Uscì, e tutti ritiraronsi.

FINE DEL SECONDO VOLUME