Kitobni o'qish: «La Terra del Fuoco »
EDIZIONE ITALIANA A CURA DI ANNALISA LOVAT
Chi è Morgan Rice
Morgan Rice è l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento quattordici libri.
I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue).
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“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”
Books and Movie Reviews, Roberto Mattos
“La Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”
--Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata)
“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!… Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.”
--The Romance Reviews (parlando di Tramutata)
“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”
--Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata }
“Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare a innamorarvi”
--vampirebooksite.com (parlando di Tramutata)
“Un grande intreccio: questo è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed è così spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.”
--The Dallas Examiner {parlando di Amata}
“È un libro che può competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”
--Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata}
“Morgan Rice dà nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affascinerà una vasta gamma di lettori, compresi i più giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascerà a bocca aperta.”
--The Romance Reviews {parlando di Amata}
Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)
SOGNO DA MORTALI (Libro #15)
GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)
IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)
LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA
ARENA UNO: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA DUE (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
FATED (Libro #11)
Ascolta la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio-libro!
Copyright © 2014 by Morgan Rice
All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.
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“Così le volto le spalle:
c’è un mondo pure altrove.”
--William ShakespeareCoriolano
CAPITOLO UNO
Gwendolyn si trovava sulla costa delle Isole Superiori e guardava l’oceano con orrore mentre la nebbia si faceva avanti e avvolgeva il suo bambino. Si sentiva spezzare il cuore a metà mentre osservava Guwayne che galleggiava sempre più lontano, verso l’orizzonte, scomparendo nella nebbia. La corrente lo stava portando Dio solo sapeva dove, sempre più distante da lei.
Le lacrime scorrevano lungo le guance di Gwen mentre stava a guardare, incapace di distogliere lo sguardo, insensibile al mondo. Aveva perso tutto il senso del tempo e dello spazio e non riusciva neanche più a percepire il proprio corpo. Una parte di lei moriva mentre guardava l’essere che amava di più al mondo portato via dalle onde dell’oceano. Era come se una parte di lei venisse risucchiata dalle acque insieme a lui.
Gwen si odiava per ciò che aveva fatto, ma allo stesso tempo sapeva che era l’unica cosa al mondo che avrebbe potuto salvare il suo bambino. Gwen udiva i ruggiti e i tuoni all’orizzonte alla sue spalle e sapeva che presto l’intera isola sarebbe stata distrutta dalle fiamme e che niente al mondo avrebbe potuto salvarli. Non Argon, che giaceva immobile e incapacitato a fare qualsiasi cosa; non Thorgrin che era lontanissimo nella Terra dei Druidi; non Alistair o Erec che erano pure distanti, nelle Isole del Sud; non Kendrick o l’Argento o qualsiasi altro coraggioso uomo che si trovasse in quel luogo: nessuno di loro aveva i mezzi per sconfiggere un drago. Avevano bisogno di magia e questo era proprio l’elemento che mancava loro.
Erano stati fortunati a sfuggire all’Anello e ora, lo capiva bene, il destino li aveva raggiunti. Non c’era più spazio per la fuga né per nascondersi. Era giunta l’ora di affrontare la morte che li stava rincorrendo.
Gwendolyn si voltò a guardare l’orizzonte dalla parte opposta, scorgendo anche da lì l’oscura massa di draghi che si dirigevano verso di lei. Aveva poco tempo a disposizione: non voleva morire da sola lì sulla costa, ma insieme al suo popolo, proteggendolo meglio che poteva.
Gwen si voltò di nuovo per un’ultima occhiata all’oceano, sperando di poter ancora scorgere Guwayne.
Ma non c’era più nulla. Ora Guwayne era lontano da lei, da qualche parte verso l’orizzonte, già diretto verso un mondo che lei non avrebbe mai conosciuto.
Ti prego Dio, pregò Gwen. Stai con lui. Prendi la mia vita e risparmia la sua. Farò qualsiasi cosa. Tieni Guwayne in salvo. Fa che possa stringerlo di nuovo. Ti scongiuro. Per favore.
Gwendolyn aprì gli occhi, sperando di vedere un segno, magari un arcobaleno all’orizzonte, qualsiasi cosa.
Ma l’orizzonte era vuoto. Non c’era altro che nero, nubi scure e un universo furibondo con lei per ciò che aveva fatto.
Singhiozzando Gwen diede le spalle all’oceano, a ciò che rimaneva della sua vita, e si mise a correre, a ogni balzo sempre più vicina all’ultimo momento con il suo popolo.
*
Gwen si trovava sul bastione più alto della fortezza di Tiro, circondata da decine di persone tra cui i suoi fratelli Kendrick, Reece e Godfrey, i suoi cugini Mati e Stara, Steffen, Aberthol, Srog, Brandt, Atme e tutta la Legione. Guardavano tutti il cielo, in silenzio e pensierosi, sapendo ciò che li aspettava.
Mentre ascoltavano i distanti ruggiti che scuotevano la terra, restavano fermi e indifesi, guardando Ralibar che portava avanti la loro battaglia, da solo e coraggiosamente, combattendo meglio che poteva e contenendo l’esercito di draghi nemici. Il cuore di Gwen era colmo di gratitudine vedendo Ralibar combattere così valorosamente e coraggiosamente, uno contro più di dieci, ma pur sempre temerario. Ralibar sputava fuoco contro i draghi, sollevava gli artigli e li graffiava, li afferrava e affondava le zanne nelle loro gole. Non solo era più forte degli altri, ma anche più veloce. Era uno spettacolo da guardare.
Mentre Gwen osservava la scena il suo cuore si colmava di speranza: una parte di lei voleva credere che magari Ralibar li avrebbe potuti sconfiggere. Lo vide sbandare e tuffarsi mentre tre draghi gli sputavano contro delle fiamme, mancandolo per un pelo. Ralibar scattò poi in avanti e conficcò gli artigli nel petto di uno di essi, usando lo slancio per spingerlo verso l’oceano.
Numerosi draghi gli lanciarono fuoco contro la schiena mentre lui scendeva verso il mare e Gwen guardò con orrore che lui e l’altro drago divenivano una palla infuocata che precipitava verso l’acqua di sotto. Il drago opponeva resistenza, ma Ralibar usò tutto il suo peso per spingerlo verso le onde: nel giro di poco tempo entrambi si immersero nell’oceano.
Si levò un forte sibilo accompagnato da una nube di vapore mentre l’acqua spegneva il fuoco. Gwen guardava con trepidazione, sperando che tutto andasse bene: poco dopo Ralibar riemerse, da solo. Anche l’altro drago riapparve in superficie, ma galleggiando tra le onde, morto.
Senza esitare Ralibar si lanciò contro gli altri draghi che stavano scendendo verso di lui. Mentre si avvicinavano con le fauci spalancate, diretti verso di lui, Ralibar si mise in assetto da combattimento: protese i grossi artigli, si inarcò, allargò le ali e afferrò due avversari ruotando subito dopo e lanciandoli in mare.
Li tenne sott’acqua, ma nel frattempo gli altri draghi rimbalzavano contro la sua schiena esposta. Tutto il gruppo precipitò nell’oceano, spingendo Ralibar sotto la superficie insieme a loro. Ralibar stava combattendo valorosamente, solo era decisamente in minoranza e finì sott’acqua, dimenandosi, tenuto sotto la superficie da decine di draghi che gracchiavano infuriati.
A Gwen balzò il cuore in gola vedendo che Ralibar combatteva per tutti loro, completamente solo. Avrebbe voluto più di ogni altra cosa poterlo aiutare. Scrutò la superficie dell’oceano in attesa, sperando di vedere un qualsiasi segno di Ralibar, desiderando che riemergesse.
Ma con orrore non lo vide.
Gli altri draghi riemersero e si sollevarono tutti in volo, si riunirono nuovamente in gruppo e posero gli occhi sulle Isole Superiori. Sembrava che guardassero proprio Gwendolyn. Lanciarono un forte ruggito e aprirono le ali.
Gwen si sentì il cuore spezzare in due: il suo caro amico Ralibar, la loro ultima speranza, loro ultima linea di difesa, era morto.
Si voltò verso i suoi uomini che guardavano la scena scioccati. Sapevano cosa li aspettava: un’irrefrenabile ondata di distruzione.
Gwen si sentiva oppressa: aprì la bocca per parlare ma le parole le si bloccarono in gola.
“Fate suonare le campane,” riuscì alla fine a dire con voce roca. “Ordinate alla gente di cercare riparo. Chiunque si trovi ancora in superficie deve andare sottoterra all’istante. Nelle caverne, nelle cantine, da qualsiasi parte ma non qui. Ordinatelo immediatamente!”
“Suonate le campane!” gridò Steffen, correndo verso il parapetto della fortezza e gridando verso il cortile. Presto le campane iniziarono a rintoccare facendo diffondere il loro suono nella piazza. Centinaia di persone, sopravvissuti dell’Anello, iniziarono a scappare correndo al riparo, diretti verso caverne che si trovavano alla periferia della città oppure scappando in cantine e ripari sotterranei, preparandosi ad affrontare l’inevitabile ondata di fuoco che sarebbe presto sopraggiunta.
“Mia regina,” disse Srog voltandosi verso di lei. “Forse potremo tutti ripararci in questa fortezza. Dopotutto è fatta di pietra.”
Gwen scosse la testa sapendo molto bene quale fosse la situazione.
“Non conosci l’ira dei draghi,” rispose. “Niente che si trovi in superficie può passarla liscia. Niente.”
“Ma mia signora, forse saremo più al sicuro in questa fortezza,” insistette. “Ha superato la prova del tempo. Queste pareti di pietra sono spesse quasi mezzo metro. Non preferiresti startene qui piuttosto che andare a rintanarti sottoterra?”
Gwen scosse la testa. Si udì un ruggito e guardando l’orizzonte poté vedere i draghi che si avvicinavano. Il cuore le si spezzò alla vista, in lontananza, di quei mostri che lanciavano un muro di fuoco contro la sua flotta che era ancorata nel porto meridionale. Vide le sue preziose navi, la via di fuga da quell’isola, bellissime navi che erano state costruite in decenni, ridotte ora a poco più che pezzettini di legno. Si sentiva fortunata ad aver previsto tutto e ad aver nascosto alcune imbarcazioni dall’altra parte dell’isola. Se mai fossero sopravvissuti per poterle usare e scappare da lì.
“Non c’è tempo per discutere. Tutti lascino questo posto immediatamente. Seguitemi.”
Tutti la seguirono mentre scendeva velocemente la scala a spirale che portava giù dal tetto, conducendoli più rapidamente che poteva. Mentre correva Gwen istintivamente chiuse le braccia per stringere Guwayne, poi il cuore le si spezzò un’altra volta rendendosi conto che non c’era più. Sentiva che le mancava qualcosa di sé mentre scendeva i gradini, udendo i passi alle sue spalle, facendo due scalini alla volta, tutti diretti di corsa verso la salvezza. Gwen udiva anche i lontani ruggiti dei draghi che si avvicinavano sempre di più facendo vibrare di già le mura del palazzo. Pregava solo che Guwayne fosse in salvo.
Gwen corse fuori dal castello e attraversò il cortile insieme agli altri, tutti diretti verso l’ingresso delle prigioni, da tempo vuote di prigionieri. Numerosi dei suoi soldati aspettavano davanti alle porte d’acciaio che davano accesso alla scala che conduceva sottoterra. Prima di entrare Gwen si fermò e si voltò verso la sua gente.
Vide diverse persone che ancora correvano nel cortile, gridando di paura, frenetiche, insicure sul dove andare.
“Venite qui!” gridò loro. “Venite sottoterra! Tutti!”
Gwen si fece da parte, assicurandosi che prima di tutto fossero al sicuro loro, uno alla volta. I suoi sudditi le passarono accanto scendendo la scala di corsa nel buio.
Le ultime persone che si fermarono con lei furono i suoi fratelli – Kendrick, Reece e Godfrey – insieme a Steffen. Tutti e cinque si voltarono a guardare il cielo mentre si udiva un altro ruggito tanto forte da far tremare il suolo.
L’esercito di draghi era ora talmente vicino che Gwen poteva vederli: si trovavano a poche centinaia di metri da loro, le ali immense, tutti fortissimi, con gli occhi colmi di rabbia. Avevano le enormi fauci aperte come se fossero pronti a farli a pezzi. Ogni dente era grande quanto Gwendolyn.
Quindi, pensò Gwen, ecco come è fatta la morte.
Gwen si diede un’ultima occhiata attorno e vide centinaia di altre persone che prendevano riparo nelle loro nuove dimore in superficie, rifiutandosi di andare sottoterra.
“Ho detto loro di andare sottoterra!” gridò Gwen.
“Alcune persone ascoltano,” osservò Kendrick tristemente, scuotendo la testa. “Ma molti non lo fanno.”
Gwen si sentiva distruggere dentro. Sapeva ciò che sarebbe successo alle persone che fossero rimaste in superficie. Perché la sua gente doveva sempre essere così ostinata?
E poi accadde: il primo fuoco di drago giunse verso di loro, abbastanza lontano da non bruciarli, ma sufficientemente vicino da poterne sentire il calore sul viso. Gwen guardò con orrore mentre si levavano le grida provenienti dal suo popolo dall’altra parte del cortile, coloro che avevano deciso di aspettare in superficie, nelle loro abitazioni o nella fortezza di Tiro. Il palazzo di pietra, così irriducibile solo pochi attimi prima, era ora in fiamme e il fuoco ne colpiva ripetutamente i lati e la pietra in breve tempo iniziò a cedere. Gwen deglutì sapendo che se avessero cercato di aspettare là dentro sarebbero tutti morti.
Altri non furono così fortunati: gridavano, incendiati, e correvano lungo le strade fino a collassare a terra. L’orribile odore di carne bruciata iniziò a pervadere l’aria.
“Mia signora,” disse Steffen, “dobbiamo scendere. Ora!”
Gwen non poteva sopportare di andarsene, ma sapeva che Steffen aveva ragione. Si lasciò guidare dagli altri, trascinata attraverso i cancelli e giù lungo la scala, verso l’oscurità, proprio mentre un’ondata di fuoco arrivava verso di lei. Le porte d’acciaio si chiusero prima che le fiamme la raggiungessero e si udì il loro riverbero dietro di loro. Era come il rumore di una porta che si chiudeva con violenza nel suo cuore.
CAPITOLO DUE
Alistair singhiozzava inginocchiata accanto al corpo di Erec, stringendolo a sé con l’abito nuziale ormai ricoperto di sangue. Mentre lo teneva il mondo le vorticava attorno e sentiva che la vita lo stava lasciando. Erec, ferito a morte dalla pugnalata, stava gemendo e lei sentiva dal ritmo delle sue pulsazioni che stava morendo.
“NO!” si lamentò Alistair cullandolo fra le sue braccia e dondolandolo. Sentiva il cuore spezzarsi a metà mentre lo stringeva a sé, si sentiva come se lei stessa stesse morendo. Quell’uomo che stava per sposare, che l’aveva guardata con così tanto amore solo pochi attimi prima, ora giaceva quasi inerme fra le sue braccia: non poteva capacitarsene. Il colpo gli era arrivato così inaspettatamente, mentre era così pieno di amore e felicità. Era stato colto alla sprovvista a causa sua. A causa del suo stupido gioco, per cui gli aveva chiesto di chiudere gli occhi mentre lei gli si avvicinava con il suo abito. Alistair si sentiva sopraffatta dal senso di colpa, come se fosse tutta causa sua.
“Alistair,” rantolò lui.
Lei abbassò lo sguardo e vide i suoi occhi aperti a metà che diventavano patinati mentre la forza vitale iniziava ad abbandonarli.
“Sappi che non è colpa tua,” sussurrò. “E sappi che ti amo tantissimo.”
Alistair piangeva, tenendolo al petto e sentendolo diventare sempre più freddo. Ma in quel momento qualcosa si mosse in lei, qualcosa che le fece percepire l’ingiustizia di quella situazione, qualcosa che si rifiutava assolutamente di accettare la sua morte.
Improvvisamente percepì un formicolio familiare, come un migliaio di punture di spillo sulla punta delle dita. Poi tutto il corpo venne pervaso da un’ondata di calore dalla testa ai piedi. Alistair si sentì sopraffare da una strana forza, qualcosa di potente e primordiale, qualcosa che non capiva completamente. Le si presentò più forte di qualsiasi altra sferzata di potere avesse mai provato in vita sua, come uno spirito esterno che si impossessava del suo corpo. Sentiva che mani e braccia divenivano bollenti e di riflesso appoggiò i palmi sul petto e sulla fronte di Erec.
Tenne le mani ferme lì, sempre più roventi, e chiuse gli occhi. Nella mente le scorrevano velocemente delle immagini. Vide Erec da giovane che lasciava le Isole del Sud, fiero e nobile, in piedi su una grossa nave. Lo vide entrare nella Legione, poi accedere all’Argento, combattere, diventare un campione, sconfiggere nemici, difendere l’Anello. Lo vide sedersi eretto con assetto perfetto sul suo cavallo, nella sua splendente armatura d’argento, un modello di nobiltà e coraggio. Capì che non poteva lasciarlo morire. Il mondo non poteva permettersi di lasciarlo morire.
Le mani di Alistair si fecero ancora più calde e lei aprì occhi vedendo che quelli di Erec si chiudevano. Ma vide anche una luce che veniva emanata dalle sue mani e si diffondeva sul corpo dell’amato fino ad avvolgerlo completamente in una sorta di globo. Nello stesso istante le ferite iniziarono lentamente a rimarginarsi e il sangue a fermarsi.
Gli occhi di Erec si aprirono di scatto, pieni di luce, e lei sentì che qualcosa si muoveva in lui. Il suo corpo, così freddo pochi istanti prima, iniziò a scaldarsi. Poteva percepire la sua forza che tornava.
Erec la guardò con sorpresa e meraviglia ed Alistair sentì la sua energia esaurita, la sua stessa forza vitale diminuire, come se tutta l’energia fosse passata a lui.
Erec chiuse gli occhi e si addormentò profondamente. Le mani di Alistair improvvisamente divennero fredde e lei controllò le pulsazioni, sentendo che erano tornate normali.
Sospirò con grande sollievo, sapendo di averlo riportato in vita. Le tremavano le mani, così esaurita dall’esperienza. Si sentiva svuotata ma allo stesso tempo felice.
Dio, ti ringrazio, pensò mentre si chinava su di lui e posava il viso sul suo petto, abbracciandolo e piangendo di gioia. Grazie per non esserti preso mio marito.
Alistair smise di piangere e si guardò attorno per considerare la scena: vide la spada di Bowyer a terra, sul pavimento di pietra, l’elsa e la lama ricoperte di sangue. Provò per lui un odio fortissimo, un sentimento mai provato: era determinata a vendicare Erec.
Allungò una mano e raccolse la spada insanguinata: le sue mani si ricoprirono di sangue mentre la teneva in mano e la osservava. Stava per gettarla via, scagliandola dall’altra parte della stanza, quando la porta della camera improvvisamente si aprì.
Alistair si voltò con la spada piena di sangue in mano e vide la famiglia di Erec che faceva irruzione nella stanza insieme a decine di soldati. Avvicinandosi la loro espressione di allarme si trasformò in orrore guardando lei e poi Erec privo di conoscenza a terra.
“Cos’hai fatto?” gridò Dauphine.
Alistair la guardò non capendo.
“Io?” chiese. “Io non ho fatto nulla.”
Dauphine la guardò in cagnesco avvicinandosi a lei.
“Davvero?” le disse. “Hai solo ucciso il nostro migliore e più valoroso guerriero!”
Alistair la guardò con orrore e improvvisamente si rese conto che tutti la stavano guardando come se fosse l’assassina.
Abbassò lo sguardo e vide la spada insanguinata che aveva in mano, le macchie di sangue sulle proprie mani e sul vestito e si rese conto che tutti pensavano fosse stata lei.
“Non sono stata io a colpirlo!” protestò.
“No?” l’accusò Dauphine. “Allora la spada ti è apparsa magicamente in mano?”
Alistair si guardò attorno nella stanza mentre tutti le si raccoglievano vicini.
“È stato un uomo a fare questo. L’uomo che ha sfidato Erec sul campo di battaglia: Bowyer.”
Gli altri si guardarono scetticamente.
“Ah, allora è così?” controbatté Dauphine. “E dove sarebbe quest’uomo?” le chiese guardando la stanza.
Alistair vide che non c’erano tracce s si rese conto che la stavano prendendo per bugiarda.
“È scappato,” disse. “Dopo averlo colpito.”
“E quindi come ha fatto questa spada insanguinata a finirti in mano?” continuò Dauphine.
Alistair guardò con orrore la spada che aveva in mano e la scagliò via, dall’altra parte della stanza.
“Ma perché mai avrei dovuto uccidere il mio futuro sposo?” chiese.
“Sei una strega,” le disse Dauphine portandosi davanti a lei. “Non ci si può fidare di gente come te. Oh, fratello mio!” disse poi correndo verso Erec e inginocchiandoglisi accanto, ponendosi tra lui ed Alistair. Dauphine abbracciò Erec stringendolo a sé.
“Cos’hai fatto?” si lamentava Dauphine tra le lacrime.
“Ma sono innocente!” esclamò Alistair.
Dauphine si voltò verso di lei con espressione di odio, poi si rivolse ai soldati.
“Arrestatela!” ordinò.
Alistair sentì delle mani che la afferravano alle spalle e la trascinavano in piedi. La sua energia era esaurita e fu quindi incapace di resistere mentre le guardie le legavano i polsi dietro la schiena e iniziavano a portarla via. Le interessava poco ciò che le sarebbe successo, ma mentre la trascinavano lontano non poteva sopportare l’idea di essere separata da Erec. Proprio ora che lui aveva estremamente bisogno di lei. Il sostegno che gli aveva dato era solo temporaneo, sapeva che avrebbe avuto bisogno di un’altra infusione di energia e che se non l’avesse ricevuta sarebbe morto.
“NO!” gridò. “Lasciatemi andare!”
Ma le sue grida vennero ignorate e i soldati la trascinarono via, ammanettata, come un qualsiasi comune prigioniero.