Kitobni o'qish: «La Legge Delle Regine »
L A L E G G e D E L L E R E G I n E
(LIBRO #13 in L’ANELLO DELLO STREGONE)
Morgan Rice
EDIZIONE ITALIANA A CURA DI Annalisa lovat
Chi è Morgan Rice
Morgan Rice è l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento quattordici libri.
I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue).
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“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”
Books and Movie Reviews, Roberto Mattos
“La Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”
--Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata)
“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!... Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.”
--The Romance Reviews (parlando di Tramutata)
“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”
--Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata }
“Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare a innamorarvi”
--vampirebooksite.com (parlando di Tramutata)
“Un grande intreccio: questo è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed è così spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.”
--The Dallas Examiner {parlando di Amata}
“È un libro che può competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”
--Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata}
“Morgan Rice dà nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affascinerà una vasta gamma di lettori, compresi i più giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascerà a bocca aperta.”
--The Romance Reviews {parlando di Amata}
Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)
SOGNO DA MORTALI (Libro #15)
GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)
IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)
LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA
ARENA UNO: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA DUE (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
FATED (Libro #11)
Ascolta la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio-libro!
Copyright © 2014 by Morgan Rice
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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.
Jacket image Copyright Slava Gerj, used under license from Shutterstock.com.
INDICE
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÉ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRÉ
CAPITOLO TRENTAQUATTRO
CAPITOLO TRENTACINQUE
CAPITOLO TRENTASEI
CAPITOLO TRENTASETTE
CAPITOLO TRENTOTTO
CAPITOLO UNO
La testa di Thorgrin sbatteva contro i sassi e il fango mentre ruzzolava lungo il versante della montagna a caduta libera, precipitando per decine e decine di metri mentre il monte franava. Tutto ruotava attorno a lui e per quanto cercasse di fermarsi e di orientarsi, non ne era capace. Con la coda dell’occhio vedeva che anche i suoi compagni stavano cadendo come lui, aggrappandosi disperatamente alle radici, alle rocce, a qualsiasi cosa nel tentativo di rallentare la loro discesa.
Thor si rendeva conto a ogni momento che passava che si stava allontanando sempre più dalla vetta del vulcano, da Guwayne. Ripensò a quei selvaggi lassù, pronti a sacrificare suo figlio, e si infiammò di rabbia. Affondò le unghie nel fango gridando di disperazione, volendo tornare su a tutti i costi.
Ma per quanto ci provasse, era impossibile. Riusciva a malapena a vedere o respirare, meno ancora a ripararsi dai colpi mentre la montagna di terra gli piombava addosso. Sembrava che il peso dell’intero universo gli stesse crollando sulle spalle.
Stava accadendo tutto così velocemente, troppo velocemente perché Thor potesse capirlo pienamente. Dando un’occhiata in basso vide un campo disseminato di rocce appuntite. Sapeva che se le avessero colpite sarebbero morti tutti.
Thor chiuse gli occhi e cercò di pensare ai suoi allenamenti, agli insegnamenti di Argon, alle parole di sua madre. Cercò di trovare la calma nella tempesta, di chiamare a raccolta il potere guerriero dentro di sé. Vide la propria vita scorrergli come un lampo davanti agli occhi. Era forse questa la sua ultima prova?
Ti prego, Dio, pregò. Se esisti, salvami. Non lasciarmi morire così. Permettimi di raccogliere i miei poteri. Permettimi di salvare mio figlio.
Mentre pensava le parole sentì che era messo alla prova, costretto a fare affidamento sulla propria fede, a raccogliere una fiducia più grande di quanta ne avesse mai avuta. Come sua madre lo aveva messo in guardia, ora era un guerriero e doveva affrontare prove da guerriero.
Quando Thor chiuse gli occhi il mondo iniziò a rallentare e con suo stupore in cominciò a sentire un senso di quiete e pace all’interno del caos. Iniziò a sentire il calore che cresceva dentro di sé, scorrergli nelle vene fino ai palmi delle mani. Iniziò a sentirsi più grande del suo stesso corpo.
Si percepì all’esterno del proprio corpo, a guardare in basso vedendosi rimbalzare lungo il versante della montagna. Si rese conto in quel momento di non essere il proprio corpo. Di essere qualcosa di più grande.
Thor improvvisamente riscivolò nel proprio corpo e sollevò le mani sopra la testa guardando una luce bianca partire da esse. Indirizzò quindi la luce e creò una bolla attorno a sé e ai propri fratelli. In quel momento improvvisamente la cascata di fango si fermò di colpo e il muro di terra rimbalzò contro lo scudo senza proseguire oltre.
Continuarono a scivolare, ma ora molto più lentamente, arrivando pian piano a fermarsi gradualmente su un piccolo ripiano vicino ai piedi del monte. Thor guardò in basso e vide che si era fermato in una specie di pozza d’acqua. Alzandosi in piedi constatò che gli arrivava alle ginocchia.
Si guardò attorno stupito. Osservò poi la cima della montagna e vide il muro di terra fermo immobile, sospeso a mezz’aria come se fosse pronto a precipitare da un momento all’altro, ancora bloccato dalla sua bolla di luce. Scrutò tutto, stupefatto di averlo fatto lui stesso.
“È morto qualcuno?” chiese O’Connor.
Thor vide Reece, O’Connor, Conven, Mati, Elden e Indra, tutti ammaccati e scossi, rimettersi in piedi miracolosamente vivi: nessuno aveva riportato ferite preoccupanti. Si strofinarono la faccia, ricoperta di terra nera. Sembravano tutti essere appena usciti da una miniera di carbone. Thor vide quanto tutti fossero felici di essere vivi e vide che davano a lui il merito di aver salvato le loro vite.
Thor si ricordò e si voltò immediatamente guardando verso la cima della montagna, pensando all’unica cosa che aveva in mente: suo figlio.
“Come facciamo a tornare lassù…” iniziò Mati.
Ma prima che potesse finire di pronunciare le parole, Thor sentì qualcosa che improvvisamente si avvolgeva attorno alle sue caviglie. Abbassò lo sguardo, sorpreso, e vide una creature grossa e viscida risalire lungo i suoi polpacci. Vide con orrore che si trattava di un lungo animale simile a un’anguilla, con due piccole teste, sibilando e mostrando la lunga lingua mentre lo guardava e gli si avvolgeva attorno. La sua pelle iniziò a bruciare attorno alle gambe di Thor.
I riflessi di Thor ebbero il sopravvento e lui sguainò la spada e colpì, come anche gli altri che erano pure attaccati. Thor cercò di colpire con attenzione per non ferirsi la gamba e quando andò a segno l’anguilla cedette e l’orribile dolore alle caviglie calò. La creatura se ne tornò nell’acqua sibilando.
O’Connor frugò alla ricerca del suo arco e scoccò delle frecce alle creature mancandole, mentre Elden gridava attaccato da tre di esse allo stesso tempo.
Thor corse in avanti tagliando l’anguilla che stava risalendo la gamba di O’Connor, mentre Indra faceva un passo avanti e gridava ad Elden: “Non ti muovere!”
Sollevò l’arco e scoccò tre frecce in rapida successione una dopo l’altra, uccidendo ogni anguilla con mira perfetta e sfiorando appena la pelle di Elden.
Lui la guardò scioccato.
“Sei pazza?” le gridò. “Mi hai quasi portato via la gamba!”
Indra gli sorrise.
“Ma non l’ho fatto, giusto?” gli rispose.
Thor udì altri tonfi e si guardò attorno vedendo in acqua decine di anguille che venivano in superficie. Si rese conto che dovevano fare in fretta ad uscire da lì.
Thor si sentiva esausto dopo aver usato i suoi poteri e sapeva che ce n’erano ben pochi rimasti in lui. Non era ancora abbastanza forte per utilizzarli di continuo. Eppure sapeva che doveva fare affidamento su di essi un’ultima volta, a qualsiasi costo. Se non l’avesse fatto sapeva che non sarebbero mai tornati indietro, sarebbero morti in quella pozza piena di anguille e non ci sarebbero stata speranza per suo figlio. Gli avrebbe pure preso tutte le forze, l’avrebbe pure lasciato debole per giorno, ma non gli interessava. Pensò a Guwayne, lassù indifeso, alla mercé di quei selvaggi, e capì che doveva fare qualcosa.
Mentre un altro gruppo di anguille strisciava verso di loro, Thor chiuse gli occhi e sollevò le mani verso il cielo.
“In nome del solo e unico Dio,” disse a voce alta, “Vi ordino, o cieli, di aprirvi! Vi ordino di mandarci delle nuvole a sollevarci!”
Thor pronunciò quelle parole con una voce cupa, non più spaventato dal druido che lui stesso era e le sentì riverberare in petto e nell’aria. Provò un calore tremendo addensarglisi nel petto e dopo che ebbe parlato si sentì certo che ce l’avrebbero fatta.
Si levò un forte rombo e Thor sollevò lo sguardo vedendo il cielo che iniziava a cambiare, diventando viola scuro, con nuvole che schiumavano e saettavano. Apparve un buco rotondo, un’apertura nel cielo, e improvvisamente un lampo di luce scarlatta scese verso il basso. Era seguita da una sorta di imbuto di nuvole ed era diretta proprio verso di loro.
Nel giro di pochi istanti Thor e gli altri si ritrovarono ad essere sollevati da un tornado. Thor sentiva l’umidità delle soffici nubi che roteavano attorno a lui, si sentiva immerso nella luce e un attimo dopo si sentì sollevare in aria, più leggero che mai. Si sentiva veramente tutt’uno con l’universo.
Sentì che saliva sempre più in alto risalendo il versante della montagna, oltre il cumulo di terra, oltre la sua bolla, per tutto il tragitto fino alla cima. In pochi attimi la nuvola li portò proprio sulla vetta del vulcano e lì li depose con delicatezza. Poi si dissipò con la medesima rapidità.
Thor rimase fermo lì con i suoi compagni che lo guardavano meravigliati, come avessero di fronte un dio.
Ma Thor non stava pensando a loro: si voltò e perlustrò velocemente la piana con una sola cosa in mente: i tre selvaggi che aveva di fronte. E la piccola cesta che avevano tra le braccia, in bilico sul ciglio del cratere.
Thor lanciò un grido di guerra e si lanciò in avanti. Il primo selvaggio si voltò a guardarlo, spiazzato. Thor non esitò e lo decapitò nello slancio.
Gli altri due si voltarono a loro volta sconvolti e Thor ne pugnalò uno al cuore e con l’impugnatura della spada, voltandosi, colpì l’altro in faccia spingendolo indietro all’interno del cratere.
Thor si girò velocemente e afferrò la culla prima che potesse cadere. Abbassò lo sguardo con il cuore che batteva forte per la gratitudine, felice di averli presi in tempo, pronto a sollevare e stringere tra le braccia Guwayne.
Ma quando guardò nella cesta tutto il mondo gli crollò attorno.
Era vuota.
Tutti si fermò attorno a lui e rimase fermo, indolenzito.
Guardò all’interno del vulcano e vide giù in basso le fiamme che si alzavano. Capì che suo figlio era morto.
“NO!” gridò.
Thor cadde in ginocchio, gridando fino al cielo, lanciando un pianto che riecheggiò contro le pareti dei monti: il grido primordiale di un uomo che aveva perso tutto nella propria vita.
“GUWAYNE!”
CAPITOLO DUE
Alto in aria al di sopra dell’isola solitaria volava un drago, un piccolo drago non ancora cresciuto del tutto. Il suo grido acuto squarciava l’aria lasciando già presagire ciò che sarebbe diventato un giorno. Volava trionfante, le piccole scaglie pulsanti, crescendo a ogni istante, con le ali che sbattevano e con gli artigli che tenevano stretta la cosa più preziosa che aveva avuto nella sua vita.
Il drago abbassò lo sguardo sentendo il calore tra gli artigli e controllando la sua preziosa conquista. Udì il pianto e lo sentì dimenarsi, rassicurato che il bambino fosse ancora lì, intatto.
Guwayne, aveva gridato quell’uomo.
Il drago poteva ancora sentire le grida riecheggiare dalla montagna mentre volava in alto. Era felice di aver salvato il bambino in tempo, prima che quegli uomini potessero pugnalarlo. Aveva strappato Guwayne dalle loro mani senza perdere un solo istante. Aveva portato perfettamente a termine ciò che gli era stato ordinato.
Il drago volò sempre più in alto al di sopra dell’isola, tra le nuvole già sparito alla vista degli uomini sotto di lui. Passò sopra l’isola, sopra i vulcani e le catene montuose, attraverso la nebbia, sempre più lontano.
Presto si ritrovò a volare sopra il mare aperto, lasciandosi la piccola isola alle spalle. Di fronte a lui si apriva la vasta distesa di mare e cielo, niente a spezzarne la monotonia per milioni di chilometri.
Il drago sapeva bene dove stava andando. C’era un posto dove doveva portare quel bambino, quel bambino che già amava oltre misura.
Un posto molto speciale.
CAPITOLO TRE
Volusia era in piedi sopra il corpo di Romolo e guardava il cadavere con soddisfazione, il sangue ancora caldo che le scorreva sopra i piedi bagnandole le dita lasciate scoperte dai sandali. Si godette quella sensazione. Non ricordava più quanti uomini, sebbene così giovane, avesse già ucciso e preso alla sprovvista in vita sua. La sottovalutavano sempre e far vedere quanto brutale poteva essere era uno dei suoi piaceri più intensi.
E ora aveva ucciso lo stesso Romolo – e con le sue stesse mani, non certo con l’aiuto di qualcun altro – il grande Romolo, un uomo leggendario, il guerriero che aveva ucciso Andronico e che si era preso il trono. Il supremo comandante dell’Impero.
Volusia sorrise deliziata. Eccolo lì, il supremo sovrano, ridotto a una pozza di sangue ai suoi piedi. E tutto per merito suo.
Volusia si sentiva rafforzata. Sentiva un fuoco scorrerle nelle vene, un fuoco capace di distruggere ogni cosa. Sentiva che il suo destino correva verso di lei. Sentiva che era giunto il suo momento. Sapeva, chiaramente come l’aveva capito nel momento in cui aveva ucciso sua madre con le sue stesse mani, che un giorno avrebbe governato l’Impero.
“Hai ucciso il nostro capo,” disse una voce tremante. “Hai ucciso il grande Romolo!”
Volusia sollevò lo sguardo e vide il volto del comandante di Romolo che stava di fronte a lei, guardandola con espressione mista di shock, paura e rispetto.
“Hai ucciso,” disse abbattuto, “l’uomo che non può essere ucciso.”
Volusia lo fissò con occhi freddi e duri e vide dietro di lui le centinaia di uomini di Romolo, tutti ricoperti delle migliori armature, allineati sulla nave, intenti a guardare e aspettare la sua prossima mossa. Erano tutti pronti ad attaccare.
Il comandante di Romolo si trovava sul pontile insieme a una decina di uomini, tutti in attesa di un suo comando. Dietro di sé Volusia sapeva di avere migliaia di suoi uomini. La nave di Romolo, per quanto perfetta, non poteva competere con le sue forze: i suoi uomini la circondavano lì nel porto. Erano in trappola. Quello era territorio di Volusia e lo sapevano. Sapevano che ogni attacco e ogni tentativo di fuga sarebbero stati inutili.
“Quest’azione non può rimanere senza risposta,” continuò il comandante. “Romolo ha un milione di uomini fedeli al suo seguito nell’Anello. Ha un milione ancora di altrettanto leali sudditi al sud, nella capitale dell’Impero. Quando si sarà diffusa la notizia di ciò che hai fatto, si mobiliteranno e si metteranno in marcia contro di te. Puoi anche aver ucciso il grande Romolo, ma non hai ucciso i suoi uomini. E le tue migliaia di soldati, anche se sono più di noi qui oggi, non possono resistere ai nostri milioni. Cercheranno vendetta. E l’avranno.”
“Davvero?” disse Volusia sorridendo e facendo un passo più vicina a lui, sentendo la lama stretta in mano e preparandosi a tagliargli la gola, desiderando ardentemente farlo.
Il comandante guardò il pugnale, l’arma che aveva ucciso Romolo, e deglutì come se le avesse letto nel pensiero. Volusia vide vera paura nei suoi occhi.
“Lasciaci andare,” le disse. “Lascia andare via i miei uomini. Non hanno fatto nulla per nuocerti. Dacci una nave piena d’oro e comprerai così il nostro silenzio. Porterò i nostri uomini nella capitale e dirò a tutti che se innocente. Che Romolo ha cercato di aggredirti. Ti lasceranno stare. Puoi avere la pace qui al nord e loro troveranno un altro sovrano supremo per l’Impero.”
Volusia sorrise divertita.
“Ma non stai forse già guardando il suo nuovo comandante supremo?” gli chiese.
Il comandante la guardò scioccato, poi si mise a ridacchiare con tono derisorio.
“Tu?” le disse. “Non sei che una ragazzina con poche migliaia di uomini. Pensi davvero di poterne annientare milioni solo perché hai ucciso un uomo? Sarai fortunata a tenerti stretta la vita e a scamparla sana e salva dopo quello che hai fatto oggi. Ti sto offrendo un dono. Finiamola con queste stupide chiacchiere, accetta tutto con gratitudine e lasciaci andare prima che cambi idea.”
“E se non volessi lasciarvi andare?”
Il comandante la guardò negli occhi e deglutì.
“Puoi ucciderci tutti qui,” le disse. “Questa è una tua scelta. Ma se lo fai non fai che uccidere te stessa e la tua gente. Verrai annientata dall’esercito che seguirà.”
“Dice la verità, mia sovrana,” le sussurrò una voce nell’orecchio.
Volusia si voltò e vide Soku, il suo generale, che le si era avvicinato. Era un uomo alto con gli occhi verdi, i lineamenti da guerriero e i capelli rossi, corti e ricci.
“Lasciateli andare a sud,” le disse. “Date loro l’oro. Avete ucciso Romolo. Ora dovete contrattare una tregua. Non abbiamo scelta.”
Volusia si voltò verso l’uomo di Romolo. Lo scrutò prendendo tempo e godendosi il momento.
“Farò come chiedi,” gli disse, “e vi farò tornare alla capitale.”
Il comandante sorrise soddisfatto e si preparò ad andare quando Volusia fece un passo avanti e aggiunse:
“Ma non per nascondere ciò che ho fatto,” gli disse.
Lui si fermò e la guardò confuso.
“Ti lascerò tornare alla capitale per portare loro un messaggio: che sappiano che ora sono io il supremo sovrano dell’Impero. Che se si inginocchiano e inchinano davanti a me ora, potrebbero sopravvivere.”
Il comandante la guardò sbalordito, poi scosse lentamente la testa e sorrise.
“Sei pazza come si diceva fosse tua madre,” le disse, poi si voltò e iniziò a risalire la rampa che portava alla nave. “Caricate l’oro nei forzieri in basso,” gridò senza nemmeno curarsi di voltarsi a guardarla.
Volusia si girò verso il suo comandante che stava pazientemente in attesa di un suo ordine e gli fece cenno con la testa.
L’uomo immediatamente si voltò e fece un cenno ai suoi uomini: si udì il rumore di decine di migliaia di frecce che venivano incendiate e scoccate.
I dardi riempirono il cielo, oscurandolo e disegnando un arco di fiamme andando ad atterrare sulla nave di Romolo. Accadde tutto velocemente perché chiunque a bordo potesse reagire e presto l’intera nave era in fiamme, con uomini che gridavano, il loro comandante più di tutti, mentre si dimenavano senza avere un posto dove scappare, cercando di spegnere il fuoco.
Ma non servì a nulla. Volusia fece una altro cenno e raffica dopo raffica altre frecce volarono in aria, coprendo la nave in fiamme. Gli uomini gridavano trafitti, cadendo dal ponte. Altri continuavano a dimenarsi a bordo. Fu una carneficina, nessun sopravvissuto.
Volusia stava a guardare sorridendo, osservando con soddisfazione mentre la nave bruciava lentamente dalla base fino all’albero maestro. Alla fine non rimasero che pochi pezzi anneriti.
Calò il silenzio quando gli uomini di Volusia si fermarono, tutti guardandola, in paziente attesa di un suo ulteriore comando.
Volusia fece un passo avanti, sguainò la spada e tagliò la spessa fune che teneva la nave ancorata al pontile. La corda si spezzò liberando l’imbarcazione e Volusia sollevò uno dei suoi stivali ricoperti d’oro e diede una spinta alla prua.
Guardò la nave che iniziava a muoversi, presa dalla corrente, una corrente che lei sapeva bene l’avrebbe portata a sud, nel cuore della capitale. Avrebbero tutti visto la barca bruciata, il cadavere di Romolo, le frecce dei volusiani. Tutti avrebbero capito che era opera sua. Avrebbero capito che era iniziata la guerra.
Volusia si voltò verso Soku che le stava accanto a bocca aperta e gli sorrise.
“È così,” gli disse, “che io offro la pace.”