Kitobni o'qish: «Giuramento Fraterno »
EDIZIONE ITALIANA A CURA DI ANNALISA LOVAT
Chi è Morgan Rice
Morgan Rice è l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento quattordici libri.
I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue).
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“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”
Books and Movie Reviews, Roberto Mattos
“La Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”
--Black LagoonReviews (parlando di Tramutata)
“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria! … Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.”
--The Romance Reviews (parlando di Tramutata)
Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)
SOGNO DA MORTALI (Libro #15)
GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)
IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)
LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA
ARENA UNO: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA DUE (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
FATED (Libro #11)
Leggere adesso i libri di Morgan Rice!
Copyright © 2014 by Morgan Rice
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CAPITOLO UNO
Dario guardò il pugnale insanguinato che teneva in mano, il comandante dell’Impero morto ai suoi piedi, e si chiese cosa avesse appena fatto. Il suo mondo rallentò mentre sollevava lo sguardo e guardava i volti scioccati dei soldati dell’Impero schierati davanti a lui, centinaia di uomini all’orizzonte, uomini veri, guerrieri con vere armature e vere armi, intere scorte in sella alle loro zerte. Uomini che non avevano mai conosciuto la sconfitta.
Dario sapeva che dietro di lui c’erano poche centinaia di miseri paesani, uomini e donne senza armi d’acciaio e senza armatura, soli di fronte a quell’esercito di professionisti. Lo avevano implorato di arrendersi, di accettare la menomazione. Non volevano una guerra che non avrebbero potuto vincere. Non volevano la morte. E Dario avrebbe voluto ubbidire loro.
Ma dentro di sé non poteva. Le sue mani avevano agito da sole, il suo spirito si era sollevato da solo e lui non avrebbe potuto controllare le sue azioni neanche se avesse voluto. Era la sua parte più profonda, la parte che era rimasta oppressa per tutta la sua vita, la parte che provava sete di libertà quanto un uomo morente ha sete di acqua.
Dario guardò quel mare di volti sentendosi solo come non mai, ma sentendosi anche completamente libero. Gli girava la testa, si sentiva fuori da se stesso, come se si stesse guardando dall’alto. Sembrava tutto così surreale. Capì che quello era un grande momento di svolta nella sua vita. Capì che quel momento avrebbe cambiato tutto.
Eppure non aveva rimpianti. Guardò il comandante dell’Impero morto, quell’uomo che avrebbe altrimenti ucciso Loti, che avrebbe ucciso tutti loro, che li avrebbe menomati, e provò un senso di giustizia. Si sentì anche rinvigorito. Dopotutto l’ufficiale dell’Impero era caduto e ciò significava che ogni uomo dell’Impero poteva cadere. Potevano anche essere rivestiti delle migliori armature, avere le migliori armi, ma sanguinavano come qualsiasi altro uomo. Non erano invincibili.
Dario provò un’ondata di forza dentro di sé e scattò in azione prima che qualsiasi altro potesse reagire. Pochi passi più in là c’era il piccolo seguito di ufficiali che aveva accompagnato il comandante. Erano pietrificati dallo shock: chiaramente non si aspettavano nient’altro che la resa, mai si sarebbero aspettati che il loro comandante venisse attaccato.
Dario approfittò della loro sorpresa. Si lanciò in avanti, sguainò un pugnale che teneva in vita e tagliò la gola a uno di loro, poi ruotò su se stesso e con lo stesso movimento ne uccise un altro.
I due lo guardarono con gli occhi sgranati, come increduli che una cosa del genere potesse accadere loro, mentre il sangue colava dalle loro gole e cadevano in ginocchio, collassando poi a terra, morti.
Dario si preparò: la sua mossa coraggiosa lo aveva lasciato vulnerabile ad essere attaccato e uno degli ufficiali si lanciò in avanti con la sua spada d’acciaio puntando alla sua testa. Dario avrebbe voluto in quel momento avere un’armatura, uno scudo, una spada per parare il colpo, qualsiasi cosa. Si sentiva vulnerabile all’attacco e ora sapeva che stava per pagarne il prezzo. Ma almeno sarebbe morto da uomo libero.
Un improvviso clangore squarciò l’aria e Dario guardò oltre vedendo Raj accanto a sé che bloccava il colpo di spada per lui. Dario si rese conto che Raj aveva preso la spada da uno dei soldati morti ed era corso in avanti parando il fendente avversario all’ultimo momento.
Si sentì nell’aria un altro rumore metallico e Dario vide dall’altra parte Desmond che parava un altro colpo diretto verso di lui. Raj e Desmond corsero in avanti, colpendo i loro avversari che non si erano aspettati quella difesa. Ruotavano come uomini posseduti e le loro spade sprizzavano scintille quando incontravano quelle dei nemici, facendoli arretrare con colpi mortali prima che potessero veramente difendersi.
I due soldati caddero a terra morti.
Dario fu pervaso da un’ondata di gratitudine per i suoi compagni, felice di averli lì a combattere al suo fianco. Non stava più affrontando l’esercito da solo.
Si abbassò, prese la spada e lo scudo dal comandante morto ai suoi piedi e si unì a Desmond e Raj buttandosi contro i sei ufficiali rimasti nel gruppo. Dario fece roteare la spada in aria, soddisfatto del suo peso: era così bello brandire una spada vera, fatta di vero acciaio. Si sentiva invincibile.
Si lanciò in avanti e parò un forte colpo di spada con lo scudo e nello stesso momento fece scivolare la lama tra le piastre dell’armatura di un soldato dell’Impero colpendolo alla spalla. Il soldato gemette e cadde in ginocchio.
Si voltò e fece ruotare lo scudo bloccando un colpo dall’altra parte, poi si girò e usò lo scudo come arma colpendo un altro attaccante in faccia e facendolo cadere. Poi ruotò con la spada e colpì l’altro avversario allo stomaco uccidendolo proprio prima che il soldato, con le mani sollevate sopra la testa, potesse calare un colpo sul suo collo.
Anche Raj e Desmond attaccarono al suo fianco, procedendo colpo dopo colpo contro gli altri soldati. Il clangore di spade e scudi era assordante. Dario ripensò a tutte le esercitazioni con le spade di legno e capì come ora – in battaglia – si stessero rivelando dei grandi combattenti. Mentre lui stesso lottava, si rendeva conto di quanto quell’esercizio avesse migliorato anche lui. Si chiese se avrebbe potuto vincere senza quegli allenamenti. Ed era sempre più determinato a vincere con le sue mani, senza mai e poi mai ricorrere ai suoi poteri magici che stavano in agguato da qualche parte dentro di lui e che lui non comprendeva pienamente, né voleva comprendere.
Mentre Dario, Desmond e Raj abbattevano il resto del gruppo, da soli nel mezzo del campo di battaglia, le centinaia di soldati dell’Impero in lontananza finalmente si organizzarono: si riunirono, lanciarono un forte grido di battaglia e si lanciarono contro di loro.
Dario sollevò lo sguardo rimanendo lì, respirando affannosamente, la spada insanguinata in mano, rendendosi conto che non c’era alcun luogo dove fuggire. Mentre il perfetto squadrone di soldati scattava in azione, si rese conto che quella era la morte che veniva verso di lui. Rimase al suo posto come anche Desmond e Raj, si asciugò il sudore dalla fronte e li affrontò. Non si sarebbe ritirato per niente al mondo.
Si levò un altro forte grido di battaglia, questa volta dalle sue spalle, e Dario si voltò felicemente sorpreso di vedere i suoi compaesani che si lanciavano all’attacco tutti insieme. Scorse numerosi dei suoi fratelli d’armi correre in avanti prendendo spade e scudi dai soldati dell’Impero che erano caduti e unendosi ai loro ranghi. Era orgoglioso di vedere come i suoi compaesani subito ricoprirono il campo di battaglia come un’ondata, munendosi di armi d’acciaio: nel giro di pochi attimi diverse decine di uomini erano armati di tutto punto. Quelli che non avevano armi d’acciaio brandivano comunque spade intagliate nel legno. Decine di ragazzi più giovani, amici di Dario, avevano spade corte cui avevano affilato la punta e piccoli archi e frecce di legno: speravano evidentemente di potercela fare con quelle.
Si lanciarono all’attacco tutti insieme, come un unico uomo, combattendo per le loro proprie vite insieme a Dario, contro l’esercito dell’Impero.
In lontananza sventolava un’enorme bandiera, suonò una tromba e l’esercito dell’Impero si mise in moto. Il clangore metallico riempì l’aria mentre centinaia di soldati dell’Impero marciavano insieme, ben disciplinati: era un muro umano, spalla a spalla; mantenevano i ranghi mentre avanzavano verso la folla di paesani.
Dario guidava i suoi uomini nell’attacco, tutti temerari al suo fianco mentre si avvicinavano ai ranghi dell’Impero. Dario gridò: “LANCE!”
I suoi fecero volare le loro lance corte che gli sfrecciarono sopra la testa fendendo l’aria e trovando i loro bersagli al di là della radura. Molte lance di legno, non abbastanza affilate, colpirono le armature e rimbalzarono innocue. Ma numerose di esse trovarono fessure tra le piastre delle armature e colpirono i loro bersagli: una manciata di soldati dell’Impero gridarono e caddero in lontananza.
“FRECCE!” gridò Dario, sempre alla carica, con la spada alta, diminuendo sempre più la distanza.
Numerosi abitanti si fermarono, presero la mira e scoccarono una raffica di affilate frecce di legno: decine di esse disegnarono un arco in aria attraversando la radura con grossa sorpresa dell’Impero che evidentemente non si sarebbe mai aspettato un combattimento, né che gli abitanti del villaggio possedessero delle armi. Molte frecce rimbalzarono innocue contro le armature, ma diverse di essere andarono a segno colpendo i soldati alla gola o alle giunture e abbattendone numerosi altri.
“SASSI!” gridò Dario.
Diverse decine di uomini si fecero avanti e, usando le loro fionde, scagliarono delle pietre.
Un muro di sassi volò in cielo e l’aria fu pervasa dal rumore di roccia che colpiva le armature. Alcuni soldati, colpiti al volto, caddero. Molti altri si fermarono e sollevarono i loro scudi o le mani per bloccare quell’assalto.
Questo rallentò l’Impero e aggiunse un elemento di insicurezza ai loro ranghi, però non li fermò. Continuavano a marciare senza mai spezzare le file, anche con frecce, lance e sassi che li assalivano. Semplicemente sollevavano gli scudi, troppo arroganti per abbassarsi, marciando con le loro luccicanti alabarde d’acciaio sollevate in aria, le loro lunghe spade che oscillavano alla vita alla luce del giorno. Dario li guardava avanzare e capì che quello era un esercito di professionisti e che gli si stava avvicinando. Capì che era un’ondata di morte.
Si udì un improvviso rombo e Dario sollevò lo sguardo vedendo tre grosse zerte che si staccavano dalle righe e correvano all’attacco verso di loro cavalcate ciascuna da un ufficiale che brandiva una lunga alabarda. Le zerte galoppavano, la furia sui loro musi, sollevando nuvole di polvere.
Dario si preparò mentre una si scagliava contro di lui e il soldato ghignava sollevando la sua alabarda lanciandola improvvisamente contro di lui. Dario venne preso alla sprovvista dalla velocità e schivò il colpo all’ultimo momento riuscendo ad evitarlo per in pelo.
Ma il compaesano dietro di lui, un ragazzo che conosceva fin da bambino, non fu altrettanto fortunato. Gridò di dolore mentre l’alabarda gli perforava il petto e il sangue gli usciva dalla bocca. Cadde a terra di schiena, con gli occhi fissi al cielo.
Dario, infuriato, si voltò verso la zerta. Rimase in attesa, sapendo che se non avesse avuto il tempismo perfetto sarebbe stato travolto.
All’ultimo momento rotolò via dalla traiettoria dell’animale e fece roteare la spada tagliando le gambe della zerta da sotto.
La zerta gemette e cadde a terra facendo volare il suo cavaliere che finì in mezzo ai paesani.
Un paesano si staccò alla folla e corse in avanti tenendo un grosso masso sollevato sopra la testa. Dario si voltò e fu sorpreso di vedere Loti che reggeva il sasso e lo sbatteva poi contro l’elmo del soldato uccidendolo.
Dario udì un rumore di zoccoli al galoppo e vide un’altra zerta lanciata al galoppo con il soldato in groppa che teneva la lancia sollevata e puntata contro di lui. Non c’era tempo per reagire.
Un ringhio squarciò l’aria e Dario fu sorpreso di vedere Dray apparire improvvisamente e balzare in avanti, in aria, mordendo il piede del soldato proprio mentre questi tirava la lancia. L’uomo si piegò in avanti e la lancia seguì la sua traiettoria finendo dritta a terra. Lui oscillò e cadde di lato e non appena colpì terra venne aggredito da diversi abitanti.
Dario guardò Dray che gli corse accanto: gli era immensamente grato.
Udì un altro grido di battaglia e si voltò trovando un altro ufficiale dell’Impero che lo attaccava, sollevando la spada e calandola contro di lui. Dario si voltò e parò, sbattendo via la spada dell’altro con un colpo secco prima che potesse raggiungergli il petto. Poi si voltò e calciò i piedi del soldato sollevandoli da terra. L’uomo cadde a terra e Dario gli diede un calcio alla mascella prima che potesse rialzarsi in piedi, mettendolo fuori combattimento.
Dario vide poi Loti che gli passava accanto di corsa lanciandosi a testa bassa nel fitto del combattimento, afferrando una spada dalla cintura di un soldato morto. Dario si lanciò davanti a lei per proteggerla: lo preoccupava vederla nella mischia e voleva tenerla al sicuro.
Loc, il fratello di Loti, lo batté sul tempo: corse in avanti e afferrò Loti da dietro facendole lasciare la lancia.
“Dobbiamo andarcene da qui!” le disse. “Questo non è posto per te!”
“Questo è l’unico posto per me!” insistette lei.
Loc però, anche con una sola mano buona era sorprendentemente forte e riuscì a trascinarla tra proteste e calci, lontana dalla battaglia. Dario gli era estremamente grato.
Udì un rumore metallico accanto a sé e si voltò per vedere uno dei suoi fratelli d’armi, Kraz, combattere contro un soldato dell’Impero. Anche se un tempo Kraz era stato un bullo e una spina nel fianco per Dario, ora doveva ammettere di essere felice di averlo al suo fianco. Lo vide andare avanti e indietro combattendo contro un soldato, un guerriero formidabile, colpo dopo colpo fino a che l’avversario con una mossa a sorpresa colpì Kraz e gli fece cadere la spada di mano.
Kraz rimase indifeso con il terrore in volto per la prima volta da quando Dario lo conosceva. Il soldato dell’Impero, con gli occhi iniettati di sangue, si fece avanti per finirlo.
Improvvisamente si udì un clangore e il soldato si immobilizzò e cadde a terra a faccia in giù. Morto.
Entrambi sollevarono lo sguardo e Dario fu scioccato di vedere Luzi lì in piedi, grande la metà di Kraz, con una fionda in mano, vuota per aver già tirato il colpo. Luzi fece un sorrisino a Kraz.
“Ti penti di avermi perseguitato adesso?” chiese a Kraz.
Kraz lo guardò senza parole.
Dario era colpito che Luzi, dopo essere stato tormentato così tanto da Kraz durante i loro allentamenti, si fosse fatto avanti per salvarlo. Questo lo ispirò a combattere con ancora maggiore forza.
Dario, vedendo la zerta abbandonata che galoppava selvaggiamente tra i loro ranghi, corse in avanti, la affiancò e riuscì a montarle in groppa.
La zerta era imbizzarrita, ma Dario riuscì a tenersi in sella, determinato. Alla fine prese il controllo dell’animale e riuscì a farlo voltare dirigendosi verso le linee dell’Impero.
La zerta galoppava così velocemente che Dario poteva a malapena mantenerne il controllo facendola passare oltre i suoi uomini e conducendola verso il fitto dell’esercito dell’Impero. Il cuore di Dario gli batteva forte nel petto mentre si avvicinava a quel muro di soldati: sembrava impenetrabile da lì. Ma allo stesso tempo non c’era modo di tornare indietro.
Dario costrinse il proprio coraggio a portarlo avanti. Andò dritto verso di loro continuando a far roteare selvaggiamente la spada.
Da quel punto più alto poteva colpire da una parte e dall’altra prendendo di sorpresa gruppi di soldati avversari che non si aspettavano di essere attaccati da una zerta. Si fece strada tra le righe a velocità accecante, tagliando a metà quel mare di soldati, trasportato dal suo slancio. Improvvisamente provò però un dolore terribile al fianco: si sentì come se le costole gli venissero spezzate a metà.
Dario, perdendo l’equilibrio, si ritrovò a volare in aria. Colpì il suolo con violenza sentendo il dolore al fianco e rendendosi conto di essere stato colpito dalla palla metallica di un mazzafrusto. Rimase a terra, in mezzo a tutti i soldati e lontano dalla sua gente.
Mentre era steso lì con la testa che rimbombava e tutto il mondo offuscato attorno a sé, guardò in lontananza e si accorse che il suo popolo veniva circondato. Combattevano valorosamente, ma erano troppo pochi e di livello troppo basso rispetto agli avversari. Li stavano massacrando e le loro grida riempivano l’aria.
La testa di Dario, troppo pesante, ricadde a terra e da lì vide tutti gli uomini dell’Impero che si chiudevano su di lui. Rimase lì, immobile, sapendo che la sua vita sarebbe presto terminata.
Almeno, pensò, sarebbe morto con onore.
Almeno era finalmente libero.