Kitobni o'qish: «Una morte e un cane»
UNA MORTE E UN CANE
(UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE—LIBRO DUE)
FIONA GRACE
VERSIONE ITALIANA
A CURA DI
ANNALISA LOVAT
Fiona Grace
La scrittrice debuttante Fiona Grace è l’autrice della serie di GIALLI INTIMI E LEGGERI DI LACEY DOYLE, che include ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1), UNA MORTE E UN CANE (Libro #2) e CRIMINE AL BAR (Libro #3). Fiona sarebbe molto felice di sentirvi, quindi visitate www.fionagraceauthor.com per ricevere ebook, sentire le ultime novità e restare in contatto con lei.
Copyright © 2019 by Fiona Grace. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental. Jacket image Copyright Helen Hotson, used under license from Shutterstock.com.
LIBRI DI FIONA GRACE
UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE
ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1)
UNA MORTE E UN CANE (Libro #2)
CRIMINE ALLA BAR (Libro #3)
INDICE
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÉ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
EPILOGO
CAPITOLO UNO
Il campanellino sopra alla porta tintinnò. Lacey sollevò lo sguardo e vide un gentiluomo di una certa età che era appena entrato nel suo negozio di antiquariato. Era vestito come un uomo di campagna inglese, cosa che sarebbe apparsa strana nella vecchia casa di Lacey – a New York – ma che qui, nella cittadina balneare di Wilfordshire, in Inghilterra, rientrava nella normalità. Solo che Lacey non aveva mai visto quest’uomo, e c’era da dire che ormai conosceva buona parte dei residenti nella piccola località. La sua espressione confusa la indusse a chiedersi se non si fosse magari perso.
Rendendosi conto che l’uomo poteva avere bisogno d’aiuto, coprì rapidamente il ricevitore del telefono che stava tenendo in mano – era occupata in una conversazione con la Protezione animali – e chiamò dal bancone: “Sono da lei fra un secondo. Finisco la chiamata e arrivo.”
L’uomo parve non sentirla. La sua concentrazione era tutta presa da uno scaffale pieno di piccole statuine di cristallo satinato.
Lacey capì che era il caso di chiudere in fretta la sua telefonata con il centro protezione animali per potersi occupare del confuso cliente, quindi levò la mano dal ricevitore e disse: “Mi scusi. Può ripetere quello che stava dicendo?”
La voce dall’altra parte era di un uomo, e sembrava stanca quando sospirò. “Quello che stavo dicendo, signorina Doyle, è che non posso passare informazioni sul personale. È per motivi di sicurezza. Sono certo che potrà capire.”
Lacey aveva già sentito parlare di quelle regole. Aveva chiamato il centro di protezione animali per poter adottare ufficialmente Chester, il pastore inglese che le era capitato per mano più o meno insieme al negozio di antiquariato dove ora stava in affitto (i precedenti proprietari, che avevano gestito quello spazio prima di lei, erano morti in un tragico incidente e Chester era tornato a casa a piedi, percorrendo un sacco di chilometri). Ma lei era rimasta del tutto scioccata quando la donna all’altro capo del telefono le aveva chiesto se lei fosse parente di Frank Doyle, il padre che l’aveva abbandonata quando aveva sette anni. Poi era caduta la linea e lei aveva ritelefonato ogni giorno da allora, per rintracciare la donna con cui aveva parlato. Ma ora le chiamate venivano tutte filtrate da un centralino che si trovava nella vicina cittadina di Exeter, e Lacey non era ancora riuscita a parlare con la donna che in qualche modo conosceva il nome di suo padre.
Lacey strinse la mano che teneva la cornetta e lottò con se stessa per mantenere una voce stabile. “Sì, capisco che non possiate dirmi il suo nome. Ma non siete in grado di passarle la telefonata?”
“No, signora,” rispose il giovane. “Al di là del fatto che non so chi sia questa donna, abbiamo un sistema con centralino. Le chiamate vengono smistate a caso. Tutto quello che posso fare – e che ho già fatto – è mettere un messaggio nel nostro sistema con i suoi dati.” Stava iniziando a sembrare esasperato.
“E se lei non vede l’avviso?”
“Questa è una possibilità molto reale. Abbiamo un sacco di membri del personale che lavorano come volontari secondo orari stabiliti ad hoc. La persona con cui lei ha parlato prima potrebbe non essere neanche mai più tornata in ufficio dopo quella prima chiamata.”
Lacey aveva già sentito prima anche queste parole nelle numerose telefonate che aveva fatto, ma ogni volta sperava e pregava in un risultato diverso. Il personale del centralino sembrava diventare sempre più irritato dalla sua insistenza.
“Ma se era una volontaria, non significa forse che potrebbe anche non tornare mai più a lavorare lì?” chiese.
“Certo. C’è questa possibilità. Ma non so cosa lei voglia che io faccia più di così.”
Lacey ne aveva abbastanza di usare le sue armi di persuasione per quel giorno. Sospirò e ammise la propria sconfitta. “Ok, va bene. Grazie comunque.”
Riattaccò il ricevitore, il cuore che le sprofondava nel petto. Ma non aveva intenzione di stare a rimuginarci sopra. I suoi tentativi di trovare delle informazioni su suo padre sembravano andare avanti di due passi e indietro di uno e mezzo, e lei si stava abituando ai vicoli ciechi e alle delusioni. E poi aveva anche un cliente di cui occuparsi, e il suo adorato negozio aveva sempre la precedenza su tutto il resto nella mente di Lacey.
Da quando i due detective della polizia, Karl Turner e Beth Lewis, avevano postato il loro avviso ufficiale per dire che lei non aveva niente a che vedere con l’omicidio di Iris Archer – e che in effetti aveva addirittura dato una mano nella risoluzione del caso – il negozio di Lacey aveva fatto un salto di qualità. Ora gli affari erano floridi, con un costante flusso giornaliero di clienti, tra cui gente del posto e turisti. Lacey ora aveva un reddito sufficiente da permetterle di acquistare il Crag Cottage (un affare che stava negoziando con Ivan Parry, il suo attuale locatore), e aveva anche abbastanza soldi per pagare Gina, la sua vicina casa, e ormai cara amica, per delle ore lavorative quasi permanenti. Non che Lacey si prendesse del tempo libero durante i turni di Gina: lo usava per studiare l’organizzazione delle aste. Quella che aveva condotto per le proprietà di Iris Archer era stata un successo e aveva deciso di ripetere l’esperienza ogni mese. Domani ci sarebbe stata la prossima, e lei era trepidante di aspettativa.
Uscì da dietro il bancone – Chester che alzava la testa per rivolgerle il suo consueto mugolio – e si avvicinò all’uomo. Era uno sconosciuto, non uno dei regolari clienti, e stava guardando con attenzione lo scaffale che conteneva le ballerine di cristallo.
Lacey si tirò indietro i riccioli neri e si diresse verso di lui.
“Sta cercando qualcosa in particolare?” chiese quando gli si fu avvicinata.
L’uomo sobbalzò. “Mio Dio, mi ha spaventato!”
“Mi scusi,” disse Lacey, notando ora il suo apparecchio per l’udito e ricordando a se stessa che non era il caso di arrivare di soppiatto alle spalle di gente anziana. “Mi stavo solo chiedendo se stesse cercando qualcosa di specifico, o se stesse solo curiosando.”
L’uomo tornò a guardare le statuine con un sorrisino sulle labbra. “È una storia buffa,” disse. “È il compleanno della mia ultima moglie. Sono venuto in città per un tè e un dolcetto come una specie di celebrazione della memoria, capisce. Ma mentre passavo davanti al suo negozio, ho sentito l’impulso di entrare.” Indicò le statuine. “La prima cosa che ho visto sono state queste.” Guardò Lacey lanciandole uno sguardo d’intesa. “Mia moglie era una ballerina.”
Lacey gli restituì il sorriso, commossa dall’intensità emotiva di quella storia. “Che cosa adorabile!”
“Era negli anni Settanta,” continuò l’uomo, allungando una mano tremante e prendendo un modellino dallo scaffale. “Ballava con la Royal Ballet Society. In effetti era la prima ballerina che…”
Proprio in quel momento il rumore di un grosso furgone che passava troppo velocemente sopra al rallentatore proprio davanti al negozio interruppe l’uomo a metà frase. Il tonfo che ne conseguì gli fece fare un salto per la paura e la statuina gli volò dalle mani. La ballerina colpì le tavole di legno del pavimento e un bracciò si spezzò, scivolando sotto allo scaffale.
“Oh mio Dio!” esclamò l’uomo. “Mi spiace tantissimo!”
“Non si preoccupi,” lo rassicurò Lacey, lo sguardo fisso fuori dalla finestra, sul furgone bianco che aveva accostato vicino al marciapiede e si era fermato, il motore ancora acceso che rumoreggiava e sputacchiava fumo. “Non è stata colpa sua. Penso che l’autista non abbia visto il rallentatore. Probabilmente ha danneggiato anche il furgone.”
Lacey si inginocchiò a terra e allungò il braccio sotto allo scaffale, fino a che non sfiorò il bordo appuntito del braccio di cristallo. Lo tirò fuori, ora ricoperto di un leggero strato di polvere, e si rimise in piedi, vedendo ora l’autista del furgone che scendeva dalla cabina.
“No, questo è uno scherzo…” mormorò Lacey, socchiudendo gli occhi e identificando il colpevole. “Taryn.”
Taryn era la proprietaria del negozio della porta accanto. Era una donna meschina e con la puzza sotto il naso a cui Lacey aveva affibbiato il titolo di Persona più Sgradita di Wilfordshire. Cercava sempre di combinarle dei tiri mancini per indurla a lasciare la città. Taryn aveva fatto tutto ciò che poteva per portare alla frustrazione i tentativi di Lacey di avviare un’attività lì a Wilfordshire, fino ad arrivare al punto di trapanare la parete del suo stesso negozio con il solo scopo di irritarla con il rumore! E sebbene la donna le avesse chiesto una tregua dopo che il suo tuttofare si era spinto un po’ troppo in là ed era stato beccato a gironzolare attorno al cottage di Lacey una notte, Lacey non era del tutto sicura di potersi completamente fidare di lei. Taryn faceva il gioco sporco. Questo era sicuramente un altro dei suoi trucchetti. Tanto per cominciare, era impossibile che non sapesse che lì c’era un rallentatore: si vedeva dalla finestra del suo negozio, santo cielo! Quindi ci era passata sopra così velocemente apposta. Poi, per aggiungere al danno la beffa, aveva lasciato il furgone esattamente davanti al negozio di Lacey, piuttosto che davanti al proprio, nel tentativo forse di bloccare la visuale, o forse per mandare il fumo del tubo di scarico nella sua direzione.
“Mi spiace tantissimo,” ripeté l’uomo, risvegliando Lacey dai suoi pensieri. Stava ancora tenendo in mano la statuina, ora senza un braccio. “La prego, mi permetta di pagare per il danno.”
“Ci mancherebbe,” gli disse Lacey con fermezza. “Lei non ha fatto niente di sbagliato,” spiegò, lanciandosi un’occhiata furente dietro le spalle, fuori dalla finestra. Fissò la donna, seguendola mentre andava allegramente verso il retro del furgone, come se non ci fosse niente al mondo a preoccuparla. L’irritazione di Lacey nei suoi confronti era sempre più palpabile. “Se c’è qualcuno che ha colpe, qui, è l’autista del furgone.” Strinse le mani in due pugni. “Sembra quasi che l’abbia fatto apposta! Ahi!”
Lacey sentì qualcosa di affilato in mano. Aveva stretto così forte il braccio spezzato della ballerina, da graffiarsi la pelle.
“Oh!” esclamò l’uomo vedendo la piccola goccia di sangue che sgorgava dal palmo di Lacey. Afferrò il pezzetto di cristallo dalla sua mano, come se a toglierlo potesse in qualche modo riparare la ferita. “Si sente bene?”
“La prego di scusarmi un secondo,” disse Lacey.
Andò verso la porta, lasciando dietro di sé il confuso cliente – con una ballerina rotta in una mano e il braccio staccato nell’altra – e si diresse verso la strada, andando dritta verso la sua nemica.
“Lacey!” disse Taryn con espressione raggiante mentre apriva la porta posteriore del furgone. “Spero non ti spiaccia se parcheggio qui. Devo scaricare lo stock della nuova stagione. Non è l’estate la stagione migliore per la moda?”
“Non è assolutamente un problema se parcheggi lì,” disse Lacey. “Ma è un problema guidare così veloce sopra a un rallentatore. Sai che quel rallentatore è giusto di fronte al mio negozio. Il rumore ha fatto quasi venire un infarto al mio cliente.”
Notò poi che Taryn aveva parcheggiato in modo che il grosso furgone impedisse la visuale dal negozio di Lacey alla pasticceria di Tom, dall’altra parte della strada. Anche quello era stato fatto decisamente apposta!
“Capito,” rispose Taryn con falsa allegria. “Quando porterò gli abiti della collezione autunno inverno vedrò di guidare più piano. Ehi, dovresti fare un salto dentro quando avrò sistemato questa roba. Dare una rinfrescata al tuo guardaroba. Viziati, te lo meriti.” Squadrò Lacey da capo a piedi. “Ed è certamente ora di farlo.”
“Ci penserò,” disse Lacey con tono indifferente, emulando il falso sorriso di Taryn.
Nel momento in cui voltò le spalle alla donna, il suo sorriso si trasformò in una smorfia. Taryn era davvero la regina dei complimenti equivoci.
Quando fu tornata nel suo negozio, Lacey scoprì che l’anziano signore ora stava aspettando al bancone e una seconda persona era entrata: un uomo in abito nero. Stava osservando lo scaffale con tutti gli articoli nautici che Lacey intendeva mettere all’asta il giorno dopo, mentre Chester sorvegliava attento. Anche a distanza si sentiva il profumo del dopobarba dell’uomo.
“Sono da lei fra un momento,” disse Lacey al nuovo cliente mentre si affrettava a raggiungere l’altra parte del negozio, dove l’anziano gentiluomo stava aspettando.
“Come sta la sua mano?” le chiese l’uomo.
“Benissimo,” rispose lei guardando il graffietto sul palmo, che già aveva smesso di sanguinare. “Scusi se sono uscita così di fretta. Dovevo…” scelse le parole con attenzione, “occuparmi di una cosa.”
Lacey era determinata a non permettere a Taryn di schiacciarla. Se avesse concesso alla proprietaria della boutique di farla arrabbiare, sarebbe stato come farle segnare punto.
Mentre scivolava dietro al bancone, Lacey notò che l’anziano signore vi aveva posato sopra la statuina rotta.
“Vorrei acquistarla,” disse.
“Ma è rotta,” ribatté Lacey. Era evidente che l’uomo stava cercando di essere gentile, anche se non aveva motivo di sentirsi in colpa per il danno. Non era davvero stata colpa sua.
“La voglio comunque.”
Lacey arrossì. Era davvero ostinato.
“Può almeno permettermi di provare ad aggiustarla?” gli chiese. “Ho della colla super forte, e…”
“Non se ne parla!” la interruppe l’uomo. “La voglio così. Vede, ora mi ricorda ancora di più mia moglie. Era proprio quello che stavo per dire, quando poi mi è caduta. Lei era la prima ballerina della Royal Ballet Society, con una disabilità.” Sollevò la statuina, facendola rigirare alla luce, che fece brillare il braccio destro, ancora elegantemente disteso, anche se interrotto e spezzato al gomito. “Ballava con un braccio.”
Lacey inarcò le sopracciglia e rimase a bocca aperta. “Davvero?”
L’uomo annuì compiaciuto. “Assolutamente! Non capisce? È stato un segno da parte sua.”
Lacey non poteva che essere d’accordo. Lei stesse stava cercando i suoi fantasmi, dopotutto, nello specifico suo padre, quindi era particolarmente sensibile ai segnali dell’universo.
“Allora ha ragione. Deve prenderla,” gli disse. “Ma non posso fargliela pagare.”
“È sicura?” le chiese l’uomo, sorpreso.
Lacey lo guardò raggiante. “Dico sul serio! Sua moglie le ha inviato un segno. La statuina è sua di diritto!”
L’uomo parve commosso. “Grazie.”
Lacey iniziò ad incartare la ballerina con della carta-tessuto. “Assicuriamoci che non perda altri pezzi, eh?”
“Vedo che terrà un’asta,” disse l’uomo, indicando la locandina appesa alla parete, alle sue spalle.
Diversamente dai grezzi poster fatti a mano che avevano pubblicizzato la sua ultima asta, Lacey aveva fatto preparare queste professionalmente. La locandina presentava immagini prese dal mondo della nautica: barche e gabbiani, con un contorno blu e bianco che ricordava il simbolo di Wilfordshire, in onore della sua ossessione per la cittadina.
“Giusto,” confermò Lacey, sentendo l’orgoglio che le gonfiava il cuore. “È la mia seconda asta. La organizzo esclusivamente per articoli navali antichi. Sestanti. Ancore. Telescopi. Venderò una completa gamma di tesori. Magari può farle piacere partecipare?”
“Può darsi che venga,” rispose l’uomo con un sorriso.
“Le metto un volantino nel sacchetto.”
Lacey completò la confezione e porse all’uomo la sua preziosa statuina. Lui ringraziò e uscì.
Lacey lo guardò allontanarsi, ancora toccata dalla storia che aveva condiviso con lei. Poi ricordò che aveva un altro cliente di cui occuparsi.
Si voltò per offrire all’uomo la propria attenzione, ma si accorse che se n’era andato. Era scivolato fuori silenziosamente, senza farsi notare, prima ancora che lei avesse la possibilità di vedere se avesse bisogno di aiuto.
Si avvicinò alla zona che il cliente aveva osservato: lo scaffale più basso dove aveva messo gli scatoloni pieni degli articoli che intendeva vendere all’asta il giorno dopo. Un biglietto scritto da Gina diceva: Nessuno di questi articoli è in vendita. Verrà messo tutto all’asta! Aveva aggiunto sotto quello che sembrava lo scarabocchio di un teschio con due ossa incrociate, evidentemente confondendo la tematica navale con quella piratesca. Lacey sperava che il cliente avesse visto il biglietto e che sarebbe quindi tornato l’indomani per fare delle offerte sull’articolo a cui era interessato.
A quel punto, prese uno degli scatoloni con gli oggetti che ancora non aveva valutato e lo portò sulla scrivania. Mentre tirava fuori un articolo dopo l’altro, allineandoli sul bancone, non poteva evitare di sentire l’eccitazione che le scorreva in corpo. La sua ultima asta era stata magnifica, sebbene temperata dalla ricerca di un assassino. Questa se la sarebbe potuta godere appieno. Aveva davvero avuto la possibilità di mettere alla prova le sue doti da banditrice d’asta, e ora non vedeva l’ora di ripetere l’esperienza!
Si era appena immersa completamente nel processo di catalogare e valutare gli articoli, quando fu interrotta dal trillo acuto del suo cellulare. Un po’ seccata dall’interruzione, considerato che poteva benissimo trattarsi della melodrammatica sorella più giovane, Naomi, in piena crisi da genitore single, Lacey lanciò un’occhiata allo schermo del telefono, che era posato sul bancone. Con sua sorpresa il nome che vi lampeggiava sopra era quello di David, il suo ex marito dal quale si era da poco separata.
Lacey fissò per un momento lo schermo illuminato, pietrificata dalla sorpresa. Uno tsunami di emozioni diverse le scorse dentro. Lei e David non si erano praticamente scambiati una sola parola da quando avevano divorziato – anche se sembrava che lui dialogasse apertamente con la madre di Lacey – e avevano gestito tutte le pratiche per mezzo degli avvocati. Ma che la chiamasse di persona? Lacey non sapeva neanche da dove iniziare a ipotizzare una motivazione per cui lui stesse facendo una cosa del genere.
Nonostante la sua mente le dicesse di fare il contrario, rispose.
“David? Va tutto bene?”
“No, per niente,” rispose la sua voce acuta, riportando a galla circa un milione di ricordi latenti che erano rimasti assopiti nei meandri della sua mente.
Lacey si irrigidì, preparandosi alla bomba che David stava per scagliare contro. “Cosa c’è? Cos’è successo?”
“Non mi stai pagando gli alimenti.”
Lacey ruotò gli occhi al cielo. Soldi. Ovvio. Non c’era niente che interessasse di più a David che i soldi. Uno dei più ridicoli aspetti del suo divorzio da David era il fatto che lei dovesse pagargli gli alimenti perché nella coppia era quella con lo stipendio più alto. E a quanto pareva l’unica cosa che potesse convincerlo a mettersi in contatto con lei era proprio quello.
“Ma io ho impostato il pagamento con la banca,” gli disse. “Dovrebbe andare in automatico.”
“Beh, evidentemente i britannici hanno una diversa interpretazione della parola automatico,” le rispose con tono arrogante. “Perché non è stato depositato un centesimo nel mio conto corrente, e se non lo sapessi, la scadenza è oggi! Quindi ti consiglio di telefonare alla tua banca immediatamente e risolvere la situazione.”
Sembrava il preside di una scuola. Lacey quasi si aspettava che finisse il suo monologo con un ‘sciocca ragazzina’.
Lacey strinse il cellullare, cercando con tutta se stessa di non permettere a David di innervosirla, non oggi, non il giorno prima dell’asta che stava così ansiosamente aspettando.
“Che consiglio intelligente, David,” gli rispose, infilando il telefono tra l’orecchio e la spalla in modo da avere le mani libere e usarle per accedere al suo conto bancario online. “Non ci sarei mai arrivata da sola.”
La risposta alle sue parole fu l’assoluto silenzio. David probabilmente non l’aveva mai sentita fare uso del suo sarcasmo prima d’ora, ed era rimasto ammutolito. La colpa era di Tom. Il suo nuovo senso dell’umorismo inglese si era impossessato molto velocemente di lei.
“Non stai prendendo la cosa molto seriamente,” rispose David, quando si fu finalmente ripreso.
“Dovrei?” rispose Lacey. “È solo la banca che ha fatto confusione. Probabilmente entro fine giornata posso fare in modo che se ne occupino. In effetti, ecco qui, c’è un appunto sul mio conto.” Cliccò la piccola icona rossa e una casella apparve sullo schermo. Lacey lesse a voce alta: “A causa delle vacanze, ogni pagamento in programma previsto tra domenica e lunedì raggiungerà i conti destinati martedì. Ah, ecco qua. Sapevo che era qualcosa del genere. Una vacanza pubblica.” Si fermò e guardò fuori dalla finestra, osservando la folla di gente che camminava. “Mi sembrava che le strade fossero particolarmente affollate oggi.”
Poté quasi sentire David che stringeva i denti dall’altra parte della linea.
“A dire il vero è molto sconveniente,” disse con tono secco. “Ho dei conti da pagare, lo sai.”
Lacey guardò verso Chester, come se avesse bisogno dell’appoggio di un amico per sopportare quella frustrante conversazione. Il cane sollevò la testa dalle zampe e la guardò incuriosito.
“Frida non può prestarti un paio di milioni di verdoni se sei al verde?”
“Eda,” la corresse David.
Lacey sapeva benissimo il nome della nuova fidanzata di David. Ma lei e Naomi avevano iniziato a chiamarla Frida Quindicigiorni, in riferimento alla velocità con cui i due si erano fidanzati, e ora non riusciva a levarsi quel nomignolo dalla testa.
“Ah no,” continuò lui. “Non è tenuta a farlo. E chi diavolo ti ha detto di Eda?”
“Mi madre forse se l’è lasciato scappare una o due dozzine di volte. E comunque perché continui a parlare con mia madre?”
“È stata parte della mia famiglia per quattordici anni. Non ho divorziato da lei.”
Lacey sospirò. “No. Immagino di no. Allora, qual è il piano? Andate tutti e tre a farvi una manicure e pedicure completa?”
Ora stava cercando davvero di farlo arrabbiare. Non poteva farne a meno, era davvero divertente.
“Sei ridicola,” disse David.
“Non è forse l’erede dell’impero delle unghie finte?” disse con falsa innocenza.
“Sì, ma non serve che lo dici in questo modo,” disse David con una voce che le presentò davanti agli occhi l’immagine del suo volto imbronciato.
“Stavo solo pensando a come voi tre potreste passare il tempo insieme.”
“E lo facevi con un certo criticismo.”
“Mamma mi ha detto che è giovane,” aggiunse Lacey, cambiando rotta. “Vent’anni. Voglio dire, mi viene da pensare che a vent’anni sia un po’ troppo giovane per un uomo della tua età, ma almeno ha diciannove anni pieni per capire se vuole figli o no. Dopotutto è trentanove il capolinea, per te.”
Aveva appena fatto a tempo a finire la frase, che si rese conto di quanto ora assomigliasse a Taryn. Rabbrividì. Se da una parte non aveva problemi nei confronti delle maniere con cui Tom l’aveva contagiata, certo non voleva che lo stesso accadesse per i modi di fare di Taryn!
“Scusa,” mormorò, tornando sui suoi passi. “Questa era un po’ esagerata.”
David lasciò passare un secondo. “Fammi avere i soldi, Lace.”
Dopodiché la linea si chiuse.
Lacey sospirò e mise giù il telefono. Per quanto quella conversazione l’avesse fatta infuriare, era assolutamente determinata a non abbattersi. David faceva parte del suo passato ormai. Lei si era costruita una vita completamente nuova a Wilfordshire. E comunque il fatto che David stesse proseguendo lungo la sua strada con Eda era senz’altro una benedizione. Quando si fossero sposati, lei non avrebbe più dovuto pagargli gli alimenti, e il problema sarebbe stato risolto! Ma sapendo come andavano di solito le cose per lei, Lacey aveva la sensazione che sarebbe stato un fidanzamento piuttosto lungo.