Faqat Litresda o'qing

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Kitobni o'qish: «Il bacio della contessa Savina», sahifa 11

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Io non potevo più contare che sopra me stesso, e il pensiero della infelicità di colei che mi stava fissa nel cuore mi dava tanto coraggio da tentare la mia emancipazione, ad ogni costo, senza il soccorso di nessuno. Quando si è giovani ed innamorati tutto sembra facile; guardando alla meta lontana non si prevedono gli ostacoli, l'amore è cosa troppo elevata e sublime per occuparsi del denaro necessario ad ogni impresa; e dopo pranzo, collo stomaco soddisfatto, non si pensa che bisogna desinare ogni giorno.

Ho passato una notte d'inferno, raggirandomi smanioso nel letto senza trovare riposo. Io vedevo la contessa Savina infelice, derelitta, immersa nelle lagrime, e pensavo al modo di vendicarla, di consolarla. La nostra santa affezione, inspirata dalla naturale simpatia, ci avrebbe resi felici in tutte le condizioni della vita. Le ricchezze erano la prima cagione della sua infelicità, come la miseria era il solo ostacolo che mi tenesse lontano da lei. Se fossi ricco! io pensavo, andrei a stabilirmi a Milano, troverei una finestra dirimpetto al palazzo Montegaldo, e un bel giorno le comparirei davanti come al tempo felice che dalla casa di mio zio stavo in adorazione davanti al palazzo Brisnago. Ma cambiate le circostanze, e avendo imparato dall'esperienza a che giovi l'amor platonico, questa volta il nostro amore prenderebbe un'altro indirizzo… questa volta, se non rispondesse al primo bacio, non vorrei disertare dal posto senza aver tentato il secondo… e il terzo… e il quarto… ed avrei parole e mezzi per ottenere sicuro il bacio della contessa Savina, quel bacio che certo non vorrebbe negarmi, del quale io prelibo la voluttà… come l'Arabo assetato fra le aride sabbie del deserto quando pensa alla fresca fontana dell'oasi.

Con tali pensieri m'addormentai verso il mattino; all'ora che il crepuscolo apporta un po' di calma a chi ha passato la notte agitata. Dapprima divagai in sonni confusi, poi mi parve di vedere chiaramente la contessa Savina ad una finestra bassa d'un palazzo in una strada deserta. Io la contemplavo assorto in estasi, quando mi fe' cenno d'avvicinarmi. Giunto sotto al balcone, le mandai un lungo bacio amoroso. Essa mi guardò con un mesto sorriso e scomparve. Io rimasi estatico al mio posto, non so quanto tempo, senza perdere la speranza di rivederla.

Essa ricomparve, vestita di bianco, pallida, come una fidanzata che aspetta lo sposo per recarsi alla cerimonia nuziale. Io congiunsi le mani in atto di preghiera, essa mi guardava fisso, e pareva che mi dicesse: t'aspetto.

Le feci cenno che sarei ritornato, e andai non so dove a prendere una scala di corda. La scala aveva da un lato due ganci, che gettai sul balcone. La contessa Savina non si prestò, nè si oppose; essa aspettava sempre pallida e immobile. Io tremavo come una foglia, la scala era assicurata, ed io incominciai a salire. Ad ogni scalino che mi avvicinava al balcone distinguevo più chiaramente i lineamenti della contessa. I suoi occhi leggiadri mi guardavano con affettuosa espressione, le sue labbra si atteggiavano ad un mesto sorriso… ed io salivo sempre. Le giunsi tanto vicino che vidi il suo seno agitato dai moti violenti del cuore… stavo per afferrare la meta, quando d'un tratto si ruppe la corda ed io precipitai nella strada.

Il colpo violento mi risvegliò. Volli dormire nuovamente per riprendere il filo del sogno… impossibile!.. Perfino il sonno si rifiutava alla mia felicità!..

M'alzai conturbato. Mio zio, vedendomi sofferente, s'accorse che avevo passata una cattiva notte.

– Povero Daniele!.. – mi disse con affezione, – tu pensi sempre alla contessa Savina!..

– Nemmeno in sogno!.. – gli risposi, temendo quasi che potesse scoprire i misteri della notte, e soggiunsi: – Tutto è finito.

– Finito di sicuro, – osservò mio zio, al quale premeva togliermi ogni speranza; – finito per varii motivi: primo, perchè bene o male maritata essa appartiene per sempre a suo marito; secondo, perchè è donna onesta e virtuosa fino allo scrupolo, e questo te lo diranno tutti; terzo, perchè se la natura ti aveva spinto verso di lei con tanta violenza, vuole onestà che tu faccia ogni sforzo per starle lontano, evitando ogni pericolo che possa aggravare la sua infelicità, e renderti colpevole di maggiori sventure.

– Le ripeto che non ci penso nemmeno, – risposi, – e che anche se fossi tanto pazzo da pensarci, credo di essere un galantuomo, e di non aver mai fatto dubitare della mia condotta.

Lo zio si mostrò soddisfatto della mia dichiarazione, ma io credo che egli realmente prestasse poca fede alle mie parole, come io stesso non era convinto che fra me e la contessa Savina tutto fosse finito.

XVI

Il giorno seguente mio zio partiva pei bagni, lasciandomi travedere d'aver modificato le sue idee sul mio conto, mostrandosi sempre meno propenso a favorire il mio ritorno a Milano, e sempre più convinto che la ferita che aveva colpito il mio cuore non fosse ancora perfettamente cicatrizzata. Io cercavo di persuaderlo della mia completa guarigione, ma egli mi ascoltava con diffidenza implacabile, dimenando la testa in segno di dubbio, ed atteggiando le labbra ad uno spietato sorriso. Non desidero a nessuno d'aver per giudice negli affari d'amore un canonico.

Dopo la partenza di mio zio incominciai a mulinare mille progetti, uno più assurdo dell'altro. L'amore eccita l'immaginazione come le bevande alcooliche, e suscita la pazzia. Ma ogni pazzia ha i suoi lucidi intervalli, e quelli sono i peggiori momenti; infatti la ragione che entra in un cervello malato produce l'effetto d'un raggio di sole che entra negli occhi di chi soffre d'oftalmia. Nei momenti d'esaltazione ero felice. Pensavo che un giovane coraggioso trova mille strade aperte per far fortuna; basta muoversi, cercare, abbandonare la squallida solitudine per gettarsi nella folla e nell'onda sociale. Maledetta la bonaccia! essa tiene sempre immobile allo stesso posto, e lascia morire di fame. Nella tempesta sono le grandi emozioni. La burrasca sommerge o getta i naufraghi sulla spiaggia. Nel primo caso è finita presto ogni pena, nel secondo si va a rompersi le ossa sopra uno scoglio o si arriva in un'isola. Meglio morire sopra uno scoglio che in bonaccia; la morte più rapida è la migliore. L'isola potrebbe essere abitata dai cannibali, ma la cosa è incerta; in ogni caso è sicuro che in società chi non mangia sarà mangiato, e quindi un povero diavolo non perde nulla cadendo nell'isola dei cannibali… Ma se fosse un'isola fortunata, gioconda, aurifera, piena di tesori? Allora si conquista l'isola, si uccidono gli abitanti, e si ritorna al paese ricoperti di gloria e di ricchezze!.. Le ricchezze sono la potenza universale; colle ricchezze si ottiene ogni cosa… Io ritornerò a Milano in carrozza a quattro cavalli, diventerò l'amico del conte di Montegaldo, giuocherò i miei tesori per ottenere d'essere presentato a sua moglie. Diventerò l'amico di casa, quello che gode piena fiducia… e potrò fuggire colla contessa Savina, fuggire lontano dall'Europa corrotta, lontano da questa vecchia ed inferma società che vaneggia inutilmente per legalizzare i suoi disordini, per riparare le sue miserie, per trovare il bandolo di tante matasse!

Fuggiremo in un'isola di meravigliosa bellezza e fecondità come Taiti o Madera, ridente come il golfo di Napoli… rinnoveremo la storia del Paradiso terrestre… senza il serpente!

Tali erano le fantasie del mio cervello esaltato… i momenti migliori della mia vita!.. un po' di poesia fra la prosa di tante volgari realtà.

Nè certo sarei andato a cercare il dottore Canziani per farmi guarire colle sue droghe del solo bene che m'era conceduto… i miei sogni!

Gli uomini gravi diranno che tali pensieri erano divagazioni d'un pazzo, io li credo invece l'unico conforto d'un infelice. Ma gli uomini gravi non sono talvolta che vecchi panciuti e barbogi che si dimenticano d'essere stati giovani leggeri. – Eppure ogni zucca ha avuto il suo fiore!

Ciò che generalmente si chiama la ragione mi riconduceva pur troppo alla vita positiva… al realismo. Allora svanivano le ridenti fantasie. Povere fantasie giovanili!.. che ci dipingono la vita più bella del vero, che ci fanno sperare supreme felicità non esistenti sulla terra, che ci lasciano credere alla gloria, all'amore, alla poesia, a tutte le nobili aspirazioni!.. E poi, più tardi, s'impara che la vita si compone d'un'altra pasta!..

Sogni vaporosi, nel mondo letterario non siete più di moda!.. L'arte ha le sue vicende come tutti i capricci della vita esterna. Ora all'ideale succede il realismo, che non è il naturale ma l'evidente, l'uomo esterno a piedi o a cavallo, in ufficio, a tavola, in letto; la donna coi capelli posticci, i talloni alti, e le maniche larghe. Il positivo in tutto. Ma come si fa quando in vita domina il negativo, quando il tessuto d'una esistenza si compone con trame d'illusioni e con ordito di sogni?.. Per me la vita ideale, intima, invisibile fu tutto; il positivo nulla. Lo so che sopprimendo il sentimento e il pensiero riuscirei un fantoccio alla moda… ma io preferisco comparire un uomo alla vecchia, intiero e completo, aspettando che il mondo sazio di racconti materiali ritorni a gustare le peripezie dell'anima umana.

Tuttavia, se avessi voluto seguire l'andazzo dell'arte moderna, non mi sarebbe mancato il realismo!.. Pur troppo!.. e la Rosa me lo rammentava ogni volta che la vita dell'anima me lo facea dimenticare.

Il realismo!.. per me consisteva nel riscuotere mensilmente il modico stipendio, che unito al ricavo delle patate, delle castagne e dei fagiuoli mi serviva a pagare la farina al mugnaio, le polizze ordinarie del beccaio e del pizzicagnolo, e le straordinarie del calzolaio e del sarto.

Insegnare l'abbicì a idioti impuberi, e far di cappello a idioti virili, vivere e conversare coi montanari maliziosi, cogli artigiani furbi e viziosi, barcamenando cogli ambiziosi, gli astuti, gl'ipocriti d'ogni condizione, lottando contro l'egoismo di tutti, privandomi spesso del necessario, dimostrando di godere il superfluo per non umiliarmi cogli avversi e non incomodare gli amici, restringendo infine i bisogni numerosi e le idee infinite alla smilza figura del borsello: ecco il realismo!.. Ciascheduno ha il suo, dal villaggio alla borgata, dalla città alla capitale; soltanto le passioni, i vizii e i delitti crescono in proporzioni relative al numero degli abitanti, e si complicano in ragione diretta della coltura. La rappresentazione letteraria di tali complicazioni è una moda rifritta come tutte le altre; nulla è nuovo sotto al sole; soltanto, quando il buono, il bello e il semplice divengono stucchevoli pel lungo uso, si cerca la novità nel turpe, nel brutto, nel complesso, e il mondo se ne compiace. Gli ottimi modelli non sono d'ostacolo al traviamento. Bernini scolpisce gli svolazzi barocchi delle sue statue presso le Veneri greche e il Mosè di Michelangelo. Dopo l'Ariosto il Marini, dopo gli oratori vengono gli Accademici, dopo le guerre l'Arcadia.

Io non intendo appartenere a nessuna scuola, a nessun sistema; io seguo l'istinto che mi spinge a rivelare schiettamente le mie passioni, a raccontare con pari ingenuità le avventure e i pensieri della mia vita. Ritorno dunque ai miei sogni.

Essi svanivano sovente al tocco della realtà, ma mi restava sempre un granello di speranza, come una semente pronta a germogliare in condizioni favorevoli.

All'uragano che mi sconvolse colla prima notizia del matrimonio della contessa Savina era succeduto quel freddo che segue la grandine. Poi le mie illusioni erano cadute come le foglie d'autunno, e l'inverno m'era penetrato nell'anima.

Quando le neve ricopre il terreno si crede che la natura sia morta, ma alle brezze della primavera i germi assopiti si sviluppano ed una nuova vegetazione incomincia.

Il racconto di mio zio, che mi svelò l'infelicità di quel matrimonio e le condizioni funeste che amareggiavano l'esistenza della sposa, mi fece l'effetto delle meteore d'aprile, che si risolvono in pioggia feconda, e risvegliano la natura. Sentii il sangue scorrermi più rapido nelle vene, agitando le mie speranze che rigermogliavano ai tepori del cuore… Confesso che tali speranze erano colpevoli; secondo i principii sociali, la società condanna ogni violazione della proprietà; ma se la legge esaminasse a fondo i titoli d'ogni diritto, scoprirebbe sovente che esso ha per base l'usurpazione fraudolenta, l'inganno od il furto. Io premeditavo di rubare al ladro l'oggetto involato, e la natura m'avrebbe assolto, perchè essa riconosce soltanto il diritto di reciproco consenso, libero da ogni pressione sociale.

Meno male per la società che ci stava di mezzo un canonico, deciso di difendere ad ogni costo i diritti ecclesiastici e civili riconoscendo la legalità dei fatti compiuti… e tanto peggio per me!..

Mentre con tali argomenti io andava fantasticando in balìa del più sfrenato idealismo, mio zio, in preda del più crudo realismo, si cavava le calze rosse, spogliava le vesti sinodali ed anche quelle che vi stanno sotto, e libero d'ogni indumento ecclesiastico e civile, ridotto in costume adamitico, entrava in un bagno d'acqua minerale di Bormio. Così, deplorando altamente le mie inclinazioni naturali e volendomi schiavo dei doveri sociali, egli abbandonava ogni scrupolo, deponeva le sacre vesti sacerdotali e ritornava in seno della natura per riacquistare la perduta salute.

Ma è lecito invocare le Najadi e non Cupido!.. Realismo incompleto… Mio zio tuffandosi nelle onde salutari colla voluttà d'un pagano, restava teologo per congiurare contro un povero nipote, giudicandolo gravemente affetto da un male clandestino dei più perniciosi, condannandolo ad espiare colla deportazione colpe non perpetrate, e facendo dipendere un'intiera esistenza da un amore tacito, ignoto, inoffensivo, innocente!

Tale era mio zio!.. inflessibile come il destino, uomo eccellente nel fondo, ma canonico fino al midollo!..

Al suo ritorno dai bagni mi significò il decreto d'esilio da Milano, e il domicilio coatto in Valtellina. Nessun ragionamento, nessuna promessa valsero a smuoverlo dal suo crudele proposito. Era una sentenza inappellabile. A questa condizione soltanto mi assicurò del suo affetto e della sua protezione, minacciandomi di completo abbandono qualora avessi osato emanciparmi.

In tale circostanza ho imparato a conoscere la libertà. Essa venne definita in maniere diverse; io offro la mia definizione per quello che può valere.

Eccola: – La libertà è un filtro composto d'oro e salute. Con tal filtro, l'uomo è libero in qualunque paese del mondo, senza questo filtro può credere di esser libero, ma tenta invano di muoversi. Taluno grida, si agita, combatte e rovescia un governo dispotico per conquistare la libertà, poi dopo di aver fondata la repubblica, mancando d'oro o di salute si trova più schiavo di prima. Che cosa deve fare allora?.. La sola cosa possibile: abbassare il capo e rassegnarsi al destino! È quello che ho fatto io stesso, non potendo fare altrimenti.

Mio zio, volendo in qualche modo ricompensare la mia obbedienza, mi regalò una piccola somma per far fronte ai bisogni del verno vicino, colla quale ho potuto pagare i miei debiti, vestirmi, e comperare un orologio migliore di quello che avevo perduto al giuoco nella notte memorabile che Bacco mi precipitò nelle braccia di Morfeo, senza concedermi il tempo di raggiungere il letto.

E il buon canonico accompagnò il dono con un predicozzo, che mi trovava favorevolmente disposto dall'argomento dell'esordio.

– Daniele, – mi disse, – se questo denaro non bastasse a procacciarti il benessere d'una vita agiata, non aver riguardo di scrivermi, sono disposto a fare maggiori sacrifizii, compatibilmente al mio stato, pur di vederti felice, nei limiti delle cose lecite e oneste. Procura di star sano ed allegro, cerca le distrazioni permesse, e fa ogni sforzo per correggere il tuo carattere capriccioso, leggero, eccitabile, fantastico… e cocciuto nel voler l'impossibile. Avvezzati a prendere il mondo come sta; Dio l'ha creato così ne' suoi imperscrutabili disegni, e gli uomini si travagliano invano per riformarlo: l'uomo è impotente a modificare l'opera di Dio! Cammina dritto per la tua strada, non desiderare nè la roba nè la donna d'altri, non fidarti al prestigio del frutto proibito che ha perduto i nostri progenitori, contentati di quello che puoi raggiungere senza sforzi, nè frode, nè violenza, nè colpa. Chi esce dalla propria via per gettarsi nelle avventure non trova che precipizi. Domina le tue passioni colla ragione, non chiuderle in seno come una mina pericolosa. Non essere ambizioso, non aspirare alla conquista del vello d'oro; credi alla mia vecchia esperienza, tutto è vanità sulla terra… vanità delle vanità!.. Infine dei conti i piaceri leciti sono i migliori: una stanza calda l'inverno e fresca l'estate, un buon letto, una buona cucina, una cantina ben fornita, vivere nella calma onestà, guidati sempre dalla coscienza tranquilla… —

Discorsi da canonico!.. Io diceva fra me, ascoltandolo con rispettosa attenzione. Lo ringraziai del dono e delle offerte, e gli promisi di fare il possibile per contentarlo. Ma io vedevo la vita proprio tutto il contrario di lui. Questione di lenti!.. Io guardavo le cose attraverso la gioventù, ed egli attraverso la vecchiaia.

Essendo il tempo delle vacanze autunnali, m'offersi di accompagnarlo fino a Como; ma egli non volle accettare la mia compagnia che fino a Colico; e giunti colà, mi diede un abbraccio cordiale e mi obbligò a retrocedere. M'avvidi che entrambi avevamo pensato agli incontri fortuiti sui battelli a vapore del lago nella stagione d'autunno. Colla differenza però ch'egli diceva:

– Guai!.. – ed io… – Magari!..

Rifacendo la strada pensavo alle delizie che il mondo m'offriva, ed alle misere condizioni che mi obbligavano a rinunziarvi. Io avevo le ali… come i polli, che la natura ha forniti di questi organi che potrebbero innalzarli al disopra dell'uomo, ed essi si lasciano prendere bonariamente, e mettere allo spiedo!

Sentivo dentro di me un bollore di sensazioni diverse, mille desiderii confusi, aspirazioni e bisogni contrari, e dovevo rinunziare ad ogni cosa.

Amori sublimi ed eterei… amplessi positivi e terreni, idealismo e realismo… contessa e mugnaia, tutto m'era interdetto.

La prima era troppo alta… la seconda troppo bassa!.. e così la sorte mi condannava a girare intorno al mio asse, sempre ad eguale distanza dal sole e dalla luna, perduto negli abissi dell'universo come un bolide.

Venni assalito da una profonda melanconia, che si alzava nel mio animo come la nebbia d'autunno che ci asconde gli oggetti. La vita ha bisogno d'uno scopo; vivere per vivere è la cosa più sciocca del mondo.

Andavo vagando colle mani in tasca, il sigaro in bocca, il cappello da una banda, e il naso in aria, aspettando che cadesse qualche cosa dal cielo per rompere la monotonia della mia vita.

E dopo una lunga aspettativa cadde, finalmente… la neve.

Di tutte le cose che si attendono, le sole che non mancano mai all'appuntamento sono le stagioni. Il mondo gira colla scrupolosa precisione di mio zio canonico, ed entrambi hanno il segreto di trovare la varietà nella monotonia.

Le disgrazie non vengono mai sole, e quando giunse la neve a chiudere gli armenti nelle stalle, io dovetti aprire la scuola per accogliere i miei scolari.

La neve e la scuola mi privarono dei passeggi, grave inconveniente, perchè le gambe che camminano giovano assai ad un cervello che trotta, e quando sono costrette a fermarsi, nasce un disquilibrio: la mente si affatica e il corpo riposa, e da tale sconcerto di funzioni fisiche e morali nasce come naturale conseguenza la noia, la malinconia, la paturna, lo spleen degl'Inglesi.

Dopo la lezione mi chiudevo nello studio, aprivo un libro, ma guardavo fuori dalle finestre leggendo in aria tutto quello che sta scritto nel firmamento, nelle meteore, nello spazio, nel tempo. La solitudine, il silenzio, il cielo nuvoloso, la terra ricoperta dalla neve, come feretro d'una fanciulla del candido tappeto simbolico, portavano i miei pensieri alle più tetre considerazioni. Meditavo sulla morte della natura, e sulla probabilità d'una prossima fine del mondo, quando la Rosa mi consegnò una lettera di mio zio che mi annunziava il parto felice della contessa Savina, che aveva dato alla luce un bel maschio. Ecco ancora il realismo!.. Il mondo non era disposto a finirla. – « Il nobile neonato, mi scriveva mio zio, promette meraviglie, poichè appena venuto al mondo ha assunto le funzioni di giudice conciliatore. » Credevo che mio zio diventasse matto, ma invece faceva lo spiritoso, continuando in questi termini: « Infatti bastò la sola comparsa di questo rampollo per far sparire ogni dissenso fra gli sposi, che dimenticate le passate discordie, si sono riconciliati nella gioia del grande avvenimento. Vi furono splendide feste, rinfreschi, confetti, e un codazzo di carrozze alla porta. » E qui con un lirismo declamatorio, mio zio mi andava annoverando le consolazioni materne che compensano largamente le pene d'una moglie onesta, la nobile missione di allevare un figlio che porti con onore il nome illustre, e contribuisca coll'avito censo al lustro della casa e al decoro della patria.

Il parto della contessa aveva messo in vena mio zio canonico, che s'era sgravato alla sua volta di tutti i luoghi comuni accumulati da tanti anni nel suo cervello dai quaresimali del Duomo, accompagnati da uno scialacquo di rettorica. La sua lettera era tutta ingemmata di dilemmi, sillogismi, metafore, tropi, pleonasmi ed iperboli, e tutto questo lusso di figure per persuadere un nipote spiantato ad abbandonare ogni più lontana velleità di affezione verso una contessa milionaria, moglie d'un dissoluto, convertito a miglior vita in virtù d'un giudice conciliatore neonato!.. Egli si diffondeva prolissamente sulla deplorabile insania di chi spera nella colpa, sulla atrocità degli attentati alla pace e all'onore delle famiglie, sulla imperdonabile depravazione di chi aspira alla donna degli altri!.. e conchiudeva: « Fortunata la contessa Savina d'aver ottenuto dalla Provvidenza il dono prezioso d'un figlio che la consola di ogni amarezza, riconduce il marito al focolare abbandonato, rende la famiglia completa, e la difende dai pericoli e dalle tentazioni del diavolo. »

Presi in mano la penna, per confutare la lettera di mio zio scrissi d'un fiato dieci pagine assurde, piene di sarcasmi, di cinismo, d'invettive, di bestemmie contro l'amore e il matrimonio, la fede e la virtù, i neonati e la rettorica, le donne, i canonici e il diavolo. Poi le rilessi, le lacerai, e gettandole sul fuoco accesi il sigaro, e mi misi a correre sulla montagna attraverso la neve. Il freddo a sei gradi sotto zero mi riuscì sempre giovevole come calmante dell'amore e della collera. L'aggiunta di qualche bicchiere di vino scelto ha contribuito vantaggiosamente ad ottenere l'effetto. Il ghiaccio ed il vino, cioè l'antitesi, mi riesce l'antidoto degli eccessi. L'esperienza m'aveva insegnato la dose, limitandomi all'uso, e schivando l'abuso, lasciandomi il convincimento che una bottiglia di vino buono sia un farmaco eccellente contro i dolori morali. Con tale sistema non sono morto disperato, e all'indomani d'una batosta stavo ancora in piedi. Chi sa quante vittime del suicidio avrebbero rinunziato al progetto di togliersi la vita, se invece di due pistole si fossero trovate nelle mani due bottiglie!

Confesso che il matrimonio dapprima, e poi il parto della contessa Savina mi gettarono due volte alla disperazione, eppure io non avevo diritto di sperare nè al suo celibato nè alla sua sterilità; essa non poteva nè correre in Valtellina a chiedermi il favore di divenire mia sposa, nè una volta maritata rimaner senza figli; quello che era succeduto doveva naturalmente succedere; ma l'uomo si dispera sovente non solo di ciò che succede d'impreveduto, bensì dei fatti naturali o sociali che stanno nell'ordine delle cose. Chi giuoca si dispera di perdere!.. e quanto più siamo fantastici, tanto più dobbiamo aspettarci di soffrire, perchè oltre alle perdite positive, che sono pur tante, avremo anche a deplorare la scomparsa delle illusioni, delle chimere e dei sogni.

Ma la speranza è un fiore bizzarro della vita, che sovente si pasce di vento, eppur vive e ci consola col suo olezzo; simile a certe orchidee delle regioni tropicali, le quali, appese in panierini nelle serre, si nutrono d'aria e di vapori, e tuttavia vegetano rigogliose e producono fiori stupendi, ed esalano soavi profumi. Mio zio coll'uragano della sua rettorica aveva tentato di schiantare la mia orchidea, ma il cuore l'aveva assicurata contro i danni della grandine, ed essa viveva ancora… quantunque appesa ad un filo…

Yosh cheklamasi:
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25 iyun 2017
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