Kitobni o'qish: «Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4»
LIBRO DUODECIMO
1780
Io m'apparecchio a scrivere una ostinata guerra, la quale variata in numerosi affronti, e spesse battaglie dimostrò forse più, che in un'altra qualsivoglia, quanto siano incerte le operazioni dell'armi, ed instabili i favori della fortuna; e quanto tenaci siano le umane menti nel proseguire ciò, che posto hanno in cima dei desiderj loro. Le vittorie partorirono frequentemente i frutti delle rotte, e le rotte quei delle vittorie; i vincitori diventarono spesso vinti, i vinti vincitori. In piccoli fatti mostrossi una gran virtù, e dall'opera di poche genti, secondochè queste o quelle ebbero prospero, od infelice successo, altrettanto, o più in ultimo si ottenne, che ricavato si sia le più volte dalle grossissime battaglie combattute ne' campi europei da valorose e potentissime nazioni. Nè si cessò dall'aspra contesa nelle Caroline, se non quando già s'incamminavano le cose a quel fatale caso, che del tutto afflisse le britanniche armi sul continente americano. Erasi, come nel precedente libro si è da noi raccontato, partito dalla Nuova-Jork il generale Clinton per recarsi all'impresa delle Caroline, nelle quali si proponeva principalmente d'insignorirsi della città di Charlestown; avuta la quale si sperava, tutta la provincia avesse ad inclinare subito il collo all'obbedienza del Re. Conduceva seco da sette in ottomila soldati tra Inglesi, Essiani e leali, tra i quali una buona squadra di cavalli, gente molto necessaria all'esercizio della guerra in quelle province agili e piane. Aveva anche posto sulle navi una quantità grandissima di munizioni sì da guerra che da bocca. Viaggiavano gli Inglesi pieni di ardimento, e confidentissimi della vittoria. Dapprima furono assai favorevoli i venti, e propizio il mare. Ma messisi poscia gli orribili temporali, ne fu l'intiera flotta dispersa, e grandemente danneggiata. Alcune navi pervennero sul finir di gennaio a Tibee nella Giorgia; altre furono intraprese dagli Americani; un'annonaria infortunò, e si ruppe con perdita di tutte le munizioni che portava; i cavalli, sì quei che servivano al traino delle artiglierie, come quei delle compagnie, la maggior parte perirono. Tutti questi danni, che stati sarebbero gravi in ogni tempo, riuscirono in quell'occorrenze gravissimi, e quasi irreparabili. Ritardaron poi anche sì fattamente l'impresa di Charlestown, che ebbero gli Americani tempo ad apparecchiar le difese. Finalmente si raccozzaron tutti nella Giorgia. Le genti vincitrici di Savanna ricevettero con molte dimostrazioni d'allegrezza quelle di Clinton, le une e le altre molto efficacemente adoperandosi per ristorar i danni sofferti nel tragitto. Quando furon di bel nuovo in punto, il che fu al dieci febbraio, partirono sulle navi da carico, accompagnate anco da quelle da guerra, ed avuti i venti prosperi arrivarono speditamente nelle bocche del Nort-Edisto, fiume, che mette in mare poco lungi dall'Isola di San Giovanni sulle coste caroliniane. Esplorati i luoghi, e superato lo scanno, sbarcarono, distendendosi dentro l'isola sopraddetta, e quella di San Jacopo più vicina a Charlestown. Già le prime scolte toccavano le rive del fiume Ashley, il quale bagna le mura di questa città. Occupavano parimente il Wappoo-cut, pel quale i battelli e le galere dovevan passare per trasportare poscia i soldati dalla destra sponda dell'Ashley sulla sinistra, sulla quale è posto Charlestown. Ma gl'indugi causati dalla passata fortuna di mare, pei quali avevano i Caroliniani avuto tempo di munire la città con nuove fortificazioni e più grossi presidj, avevano indotto Clinton a vieppiù soprastare all'oppugnazione, ed a mandar ordine intanto al generale Prevost a Savanna, gl'inviasse de' suoi dodici centinaia di soldati, incluso quel maggiore numero di cavalli che potesse. Aveva anche scritto a Knyphausen, il quale, partito Clinton, era rimasto al governo dei presidj della Nuova-Jork, spedisse tostamente all'oste presso Charlestown rinforzi di genti e di munizioni. Venne infatti pochi giorni dopo a congiungersi con Clinton il generale Patterson mandatovi da Prevost colle richieste genti, dopo d'aver superato non senza molta fatica e pericolo gl'impedimenti de' sfondati cammini, dei fiumi ingrossati, e del nemico, che, leggiero e sparso, lo aveva con ispesse scaramucce col sinistro fianco noiato da Savanna sin molto addentro nella Carolina. Stava intanto Clinton affortificandosi sulle rive dell'Ashley, e su quelle delle vicine fiumane, e bracci di mare per mantener libere le vie a poter comunicare col suo navilio. In questo mezzo il colonnello Tarleton, del quale sarà fatta frequente menzione in queste storie, non meno arrisicato, ch'esperto condottiere di cavalleggieri, recatosi nell'Isola di Porto-Reale, situata sulle coste della Carolina più verso la Giorgia, assai fertile e ricca, attendeva con procacci fatti, per danaro dagli amici, per forza dai nemici, di nuovi cavalli a ristorar la perdita di quelli, che morti erano durante l'infelice tragitto. Nel che se non ottenne tutto quello che desiderava, ebbe però più assai di quanto egli sperava. Così in sul finir di marzo ogni cosa era in pronto per cominciar l'assedio di Charlestown, dalla quale città l'esercito britannico era separato soltanto dalle acque del fiume Ashley.
Dall'altro canto non erano stati oziosi gli Americani nel fare tutti quei provvedimenti sì civili che militari, che più creduti avevano necessarj ad una gagliarda difesa, quantunque in questo quegli effetti non ottenessero che avrebbero desiderato, e che la gravità del caso richiedeva. I biglietti di credito nella Carolina Meridionale avevano tanto perduto di riputazione, che con essi assai difficilmente si potevano fare i procacci necessarj agli usi della guerra. Nè meno si travagliava per la carestia dei soldati. Le milizie dopo l'ardue fazioni della Giorgia nel passato inverno, tratte dal desiderio del riposo, s'erano, disbandandosi, alle case loro ritornate. Il timore del vaiuolo, che sapevano serpeggiare in Charlestown, le impediva ancora di recarsi al soccorso della città capitale. I reggimenti poi degli stanziali appartenenti alla provincia, ch'erano sei, si trovavano talmente assottigliati dalla frequenza de' disertori, dalle malattie, dalle battaglie, dal finir delle ferme, che tutti insieme non arrivavano ad un migliaio di soldati. Non pochi parimente dei Caroliniani si erano ridotti a giovarsi dei perdoni presso Prevost a Savanna, parte per fedeltà verso il Re, e parte per preservare le robe loro dal sacco. Perocchè gl'Inglesi, senza rispetto alcuno, depredavano e devastavano le proprietà di coloro, i quali continuavano a militare sotto le insegne del congresso. La vittoria poi di Savanna aveva indotto negli animi un grande terrore dell'armi inglesi; e molti ripugnavano all'andarsi a serrare dentro le mura di una città, che poco credevano poter resistere agli assalti di un nemico sì valoroso. E se deboli erano per la necessità delle cose i preparamenti dei Caroliniani meridionali, erano poco più gagliardi quei del congresso. Aveva questi avuto tempestivo avviso del disegno degl'Inglesi, e vedendo rannuvolar nella Carolina avrebbe voluto soccorrerle. Ma dall'un de' lati la debolezza dell'esercito washingtoniano, che era stato assai diradato dal finir delle ferme, dall'altro la grossezza dei presidj lasciati da Clinton nella Nuova-Jork erano causa, che da quello non si potesse un molto efficace aiuto inviare a Charlestown. Ma per altro per confortare colle parole, giacchè non poteva coi fatti, ovvero perchè avesse credenza, che i popoli si sarebbero risentiti al vicino pericolo della Carolina ed accostati alle insegne, iva il congresso scrivendo a quei che governavano le faccende in questa provincia, stessero forti, perciocchè avrebbe mandato loro un soccorso di novemila soldati. Ma il fatto fu che non ne potè mandare, che quindici centinaia, soldati stanziali però della Carolina Settentrionale e della Virginia. Mandò inoltre due fregate, una corvetta, ed alcune altre navi minori, per contrastare, se possibil fosse, il passo verso la città per la via del mare. Aveva anche esortato i Caroliniani, armassero gli schiavi. La qual cosa non ebbe effetto, sia perchè a ciò ripugnavano essi universalmente, sia perchè non si avevano in pronto sufficienti armi a por loro in mano. Nonostante questa freddezza dei popoli, i maestrati di Charlestown, confortati anco dalla presenza e dalle parole del generale Lincoln, il quale governava tutte le faccende appartenenti alla guerra, fatta sopra di ciò una consulta, con unito consenso deliberarono di voler difendere sino all'ultimo la città. Nè contenti a questo, sapendo benissimo, quanto nelle cose della guerra, e nei casi massimamente più gravi, vaglia l'unità dei consiglj, diedero la potestà dittatoria a Giovanni Rutledge, loro governatore, dandogli facoltà di fare tutto ciò, che necessario credesse alla salute della repubblica; solo non gli diedero autorità sopra il sangue, e vollero che non potesse tor la vita ad un cittadino senza un legale giudizio. Avuta una tanta autorità, chiamò Rutledge a campo le milizie; ma pochi accorrevano. Mandò poscia fuori un bando, col quale comandò a tutte le squadre regolari di milizie, a tutti gli abitanti, ed a tutti coloro i quali qualche proprietà avessero nella città, dovessero sotto le insegne porsi, e venir a congiungersi col presidio. Se non obbedissero, fossero i beni loro posti al fisco. A questo aspro comandamento alcuni si mossero, comunque a gran pezza tanti armati non si ottenessero, quanti si sarebbero desiderati, tanta era la freddezza dei popoli; perciocchè erano sbigottiti, e volevano star a vedere, che sesto piglierebbero le cose, e brevemente tutto il presidio di una sì gran città poco passava i cinquemila uomini, inclusi gli stanziali, le milizie ed i marinari. Dei primi, i quali erano il membro più grande della difesa, se ne annoveravano da circa due migliaia. Lavoravasi intanto con incessabile fatica alle fortificazioni. Consistevano le difese della città dalla parte di terra, da quel lato che si distende dietro di quella dal fiume Ashley a quello, che chiamano Cooper, in una tela di bastioni, di trincee e di batterie, ove si annoveravano ottanta grossi cannoni, e parecchie bombarde. Le opere esteriori, che fronteggiavano l'aperta campagna, erano da due fianchi protette da paludi, le quali nate dall'una parte e dall'altra dai due fiumi si distendevano all'indentro verso il miluogo posto tra i medesimi. Per serrare poi il passo di mezzo, le due paludi erano state congiunte da un canale artefatto, che correva dall'una all'altra. In mezzo allo spazio compreso tra queste opere esteriori e le trincee avevano gli Americani fatto due forti palafitte coll'aver ficcato dentro in terra grossi alberi di modo, che i rami colle punte loro fossero volti all'infuori. Tra le due palafitte avevano scavato un fosso molto affondo con entrovi l'acqua. Tra lo steccato interiore e le trincee avevano per maggior sicurezza fatte certe buche qua e là da trappolarvi dentro gli assalitori, se fin là fossero penetrati. Le trincee poi ed i ripari fattivi erano da fianco, cioè a riva i due fiumi da ambe le parti fortissimi, e sì fattamente costrutti, che le artiglierie loro tiravano rasente terra, e spazzavano la campagna. Ma le trincee nel mezzo essendo più deboli, si praticò in questo luogo un puntone ammattonato, il quale a guisa di rivellino fortificasse l'entrata della Terra, e la porta principale di lei coprisse. Quest'erano le fortificazioni, che stendendosi a traverso del promontorio dietro la città da un fiume all'altro, la difendevano dalla parte di terra. Ma sui due lati, dov'ella è bagnata dalle acque dei fiumi, avevano piantato spesse e grosse artiglierie su certi ripari fatti con molta diligenza, e costrutti, perchè meglio resistessero ai colpi delle artiglierie, con terra frammescolata al legno di palmetto. I luoghi poi, dove si sarebbe potuto sbarcare, avevano accuratamente fortificati con grosse palificate. Oltreacciò, e per cooperare con quella difesa, che dalle batterie di terra si sarebbe fatta, e per impedir alle navi inglesi il passo dentro del porto, apparecchiato avevano una nave, che portava 44 cannoni, sette fregate loro proprie, una fregata francese di 36 cannoni con altri legni minori, principalmente galee. Tutto questo barchereccio da principio con ottimo consiglio avevano fermato nello stretto passo, che si trova tra l'Isola di Sullivan ed il Middle-ground; nella quale positura se avessero continuato a starsene, avrebbero potuto grandemente danneggiare la flotta inglese nel suo approssimarsi al Forte Moultrie, posto su quell'isola, e tanto celebrato per la valorosa difesa fatta contro gli Inglesi nel 1776. Ma quando l'ammiraglio Arbuthnot si avvicinò colle sue navi allo scanno, abbandonato quel luogo, ed alle proprie forze il Forte Moultrie, si avvicinarono vieppiù alla città, ed andarono a porsi di traverso a quel canale, che non è altro che il fiume Cooper, e scorre tra il sinistro lato della città, ed un renaio assai basso, che chiamano Shutte's-folly. Ivi furono le fregate affondate in un con altri legni mercantili, e sopra di esse con gomene, catene e barre fu fatta come una barricata, che si stendeva da una riva all'altra; e per assicurarla vieppiù v'intralciaron dentro gli alberi delle navi affondate. Così non rimase agl'Inglesi altro impedimento all'entrar nel porto, ed a venir sopra alla città per cooperar colle genti di terra fuori di quello del Forte Moultrie. In cotal modo i Caroliniani con grand'animo si apparecchiarono contro gli assalti inglesi, stando anche in isperanza degli aiuti delle vicine province della Carolina Settentrionale, e della Virginia. Lincoln, e Rutledge grandissima lode meritarono per lo zelo e per l'industria singolari, coi quali si adoperarono nel confortar i popoli, e fortificar la città. Gli ingegneri francesi De-Laumoy, e De-Cambray con molt'arte gli secondarono. Furono gli stanziali posti a difendere le trincee, dov'era maggiore il pericolo, le milizie i lati a riva il fiume.
Appena avuto assetto tutte queste cose, il dì 29 di marzo Clinton, lasciate le guardie a Wappoo-cut, dov'erano i magazzini, varcava colle altre genti, senza ostacolo veruno incontrare, il fiume Ashley a dodici miglia distante sopra Charlestown. E subito posto piede in terra mandò i soldati armati alla leggiera sì fanti che cavalli, ad occupar la strada maestra ed a correre il paese sino a gittata dei cannoni della città. Seguitò poscia tutto l'esercito, e pigliò gli alloggiamenti a traverso l'istmo dietro la città ad un miglio e mezzo distante. In tal modo fu del tutto infrachiusa la via di terra al presidio; ed essendo gl'Inglesi padroni delle rive dell'Ashley, gli rimaneva solo aperta a poter ottener rinfrescamento di vettovaglia e di genti quella a sinistra a traverso il fiume Cooper. Non tardarono i regj a trasportar al campo loro, prestando in ciò un'opera eccellente co' suoi battelli e galere il Capitano Elphinstone, le grosse artiglierie, le bagaglie e le munizioni sì da guerra che da bocca. La notte del primo aprile incominciarono a lavorare alle trincee, e nel termine di una settimana, avendo gli assediati tratto con poco frutto, già erano i cannoni posti sulle batterie e pronti a batter la piazza.
Nel medesimo tempo l'ammiraglio Arbuthnot si era messo in punto per passare lo scanno, a fine di entrare nel porto di Charlestown. Le fregate, siccome più leggieri, trapassarono senza difficoltà alcuna. Ma a volere che le navi più grosse varcassero, fu mestiero alleggerirle col tor via le artiglierie, le munizioni e per fino l'acqua che portavano. Ebbe luogo il passaggio il dì 20 di marzo. Arbuthnot gettò l'ancora a Five-Fathom-Hole. Rimaneva a superarsi, perchè la sua armata potesse avvicinarsi a Charlestown e cooperare colle genti di terra, l'ostacolo del Forte Moultrie, alla guardia del quale era posto il colonnello Pinckney con un sufficiente presidio. L'ammiraglio inglese pigliando la opportunità di un vento da ostro, e della crescente, levate le ancore il dì nove aprile, e camminando a piene vele, passò oltre facilmente, ed andò a fermarsi a tiro di cannone dalla città presso l'isola di San Jacopo. Non aveva tralasciato Pinckney di sparar le sue artiglierie nel momento in cui gl'Inglesi passavano; ma tanta fu la celerità loro, che ne ricevettero poco danno. I morti ed i feriti non arrivarono a trenta. Solo una nave da carico fu abbandonata ed arsa.
In questo stato di cose, essendo le batterie pronte a fulminare la piazza, e questa cinta quasi da ogni banda, Clinton e Arbuthnot ricercarono la città a Lincoln. Lo ammonirono con parole gravi delle calamità, che, se stesse ostinato, soprastavano alla città, dei terribili effetti di un assalto dato prosperamente, e che quella era la sola favorevole occasione, che gli si appresenterebbe per salvar la vita e la proprietà dei cittadini. Rispose animosamente l'Americano, volersi difendere. Avuta questa risposta, diedero tosto gl'Inglesi mano al trarre. Gli Americani dalle mura a più possa gli rimboccavano. Prevalevano gli assedianti, avendo più artiglierie, e massimamente bombarde, che facevano gran danno. Intanto i palaiuoli e maraiuoli, governati dal Montcrieffe, quegli stesso, che si era acquistato tanta lode nella difesa di Savanna, lavorando gagliardamente alle trincee, si facevano avanti. Già la seconda circonvallazione era condotta a compimento, e le batterie piantatevi. Ogni cosa prometteva una vicina vittoria agli Inglesi. Ma gli Americani avevano fatto una massa nelle parti superiori del fiume Cooper in un luogo detto Monk's-corner. Erano sotto la condotta del generale Huger. Potevano di là noiare gli assedianti alle spalle, rinfrescar di genti e di munizioni il presidio di Charlestown, e nell'estremo caso fargli ala al votar la città, ed al ritirarsi a luoghi sicuri nella campagna. Questa testa poi di genti, che tenevano il campo, avrebbe potuto servir d'incentivo e di nodo ad altre, che ad esse sarebbero venute ad accozzarsi. Già ricevuto avevano dalla settentrionale Carolina molto carreggio, armi, munizioni e bagaglie. Considerate tutte queste cose, Clinton si deliberò ad andargli a combattere primachè vieppiù s'ingrossassero. Mandò a questa bisogna con quattordici centinaia di soldati il colonnello Webster, acciocchè e quel nido di repubblicani sperperasse, e troncasse loro le vie per a Charlestown dalla parte del Cooper. Lo accompagnavano Tarleton e Fergusson, l'uno e l'altro molto arrischievoli condottieri di corridori. Avevano gli Americani posti gli alloggiamenti principali sulla sinistra riva di quel fiume, ed essendo padroni del ponte avevano anche mandato sulla destra tutta la cavalleria, colla quale grandemente prevalevano. Il luogo era forte, non essendovi adito al ponte, se non per un dicco, che scorreva a traverso di luoghi acquidosi e maremmani. Ma stavano a mala guardia, non avendo locato scolte all'intorno, nè fatto correre la contrada dai cavalleggieri. Inoltre l'ordinanza loro era da condannarsi, avendo posti i cavalli avanti ed i fanti dietro. Arrivarono gl'Inglesi improvvisi alle tre della notte. Fatto un gagliardo impeto smagliarono e ruppero tosto l'inimico. Chi non fuggì, fu morto. Il generale Huger, ed i colonnelli Washington e Jamieson cacciatisi nelle vicine paludi, col favore delle tenebre scamparono. Quattrocento cavalli, assai preziosa preda, vennero in poter dei vincitori con molti carri carichi di armi, d'abiti e di munizioni. I reali s'impadronirono del ponte. Poco poscia assicurarono a sè stessi un altro passo inferiore, ed inondarono il paese posto sulla sinistra del fiume, e principalmente il distretto di San Tommaso. In cotal modo fu intrachiusa la sola via, che rimasta era agli assediati a poter comunicare colla contrada, e la città si trovò intieramente, e da ogni banda investita. La guernigione, siccome non troppo gagliarda, non fe' nissun motivo per impedire queste fazioni. Solo si attentarono ad affortificarsi su di una punta della sinistra riva del fiume, che chiamano la punta di Lamprey. Ma, ingrossatisi gl'Inglesi per nuovi rinforzi mandati da Clinton sulla riva medesima, ed arrivato il conte di Cornwallis a pigliare il governo di tutte queste genti, gli Americani quel nuovo posto abbandonarono tostamente. Foraggiavano gl'Inglesi alla libera, impedivano le adunate delle milizie, ed i soccorsi alla città. Pochi giorni dopo Tarleton recatosi con incredibile celerità sulle rive del fiume Santee, sopraffece, e mandò in rotta un'altra presa di cavalieri repubblicani, ivi raccoltisi sotto la guida del colonnello Buford. Armi, cavalli, e munizioni, tutto venne in balìa dei vincitori. Nè a queste cose si arrestò l'avversa fortuna dei repubblicani. Venuto l'ammiraglio Arbuthnot sopra l'Isola Sullivan, vi sbarcò una mano di marinari, uomini valentissimi. Incominciò a stringere il Forte Moultrie, ed avuto diligente contezza delle mura e del presidio, si apparecchiava a dargli l'assalto dalla parte di ponente e di maestro, dov'erano più deboli le difese. Quei di dentro, perduta ogni speranza di soccorso, essendo gl'Inglesi padroni del mare, ed essi troppo deboli a poter resistere, si arrenderono il dì sette di maggio. Così il forte Moultrie, che, allora faceva quattro anni, aveva sgarato con grandissimo danno tutte le forze dell'ammiraglio Hyde-Parker, ora, rivoltatasi la fortuna della guerra, venne di queto in poter dei reali.
Intanto fattisi avanti cogli approcci avevano questi condotto a termine la terza circonvallazione molto, vicina al canale da noi sopraddescritto, e tanto lavorarono colle zappe, che pervenuti a destra nella palude, dalla quale l'acqua era derivata, e, svoltala, la seccarono. Alzarono poi poco stante le batterie su quest'ultima circonvallazione, e compirono le traverse e gli altri cunicoli di comunicazione. Cinta in tal modo d'ogni intorno la piazza, e gli assedianti in atto di piovervi dentro le palle e le bombe, intimava Clinton la resa a Lincoln. Si appiccava una pratica d'accordo; ma pretendendo l'Americano, che non solo le milizie ed i cittadini fossero franchi e liberi delle loro persone, ma ancora che le proprietà loro vendere e trasportare, ove meglio piacesse loro, potessero, le quali condizioni ricusava l'Inglese di concedere, volendo, che si arrendessero tutti a prigionieri di guerra, ed in rispetto alle proprietà a null'altro volendo consentire, se non se che le soldatesche nolle avrebbero manomesse, si ruppe tosto la pratica, e si ricominciarono le ostilità. Le palle intronavano le mura; le bombe e le carcasse, che si crollavano in grandissima copia dentro la città, rovinavano ed accendevano gli edifizj; ed i tiratori essiani in ciò molto destri, cogli archibusi rigati imberciavano tutti coloro, che alle cannoniere, od altrove si affacciavano. Niuna cosa rimaneva a quei di dentro libera e sicura. Tutto annunziava appropinquarsi la necessità della dedizione. Già si rallentavano i tiri degli assediati, imboccate le artiglierie loro, fracassati i carretti, morti gli artiglieri, e gl'Inglesi spintisi avanti colle zappe avevano sboccato nel fosso a pochi passi distante dalle mura. Minacciavano di assalto la misera città. Già dentro appariva principio di discordia civile, perciocchè i cittadini, parte timidi, parte leali, incominciavano a romoreggiare. Pregavano, scongiuravano Lincoln, non volesse vedere l'estremo sterminio di quella diletta stanza loro, di quella sì ricca e sì nobile città. Si arrendesse, accettasse le condizioni. Già mancare la panatica; gl'ingegneri aver dichiarato, non potersi sostenere l'assalto; nissuno spiraglio di salute discoprirsi da nissuna banda. In così terribile congiuntura, deposta la natural sua durezza, piegò Lincoln finalmente l'animo all'arrendersi, ed ai dodici del mese di maggio si fermò la capitolazione. Uscissero i soldati del presidio con alcuni degli onori della guerra, e giunti al luogo, tramezzo le mura ed il canale, ivi deponessero le armi; le casse non battessero; le insegne fossero piegate; ritenessero gli stanziali ed i marinari le bagaglie loro, e rimanessero prigionieri di guerra sino agli scambj; le cerne se ne tornassero alle case loro, dando la fede di non portar le armi contro le genti regie; la quale sintantochè serbassero, non potessero venir molestate nè nella roba nè nelle persone; i cittadini parimente di qualunque ordine si riputassero sulla fede loro prigionieri di guerra; le proprietà loro conservassero colle medesime condizioni, che le cerne; gli uffiziali ritenessero i loro servi, le armi e le bagaglie non isvaligiate; avesse Lincoln facoltà d'inviare una nave a posta con ispacci a Filadelfia. In cotal modo dopo un assedio di quaranta giorni venne la città capitale della Carolina Meridionale in mano dei reali. Sette generali, dieci reggimenti di stanziali, ma però molto diradati, e tre battaglioni di artiglieria diventati prigionieri fecero conspicua la vittoria degl'Inglesi. Il numero dei prigioni, incluse le milizie ed i marinari, tanto americani che francesi, arrivarono a meglio di seimila persone. Quattrocento bocche da fuoco di diversa sorta e grandezza caddero in poter dei vincitori con una quantità non ordinaria di polvere, di palle, di bombe e di scaglia. Tre grosse fregate americane, ed una francese con altri legni di minor grandezza accrebbero l'importanza della vittoria. La perdita dei morti e dei feriti fu di poco momento da ambe le parti. I Caroliniani agramente si dolsero dei loro vicini massimamente dei Virginiani, perchè non avessero porto loro quegli aiuti, che avrebbero potuto. Fu Lincoln molto, e molto diversamente ripreso del modo, col quale ei governò tutta questa fazione. Lo biasimarono alcuni dell'essersi rinchiuso dentro le mura di una Terra grande e male riparabile, invece di osteggiare alla campagna. Affermarono, che se questo secondo partito seguitato avesse, avrebbe potuto conservare alla lega un esercito notabile, e le più fertili terre della provincia. Mantennero, che sarebbe stato meglio con agguati, con iscappate, con aggirate, con opportuni assalti stancare, e consumar l'inimico; poco esser difendevoli le mura di Charlestown; le genti poche a tanto circuito; diverso modo da questo, e con molta utilità della patria aver tenuto Washington, quando antepose alla perdita dell'esercito quella dell'Isola della Nuova-Jork, e della città stessa di Filadelfia. Delle quali cose si può credere, che certamente sarebbe stato miglior consiglio, temporeggiando in sulle difese, straccar l'inimico sulla campagna. Ma della contraria deliberazione di Lincoln non egli dee venir accagionato, ma sibbene il congresso e gli Stati provinciali vicini, i quali nell'approssimarsi del pericolo quegli aiuti promisero, che poi non mandarono. Altri lo condannarono per non aver votato la città, quando tuttora erano aperte le vie sulla sinistra sponda del Cooper. Della quale risoluzione fu causa, prima questa stessa speranza degli aiuti; poscia, quando dopo la vittoria di Monk's-corner gl'Inglesi avevano inondato le terre poste tra il Cooper e la Santee, il timore di esser sopraffatto da forze superiori, massimamente cavalli, e la ripugnanza al lasciare la città a discrezione in mano del nemico. Avuta Clinton la possessione della città capitale della Carolina, vi si assicurava dentro con buoni ordini civili e militari, e, assettata questa, volgeva l'animo a racconciar la provincia, nella quale già ogni cosa piegava a divozione dell'esercito vincitore.
Divisava egli, e mandava ad effetto tre spedizioni; perciocchè non voleva nè lasciar freddare i suoi, nè respirar il nemico; l'una verso il fiume Savanna nella Giorgia, l'altra a Ninetysix al di là del fiume Saluda, queste due per far levar in capo i leali molto abbondanti in quei luoghi; la terza per disperdere affatto le reliquie delle bande americane, le quali tuttavia andavano ronzando tra il Cooper e la Santee, e principalmente per rompere una testa di repubblicani, che sotto la condotta del colonnello Buford si ritiravano a gran giornate dalla Carolina. Ebbero tutte e tre felice fine. Accorrevano da ogni banda gli abitatori verso le genti regie, dichiarando di voler all'antica leanza ritornare, ed offerendosi di voler armata mano difendere e sostenere la causa del Re. Molti si affoltavano per le stesse cagioni e fini nella città stessa di Charlestown, a ciò ancora invitati da un bando mandato fuori da Clinton. Il conte di Cornwallis, spazzate le rive del Cooper, e varcata la Santee, s'impadroniva di Georgetown. Sì grand'era lo zelo dei popoli, o vero o simulato pel Re, ed il desiderio, parte per paura, parte per amore di gratuirsi il vincitore, che non contenti al venire essi stessi, conducevano anco prigioni seco loro quei libertini, che potevano aver fra le mani, ai quali poco prima con tanta prontezza obbedito avevano, e che ora col nome di oppressori appellavano. Intanto Buford colla sua schiera già si era assai dilungato, ed era assai difficile impresa quella di raggiungerlo. Ma Tarleton si offeriva pronto, e dava speranza di trarla a buon fine. Cornwallis gli concedè a tal uopo una buona frotta di cavalleggieri, ed un centinaio di fanti montati in groppa. Camminando egli con grandissima celerità arrivò il giorno 28 maggio a Cambden, dove ricevè le novelle, che Buford era partito il dì precedente da Rugeley's-mills, e che a gran giornate marciando era vicino a congiungersi con un'altra schiera di repubblicani, ch'era in via per venire da Salisbury a Charlotte nella Carolina Settentrionale. Conosceva Tarleton, di quanta importanza fosse il prevenire la congiunzione di queste genti. E perciò malgrado la stanchezza degli uomini e dei cavalli, dei quali alcuni per questa sola cagione erano morti, ed il calore della stagione, raddoppiò i passi, e tanto fu presta la mossa delle sue genti, che venne sopra il nemico in un luogo chiamato Wacsaws, trascorso avendo 105 miglia in cinquantaquattr'ore. Gl'Inglesi intimavano la resa agli Americani; questi ricusavano le condizioni animosamente rispondendo, volersi difendere. Ordinò Buford i suoi alla battaglia, ch'erano da quattrocento stanziali della Virginia con una torma di cavalleggieri del Washington. Gli distendeva in una sola fila; i cannoni, le bagaglie, tutta la salmerìa continuavano intanto ad andar al viaggio loro. Comandava, non traessero, finchè i cavalli inglesi non fossero vicini a venti passi. Tarleton non metteva tempo in mezzo; ma a trabocco si mescolava col nemico. Fatta una leggiera resistenza, andarono gli Americani in volta. Gli seguitarono ferocemente gl'Inglesi, e ne fecero strage. Fu piena la vittoria. Quasi tutti furono o uccisi o sconciamente feriti, o fatti prigioni. Tanto fu il furore degl'Inglesi in questo fatto, che spietatamente manomisero anche coloro, che si arrendevano. Da ciò si accanirono viemmaggiormente gli Americani, e nacque tra di loro un proverbio volgare, che volendo significare un crudel nemico, od una strage orribile dicevano: I quartieri di Tarleton. Le armi, inclusi i cannoni, le munizioni, le bagaglie, il carreggio, tutto vennero in poter del vincitore. E' pare che abbia Buford commesso in questo fatto due errori, dei quali il primo si fu quello di aver aspettato l'inimico, che prevaleva di cavalleria, in luogo aperto. Se invece di aver mandato il carreggio indietro, tosto ch'ebbe scoperto i regj, ne avesse fatto carrino tutto all'intorno delle sue genti, o non lo avrebbero gl'Inglesi assaltato, o ne sarebbero forse rimasti colla peggio. Il secondo poi fu quello di aver vietato a' suoi, non traessero al nemico, se non vicino; il che fu causa, che i cavalli di Tarleton caricarono avventati ed ordinati. Ritornò questi subitamente, conducendo seco le conquistate spoglie a Cambden, dove si ricongiunse con Cornwallis. Quella schiera di Americani, che si era avviata a Charlotte, udita la rotta di Wacsaws, fece altri pensieri, e se ne tornò più che di passo a Salisbury.