Kitobni o'qish: «Se lei vedesse»
s e l e i v e d e s s e
(un giallo di kate wise – libro 2)
b l a k e p i e r c e
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie thriller best-seller di RILEY PAGE, che include tredici libri (più altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore dei gialli di MACKENZIE WHITE in nove libri (più altri in arrivo); della serie gialla di AVERY BLACK, che comprende sei libri; e della serie thriller di KERI LOCKE, che conta cinque libri; della serie gialla GLI INIZI DI RILEY PAIGE, che comprende tre libri (più altri in arrivo); della serie gialla di KATE WISE, che comprende due libri (più altri in arrivo); dei gialli psicologici di CHLOE FINE, che comprende due libri (più altri in arrivo); e della serie thriller psicologica di JESSE HUNT, che comprende tre libri (più altri in arrivo).
Avido lettore e fan di gialli e thriller da una vita, Blake vorrebbe sapere cosa ne pensi delle sue opere, quindi visita il suo sito internet www.blakepierceauthor.com per saperne di più e rimanere aggiornato su tutte le novità.
Copyright © 2018 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di acquistarne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato o non è stato acquisto per suo solo uso e consumo, è pregato di restituirlo e comprarne una copia per sé. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright andreiuc88, usata su licenzia concessa da Shutterstock.com.
LIBRI DI BLAKE PIERCE
I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT
LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)
I THRILLER PSICOLOGICI DI CHLOE FINE
LA PORTA ACCANTO (Libro #1)
LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)
VICOLO CIECO (Libro #3)
I GIALLI DI KATE WISE
SE LEI SAPESSE (Libro 1)
SE LEI VEDESSE (Libro 2)
GLI INIZI DI RILEY PAIGE
LA PRIMA CACCIA (Libro #1)
IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)
ADESCAMENTO (Libro #3)
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
MORTE AL COLLEGE (Libro #7)
UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)
UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)
IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)
LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)
VITTIME SUI BINARI (Libro #12)
ONCE TRAPPED (Libro #13)
MARITI NEL MIRINO (Libro #14)
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)
PRIMA CHE SENTA (Libro #6)
PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)
PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)
PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)
PRIMA CHE ANELI (Libro #10)
I MISTERI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)
I MISTERI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
TRACCE DI PECCATO (Libro #3)
TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)
TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)
INDICE
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÉ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
PROLOGO
Crescendo, Olivia non aveva mai pensato di vedere il giorno in cui sarebbe stata davvero contenta di essere a casa. Come la maggior parte delle teenager, aveva trascorso gli anni delle superiori sognando di andarsene di casa, di andare al college per cominciare una vita propria. Aveva seguito il suo progetto, andandosene da Whip Springs, Virginia, e iscrivendosi all’Università della Virginia. Era al terzo anno adesso, diretta verso un’estate ricca di opportunità di lavoro e, per la fine dell’estate, della ricerca di un appartamento. A Olivia vivere nel campus piaceva, ma come studentessa dell’ultimo anno immaginava che fosse ora di vivere da qualche altra parte in città.
Però, per il momento, tornava per un mese intero a Whip Springs dai genitori. E sapeva che la se stessa delle superiori non l’avrebbe mai perdonata per il sollievo e l’ondata d’amore che provò immettendosi nel vialetto dei suoi. Vivevano appena fuori da una strada secondaria di Whip Springs – un sonnolento paesino della Virginia centrale con una popolazione di meno di cinquemila abitanti circondato da foreste su ogni lato, più un tratto di foresta che lo attraversava.
Si stava facendo buio quando imboccò il vialetto. Si era aspettata che sua madre accendesse la luce del portico, ma non c’erano bagliori a illuminare il portone principale. Sua madre sapeva che sarebbe arrivata quel pomeriggio; ne avevano parlato al telefono due giorni prima, e Olivia le aveva anche mandato un messaggio tre ore prima per dirle che era per strada.
Certo, sua madre non aveva risposto, il che era strano da parte sua. Ma Olivia aveva pensato che probabilmente si stesse dando particolarmente da fare per rendere presentabile la camera da letto di Olivia e che si fosse dimenticata di risponderle.
A mano a mano che si avvicinava alla casa, Olivia notò che non solo la luce del portico era spenta, ma sembrava che ogni singola luce della casa lo fosse. Sapeva che c’erano, però. Entrambe le auto erano parcheggiate nel vialetto, la macchina di sua madre parcheggiata giusto dietro al furgoncino del padre, proprio come facevano da quando Olivia aveva memoria.
Se questi sdolcinati stanno cercando di farmi una specie di festa di bentornata a sorpresa, potrei anche piangere, pensò Olivia parcheggiando accanto alla macchina della madre.
Aprì il bagagliaio e ne prese i bagagli, appena due valigie ma una delle quali sembrava pesare una tonnellata. Le portò su per il marciapiede verso il portico. Era passato quasi un anno da quando era tornata per una visita; si era quasi dimenticata di quanto totalmente isolato paresse quel posto. I vicini più prossimi si trovavano a meno di un quarto di miglio di distanza, ma gli alberi che circondavano la proprietà facevano sembrare la casa completamente isolata… soprattutto in confronto agli affollati dormitori della scuola.
Lottò con le valigie per risalire i gradini del portico e poi fece per suonare il campanello. Nel farlo notò che la porta era parzialmente aperta.
Improvvisamente la mancanza di luce dall’interno parve sinistra – come una sorta di allarme. «Mamma? Papà?» chiamò mentre lentamente si allungava per aprire la porta col piede.
Questa si spalancò, rivelando l’ingresso e il piccolo corridoio che conosceva così bene. La casa era proprio buia, ma quando entrò andando contro all’avvertimento della sua paura crescente, istantaneamente si sentì a suo agio. Da un’altra zona della casa sentiva la televisione – i familiari ping e applausi della Ruota della fortuna, un classico in casa loro da sempre.
Avvicinandosi alla fine del corridoio e poi al soggiorno, vide la ruota alla televisione montata sopra al caminetto, uno schermo davvero enorme che dava l’impressione che Pat Sajak fosse proprio in soggiorno.
«Ehi» disse Olivia guardandosi intorno nella stanza buia. «Grazie mille per avermi aiutata con la roba. Lasciare la porta socchiusa è stato…»
Doveva essere una battuta, ma quando le parole le ebbero raggiunto la gola non ci fu niente di divertente in loro.
Sua madre era sul divano. Poteva anche essere addormentata e nient’altro non fosse stato per tutto quel sangue. Ce l’aveva sul petto e inzuppava il divano. Ce n’era così tanto che la mente di Olivia all’inizio non riuscì quasi a comprendere. Vederlo con i suoni della ruota della Ruota della fortuna lo rendeva in qualche modo ancora più difficile da comprendere.
«Mamma…»
A Olivia parve che il cuore le si fosse fermato. Indietreggiò lentamente mentre la realtà di ciò che stava vedendo faceva presa. Le sembrava che una piccola parte della mente si fosse scardinata e stesse galleggiando nello spazio da qualche parte.
Un’altra parola le si formò sulla lingua – papà – mentre indietreggiava lentamente.
Ma fu allora che lo vide. Era proprio lì, sul pavimento. Era disteso proprio davanti al tavolino da caffè e aveva addosso tanto sangue quanto sua madre. Stava a faccia in giù, inerte. Ma sembrava gattonare, come se avesse cercato di fuggire. Mentre osservava tutto, Olivia gli vide addosso quelle che sembravano almeno sei visibilissime coltellate alla schiena.
Improvvisamente capì perché sua madre non aveva risposto al messaggio. Sua madre era morta. Anche suo padre.
Sentì un urlo risalirle in gola mente faceva del suo meglio per sbloccare le gambe. Sapeva che chiunque fosse stato poteva essere ancora lì. Il pensiero funzionò – fece uscire l’urlo, fece salire le lacrime, e sbloccò le gambe.
Olivia uscì di corsa e fuggì – fuggì – e non si fermò finché le urla alla fine non le si incastrarono in gola.
CAPITOLO UNO
Buffo quanto velocemente fosse cambiato l’atteggiamento di Kate Wise. Durante il suo anno di pensionamento, avrebbe fatto tutto quel che poteva per evitare il giardinaggio. Il giardinaggio, il lavoro a maglia, i club di bridge – e persino i club di lettura – li aveva evitati come la peste. Sembravano tutti dei cliché che facevano le pensionate.
Però i pochi mesi di nuovo in sella all’FBI le avevano fatto qualcosa. Non era così ingenua da pensare che l’avessero reinventata. No, l’avevano semplicemente rinvigorita. Aveva di nuovo uno scopo, una ragione per attendere il giorno successivo.
Perciò fu forse per quello che trovava accettabile essere ricorsa adesso al giardinaggio come passatempo. Non era rilassante come aveva creduto. Anzi, la rendeva ansiosa; perché investire tempo ed energie nel piantare qualcosa se si combatteva contro il meteo per assicurarsi che rimanesse in vita? Eppure c’era della gioia – mettere qualcosa nella terra e vederne i frutti nel tempo.
Aveva cominciato con i fiori – margherite e bougainvillea all’inizio – e poi aveva proseguito piantando un piccolo orto nell’angolo destro del giardino sul retro. Era lì che attualmente stava accumulando la terra su una pianta di pomodoro arrivando lentamente alla realizzazione che non aveva avuto alcun interesse nel giardinaggio finché non era diventata nonna.
Si chiese se avesse qualcosa a che fare con l’evoluzione della sua natura materna. Amiche e libri le avevano detto che c’era qualcosa di diverso nell’essere una nonna – una cosa con cui una donna non entrava mai in contatto finché era madre.
Sua figlia Melissa le aveva assicurato che era stata una brava madre. Era una rassicurazione di cui Kate aveva bisogno di tanto in tanto, dato il modo in cui aveva trascorso la sua carriera. Aveva messo di proposito la carriera prima della famiglia per troppo, troppo tempo, e si considerava fortunata che Melissa non ce l’avesse mai avuta con lei – tranne nel periodo successivo alla morte del padre.
Ah, l’unico lato negativo del giardinaggio, pensò Kate mettendosi in piedi e spolverandosi via la terra dalle mani e dalle ginocchia. I pensieri tendono a vagare. E quando succede, il passato comincia a farsi strada, non invitato.
Lasciò il giardino, attraversando il prato sul retro della sua casa di Richmond, Virginia, per arrivare al portico. Fece attenzione a levarsi le Keds sporche di terra giunta alla porta. Gettò anche i guanti lì accanto, volendo evitare di portare terra in casa. Aveva trascorso gli ultimi due giorni pulendola. Faceva da babysitter a Michelle, sua nipote, quella sera, e anche se Melissa non era una maniaca della pulizia, Kate voleva che casa sua brillasse. Erano passati quasi trent’anni da quando era stata in compagnia di un bambino e non voleva rischiare.
Guardò l’orologio e si accigliò. Aspettava compagnia tra quindici minuti. Quello era un altro aspetto negativo del giardinaggio: il tempo ti scivolava via facilmente.
Si rinfrescò in bagno e poi andò in cucina per mettere su del caffè. La bevanda era quasi a metà quando suonò il campanello. Rispose subito, felice come sempre di vedere le due donne con le quali da circa un anno e mezzo aveva trascorso qualche ora almeno due volte a settimana.
Jane Patterson entrò per prima nell’ingresso, portando un vassoio di pasticcini. Erano danesi fatti in casa e avevano vinto la gara Carytown Cooks per due anni di seguito. Clarissa James entrò dietro di lei con un’ampia ciotola di frutta fresca a pezzi. Indossavano entrambe mise carine che avrebbero funzionato sia per un brunch a casa di un’amica che per uno shopping normale – cosa che entrambe facevano abbastanza.
«Hai fatto ancora giardinaggio, vero?» chiese Clarissa mentre sistemavano il cibo sull’isola della cucina.
«Come fai a saperlo?» chiese Kate.
Clarissa le indicò i capelli appena sotto le spalle, dove si assottigliavano in punta. Kate si voltò e si accorse di aver lasciato una riga di terra che in qualche modo le era finita sui capelli. Clarissa e Jane risero mentre Jane toglieva l’involto di plastica dai danesi.
«Ridete quanto volete» disse Kate. «Non lo farete più quando le piante di pomodoro saranno cariche.»
Era un venerdì mattina, il che automaticamente la rendeva una bella mattina. Le tre donne si sistemarono attorno all’isola della cucina di Kate, sedute sugli sgabelli a mangiare e bere caffè. E mentre la compagnia, il cibo e il caffè erano tutti buoni, era ancora difficile non far caso a ciò che mancava.
Debbie Meade non era più parte del gruppo. Dopo la morte di sua figlia, una delle tre vittime di un assassino che alla fine Kate aveva preso, Debbie e il marito, Jim, si erano trasferiti. Vivevano da qualche parte vicino alla spiaggia nella Carolina del Nord. Debbie mandava fotografie della costa di tanto in tanto, solo per rigirare un pochino il coltello nella piaga. Vivevano lì da due mesi ormai e sembravano felici – di essersene andati dalla tragedia.
La conversazione fu più che altro leggera e piacevole. Jane raccontò di come il marito stesse adocchiando la pensione per l’anno successivo e di come si fosse già messo a pianificare di scrivere un libro. Clarissa condivise delle notizie sui figli, adesso sui venticinque anni, e di come di recente avessero entrambi ricevuto una promozione.
«A proposito di figli» disse Clarissa «come sta Melissa? Le piace fare la mamma?»
«Oh, sì» disse Kate. «È assolutamente pazza della sua piccolina. Una piccolina a cui stasera farò da babysitter, anzi.»
«Prima volta?» chiese Jane.
«Sì. È la prima volta che Melissa e Terry vanno da qualche parte senza la bambina. Per una notte intera.»
«Già entrata in modalità nonna?» chiese Clarissa.
«Non lo so» disse Kate con un sorriso. «Immagino che lo scopriremo stanotte.»
«Sai» disse Jane, «potresti tornare indietro nel tempo e fare la babysitter come facevo io alle superiori. Mi porterei dietro il mio ragazzo e, andati a letto i bambini…»
«È piuttosto inquietante» disse Kate.
«Pensi che Allen ci starebbe, però?» chiese Clarissa.
«Non lo so» disse Kate cercando di immaginare Allen con una bambina. Si frequentavano seriamente da quando Kate e la sua nuova partner, DeMarco, avevano risolto il caso del serial killer proprio lì a Richmond – lo stesso caso che si era portato via la figlia di Debbie Meade. Non c’era stato un vero e proprio parlare del futuro; non avevano ancora dormito insieme e raramente si toccavano. Si godeva il tempo con lui, però, ma il pensiero di farlo entrare nella parte di nonna della sua vita la metteva a disagio.
«Le cose vanno ancora bene tra voi due?» chiese Clarissa.
«Credo di sì. Tutta questa cosa del frequentarsi mi fa strano. Sono troppo vecchia per gli appuntamenti, no?»
«Cavolo, no» disse Jane. «Non capire male… Adoro mio marito, i miei figli e la mia vita in generale. Ma darei qualsiasi cosa per tornare sul mercato solo per un pochino, sai? Mi manca. Conoscere gente nuova, le prime cose…»
«Sì, immagino che quelle siano proprio carine» concesse Kate. «Anche Allen trova l’idea di uscire insieme strana. Insieme ci divertiamo però è… diventa un po’ strano quando le cose cominciano a farsi romantiche.»
«Bla bla bla» disse Clarissa. «Ma tu lo ritieni il tuo ragazzo?»
«Stiamo davvero facendo questa conversazione?» chiese Kate cominciando a sentirsi arrossire un pochino.
«Sì» disse Clarissa. «Noi vecchie signore sposate abbiamo bisogno di vivere per interposta persona tramite te.»
«E lo stesso vale per quella tua specie di lavoro» disse Jane. «Come va?»
«Nessuna chiamata da circa due settimane, e l’ultima era solo per un aiuto per una ricerca. Mi spiace, ragazze… non è avventuroso quanto sperate.»
«Quindi sei di nuovo in pensione?» chiese Clarissa.
«Di fondo, sì. È complicato.»
Quel commento pose fine alle domande e tornarono a immergersi negli argomenti locali – i film in uscita, un festival musicale in città, la costruzione dell’interstatale, e via dicendo. Ma la mente di Kate era rimasta presa dall’argomento lavoro. Era di conforto sapere che il bureau la considerava ancora una risorsa ma aveva sperato in un ruolo più attivo dopo aver concluso le cose con l’ultimo caso. Però, finora, aveva sentito il vicedirettore Duran una volta sola, ed era stato per una recensione del lavoro di DeMarco.
Sapeva quanto strano sembrasse alle sue amiche che fosse tecnicamente ancora un’agente attiva e anche presa dal suo ruolo di nonna. Cavolo, era strano anche per lei. Aggiungiamoci una relazione in lento sboccio con Allen e supponeva che la sua vita fosse piuttosto interessante per loro.
Sinceramente, si considerava fortunata. Avrebbe compiuto cinquantasei anni alla fine del mese e sapeva che molte donne della sua età sarebbero state invidiose della vita che faceva lei. Si diceva sempre questo quando sentiva la pressante necessità di essere più attiva al lavoro. E, in alcuni giorni, funzionava.
E, per come stavano le cose, con la sua nipotina ospite da lei per la prima volta da quand’era nata, quello era uno di quei giorni.
***
Una cosa che le rendeva difficile bilanciare il suo nuovo ruolo di nonna con il desiderio che aveva di sporcarsi le mani con un altro caso era cercare di pensare come una nonna. Quel pomeriggio uscì di casa e andò in alcuni dei frugali negozietti del distretto di Carytown di Richmond. Sentiva di dover prendere un regalo a Michelle per festeggiare la sua prima notte a casa della nonna.
Era difficile mettere da parte armi e sospetti per concentrarsi invece su animali di peluche e tutine. Però, controllando qualche negozio, in qualche modo divenne facile. Scoprì di divertirsi proprio a fare shopping per la nipotina, anche se non aveva ancora neanche due mesi e, in realtà, non le sarebbe importato di alcun regalo le avesse preso. Trovò difficile non arraffare ogni cosetta carina che trovava per comprarla. Dopotutto, non era responsabilità di una nonna viziare i nipoti?
Mentre pagava gli acquisti fatti al terzo negozio che visitava, ricevette un messaggio. Non perse tempo a controllare. Nelle ultime settimane aveva avuto una piccola speranza ogni volta che riceveva una telefonata o un messaggio, pensando che potesse essere Duran o qualcun altro del bureau. Si rimproverava mentalmente quando rimaneva delusa dallo scoprire che non era il bureau, ma Allen. Una volta superato il fastidio di non venire più chiamata dal bureau, comprese che era felice di sentirlo – era sempre felice di sentirlo, in effetti.
«Allen, devi aiutarmi» scherzò rispondendo al telefono. «Sto facendo spese per Michelle e tutto quello che vedo voglio comprarglielo. È normale?»
«Non lo so» disse Allen. «Nessuno dei miei figli si è sistemato e mi ha fatto nonno, ancora.»
«Stammi a sentire. Comincia a risparmiare.»
Allen rise, un suono che a Kate stava cominciando a piacere parecchio. «Quindi è stanotte, eh?»
«Sì. E so di aver già cresciuto una figlia e so cosa aspettarmi, ma sono un po’ terrorizzata.»
«Ah, sarai fantastica. Dato che vuoi parlare di terrore… stasera esco con i miei ragazzi per bere una cosa. E non bevo più di due drink in un’uscita unica da circa cinque anni.»
«Buon divertimento, allora.»
«Mi chiedevo se magari vorresti che ci vedessimo domani a cena. Possiamo raccontarci le nostre storie di sopravvivenza di stasera.»
«Mi farebbe piacere. Vuoi passare da me verso le sette?»
«Mi pare ottimo. Divertiti stasera. La piccola Michelle dorme già tutta la notte?»
«Non credo.»
«Argh» disse Allen, e terminò la telefonata.
Kate mise in tasca il telefono, destreggiandosi con le borse di acquisti. Sorrise involontariamente. Era sotto al sole della sua zona preferita della città, dopo aver appena fatto shopping per una nipotina di due mesi a cui quella notte avrebbe fatto da babysitter. Dato il modo in cui stava andando la giornata, voleva davvero che il bureau chiamasse?
Stava tornando a casa – una passeggiata di tre isolati da dove aveva risposto ad Allen – quando vide una bambina con una t-shirt di My Little Pony. Camminava con la madre mano nella mano, appena qualche metro davanti a lei, che andava nella loro direzione. Aveva cinque o sei anni, i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo che solo le cure di una madre potevano creare. Aveva gli occhi azzurri e un naso appuntito che la faceva sembrare un elfo. E fu quella caratteristica a inviarle una punta di disperazione nel cuore.
Un’immagine le passò per la mente, una bambina quasi identica a questa. Ma nell’immagine la bambina aveva terra e sporcizia sul viso, e stava piangendo. Le luci delle auto della polizia brillavano dietro di lei.
L’immagine fu così forte che costrinse Kate a smettere di camminare per un attimo. Distolse gli occhi dalla bambina, non volendo sembrare inquietante o strana. Si aggrappò a quell’immagine nella testa e fece del suo meglio per trovare il ricordo a essa associato. Le giunse gradualmente, e quando lo fece si svolse lentamente, come se Kate stesse leggendo il verbale di un caso.
Bambina di cinque anni, trovata tre giorni dopo la denuncia della scomparsa. Posta in un capanno da pesca dell’Arkansas con i cadaveri dei genitori. I genitori erano la quinta e sesta vittima di un serial killer che aveva terrorizzato l’Arkansas per quasi quattro mesi… un assassino che Kate alla fine aveva beccato, ma solo dopo che questi aveva mietuto un totale di nove vittime.
Kate era consapevole di stare improvvisamente immobile come una statua sulla strada, ma pareva non riuscire a muoversi. Quel caso l’aveva perseguitata per un po’. Così tanti vicoli ciechi, così tante false piste. Aveva corso in cerchio, incapace di trovare l’assassino mentre lui continuava ad aggravare il conteggio dei cadaveri. Dio solo sapeva che cosa aveva pianificato per quella bambina.
Però l’hai salvata, si disse. Alla fine l’hai salvata.
Kate ricominciò lentamente a camminare. Non era la prima volta che un’immagine del suo passato lavorativo le si schiaffava nella testa e la distraeva. A volte arrivavano casualmente, sebbene dal nulla. Ma c’erano altre volte in cui arrivavano forti e rapide, come flashback da stress post-traumatico.
L’immagine della bambina dell’Arkansas era una via di mezzo. E Kate ne fu grata. Quel caso particolare l’aveva quasi costretta a smettere di lavorare come agente nel 2009. Era stato sconvolgente per l’animo, a sufficienza perché Kate chiedesse due settimane di pausa dal lavoro. E, d’un tratto, per quasi un secondo mentre tornava a casa con in mano dei regali per la sua nipotina, Kate si era sentita spinta indietro nel tempo.
Erano passati quasi dieci anni da quando aveva salvato quella bambina. Kate si chiese dove fosse – si chiese se fosse sopravvissuta al trauma.
«Signora?»
Kate batté le palpebre, saltando un po’ al suono di una voce sconosciuta di fronte a lei. C’era un ragazzino in piedi davanti a lei. Sembrava preoccupato, come se non fosse sicuro se rimanere lì o scappare via.
«Sta bene?» chiese. «Sembra… non lo so. Che stia male. Come se stesse per svenire.»
«No» disse Kate scuotendo la testa. «Sto bene. Grazie.»
Il ragazzo annuì e proseguì per la sua strada. Kate cominciò a camminare di nuovo, strappata via da un buco del passato che presumeva di non aver ancora chiuso del tutto. Mentre si avvicinava sempre più a casa, cominciò a chiedersi quanti di questi buchi del passato fossero rimasti scoperti.
E se i fantasmi del suo passato avrebbero continuato a perseguitarla finché anche lei non fosse diventata un fantasma.