Kitobni o'qish: «Ritorno a casa»
r i t o r n o a c a s a
(un giallo psicologico di chloe fine — libro 5)
b l a k e p i e r c e
traduzione di
valentina sala
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie di successo I misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di sei libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta (al momento) da tre libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.
Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.
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LIBRI DI BLAKE PIERCE
I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT
LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)
IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)
LA CASA PERFETTA (Libro #3)
IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)
LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)
I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE
LA PORTA ACCANTO (Libro #1)
LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)
VICOLO CIECO (Libro #3)
UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)
RITORNA A CASA (Libro #5)
I GIALLI DI KATE WISE
SE LEI SAPESSE (Libro #1)
SE LEI VEDESSE (Libro #2)
SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)
SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)
SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)
GLI INIZI DI RILEY PAIGE
LA PRIMA CACCIA (Libro #1)
IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)
ADESCAMENTO (Libro #3)
CATTURA (Libro #4)
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
MORTE AL COLLEGE (Libro #7)
UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)
UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)
IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)
LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)
MORTE SUI BINARI (Libro #12)
MARITI NEL MIRINO (Libro #13)
IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)
IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)
OMICIDI CASUALI (Libro #16)
IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)
PRIMA CHE SENTA (Libro #6)
PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)
PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)
PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)
PRIMA CHE ANELI (Libro #10)
PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)
PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)
I MISTERI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)
UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)
I MISTERI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
TRACCE DI PECCATO (Libro #3)
TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)
TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)
INDICE
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÉ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRÉ
CAPITOLO TRENTAQUATTRO
CAPITOLO TRENTACINQUE
CAPITOLO TRENTASEI
PROLOGO
Sherry Luntz non amava i sentimentalismi, ma adorava fare baldoria. Ed era il motivo per cui stava guidando leggermente oltre i limiti di velocità, tornando a casa dal lavoro. Aveva due bistecche in un sacchetto sul sedile del passeggero e una bottiglia di vino rosso in un altro. Quella sera era il suo anniversario; era sposata con Bo Luntz ormai da ventun anni ed era il primo anniversario che avrebbero condiviso senza il figlio in casa. Aveva sperato che non avere Luke a vivere sotto lo stesso tetto avrebbe aggiunto un po’ di pepe al loro matrimonio, ma non era stato così. Anzi, tra lei e Bo sembrava essere sorto un muro.
Erano passate due settimane dall’ultima volta che erano andati a letto insieme, ed era stata una cosa frettolosa la mattina prima del lavoro. Ma dannazione...era il loro anniversario e stavolta lo avrebbero fatto. Se non avesse preso l’iniziativa lui, Sherry la settimana prima aveva ordinato online una cosetta particolarmente sexy, che avrebbe usato per saltargli addosso.
Arrivò a casa alle 17:25, circa cinque minuti prima del solito. Il furgoncino di Bo era nel vialetto, il che significava che anche lui era già a casa. Non era niente di nuovo, perché di solito arrivava a casa prima di lei.
Mentre parcheggiava l’auto e scendeva, le venne in mente che Bo forse non si rendeva nemmeno conto che oggi era il loro anniversario. Era abbastanza bravo a ricordare le date speciali, ma ultimamente sembrava avere la mente altrove. Da quando Luke era partito per il college, Bo sembrava distante e semplicemente non era più se stesso.
Eppure...se si era davvero dimenticato che era il loro anniversario, si sarebbe incazzata sul serio. Siccome però aveva una gran voglia di saltargli addosso, pensava di poter aspettare fino al giorno dopo per arrabbiarsi.
Entrò e trovò la casa silenziosa. Entrando nella zona giorno con cucina adiacente, vide che Bo non c’era. Era strano, perché quasi ogni pomeriggio era al tavolo della cucina a rispondere alle email di lavoro, oppure seduto sul divano a seguire il notiziario.
All’inizio era confusa, poi un sorriso le increspò le labbra. Magari non solo sapeva che era il loro anniversario, ma era impaziente quanto lei. Sherry appoggiò le bistecche e il vino sul bancone della cucina e lentamente salì la scalinata tra il soggiorno e la cucina. Sapeva che Bo non era il tipo di uomo che usava petali di rosa o musica rilassante per sedurla. Nessuno dei due era particolarmente romantico.
E a Sherry andava bene così. A dirla tutta, sarebbe stata altrettanto felice se lui fosse spuntato fuori da dietro la porta della camera da letto e l’avesse presa proprio lì, contro il muro. Il solo pensiero la eccitò, facendole accelerare il passo, ormai in cima alle scale.
“Bo?” chiamò in tono giocoso.
Oltrepassò il bagno e arrivò alla porta della loro camera da letto. Era chiusa e tentò di rammentare se l’avesse lasciata lei così, uscendo di casa. Troppo eccitata anche solo per rifletterci a lungo, la aprì, aspettandosi che lui la afferrasse o, se era davvero fortunata, che fosse steso sul letto nudo ad attenderla.
Non accadde nessuna delle due cose. Sherry si accigliò, tornando in corridoio. Dove diavolo è?
Poi le venne in mente che gli aveva mandato un messaggio per fargli sapere che avrebbe portato a casa delle bistecche. Era stata sul punto di aggiungere “Per il nostro anniversario", ma aveva deciso di non farlo, sperando che se ne ricordasse da solo. Sapendo che Sherry avrebbe comprato la carne, probabilmente era fuori sul patio, intento ad accendere la griglia.
Un po’ delusa per non aver avuto una sorpresa in camera da letto, Sherry tornò al piano di sotto. Stava per andare in cucina a prendere le spezie e i condimenti, ma decise che preferiva vedere prima Bo. Magari gli avrebbe dato un bacio appassionato, lasciandogli intuire quello che si aspettava più tardi.
Aprì la porta del patio e uscì fuori. Stava per richiudersela alle sue spalle quando vide Bo. E all’inizio non aveva senso.
Era sdraiato sul patio, rivolto verso la porta. I suoi occhi erano spalancati e immobili e c’era qualcosa di scuro che gli penzolava dalla bocca, un oggetto morbido e tondeggiante. Cercò di capire cosa fosse, ma fu allora che si rese conto che una pozza di sangue gli circondava la testa. Era di una tonalità di rosso molto scuro, ed era ancora bagnato.
“Bo...?”
Naturalmente, Bo non rispose.
Sherry sentì un urlo risalirle la gola. Dopo che le uscì di bocca, si accorse di sentire l’odore del liquido infiammabile e della carbonella. Bo era davvero uscito per avviare la griglia. Improvvisamente, l’odore della carbonella fu l’unica cosa di cui si rendeva conto, mentre cadeva in ginocchio, abbandonandosi a lamenti agonizzati accanto al marito morto.
CAPITOLO UNO
“Sono Danielle... dite quello che dovete dire dopo il bip.”
Chloe riagganciò e mise il cellulare sul bancone del bar. Guardò fuori dalla vetrina del locale che aveva scelto a caso. Stava bevendo da sola il giovedì pomeriggio, appena due giorni dopo aver chiuso il suo ultimo caso. Era ancora indolenzita, ma quella era l’ultima cosa che le passava per la mente. Guardando fuori dalla vetrata il tardo pomeriggio che inondava di luce dorata le strade di Washington, Chloe stava cominciando a preoccuparsi per Danielle.
Non parlava con la sorella da due giorni. Sapeva che due giorni non erano davvero motivo di preoccupazione, ma per il modo in cui le cose erano andate tra loro ultimamente, non poteva farne a meno. Inoltre, non solo Danielle aveva apparentemente spento il telefono, ma Chloe era anche passata dal suo appartamento: nessuno le aveva aperto.
Chloe scolò la seconda birra del pomeriggio e guardò l’orologio sul display del telefonino. Erano le 17:17, ovvero mezz’ora dall’ultima volta che aveva controllato. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che avesse provato una tale preoccupazione, un tale bisogno di sapere costantemente che ore fossero.
Notò a malapena il barista che si avvicinava. Fece un cenno al suo bicchiere vuoto e le chiese: “Un’altra?”
Stava per accettare. Non si ubriacava spesso, ma si domandò se, continuando a bere, avrebbe smesso di crucciarsi. Magari si sarebbe ubriacata al punto da dover tornare a casa in taxi, poi sarebbe crollata, svegliandosi al mattino solo per rendersi conto di essersi preoccupata per niente.
Ma questo non è da lei. Non è la nuova Danielle che ho imparato a conoscere.
“No grazie. Solo il conto.”
Il barista andò alla cassa, mentre Chloe riprendeva il cellulare. Il suo registro delle chiamate era la prova di quanto fosse in pensiero, specialmente quel pomeriggio. Era arrivata persino a chiamare lo strip club dove Danielle lavorava come barista. Ed era stato allora che aveva davvero iniziato a preoccuparsi. Il manager di Danielle l’aveva informata che si era data malata due giorni prima, dicendo di avere la mononucleosi o qualcosa del genere.
Ma se era così, non era rinchiusa in casa. E non rispondeva al telefono. Non ha molto senso spegnere il telefono quando si è malati, no?
Il barista le consegnò il conto e lei gli passò la sua carta di credito. Mentre firmava la ricevuta, si chiese se dovesse fare una denuncia di scomparsa. Sarebbe stato stupido; se qualcuno avesse presentato una denuncia in una simile situazione e lei fosse stata la persona incaricata di metterla a verbale, probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, ignorandola. Inoltre...a causa del passato di Danielle, una denuncia di scomparsa era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Guardando i precedenti di Danielle, non sarebbe stato esagerato supporre che avesse deciso di fare le valigie e trasferirsi altrove.
No, non la nuova Danielle...
Chloe se ne andò dal bar più frustrata di prima. Tentò di concentrarsi su una sola emozione, la preoccupazione o la frustrazione, ma si accorse che in realtà funzionavano perfettamente insieme, in modo alquanto irritante. Mentre si avviava a piedi verso il suo appartamento, cercò di convincersi che si stava comportando da stupida. Detestava essere così convinta che qualcosa non andasse. Non era mai stata una persona ansiosa, anzi, era sempre alla ricerca di qualche spiegazione logica per non doversi preoccupare in nessuna circostanza. Era sicura che, non appena avesse smesso di ossessionarsi, Danielle le avrebbe telefonato dicendole di aver lasciato la città per vedere i suoi vecchi amici nel Maryland, o qualcosa del genere.
Proprio mentre quella fragile rassicurazione le attraversava la mente, le squillò il telefono.
Il cuore le balzò subito in gola. Era così certa che fosse Danielle che non si preoccupò nemmeno di controllare il nome sul display. Dovette addirittura trattenersi dal pronunciare il nome della sorella rispondendo.
“Pronto?”
“Agente Fine...ciao” disse una voce maschile. Le ci volle un momento per riconoscerla e, quando lo fece, si sentì in colpa per essere così delusa. Era Kyle Moulton. In qualsiasi altro momento, avrebbe potuto essere contenta di sentirlo, ma essendo così ansiosa di sentire la sorella, la sua telefonata era quasi un evento insignificante.
“Ciao, Moulton.”
“Scusa se ti chiamo di punto in bianco, ma avevo un po’ di tempo libero. Di solito mi lasciano fare delle telefonate a quest’ora, più o meno due volte a settimana, così ho pensato di sentirti per sapere come stai.”
“Sto bene.” Si interruppe, facendo una smorfia per quella menzogna e per quanto le sue parole suonassero del tutto false. “Sai una cosa?” disse. “In realtà, sono in difficoltà, in questo momento.”
“Lavoro?”
“No. Questioni personali.”
“Ah, capisco. Accidenti, Fine. Anche l’ultima volta che abbiamo parlato c’era qualche faccenda privata che ti consumava. Le cose non stanno andando meglio?”
“Sono domande piuttosto insistenti, dette da qualcuno che è rinchiuso senza potermi offrire un sostegno emotivo.”
Moulton ridacchiò, seppur con scarsa allegria. “Lo so. Scusa. Ma ehi, dietro le quinte si sta smuovendo qualcosa...tutto legale. Sembra che la mia condanna potrebbe essere notevolmente ridotta. Anche se le possibilità che io torni a lavorare per il Bureau sembrano davvero minime.”
“Beh, incrociamo le dita.”
Rimase in silenzio per un minuto e, quando ricominciò a parlare, la sua voce era cupa. “Ehi, senti...volevo solo salutarti. Non sapevo che tutta questa faccenda privata ti stesse ancora tormentando. Posso chiamarti un’altra volta.”
“No, non sei tu. È solo che...è stata una giornata difficile.”
Stava quasi per raccontargli i suoi sospetti su Danielle, pensando che avrebbe potuto offrirle qualche prezioso consiglio. Ma alla fine decise che era qualcosa di troppo personale - e che metteva a nudo un lato paranoico di lei che non era pronta a mostrare a Moulton.
“Quindi...posso supporre che non ci sia stata una risoluzione con tuo padre, tua sorella e il diario?”
“No... è più che altro...”
Smise non solo di parlare, ma anche di camminare. Il suo appartamento era a un isolato di distanza, ma in quel momento non ci pensava affatto.
“Fine?”
“Sì...”
Non avevo nemmeno pensato a papà. È un po’ che non lo sento... sicuramente non negli ultimi giorni...
“Moulton... forse mi hai aiutato a capire qualcosa. Devo andare.”
“Ehi, sono felice di esserti stato d’aiuto” disse con un pizzico di allegria. “A presto, Fine.”
Chloe concluse la telefonata, quindi compose subito il numero di suo padre. Si portò il cellulare all’orecchio e, dopo un attimo di silenzio, partì il messaggio della segreteria. Restò lì immobile per un momento, cercando di prendere una decisione, sforzandosi di non saltare alle conclusioni presumendo il peggio.
Ma, ad essere sinceri, erano troppe le cose che non tornavano. Considerato quanto suo padre sembrasse ansioso di farsi perdonare, non aveva senso che evitasse le sue chiamate. Certo, era improbabile supporre che anche lui avesse lasciato la città o fosse scomparso, ma il fatto che si stesse verificando la stessa situazione con Danielle...era troppo da ignorare.
Chloe rimise in tasca il telefonino e coprì la distanza rimanente fino al suo appartamento di corsa. La preoccupazione si stava trasformando in paura e improvvisamente aveva l’impressione che ogni minuto che passava potesse aggravare ancora di più quel mistero.
CAPITOLO DUE
Trascorsero esattamente sedici minuti da quando Chloe aveva ricevuto la telefonata di Moulton a quando parcheggiò davanti all’appartamento di suo padre. La sua auto era lì, il che era un buon segno, suppose. Ciò però non servì minimamente ad alleviare il panico che cresceva in lei minuto dopo minuto. Corse su per gli scalini e bussò alla porta con urgenza.
Attese diversi secondi senza ricevere risposta. Ritentò, questa volta picchiando più forte. Si avvicinò, con il naso a pochi centimetri dall’uscio, e disse: “Papà, apri la porta.”
Di nuovo, non ci fu risposta. Nutrendo ben poche speranze, tentò di aprire la porta e si stupì di constatare che non era chiusa a chiave. Mentre l’uscio si spalancava, si rese conto di quanto fosse strano. E improvvisamente, il fatto che la porta fosse aperta non fece che aumentare ulteriormente la sua preoccupazione.
Entrò chiudendosi la porta alle spalle. La villetta a schiera era silenziosa e ordinata. Entrò nel soggiorno, osservando la casa con circospezione. Si guardò intorno alla ricerca di qualsiasi segno che fosse successo qualcosa di insolito, ma non riuscì a trovare nulla, a parte il fatto che la porta d’ingresso non era chiusa a chiave.
Uscì dal soggiorno e percorse il piccolo corridoio che portava alla camera da letto. Anche lì non notò nulla di insolito. Il letto era fatto e c’era un mucchietto di vestiti sporchi di fianco alla cassettiera. Si rese conto che stava praticamente sbirciando nella nuova vita privata di suo padre e questo la mise a disagio. Non voleva pensare a lui come una persona diversa; era venuta a patti con il genere di uomo che era stato realmente e, per quanto la riguardava, era così che voleva ricordarlo sempre.
Lasciò la camera da letto, rimpiangendo la sua decisione di venire lì. Ma, già che c’era, immaginò valesse la pena controllare tutte le stanze. Si diresse in cucina e, prima di entrare, notò la prima cosa che sembrava fuori posto.
Il bollitore era sul pavimento. Non c’era acqua per terra ed era a più di due metri dai fornelli, dove avrebbe dovuto essere. Lentamente, si chinò per raccoglierlo. Le sue dita esitarono, sospese a pochi centimetri dal manico.
C’era una macchia sul lato, di una tonalità rosso scuro che spiccava sull’acciaio. Non era un vero e proprio schizzo, somigliava piuttosto ad una goccia delle dimensioni di una monetina. Era una tonalità di rosso scuro che aveva visto parecchie volte, da quando lavorava al Bureau, quindi non perse nemmeno tempo a chiedersi cosa potesse essere.
Era sangue. Sangue secco, il che significa che era rimasto sul bollitore per almeno otto, dieci ore. Probabilmente più a lungo.
Si inginocchiò vicino al bollitore e cercò di formulare un’ipotesi nella mente. Il primo possibile scenario era che Danielle fosse venuta lì per qualche motivo e che il padre l’avesse aggredita - forse portandola via con sé. Ma non aveva senso, poiché la sua auto era ancora lì. Inoltre, se fosse stato un rapimento premeditato, sarebbe stato più attento a non lasciare prove, e il bollitore era una prova piuttosto evidente.
Ma allora, se non è andata così, cos’è successo?
Non ne era sicura. C’erano molte possibilità da prendere in considerazione. Ma una cosa era certa: con la porta aperta, il sangue sul bollitore, e ora due persone scomparse, aveva abbastanza elementi sospetti per sporgere ufficialmente denuncia.
Chloe prese il telefono dalla tasca e quasi fece una telefonata al direttore Johnson, ma sapeva che sarebbe stato un errore. Tutti i casi che cominciavano così erano sempre gestiti prima dalla polizia locale. Nonostante ritenesse che il Bureau avrebbe potuto gestirlo meglio perché conosceva il passato delle due persone scomparse, era una questione che riguardava la polizia, per il momento.
Chiamò la centrale e, mentre ascoltava la donna che rispose al telefono, fissò quella goccia di sangue chiedendosi se appartenesse a suo padre o a sua sorella.
***
Le pareva surreale essere la persona interrogata. Il detective incaricato di raccogliere la sua deposizione sembrava perfettamente consapevole del terreno sul quale si stava muovendo. Registrare la dichiarazione di un agente dell’FBI riguardo una questione familiare avrebbe potuto, in fondo, essere una grandissima chance per inserire una stella d’oro nella sua carriera. D’altra parte, era sicuramente anche consapevole del fatto che quell’agente dell’FBI lo stava probabilmente studiando mentre svolgeva il suo lavoro.
A Chloe dispiaceva per lui, davvero...perché lo stava effettivamente studiando. Era molto alto e aveva quasi cinquant’anni. Sembrava annoiato, ma anche vigile - lo stesso sguardo che aveva visto in molti altri detective in passato.
Stava facendo un buon lavoro, anche se sembrava incerto su tutta la situazione. Era arrivato con due poliziotti, entrambi ancora intenti a ispezionare la casa. Chloe fu educata, omettendo di dire che aveva già effettuato un’accurata perlustrazione.
“Così afferma che la porta non fosse chiusa a chiave?” le chiese il detective.
Erano seduti sugli sgabelli della cucina, entrambi a guardarsi intorno come se ci fosse qualcosa che gli era sfuggito. “Esatto” confermò Chloe.
“Sa se di solito la lasciava aperta?”
“No, non ne ho idea. Ma non sembra plausibile. È a Washington DC soltanto da un mese. Dubito che si sentisse già così al sicuro.”
“Le viene in mente qualche motivo per cui suo padre potrebbe aver invitato sua sorella qui?”
Non intendeva raccontare di quando Danielle si era introdotta nel suo appartamento per rubare il diario della madre. Se l’avesse fatto, l’attenzione sarebbe stata concentrata tutta su di lei, mentre era suo padre il cattivo qui. Si rendeva perfettamente conto che così avrebbe ostacolato le indagini, ma non aveva altra scelta che mentire.
“Non mi viene in mente nulla. Papà ha cercato di riavvicinarsi a noi, voleva rimettere le cose a posto. Abbiamo una relazione tesa, noi tre. Danielle è sempre stata quella un po’ più disposta a credere alle sue stronzate.” Ecco la bugia. “Quindi forse l’aveva chiamata per riconciliarsi. Non lo so.”
“Ma a giudicare dal bollitore e dal sangue che c’è sopra, potrebbe non essere andata così bene” commentò il detective.
“È quello che temo.”
“L’unica cosa che mi preoccupa è che il bollitore è tutto quello che abbiamo” proseguì il detective. “Certo, è sporco di sangue, ma dove sono le prove di una colluttazione?”
“Direi che il sangue è la prova.”
“E sa con certezza che è stato suo padre a maneggiare il bollitore? C’è qualche possibilità che sia il suo sangue, invece?”
“Ne dubito fortemente.”
Ma proprio mentre rispondeva, Chloe aveva iniziato a esplorare l’altra alternativa, un’alternativa che era stata troppo cieca per vedere prima, preoccupata com’era per Danielle. Se la porta era aperta e non c’erano segni di lotta...più segnali indicavano che Danielle fosse l’aggressore, piuttosto che la persona aggredita. Doveva essersene andata di fretta, dimenticandosi di chiudere a chiave la porta. E sarebbe stato più facile per lei prendere in contropiede il padre con il bollitore, poiché sicuramente lui non si aspettava che avrebbe tentato di aggredirlo.
Ma tenne tutto questo per sé. Non poteva mettere Danielle nella posizione di essere l’aggressore. Notò che il detective la guardava con sospetto, quasi riuscisse a seguire i suoi pensieri. Dopo qualche istante, scribacchiò qualcosa sul blocchetto per appunti che aveva avuto in mano per tutto il tempo e si alzò.
“Bene, sa già come funziona, agente Fine. Tutto ciò che abbiamo è il sangue. Lo faremo analizzare, come ben sa. E, probabilmente, voi otterreste i risultati più velocemente. Ad ogni modo, lo raccoglieremo e procederemo come da copione.”
“Grazie.”
“La prego di farci sapere se ha qualcos’altro da riferire. Insomma, sì ... se le torna in mente qualcosa.”
Il suo tono lasciava intendere che intuisse che Chloe gli nascondeva qualcosa. Ma la sua espressione diceva anche che gli andava bene così. Chloe era sicura che, facendo il detective a Washington DC, sicuramente dovevano essere capitati, a lui o a qualche collega, altri casi in cui erano coinvolti agenti federali. Per quanto ne sapeva Chloe, poteva essere una cosa comune per lui.
Doveva tenerlo bene a mente. Probabilmente non la vedeva come una sorella in preda al panico, ma come un’agente razionale che sapeva che c’era un determinato procedimento. E accidenti, sapeva che c’era un procedimento. Non poteva aspettarsi che tutti dimenticassero le leggi e il protocollo solo perché era qualcosa di incredibilmente personale per lei.
“Lo farò. Grazie.”
“Nel frattempo, dirameremo un avviso a tutte le unità, dando una descrizione di sua sorella e della sua auto.”
Il detective si allontanò verso la camera da letto per raggiungere gli altri poliziotti. Anche Chloe si alzò, incerta su dove andare o cosa fare. Era ancora convinta che fosse il padre dalla parte del torto; Danielle aveva fatto cose deplorevoli in passato, ma Chloe non pensava fosse capace di uccidere.
Il loro padre, invece, sì. Il passato lo aveva dimostrato.
E se lui e Danielle si erano trovati insieme in una situazione tesa, Chloe era sicura che non esistessero limiti a ciò che suo padre era disposto a fare per assicurarsi di restare un uomo libero. Si diresse verso l’ingresso, supponendo che una capatina a casa di Danielle fosse il passo logico successivo. Magari lì avrebbe trovato qualche indizio, forse qualche prova che...
Il suo ragionamento fu interrotto ancora una volta dal cellulare. Lo afferrò rapidamente, leggendo il nome sullo schermo prima di rispondere, questa volta. Non si sorprese di vedere che non era Danielle, ma fu altrettanto delusa dal nome che vide sul display.
Dir. Johnson.
Rispose con prudenza, non volendo che Johnson capisse che aveva chiamato la polizia. Meno Johnson sapeva dei suoi problemi familiari, meglio era.
“Pronto, parla Fine.”
“Fine, sono Johnson. È in città, in questo momento?”
“Sì, signore.”
“Si sente riposata? Come se l’è passata in questi ultimi due giorni?”
“Mi sento benissimo, signore.”
“Ottimo. Senta, so che è il preavviso è poco e praticamente ha appena concluso il suo ultimo caso, ma ho bisogno che venga qui. Voglio esaminare con lei un altro potenziale caso. È piuttosto urgente, quindi apprezzerei se potesse fare in fretta.”
Per un attimo si sentì sopraffatta al pensiero di dover lavorare ad un altro caso con tutta quella nuova faccenda con Danielle e suo padre in sospeso. Ma sapeva che, se si fosse rifiutata di presentarsi, Johnson avrebbe fatto domande. E più domande avesse fatto, più si sarebbe avvicinato alla verità.
“Riesco a essere lì in dieci minuti.”
“Perfetto.”
Johnson concluse la telefonata, e Chloe si ritrovò a guardare l’appartamento del padre. Rimase lì in silenzio ancora un attimo, per poi dirigersi infine verso la porta, con la sensazione di abbandonare non solo il mistero dietro di essa, ma anche sua sorella.