Kitobni o'qish: «Prima Che Faccia Del Male»
P R I M A C H E F A C C I A D E L M A L E
(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE – LIBRO 14)
B L A K E P I E R C E
TRADUZIONE DI
VALENTINA SALA
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri; della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.
Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare informati.
Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e–book è concessa solo ad uso personale. Questo e–book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Robsonphoto, concessa su licenza di Shutterstock.com.
LIBRI DI BLAKE PIERCE
LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP
NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)
NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)
NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)
THRILLER DI ZOE PRIME
IL VOLTO DELLA MORTE (Volume#1)
IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Volume #2)
IL VOLTO DELLA PAURA (Volume #3)
LA RAGAZZA ALLA PARI
QUASI SCOMPARSA (Libro #1)
QUASI PERDUTA (Libro #2)
QUASI MORTA (Libro #3)
THRILLER DI ZOE PRIME
IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)
IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)
IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)
I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT
LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)
IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)
LA CASA PERFETTA (Libro #3)
IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)
LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)
IL LOOK PERFETTO (Libro #6)
I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE
LA PORTA ACCANTO (Libro #1)
LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)
VICOLO CIECO (Libro #3)
UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)
RITORNA A CASA (Libro #5)
FINESTRE OSCURATE (Libro #6)
I GIALLI DI KATE WISE
SE LEI SAPESSE (Libro #1)
SE LEI VEDESSE (Libro #2)
SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)
SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)
SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)
SE LEI TEMESSE (Libro #6)
SE LEI UDISSE (Libro #7)
GLI INIZI DI RILEY PAIGE
LA PRIMA CACCIA (Libro #1)
IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)
ADESCAMENTO (Libro #3)
CATTURA (Libro #4)
PERSECUZIONE (Libro #5)
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
MORTE AL COLLEGE (Libro #7)
UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)
UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)
IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)
LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)
MORTE SUI BINARI (Libro #12)
MARITI NEL MIRINO (Libro #13)
IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)
IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)
OMICIDI CASUALI (Libro #16)
IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)
UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE
UNA LEZIONE TORMENTATA
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)
PRIMA CHE SENTA (Libro #6)
PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)
PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)
PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)
PRIMA CHE ANELI (Libro #10)
PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)
PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)
PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)
PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)
I MISTERI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)
UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)
I MISTERI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
TRACCE DI PECCATO (Libro #3)
TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)
TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)
CAPITOLO UNO
Praticamente scivolava ad ogni passo, con i piedi che slittavano nei sandali aperti mentre correva attraverso il campo fradicio. Era notte, ormai, e piccoli sbuffi di nebbia ricoprivano il terreno dove quel pomeriggio era caduta una pioggia leggera. Non sembrava nulla di che, ma lei non poté fare a meno di chiedersi se quel poco di umidità sotto i sandali sarebbe stata la causa della sua morte.
L'avevano trovata. Non aveva idea di come avessero fatto, ma l'avevano trovata.
L'unica possibilità che aveva di superare viva quella notte era arrivare da Amy. Secondo i suoi calcoli, aveva ancora circa tre chilometri da fare. Se fosse riuscita a superare quello stupido campo, il quartiere di Amy era a tre chilometri di distanza.
Irritata dal continuo scivolare, si fermò giusto il tempo necessario per togliersi i sandali. Se avesse avuto più tempo per prepararsi, si sarebbe messa le scarpe da ginnastica, ma era successo tutto così in fretta…
Tenne i sandali nella mano destra e riprese a correre. Era un po' più facile, ora, anche se i suoi piedi morbidi cominciarono a soffrire all'istante per il terreno duro sotto l'erba. Ignorò il dolore e corse più forte che poté. Doveva raggiungere Amy.
Guardò dietro di sé e vide solo il profilo irregolare del bosco, con gli alberi che si alzavano e si abbassavano nell'oscurità, come uno strano grafico. Se c'era qualcuno che la seguiva, non riusciva a vederlo. Ma non era così ingenua da pensare che non le fossero addosso. Sicuramente qualcuno la stava cercando, per assicurarsi che non lo raccontasse a nessuno.
Il campo terminò bruscamente e, all'improvviso, si ritrovò a saltare oltre un fosso e a imboccare una strada a due corsie. Quando atterrò sulla strada, sbandò leggermente, a causa dell'impatto dei suoi talloni sull'asfalto. Guardò alla sua destra e vide il bagliore dei lampioni in lontananza. Amy era lì, da qualche parte in mezzo a tutto quel bagliore. Questa consapevolezza le fece spingere ancora di più sulle gambe, anche se urlavano dal dolore per i diversi chilometri che aveva già percorso attraverso la foresta e i campi per arrivare lì.
Corse lungo la strada, immaginando che ci fosse almeno un chilometro tra lei e quelle luci splendenti. Pensò al suo cellulare, perso da qualche parte nella foresta, e pensò a quanto sarebbe stato facile chiamare. Avrebbe voluto piangere per la frustrazione.
Mentre correva, si concesse di piangere. Corse singhiozzando e gonfiando i polmoni per il suo prossimo respiro.
In qualche modo, arrivò nel quartiere. Le gambe le sembravano di gelatina ed era così a corto di fiato che vedeva piccoli fuochi d'artificio neri esplodere nel suo campo visivo. Ma andava bene così, perché c’era quasi. Sarebbe arrivata da Amy. Amy avrebbe saputo cosa fare. Non era sicura che valesse la pena provare a contattare la polizia, ma forse non importava. Tutto quello che doveva fare era mettersi in contatto con Amy. Quel pensiero era un sollievo.
Per poco non cominciò a gridare il nome di Amy, mentre si avvicinava a casa sua. Solo altre quattro o cinque case e sarebbe stata al sicuro. I lampioni erano piuttosto fiochi, a causa della foschia dovuta alla recente pioggia, e l'intero quartiere sembrava uscito da un film dell'orrore, ma la casa di Amy era lì da qualche parte come un faro.
Si stava concentrando così tanto sulla forma delle case che non sentì il rumore del motore dietro di lei. Quando finalmente sentì la macchina, si guardò alle spalle. Quando la vide lanciata verso di lei a fari spenti, cercò di scartare verso destra, ma non servì a molto.
L'auto la colpì violentemente sul fianco destro. Si sentì tutta intorpidita per un attimo, mentre faceva una mezza capriola a un metro di altezza. Ma il dolore si abbatté su di lei come una furia scatenata quando impattò contro l’asfalto. La testa rimbalzò contro il selciato e il mondo si fece tutto nero.
Per questo non riuscì a vedere il volto della persona che parcheggiò l'auto in mezzo alla strada, scese e le puntò un coltello contro.
Sapeva che le stava tagliando la gola, ma il dolore alla testa e alla schiena mascherò beatamente quel dolore.
La vita iniziò ad abbandonare il suo corpo mentre l'assassino tornava alla sua auto.
L'assassino e la macchina erano entrambi scomparsi quando lei esalò l'ultimo respiro sulla strada bagnata dalla pioggia.
CAPITOLO DUE
L'appartamento profumava di rosmarino e limone, mentre la cena cuoceva sui fornelli; la prima bottiglia di vino era stata aperta, e su Spotify c'era una canzone dei The Cure. A qualsiasi visitatore casuale, poteva sembrare che Mackenzie White stesse passando un pomeriggio splendido. Ma quello che non vedevano era la lotta interiore e l'ansia che le metteva i nervi e lo stomaco a dura prova.
Il pollo era pronto e gli asparagi erano nel forno. Mackenzie sorseggiò un bicchiere di vino rosso, cercando di trovare qualcosa da fare. Ellington era sul pavimento del soggiorno con Kevin, intento a leggergli un libro. Sollevò lo sguardo su di lei e alzò gli occhi al cielo. Quando arrivò a un punto della storia adatto per fermarsi, ovvero quando Poky il cagnolino era ancora una volta scivolato sotto il recinto, tirò su Kevin tra le braccia ed entrò in cucina.
"È solo tua madre" le disse. "Ti comporti come se stessimo per ricevere una visita dalla Finanza o qualcosa del genere."
"Tu non la conosci."
"Ti somiglia, per caso?"
"A parte la storia dell'abbandono, sì."
"Allora sono sicuro che sia a posto. Dimmi solo quanto fascino devo sfoderare."
"Non troppo. Non capirà le tue battute."
"Mi rimangio tutto, allora. Odio già quella donna." Baciò Kevin sulla fronte e scrollò le spalle. "Però ha il diritto di conoscere suo nipote. Non sei per niente contenta che voglia essere coinvolta?"
"Vorrei esserlo. Ma è difficile per me fidarmi di lei".
"Lo capisco. Neanch'io sono entusiasta quando si tratta di mia madre".
"Sì, ma almeno lei si è fatta viva quando hai avuto un figlio, no?"
"Questo sì. Ma non diamo per scontato che sia una cosa positiva. Potrebbero passare anni prima che ci rendiamo conto dell'impatto traumatico che questo ha avuto su Kevin".
"Non sto scherzando, E. Quella donna è tossica. È così…"
Lasciò la frase in sospeso, non sapendo come concluderla. Lei è così come? Egoista sarebbe stata una parola appropriata. Anche immatura. Quella donna si era essenzialmente chiusa in se stessa, dopo che il marito era stato ucciso e, di conseguenza, Mackenzie e sua sorella erano rimaste senza una grande figura materna.
"È tua madre" concluse Ellington. "E sono entusiasta di conoscerla."
"Ti ricorderò queste parole un'ora dopo il suo arrivo".
Si scambiarono un bacio ed Ellington tornò in salotto per continuare a leggere le disavventure di Poky il cagnolino. Mackenzie ascoltò mentre sorseggiava di nuovo il suo vino e cominciò ad apparecchiare la tavola. Diede un’occhiata all'orologio, notando che mancavano solo sei minuti all'arrivo di sua madre. Doveva ammettere che la cena aveva un profumo delizioso e Kevin era più adorabile che mai. Stava crescendo troppo, per i suoi gusti. Adesso si tirava su e se ne andava in giro; si aspettavano che da un giorno all'altro muovesse i primi passi.
Era un buon promemoria di quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visto sua madre. Suo figlio stava per camminare e sua madre non aveva…
Un colpo alla porta interruppe i suoi pensieri. Lanciò a Ellington uno sguardo sorpreso, e per tutta risposta lui sorrise, riprese Kevin in braccio, e stese la mano libera verso di lei. Era da circa una settimana che si era tolto il gesso, ed era bello vederlo usare entrambe le braccia tranquillamente.
Lei prese la sua mano e lui la tirò a sé. "Ti ricordo che sai affrontare le persone peggiori che la nostra società ha da offrire. Sicuramente ce la puoi fare anche ad affrontare tutto questo".
Lei annuì e andarono insieme verso la porta. Quando la aprirono, Mackenzie dovette prendersi un momento per raccogliere i propri pensieri.
Sua madre era bellissima. Si era presa cura di se stessa, nei mesi passati dall'ultima volta che l'aveva vista; Mackenzie pensò che dovesse essere passato quasi un anno, ma non ne era del tutto sicura. Sembrava in salute e felice. I suoi capelli erano ben acconciati e sembrava più giovane di dieci anni rispetto ai suoi cinquantatré.
"Ciao, mamma. Mi sembri in forma".
"Anche tu." Spostò lo sguardo da Mackenzie a Ellington, che aveva Kevin in braccio. "Scusa. Non ci siamo ancora presentati ufficialmente".
Vedere sua madre e Ellington stringersi la mano fu oltremodo surreale. E quando Mackenzie vide Kevin studiare la strana donna sulla soglia di casa loro, il cuore le si strinse un po'. Aveva rivolto una specie di invito aperto a sua madre, poco meno di un anno prima, quando era andata in Nebraska a dirle che sarebbe diventata nonna. E le ci era voluto così tanto tempo per accettarlo. Almeno doveva riconoscerle che aveva rifiutato l'offerta di Mackenzie di pagare il biglietto aereo.
"Entra, mamma."
Patricia White entrò nell'appartamento di sua figlia come se stesse entrando in una specie di cattedrale, ovvero con riverenza e rispetto. Appena la porta si chiuse dietro di lei, guardò Kevin e poi, con le lacrime agli occhi, tornò a guardare Mackenzie.
"Posso tenerlo in braccio?"
"Sei sua nonna", disse Mackenzie. "Certo che puoi."
Quando Ellington le consegnò Kevin, lo fece senza alcuna esitazione. Guardava l'espressione di soggezione e gratitudine della suocera con la stessa attenzione di Mackenzie. Mentre Mackenzie era contenta di vedere sua madre tenere in braccio Kevin, c'era certamente qualcosa di surreale in tutto questo.
"Ti assomiglia tantissimo", disse Patricia a sua figlia.
"È una buona cosa" commentò Ellington con una risatina.
Mackenzie fece strada a sua madre in soggiorno. Si sedettero insieme, e Mackenzie ed Ellington si scambiarono un’occhiata mentre si sistemavano. Lo sguardo di Ellington sembrava comunicare te l'avevo detto, e Mackenzie replicò aggrottando le sopracciglia.
"Non hai già preso una stanza in hotel, vero?" Chiese Mackenzie.
"In realtà sì. Ho già lasciato lì la mia roba". Non staccò mai lo sguardo da Kevin mentre parlava. Mackenzie non era sicura di aver mai visto sua madre sorridere così tanto in vita sua.
"Non dovevi farlo, mamma. Ti ho detto che sei la benvenuta qui".
"Lo so", disse, distogliendo finalmente lo sguardo dal nipote mentre lo faceva saltellare sulle ginocchia. "Ma voi due avete entrambi un lavoro molto impegnativo e io non volevo essere d'intralcio. Inoltre, ho una vasca idromassaggio in camera per stasera, e un po' di visite turistiche in programma per domani. Non sono mai stata a Washington prima d'ora, quindi…".
Si interruppe, come se questo ponesse fine a tutta la conversazione. E per quanto riguardava Mackenzie, era così.
"Beh, la cena è quasi pronta", disse Mackenzie. "Ancora qualche minuto. La tavola è già apparecchiata, se vogliamo accomodarci".
E fu proprio quello che fecero. Patricia portò Kevin con sé, mentre Ellington avvicinava il seggiolone di Kevin al bordo del tavolo da pranzo. Mentre tutti si sistemavano, Ellington versò del vino per sé e per Patricia, mentre Mackenzie portava la cena in tavola poco a poco. Aveva sempre avuto un certo talento per la cucina, ma doveva attenersi alle cose semplici. Il menù di stasera prevedeva del semplice pollo al rosmarino e limone con patate e asparagi. Patricia parve sorpresa anche da questo.
"Sai cucinare?"
"Più o meno. Non sono eccezionale".
"Sta facendo la modesta", disse Ellington.
"Lo è sempre stata."
E così cominciò la cena. La conversazione fu un po' impacciata, ma non penosa. Ellington passò la maggior parte del tempo a parlare, facendo sapere a Patricia più cose su di lui: dove era cresciuto, da quanto tempo era un agente e la sua versione di come era iniziata la sua relazione con la figlia. Mackenzie rimase anche sorpresa di quanto fossero importanti per lei i complimenti della madre per la sua cucina. Per tutto il tempo, Kevin rimase seduto sul seggiolone, mangiando pezzettini di pollo che Mackenzie gli aveva tagliato. Stava diventando piuttosto bravo a mangiare da solo con le mani, ma una buona quantità di cibo finiva comunque sul pavimento.
Quando il piatto di tutti fu pulito e la bottiglia di vino vuota, Mackenzie si rese conto che c'era una buona probabilità che non sarebbe stato il disastro che temeva. A cena finita, Ellington sistemò Kevin e gli diede dello yogurt liquido, prima di sparecchiare. Mackenzie si sedette di fronte a sua madre mentre sentiva Ellington caricare la lavastoviglie in cucina.
"Immagino che tu non abbia parlato con tua sorella, ultimamente?" chiese Patricia.
"No. L'ultima volta che ci siamo parlate, hai detto che era a Los Angeles, giusto?"
"Sì, e se la situazione è cambiata, non mi ha contattata per dirmelo. Giuro che sembra ancora più distante, da quando hai chiuso il caso di vostro padre. Non ho mai capito come…"
Fu interrotta da qualcuno che bussava alla porta dell'appartamento… il che era singolare, perché era raro che lei ed Ellington ricevessero visite.
"Tesoro, puoi rispondere tu?" chiamò Ellington dalla cucina. "Sono immerso fino al gomito nei piatti sporchi".
"Un secondo, mamma", disse Mackenzie, alzandosi dal tavolo. Mentre passava, diede a Kevin un pizzicotto giocoso sul naso. Era sorpresa di quanto la visita della madre stesse andando bene. Forse poteva addirittura dire che le stava piacendo. Il pomeriggio stava andando straordinariamente bene.
Andò ad aprire la porta con passo più spensierato. Eppure, quando aprì, la spensieratezza svanì e la realtà tornò prepotentemente davanti a lei.
"Ciao, Mackenzie", disse la donna alla porta.
Mackenzie provò a sfoderare un sorriso finto che non le si addiceva affatto. "Ehi, E", gridò sopra le sue spalle. "C'è tua madre".
CAPITOLO TRE
Mackenzie onestamente non aveva nulla contro Frances Ellington. Era stata una specie di manna dal cielo quando Mackenzie era tornata al lavoro, facendosi avanti e badando a Kevin per loro. Inoltre, non guastava che Kevin amasse molto Nonna E. Ma l'idea di avere entrambe le nonne nello stesso posto e nello stesso momento era incredibilmente sconvolgente. Mackenzie sentiva di conoscere entrambe le donne abbastanza bene da sapere che era come spingere una polveriera giù da una collina verso un violento incendio.
Lentamente, timidamente, Mackenzie condusse Frances nella sala da pranzo. Nel momento in cui Kevin la vide, il suo viso si illuminò e spalancò le braccia. Dietro di loro, Ellington entrò nella stanza con un'espressione sbalordita.
"Mamma… cosa ci fai qui?"
"Ero nei paraggi e ho pensato di passare per portarvi fuori a cena, ma sembra che sia arrivata un po' tardi".
"Lo avresti saputo, se avessi chiamato".
Frances ignorò il figlio, vide Patricia seduta a tavola e sfoderò un enorme sorriso. "Sono Frances Ellington, a proposito".
"E io sono Patricia White. È un piacere conoscerti."
Ci fu un silenzio incredibilmente teso, che tutti potevano percepire. Sembrò che persino Kevin fosse rimasto sconcertato, guardandosi intorno per vedere se qualcosa non andasse. I suoi occhi si posarono infine su Mackenzie e quando lei gli fece un gran sorriso, per lui quella sembrò la fine della questione.
"Beh, visto che siamo tutti qui, tanto vale che tiri fuori il dolce", disse Ellington. "Non è molto, solo una torta gelato che ieri al supermercato mi ispirava".
"Perfetto", disse Frances mentre si sedeva sulla sedia accanto a Kevin. Kevin le rivolse la sua totale attenzione, la nuova nonna ormai completamente dimenticata.
"Frances ce lo tiene d'occhio di tanto in tanto", spiegò Mackenzie a sua madre. Sperava che quella semplice affermazione fosse innocua, perché all'orecchio di Mackenzie sembrava quasi un'accusa. Lo tiene perché lei ha scelto di far parte della sua vita fin dall'inizio. Così suonava a Mackenzie.
Ellington portò la torta e iniziò ad affettarla. Quando ne diede un pezzetto a Kevin, lui reagì sbattendo prontamente la mano sulla torta e ridacchiando. Questo suscitò la risata di entrambe le nonne, il che, a sua volta, provocò un altro attacco alla torta da parte di Kevin.
"Ehi, un momento!" esclamò Patricia. "Non è troppo piccolo per una torta del genere?"
"No" replicò Mackenzie. "Kevin ama il gelato".
"Non ricordo di averti mai dato un gelato a quell'età."
Mackenzie pensò, anche se non osava dirlo a voce: Mi sorprende che ricordi qualcosa della mia infanzia.
"Oh sì", disse Frances. "Ama soprattutto il gelato alla fragola. Ma non il cioccolato. Dovresti vedere le facce schifate che fa questo ometto quando assaggia qualcosa al cioccolato".
Mackenzie guardò il volto di sua madre e vide il fantasma della donna che era stata un tempo. In volto le si leggevano delusione e imbarazzo. Raddrizzò subito la postura, mettendosi sulla difensiva, e Mackenzie capì immediatamente che le cose si sarebbero complicate se avessero proseguito su quella strada.
"Non preoccuparti, però, mamma. Mangia anche un sacco di cose genuine".
"Non lo stavo mettendo in dubbio, ero solo… curiosa. È passato un po' di tempo da quando ho cresciuto un bambino…"
"Non è strano?" disse Frances. "Pensi di aver chiuso con la magia dei bambini quando i tuoi escono di casa e poi… bam! Sei nonna".
"Immagino di sì", disse Patricia, guardando Kevin. Allungò una mano e lui la afferrò, ricoprendole il dito di gelato alla vaniglia.
"Come vedi," proseguì Frances, "è anche bravo a condividere".
Patricia ridacchiò, guadagnandosi un gran sorriso da parte di Kevin. Mackenzie vide le lacrime negli occhi di sua madre, ma continuava a ridere. E quando la sua risata si fece ancora più acuta, Kevin si mise a ridere insieme a lei, come se si fossero appena raccontati una barzelletta.
"Immagino che abbia preso il senso dell'umorismo dalla tua parte della famiglia", disse Frances. "I miei figli non hanno mai amato molto ridere".
"Ehi" saltò su Ellington. "Si dà il caso che molte persone pensino che io sia divertente! Vero, Mac?"
"Non saprei. Ne ho mai conosciuta qualcuna?"
Lui alzò gli occhi al cielo, mentre le loro madri ridevano a sue spese. Kevin si unì di nuovo all'ilarità degli ospiti, continuando a schiaffeggiare la torta gelato mentre se ne ficcava un po' in bocca.
È come una zona grigia, pensò Mackenzie mentre osservava la scena. Le loro madri stavano andando d'accordo. E non era qualcosa di forzato. Certo, erano stati solo pochi momenti, ma sembrava una cosa naturale. Sembrava una cosa bella.
Era sicura di stare fissando le due donne, ma non poteva farne a meno. E chissà per quanto tempo avrebbe continuato a fissarle, se il telefono non avesse squillato, interrompendo le sue riflessioni. Colse al volo l'occasione per allontanarsi dalla tavola, correndo verso il telefono sul bancone della cucina senza nemmeno chiedersi chi potesse essere.
Tutto cambiò quando vide il nome del direttore McGrath sul display. Erano le cinque del pomeriggio passate e, ogni volta che McGrath chiamava a quell'ora, di solito significava che la aspettavano giorni impegnativi. Alzò il telefono e guardò attraverso l'ingresso della sala da pranzo, sperando di incrociare lo sguardo di Ellington. Lui però stava parlando con sua madre, pulendo un po' di gelato dalle mani e dal viso di Kevin.
"Sono l'agente White."
"Ehi, White". La voce di McGrath era cupa come sempre. Era difficile distinguere il suo stato d'animo da quelle due semplici parole. "Credo di avere un caso che potrebbe essere fatto su misura per voi. Però sarebbe una cosa un po' precipitosa. Dovreste prepararvi stasera e prendere un aereo domattina presto, diretti nello Utah".
"Va bene, ma perché non ci sono agenti locali che se ne occupino?"
"È una circostanza speciale. Vi spiegherò tutto quando arriverete nel mio ufficio. Quando potete arrivare, lei ed Ellington?"
Era un po' delusa da se stessa per essere così sollevata di avere una via di fuga facile, una scusa valida per allontanarsi da quella situazione strana con sua madre e Frances.
"A dire il vero, molto presto. Al momento si può dire che non abbiamo problemi di babysitter."
"Eccellente. Tra mezz'ora va bene?"
"È perfetto." Terminò la chiamata e poi, fissando ancora la sala da pranzo e cercando di dare un senso a tutto quello, chiamò: "Ehi, E? Puoi venire qui un secondo?"
Forse fu il tono della sua voce, o la semplice deduzione che nessuno li chiamava mai se non le persone con cui lavoravano, ma Ellington arrivò subito, con un sorriso sulle labbra.
"Lavoro?"
"Sì".
"Fantastico. Perché, francamente, qualsiasi cosa stia succedendo di là è proprio strana".
"Vero?"
Poi, come a sottolineare il tutto, entrambe le madri si misero a ridere per qualcosa in sala da pranzo, subito seguite dalle risate vivaci del nipotino.