Kitobni o'qish: «Prima Che Brami»
P R I M A C H E B R A M I
(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE—LIBRO 3)
B L A K E P I E R C E
TRADUZIONE DI
VALENTINA SALA
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di sei libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta (al momento) da tre libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.
Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.
Copyright © 2016 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina andrey_l, concessa su licenza di Shutterstock.com.
LIBRI DI BLAKE PIERCE
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
I MISTERI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
I MISTERI DI KERI LOCKE
UNA TRACCIA DI MORTE (Libro #1)
INDICE
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRE’
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRE’
CAPITOLO TRENTAQUATTRO
CAPITOLO TRENTACINQUE
CAPITOLO TRENTASEI
CAPITOLO TRENTASETTE
PROLOGO
Pam si sedette sul tronco caduto al margine dell’accampamento e si accese una sigaretta, piena di energia dopo il sesso. Dietro di lei, la tenda di Hunter pareva una cupola ammaccata. Poteva sentirlo russare leggermente all’interno. Persino lì nel bosco le cose non erano cambiate; eccola lì, sveglia e piena di energie dopo aver fatto l’amore, mentre lui dormiva profondamente. Lì nel bosco, però, non la infastidiva più di tanto.
Scavò una piccola buca nel terreno per la cenere della sigaretta, ben consapevole che fumare nel bosco durante quell’autunno secco era piuttosto imprudente. Volse lo sguardo al cielo, osservando le stelle. Era una notte decisamente fredda, adesso che l’autunno aveva rivendicato la costa orientale facendo precipitare le temperature, e lei si abbracciò le spalle per proteggersi. Le sarebbe piaciuto che la tenda di Hunter avesse uno di quei tetti a rete, che ti permettevano di guardare fuori, ma non era stata così fortunata. Eppure, c’era qualcosa di romantico in tutto quello – andarsene di casa, stare soli nella foresta. Era la cosa più vicina all’abitare insieme che lei avrebbe permesso finché l’idiota non si fosse deciso a farle la proposta. Se pensava al cielo notturno, al tempo perfetto e al loro pazzo affiatamento, era stata una delle serate più belle della sua vita.
Voleva tornare nella tenda e scaldarsi vicino a lui, ma prima doveva andare in bagno. Si inoltrò nel bosco e si prese un momento per orientarsi. Adesso che era buio non era semplice capire dove fosse diretta; le stelle e la luna piena per metà fornivano un po’ di luce, ma non abbastanza. Studiò l’ambiente intorno a sé ed era piuttosto certa di dover soltanto tagliare verso sinistra per trovare l’area dei bagni.
Avanzò di qualche passo in quella direzione, per circa trenta secondi. Quando si voltò, non riuscì a scorgere la tenda.
“Dannazione” mormorò, iniziando ad agitarsi.
Datti una calmata, si disse continuando a camminare. La tenda è ancora lì e...
Col piede sinistro incappò in qualcosa e, prima di rendersi conto di cosa stava succedendo, stava cadendo a capofitto. All’ultimo secondo riuscì a distendere le mani davanti a sé, evitando di colpire il suolo con la faccia. L’aria le uscì dai polmoni in un sussulto. Si rialzò subito, imbarazzata.
Si voltò verso il tronco in cui era inciampata, fissandolo con stizza. Al buio, la sagoma pareva strana e quasi astratta. Una cosa però era sicura: non si trattava di un tronco.
Doveva essere la notte che le giocava brutti scherzi. Doveva essere uno strano gioco di ombre nel buio.
Eppure, mentre una gelida paura le strisciava addosso, lo riconobbe per quello che era. Impossibile negarlo.
Una gamba umana.
E da quello che riusciva a capire, era solo quello. Non sembrava esserci un corpo attaccato. La gamba stava lì per terra, parzialmente coperta dal fogliame. Il piede era infilato in una scarpa da ginnastica e un calzino intriso di sangue.
Pam lanciò un urlo. E anche mentre si voltava e si rimetteva a correre nell’oscurità della notte, non smise mai di gridare.
CAPITOLO UNO
Mackenzie sedeva sul sedile passeggero della berlina in dotazione all’FBI, con in mano una Glock, anch’essa in dotazione – un’arma che stava diventando per lei familiare come la propria pelle. Quel giorno però era diverso. Dopo quel giorno, tutto sarebbe stato diverso.
Ci volle la voce di Bryers per riscuoterla dalla sua piccola trance. Lui era al posto di guida e la guardava con uno sguardo che Mackenzie trovò simile a quello di un padre dispiaciuto.
“Sai... non devi farlo” disse Bryers. “Nessuno penserà male di te se rinunci.”
“Io credo di doverlo fare. Di doverlo a me stessa.”
Bryers sospirò e guardò fuori dal parabrezza. Davanti a loro, un immenso parcheggio era illuminato nella notte da deboli lampioni posizionati ai margini e al centro. C’erano tre macchine e Mackenzie riusciva anche a scorgere le sagome di tre uomini che camminavano avanti e indietro nervosamente.
Allungò la mano e aprì la portiera.
“Andrà tutto bene” disse.
“Lo so” disse Bryers. “Però... cerca di stare attenta. Se ti dovesse succedere qualcosa e le persone sbagliate venissero a sapere che io ero qui con te...”
Lei non aspettò. Scese dall’auto e si chiuse la portiera alle spalle. Tenne la Glock puntata verso il basso, camminando con disinvoltura nel parcheggio verso i tre uomini in piedi alle macchine. Sapeva che non aveva motivo di essere nervosa, ma lo era comunque. Anche quando vide tra loro il viso di Harry Dougan, aveva ancora i nervi a fior di pelle.
“Dovevi proprio farti accompagnare da Bryers?” le chiese uno degli uomini.
“Si preoccupa per me” disse. “Nessuno di voi gli va particolarmente a genio.”
Tutti e tre gli uomini si misero a ridere, poi guardarono verso l’auto da cui Mackenzie era appena scesa. Salutarono Bryers con un cenno in perfetta sincronia. Per tutta risposta, Bryers sfoderò un falso sorriso e mostrò il dito medio.
“Quindi ancora non gli piaccio, eh?” chiese Harry.
“Già, mi spiace.”
Gli altri due uomini guardarono Harry e Mackenzie con lo stesso sguardo di rassegnazione a cui ormai erano abituati da settimane. Anche se non erano esattamente una coppia, ci erano abbastanza vicini da causare qualche tensione tra i colleghi. L’uomo più basso si chiamava Shawn Roberts e l’altro, un energumeno alto due metri, era Trent Cousins.
Cousins fece un cenno in direzione della Glock in mano a Mackenzie, quindi estrasse la sua dalla fondina che teneva in vita.
“Allora, iniziamo?”
“Già, probabilmente non abbiamo molto tempo” disse Harry.
Si guardarono intorno nel parcheggio con aria cospiratoria. L’eccitazione si fece palpabile fra loro e in quel momento Mackenzie realizzò improvvisamente qualcosa: si atava divertendo. Per la prima volta da quando era molto piccola, era eccitata per qualcosa.
“Al tre” disse Shawn Roberts.
Iniziarono a ondeggiare e saltellare sui piedi mentre Harry dava inizio al conto alla rovescia.
“Uno... due... tre!”
In un lampo, partirono tutti e quattro. Mackenzie scattò verso sinistra, diretta verso una delle tre macchine. Alle sue spalle, sentiva già il delicato suono degli spari delle pistole degli altri. Le pistole erano naturalmente delle imitazioni... pistole a vernice create per somigliare il più possibile a un’arma vera. Quella non era la prima volta che Mackenzie aveva preso parte a un’esercitazione con armi finte, però era la prima volta che ne affrontava una senza un istruttore – e senza protezioni di alcun tipo.
Alla sua destra, una macchia di vernice rossa esplose sull’asfalto a non più di quindici centimetri dal suo piede. Si riparò dietro la macchina e rapidamente raggiunse il cofano. Si mise carponi e vide i piedi di due persone più avanti, una delle quali stava andando dietro un’altra auto.
Mackenzie aveva studiato la zona dove si trovavano in quel momento. Sapeva che il punto migliore in cui trovarsi in quel parcheggio era alla base del pilastro di cemento sul quale si ergeva il lampione centrale. Come tutto il resto nella Hogan’s Alley, anche quel parcheggio era stato allestito nel modo più casuale possibile, ma i tirocinanti dell’accademia ne dovevano trarre un insegnamento. Tenendo conto di questo, Mackenzie sapeva che ci doveva sempre essere una zona chiave per il successo in ogni simulazione. In quel parcheggio, era la colonna di quel lampione. Non era riuscita ad andarci subito perché c’erano già due degli uomini davanti quando Harry aveva contato fino a tre. Adesso però doveva capire come arrivarci senza essere colpita.
Avrebbe perso il gioco se fosse stata colpita. E in ballo c’erano cinquecento dollari. Si domandò da quanto tempo fosse rispettato quel piccolo rituale pre-diploma e come avesse fatto a diventare una specie di leggenda nota soltanto ai migliori di ogni classe.
Mentre questi pensieri le attraversavano la mente, notò Harry e Cousins impegnati in una sparatoria nella zona laterale del parcheggio. Cousins era dietro una della macchine, mentre Harry stava appiattito contro il fianco di un cassonetto.
Con un sorrisetto, Mackenzie mirò a Cousins. Era ben nascosto e in realtà non poteva colpirlo da dove si trovava, ma poteva spaventarlo. Mirò all’angolo superiore dell’auto e fece fuoco. Uno schizzo di vernice blu esplose quando il suo colpo colpì il bersaglio con precisione. Vide Cousins fare uno scatto indietro, distraendosi. Harry nel frattempo ne approfittò e sparò due colpi.
Sperò che stesse tenendo il conto. Il punto della loro piccola esercitazione notturna non autorizzata era rimanere l’unico a non essere colpito. Ogni partecipante aveva la stessa arma – una pistola che sparava proiettili di vernice – e ognuno di loro aveva a disposizione soltanto il numero di proiettili standard per la Glock, l’arma che le loro pistole imitavano. Questo significava che ognuno di loro aveva solo quindici proiettili. A Mackenzie adesso ne restavano quattordici ed era abbastanza sicura che i tre uomini ne avessero sparati almeno tre o quattro a testa.
Con Harry e Cousins occupati, rimaneva solo Shawn da affrontare. Ma non aveva idea di dove fosse.
Con attenzione si mise in ginocchio e sporse la testa dalla fiancata della macchina, in cerca di Shawn. Non riusciva a vederlo, ma sentì lo sbuffo di una pistola che sparava lì vicino. Si tirò indietro nello stesso istante in cui un proiettile di vernice colpì il paraurti dell’auto. Un po’ di vernice verde le macchiò la mano mentre si ritirava, ma non contava come colpo.
Per essere eliminato, dovevi essere colpito ad un braccio, una gamba, alla schiena o al torace. L’unica cosa che non era ammessa era sparare alla testa. Anche se i proiettili erano piccoli e di plastica sottile, era risaputo che potevano causare commozioni cerebrali. E se venivi colpito all’occhio, potevi rimanere permanentemente cieco. Era uno dei motivi per cui quella piccola esercitazione non era vista molto di buon occhio all’interno dell’FBI. Sapevano che si svolgeva ogni anno, ma di solito lasciavano agli studenti quel piccolo divertimento segreto e chiudevano un occhio.
Il colpo però diede a Mackenzie una buona idea di dove si nascondesse Shawn. Era accucciato dietro il pilastro di cemento. E, proprio come aveva pensato di fare lei, adesso aveva praticamente tutti sotto tiro. Volse le spalle a Mackenzie e fece fuoco rapidamente verso Harry. Il colpo lo mancò, andando a colpire la parte superiore del cassonetto, qualche centimetro sopra la testa di Harry, il quale si abbassò quando Cousins e Shawn iniziarono a sparare nella sua direzione.
Mackenzie tentò di colpire Shawn e quasi lo prese alla spalla. Invece lui si abbassò proprio mentre sparava, facendo andare il colpo a vuoto. Contemporaneamente, sentì Cousins gridare per la frustrazione e il dolore.
“Sono fuori” disse Cousins, camminando lentamente verso il margine del parcheggio. Si mise a sedere su una panchina, dove gli eliminati dovevano starsene in silenzio. Mackenzie vide una macchia di vernice gialla sulla caviglia, dove Harry era riuscito a colpirlo.
Harry approfittò di quella distrazione e si precipitò fuori dal suo nascondiglio dietro il cassonetto. Stava andando in direzione della terza macchina parcheggiata con la sua solita velocità.
Mentre correva, Shawn uscì dal suo nascondiglio con una capriola. Prima sparò a Mackenzie per farla restare nascosta, poi si dedicò a Harry. Sparò contro di lui, colpendo il suolo a pochi centimetri dal suo piede sinistro, proprio mentre Harry balzava dietro l’auto.
Mackenzie colse l’occasione per spostarsi verso il retro dell’auto, pensando di a far uscire allo scoperto Shawn. Sparò a sinistra del pilastro di cemento, nello stesso punto a cui aveva mirato quando era davanti al cofano. Quando il proiettile colorato esplose, lui attese un attimo poi si sporse guardando verso il muso dell’auto. A quel punto, Mackenzie balzò fuori dalla parte posteriore e si avvicinò, rapida e in silenzio. Quando ebbe una buona angolazione, sparò un colpo che lo prese direttamente nel fianco. La vernice verde esplose sui pantaloni e sulla camicia. Rimase così scioccato dall’attacco che cadde all’indietro sul sedere.
“Sono fuori” gridò Shawn, rivolgendo a Mackenzie un’occhiataccia.
Si era appena incamminato verso il margine del parcheggio per raggiungere Cousins, che Mackenzie vide un movimento alla propria sinistra.
Astuta carogna, pensò.
Si abbassò, accucciandosi dietro il pilastro di cemento. La luce splendeva intensa sopra la sua testa, come un faro. Però sapeva che poteva giocare a suo favore quando il suo assalitore era in ombra. La luce sarebbe stata per lui troppo intensa, facendogli sbagliare leggermente mira.
Appena poggiò la schiena al cemento, sentì un proiettile di vernice colpire il pilastro, dal lato opposto. Nel silenzio che seguì, sentì Cousins e Shawn sghignazzare dalla panchina.
“Sarà uno spettacolo divertente” commentò Cousins.
“Più che divertente” disse Shawn, “io direi doloroso.”
Mackenzie non riuscì a trattenere un sorriso per quella situazione. Sapeva che Harry non avrebbe esitato a spararle; tra loro non c’era una relazione del tipo che lui scodinzolava per lei e l’avrebbe lasciata vincere. Erano entrambi nella stessa barca: il giorno seguente si sarebbero diplomati e sarebbero diventati agenti.
Tuttavia, avevano passato molto tempo insieme, sia in situazioni accademiche che in ambiti più amichevoli. Mackenzie lo conosceva bene e sapeva cosa doveva fare per beccarlo. Sentendosi quasi in colpa, Mackenzie si sporse lentamente e sparò, colpendo la ruota dell’auto dietro la quale si nascondeva.
Lui emerse subito dal riparo, balzando sul tettuccio. Lei fece una finta verso destra, come per tornare dietro il pilastro. Come era prevedibile, Harry sparò in quel punto. Mackenzie allora cambiò direzione e rotolò verso sinistra. Si mise a pancia sotto, sollevò la pistola e fece fuoco.
Il proiettile colpì Harry sul lato destro del petto. La vernice gialla spiccava come un sole se paragonata alle ombre in cui si nascondeva.
Harry abbassò le spalle e lanciò la pistola a terra. Uscì da dietro la macchina e scosse la testa, stupito.
“Sono fuori.”
Mackenzie si rialzò e inclinò il capo, guardandolo accigliata.
“Arrabbiato?” lo stuzzicò.
“Affatto. È stata una bella mossa.”
Dietro di loro, Cousins e Shawn applaudivano. Dietro loro, Bryers uscì dall’auto per unirsi a loro. Mackenzie sapeva che si era preoccupato per lei ma che era anche onorato di averla accompagnata. Parte della tradizione di quell’esercitazione prevedeva la presenza di un agente esperto, nel caso in cui qualcosa andasse storto. A volte accadeva. A quello che aveva sentito Mackenzie, un ragazzo era stato colpito dietro al ginocchio nel ’99 e si era dovuto diplomare in stampelle.
Bryers si unì a loro mentre si radunavano alla panchina. Poi mise la mano in tasca ed estrasse i cinquecento dollari, di cui ognuno aveva versato una parte. Li consegnò a Mackenzie e disse:
“Avevate per caso dei dubbi, ragazzi?”
“Bel lavoro, Mac” disse Cousins. “Avrei preferito essere eliminato da te piuttosto che da uno di questi idioti.”
“Grazie, credo” disse Mackenzie.
“Odio sembrare un vecchio” disse Bryers, “ma è quasi l’una di notte. Andatevene a casa e riposatevi. Tutti quanti. Non osate presentarvi alla cerimonia del diploma esausti.”
Quella bizzarra sensazione di felicità si diffuse di nuovo in Mackenzie. Questo era il suo gruppo di amici – un gruppo di amici che aveva imparato a conoscere bene da quando era tornata a una vita più o meno normale, dopo il piccolo esperimento di McGrath nove settimane prima.
L’indomani, tutti loro si sarebbero diplomati dall’accademia e, se tutto fosse andato come doveva, sarebbero diventati agenti la settimana seguente. Mentre Harry, Cousins e Shawn non si illudevano di iniziare la carriera con casi eclatanti, Mackenzie aveva qualcosa di meglio che la aspettava... ovvero, il gruppo di agenti speciali cui McGrath le aveva accennato nei giorni dopo l’ultimo caso. Non aveva ancora idea di cosa ciò comportasse, ma era comunque eccitata.
Mentre il gruppetto si scioglieva e ognuno andava per la sua strada, Mackenzie avvertì qualcos’altro che non provava da tempo. La sensazione di avere ancora davanti il suo futuro, alla sua portata. E per la prima volta da molto tempo, sentì di avere su di esso un controllo quasi totale.
*
Mackenzie guardò il livido sul petto di Harry e, anche se sapeva che la sua prima emozione avrebbe dovuto essere la compassione, non riuscì a trattenersi dal ridere. Il punto in cui l’aveva colpito era rosso fuoco, e l’irritazione si allargava di circa cinque centimetri in ogni direzione. Sembrava proprio una puntura di ape, e sapeva che doveva fare anche più male.
Erano nella cucina di Mackenzie, che gli stava avvolgendo del ghiaccio in un panno. Glielo passò e lui lo tenne sul petto, comicamente. Era chiaramente in imbarazzo, ma anche colpito che lo avesse invitato da lei per controllare che stesse bene.
“Mi dispiace” gli disse sincera. “Però magari ti posso offrire un caffè, dato che ho vinto.”
“Che sia un caffè dannatamente buono” disse Harry. Allontanò il ghiaccio dal petto e fece una smorfia quando abbassò lo sguardo.
Mentre Mackenzie lo osservava, si rese conto che anche se Harry era stato nel suo appartamento più di una decina di volte e si erano baciati in diverse occasioni, quella era la prima volta che era lì a torso nudo. Ed era anche la prima volta, dopo Zack, che vedeva un uomo seminudo così da vicino. Forse era l’adrenalina scatenata dalla vittoria, oppure per il diploma che la attendeva, ma si sentiva attratta da lui.
Fece un passo verso di lui e gli poggiò una mano sul lato non ferito del petto, sul cuore.
“Ti fa ancora male?” gli chiese, avvicinandosi ancora di più.
“Non in questo momento” disse lui, sorridendo nervoso.
Lentamente spostò la mano sul segno e lo toccò con attenzione. Poi, seguendo soltanto il suo istinto femminile, che aveva ormai soffocato e rimpiazzato con obbligo e noia, si avvicinò e lo baciò. Subito sentì Harry farsi teso. Con la mano gli cinse il fianco, avvicinandolo. Gli baciò la clavicola, poi la spalla, poi il collo. Lui sospirò e la strinse di più.
Come succedeva spesso, si ritrovarono a baciarsi prima ancora di accorgersene. Fino ad allora era successo soltanto altre quattro volte, ma tutte le volte era stata come una forza della natura, qualcosa di non pianificato e senza aspettative.
Dopo meno di dieci secondi, Harry la stava spingendo leggermente contro il bancone della cucina. Lei gli esplorò il petto con le mani, mentre Harry le infilò una mano su per la maglietta. Il cuore le martellava in petto e ogni muscolo del suo corpo le diceva che lo voleva, che era pronta.
Ci erano andati vicini già una volta – anzi, due. In entrambe le occasioni, però, si erano interrotti. In realtà era stata lei a interrompere. La prima volta aveva smesso proprio quando lui aveva iniziato ad armeggiare col bottone dei pantaloni. La seconda volta, lui era quasi ubriaco, e lei fin troppo sobria. Nessuno dei due l’aveva detto apertamente, ma l’esitazione di andare a letto insieme era dovuta al reciproco rispetto che provavano l’uno per l’altra e all’incertezza del futuro. Inoltre, teneva troppo a Harry per usarlo come sfogo sessuale. Si sentiva sempre più attratta da lui, ma il sesso era sempre stata una questione molto privata. Prima di Zack c’erano stati soltanto due ragazzi, e con uno dei due si era trattato più di un’aggressione che di sesso.
Mentre baciava Harry ripensando a tutto questo, si accorse che le sue mani erano scese molto più in basso del petto. Anche lui se ne era accorto, infatti si fece di nuovo teso e inspirò bruscamente.
Mackenzie tirò indietro le mani improvvisamente, interrompendo il bacio. Abbassò lo sguardo sul pavimento, temendo di scorgere la delusione nei suoi occhi.
“Aspetta” gli disse. “Harry... scusa... non posso...”
“Lo so” disse lui, chiaramente frustrato e un po’ giù di morale. “Lo so che...”
Mackenzie fece un profondo respiro poi si allontanò da lui. Si voltò, incapace di sostenere la confusione e il dolore nei suoi occhi. “Non possiamo. Non ci riesco. Scusa.”
“Va tutto bene” disse lui, ancora accaldato. “Domani è un gran giorno ed è già tardi. Adesso me ne vado, prima di avere tempo di rimuginare ancora sul fatto di essere stato colpito da te.”
Lei si voltò e annuì. Non le dispiacevano le frecciatine. Se le meritava.
“Sì, penso che sarebbe meglio” disse.
Harry si rinfilò la maglietta, ancora macchiata di vernice, e lentamente si diresse verso la porta. “Stasera hai fatto un bel lavoro” disse andandosene. “Non c’erano dubbi che la vincitrice saresti stata tu.”
“Grazie” disse Mackenzie senza molto trasporto. “E, Harry... davvero, mi dispiace. Non so cos’è che mi blocca.”
Lui si strinse nelle spalle aprendo la porta. “Non fa niente” disse. “Però... non ce la farò ancora a lungo così.”
“Lo so” disse lei, triste.
“Buonanotte, Mac.”
Chiuse la pota e Mackenzie rimase da sola. Rimase in piedi in cucina, osservando l’orologio. Era l’una e un quarto e non era nemmeno lontanamente stanca. Forse la piccola esercitazione nella Hogan’s Alley aveva immesso troppa adrenalina nelle sue vene.
Tentò ugualmente di mettersi a letto, ma passò tutta la notte a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola. In uno stato di semi-coscienza, fece dei sogni che ricordava a malapena, ma la costante in ognuno di essi era il volto sorridente di suo padre, orgoglioso che ce l’avesse fatta fino a lì, che l’indomani si sarebbe diplomata dall’accademia.
Eppure, nonostante quel sorriso, c’era un’altra costante nei sogni, qualcosa a cui si era abituata da tempo, che la perseguitava ogni volta che le luci si spegnevano e sopraggiungeva il sonno: lo sguardo morto nei suoi occhi e tantissimo sangue.