Kitobni o'qish: «Novelle»
QUATTRO NOVELLE NARRATE DA UN MAESTRO DI SCUOLA
E venutomi innanzi
Un che di stampar opere lavora,
Dissi: stampami questa alla mal'ora.
Berni.
PREFAZIONE DELL'AUTORE
Alla edizione delle Quattro Novelle stampata in Torino, per Giuseppe Pomba, nel 1829.
Se vuoi fare a modo mio, cortese discreto leggitore, tu hai nel presente libretto a distinguer bene due persone; il narratore autor delle novelle, e lo scrittore editore di esse. Il primo è un mio amico maestro di scuola in una terra non molto discosta di qua, ma che tu chiederesti invano qual sia, non volendotene io dir nulla per ora, se non ciò che troverai innoltrando due facciate in capo alla prima novella. Del resto, innoltrando più lo conosceresti anche meglio per le sue proprie parole; che quando non si può per le azioni, è pur il miglior modo di conoscere un uomo; miglior assai che per qualunque cosa se ne possa udire da chicchessia altrui, anche da un amico. Così facendo, spero tu abbia a voler po' di bene al maestro; benchè sarà difficile tu gliene voglia mai tanto quanto io. Che se le sue narrazioni ti andassero a genio, vedrei di averne altre, e forse anco un giorno ti scriverei la vita di lui, ch'egli ha narrata a me, ed alcuni altri privati suoi; ma al pubblico dice, che è un'impertinenza far la vita di tale, che non importi se sia vivuto. Perciò è che voglio vedere d'accattarmi prima un po' d'amor tuo. E parendomi che possa conferir a ciò la sua figura, che è buona ed amorevole, sì te la dono sul frontispizio, gratis, come si usa oggidì. Or lasciolo stare, e vengo all'editore, che, come vedi, sono io. Nè debbe calerti chi io sia. Ma forse mi dimanderai come, o perchè io mi mettessi a ciò? Or dirotti: ascoltator trovaimi di novelle per ozio; scrittor fecimi per ozio, ora editor divengo per ozio. Nè da te voglio altro, se non che leggitor mio ti faccia tu anche per ozio. Ma se, passate due ore così, tu ti trovassi d'alquanto migliore, od anche non peggiore; credimi, l'hai a tenere per tanto guadagno, e perciò ad avermene tanta obbligazione. E lascia poi tacciar le mie novelle di classiche, o romantiche, storiche, immaginate, miste, o che so io; tieni buona ogni cosa che non t'annoi, e non ti guasti. E così tu voglia tener me; ed io chiamerotti di nuovo, discreto, cortese, benigno, e benevolo leggitore.
FRANCESCA
La calunnia è un venticello.
Rossini, Il Barbiere di Siviglia.
In una villa dove già vissi alcuni anni, fu da maestro di scuola un prete molto buono e sociabile; del quale, come aveva detto messa e finita la scuola o l'ufficio, e se occorreva qualche confessione, ogni sollazzo era alla state ir a diporto su per que' colli, od a sonar gli organi e i gravicembali ne' castelli all'intorno; e il verno poi entrar nelle case de' signorotti e de' villani di quel contado, ed ivi, come si dice, fare stalla, che tant'è come in città far conversazione. E perchè virtuoso e pio e pacifico uomo egli era, ogni suo conversare tendeva a ispirare pace e pietà. Ond'egli poi solea con gli altri preti suoi amici darsi vanto di non far altro là, che continovar lo insegnamento della dottrina cristiana incominciato alla scuola e spiegarla con gli esempi, che fanno più impressione, ma che non tutti starebbero bene in chiesa. – E veramente, egli aggiugnea sorridendo, anche queste vecchierelle usano così, e volendo dar insegnamenti alle giovani, subito vengono agli esempi; ma questa differenza è tra esse e me, che elle li scelgono presso le vicine e contemporanee, io sempre li cerco in tempi antichi e luoghi sconosciuti. Nè so se nel modo loro sia più efficacia, ma nel mio certo è più carità. – Ed una sera che c'ero pur io, ed a suo malgrado s'era appunto sparlato della gente, il buon maestro incominciò così:
Donne mie, lo sparlare della gente è una brutta cosa: e' si fa senza badarci, e chi l'ha fatto la sera, talor non se ne ricorda la domane, nè mai più di sua vita; e intanto quella parola così leggermente uscita di bocca cresce e fa danno, e talor perde un uomo o una donna nell'onore e nella roba, e talor anco nella vita; e chi l'ha detta, anche pentito, non la può più riavere. Del calunniar poi per malignità non ne dico, perchè voi altre siete tutte buone; ma nelle città e paesi grandi è altrimenti. In una di queste, ch'io non vi nomerò, perchè non la conoscete, e se la conosceste, ve la nomerei anche meno, e' fu già una fanciulla chiamata Francesca, nobile, bella, e che era nata ricca e grande quasi sopra ogni altra della città. Ma per il parteggiare che si faceva a que' tempi (gran disgrazia, figliuoli miei, queste parti e nimicizie in un paese!) erano stati uccisi in guerra, ed anche in piazza a furia di popolo, o di supplizi, o morti in esiglio, tutti i suoi, padre, avo, zii, fratelli; che tutti erano stati della parte perdente, ed ella sola e meschina rimanea colla madre vedova e ridotta a povertà. E in che trista vita s'allevasse la fanciulla, pensatelo voi. Non feste, non divertimenti, non gaio e giovanile vestire, che non si convenivano a tal povertà e vedovanza; nemmeno quasi un passeggio, per orrore ch'avea la madre d'incontrare or l'uno or l'altro degli uccisori o persecutori di suo marito o de' suoi figli; non compagne, nè amiche, che poche lor ne restavano, e quelle per timore si schivavano l'una l'altra più che non si cercavano. Ma sole, e il più del tempo la madre a piagnere; la figliuola a piagner con lei, a lavorar dell'ago o della rocca, o al più al più a leggere qualche libruccio di divozione, o qualche cronaca o leggenda, e poi di nuovo a veder piagnere la madre, ed uscir ogni domenica a messa molto per tempo, e a vespro molto tardi per non esser vedute, sempre vestite di un cambelotto nero, che la madre quasi credette far un peccato a lasciarlo poi mutar in bigio dalla fanciulla. Nè tuttavia crediate che fosse del tutto disconsolata la vita di questa. Non ella avea conosciuto padre nè fratelli, sendo tuttavia al petto della madre quando si rivolse lor fortuna. Ed, oltrechè il non rammentar tempi felici gran diminuzione è di miseria, la prima gioventù ha nel sangue stesso la felicità, ed a lei piovono le consolazioni. Ora era un bel giorno di primavera, e la madre lasciavala pur uscire all'alba colla servuccia a raccor fiori, ed ella riportavale un bel mazzo di mammole, che poi faceva sotto il povero tetto soave fragranza tutto quel giorno; ora comprato da qualche monello un bel cardellino, ella poi se l'allevava con un amore che se ne faceva un compagno; ora anche, perchè ella era tanto buonissima come bella, con quella poca moneta che poteva avere, sollevava ella meschina qualche più meschino di lei, il quale ne durava grato, meno a lungo forse che non ella felice. Nè era tutto, perchè forza è pur dirlo. Non compiuto avea il sedicesimo anno, una consolazione le venne troppo maggiore delle mammole e del cardellino, ed anche della sua amorevole carità; una consolazione da lei prima inavvertita e che ella nè consolazione nè altro di niun nome chiamava: ma era una vista, un pensiero, una occupazione continova, anzi una vita del tutto nuova e dolcissima.
Nè a voi che accorte siete è mestiero dirvi che fosse. Dicovi solo il nome del giovane che la vide un giorno a caso in quelle sue gite mattutine a' praticelli fioriti, e sotto il povero e tristo abito pur la trovò bella più di niuna altra, e tornò il domane e ogni giorno, poi molti giorni senza incontrarla, e talor anco la incontrò, e la trovò più bella ogni volta, e pur non le si accostò; ma la seguì da lungi e fino a casa, e seppe chi era; e saputolo, perchè quantunque nascosta mal era ignota sua bellezza e sua bontà e miseria, subitamente con gran passione di lei s'innamorò. Il qual giovane adunque si chiamava Manfredi, ed era pur egli bello e nobile giovine, e pur egli di casa stata ricca e de' perdenti, e il suo padre era morto in esiglio: ed egli era povero e solo rimasto, e benchè di assai ingegno e virtù, e molto destro in armi e cavalli, pure, perchè odioso a chi reggeva la repubblica, non era adoprato in nulla, nemmeno nella milizia, onde languiva in grande ozio. E, come sapete, dicesi l'ozio padre de' vizi, ma io ben credo che sia l'ozio de' felici; perchè gl'infelici e poveri mal possono darsi a' piaceri e alle gozzoviglie, e a' vizi che ne vengono. Sì confesso che gli oziosi infelici troppo sovente cadono poi in amore; e così cadde Manfredi. E l'amore di uno povero ozioso che non abbia altro a pensare il dì e la notte è poi tutt'altro che quello de' giovani occupati ne' piaceri e maneggi pubblici e privati. E in una parola Manfredi era, come si dice, perduto d'amore; che vuol dire che non avea più altro pensiero al mondo; od anzi, che tutti i suoi pensieri antichi e nuovi riferiva al suo amore; e se pensava a riacquistar lo stato e le ricchezze, o a farsi un nome o mostrarsi pro', non era più niente per sè stesso, ma tutto per la fanciulla ch'egli avrebbe voluta far ricca, e allegra, e onorata, e propria moglie. E in questi pensieri poi tanto andava d'uno in altro innanzi, che ne perdeva il pensiero e la ragione. E badate, che la perdeva non solo per l'altre cose di che non gl'importava più, ma in quella stessa di che sola gli caleva, che era il suo amore. Così succede a chi troppo si logora la fantasia in vece di far subito quello che talor sarebbe facile per conseguire il proprio desiderio. Ma così fanno gl'innamorati; e quante storie io n'ho lette, sempre ho veduto ogni lor miseria venire dalla propria stoltezza. Che invece di dir subito il loro amore alla loro innamorata, e saper se ella pure gli ama, e s'è così, domandarla al padre o alla madre, e poi sposarla e menarsela a casa; ora per una sofisticheria, ora per un'altra, o indugiano la dichiarazione, o la domanda a' parenti o le nozze; e allora è che nasce l'uno o l'altro malanno che gli fa tanto tempo patire, e tanto allungarsi lor triste vicende, prima che si trovino a quello onde avrebbero dovuto cominciare; che son le nozze. E pur troppo anco talor non ci si trovano mai più. Ed è perciò che io sempre vi esorto, voi altri giovinastri, se mai siete innamorati, a non indugiare nè allungar le storie; ma seguir quel modo mio di parlarne oggi alla fanciulla, dimani a' parenti, ed alla prima domenica al signor Preposto per le pubblicazioni. E così avesse fatto Manfredi! Nè, a dir vero, altro aspettavansi se non ciò, o la figlia ch'io non dirò innamorata lei, ma sì compiacentesi dell'amore di lui, o la madre già per la fedel serva, e poi per sè stessa fatta accorta non che dell'innamoramento dell'uno, ma del compiacimento dell'altra. E se Manfredi avesse chiesta la fanciulla, ed ella gli sarebbe stata non che volentieri conceduta, ma con gran gioia donata. Che se povero egli era e non in fortuna, povera ella e diserta; e la madre non era di quelle che a fanciulle povere pur vogliono sposi ricchi, e le lascian morir zitelle. Oltrechè, avendo avuti tanti guai, e sofferte tante crudeltà da quelli che erano allora in gran fortuna; e non se ne potendo vendicare: e la disperanza di vendetta troppo sovente diventando, principalmente nelle donne, amarissimo odio e furore; non per tutto l'oro del mondo o per tutta la potenza dell'Imperadore avrebbe voluto far ciò che le pareva viltà: veder la figlia in grande stato, ma nelle braccia d'uno de' persecutori, anzichè in quelle d'uno poverissimo de' perseguiti. Ora potete scorgere se fu stolto Manfredi, che in vece di parlarne a persone così ben disposte come madre e figlia erano, incominciò a sragionare, quasi ella fosse stata una principessa, e non in fortuna eguale alla sua. Troppo peccato se così bella, così buona, così celeste fanciulla, fosse moglie mai d'uno uomo sì povero, sì abbandonato, di così poche speranze com'era egli. Perchè questo era il peggio, non l'esser un nulla, ma fin adesso non aver nemmeno fatto il minimo che, per trarsi da quel nulla. Ed egli avea pur compiuti i vent'anni; e quanti a tal tempo hanno, non che date speranze, ma effettuatele? fatta o rifatta lor fortuna, acquistatosi un nome, o aggiunto a quello de' maggiori? Egli, misero! che sforzo avea fatto, che tentare? Egli che avea pure così poco, anzi nulla a perdere? egli a cui talora del suo stesso nascere era incresciuto? E sua trista vita non avea pur saputo nè adoperare nè perdere? In breve, il giovine tanto e tanto malamente pensò, che prima immaginò, e poi si compiacque nella immaginazione, e in ultimo per fermo deliberò d'irsi a Terra Santa. Dove, non so se abbiate udito dire, si facevano allora grandi guerre, le quali ora non si usano più, contro i Turchi, e questi allora si chiamavano infedeli, e le guerre si dicevano sante e crociate, e non è famiglia grande di signori o principi nostri che non ne sieno iti alcuni a combattervi, ed anche a morirvi contenti per la divozione che allora avevano. Gli è vero che molti anche andavano per acquistarvi signorie o rinomanza: e di questi, forza è confessarlo, fu Manfredi. Perchè si pensava che là con sua valentia, e dispregiando la vita come faceva, il meno che gli podesse accadere era far qualche bella prodezza dinanzi a qualche gran principe o signore, che il prenderebbe in amore, e tornando poscia in Europa, o gli farebbe restituir lo stato in patria, o lo si terrebbe in corte sua; ed egli allora verrebbe a toglier Francesca, e la si avrebbe in modo non tanto indegno di lei, come damigella e gran signora. E fatta questa bella risoluzione, anche fece quella di finalmente parlare alle donne: e trovato modo di andar loro in casa, che fu per li due giovani uno innamorarsi l'uno dell'altro peggio che mai scoperse loro tutto il suo mal pensato divisamento. Alle donne, per le cagioni dette, credo che avrebbe più satisfatto se nè di Terra Santa, nè di gloria, nè di futuri tempi avesse parlato. Ma, o vergogna di mostrar più fretta di lui, o dispetto, e perchè poi la giovane era molto tenera, e ad ogni modo queste imprese lontane andavano a genio delle donne a quel tempo, la madre ne lo lodò, e la figliuola si tacque ed egli a partir si dispose. Accomandate a un vecchio servo, che l'avea allevato, le poche masserizie, e la cameretta che teneva a pigione in un sesto rimoto della città, portava seco in armi e cavallo, il meglio del pochissimo avere restatogli. Solo una croce d'oro che era stata di sua madre, ed egli, non che cara, tenea sacra, lasciò alla fanciulla, pregandola di portarla fino che lo sapesse morto, o cinque anni almeno, per suo amore. Ella piangendo se la metteva al collo, e davagli una fascia trapunta di sua mano, ed egli se ne partiva.
Due anni passarono, e perchè non erano allora le poste ordinate nè le lettere facili a scriversi come ora sono, non ebbero l'uno dell'altro novelle mai. Finalmente per un romeo, che facendo il gran pellegrinaggio di tutti i luoghi santi, di Gerusalemme veniva a Roma, Manfredi scrisse brevemente alle donne com'egli era vivo e giunto e ogni dì combatteva su quella terra sacra, e alcuni infedeli avea uccisi di sua mano, ed anche alcune lodi da' compagni conseguite; ma che di acquistar nome e grazia di niun signore non gli era venuto fatto fin allora. Là pure tutto esser parti, e scandali di potenti tra sè; e chi non era piaggiatore, nè violento, mal farsi strada appresso a quelli; e temeva di non farla mai, e forse il Signor Iddio lo voleva castigare d'esser ito con umani fini a quella santa guerra; pur domandava che fino al termine detto gli si serbasse la promessa fedeltà. E le donne, alcuni mesi appresso, per un fraticello che andava a Gerusalemme, gli risposero facendogli cuore, e la fanciulla di soppiatto aggiunse alla lettera, che non solo pel tempo detto, ma sempre finchè vivrebbe, gli sarebbe fedele, e che in qualunque tempo, o prima o dopo lui, morrebbe sua. Intanto giunta ella a diciott'anni s'era tanto d'ogni maniera abbellita, che non fu più povero vestire o romito vivere che la potesse nascondere agli occhi vaghi de' giovani di quella città. Uno principalmente, nobile, ricco, figlio di potenti, potente egli, e se non bello quanto Manfredi, ornato di quella allegria e bravura giovanile che talor supplisce a bellezza, la vide, l'ammirò ed a suo modo l'amò. Dico a modo suo, che è il mio, perchè a nozze egli in breve pensò. Nè ad amarla per meno onesto fine, o gli era possibile averne qualche speranza, o l'avrebbe voluto egli stesso. Che Rambaldo, così chiamavasi il giovane, era di quelli nè tutto buoni, nè tutto cattivi, che forse sarebbero tutto buoni, se non gli avesse guasti troppo costante felicità. E, quantunque a sposare sì povera fanciulla, reliquia di parenti condannati e vilipesi, egli avesse a vincere prima la propria ambizione, e poi la difficoltà de' parenti, pure tanto potè l'amore, che prima sè stesso risolse, e dopo alcun tempo, fece acconsentire anche i genitori e i parenti; e allora credette finita ogni cosa. Perchè di dubitare che sì povera e trista madre volesse negare a lui, così grande e ricco, la fanciulla, o che questa così sola avesse pure posto amore a nessuno, non gli venne pensiero mai. E perchè era uomo tutto all'incontro di Manfredi, e non che in pensieri, nemmeno in opere inutili non solea perdersi, e se ne dava vanto; non avea voluto andar mai per la casa alle donne, finchè non si fosse assicurato dei proprii parenti; e quando fu, pensò d'esser ricevuto non come uomo, ma come angelo di paradiso che scendesse a sollevarle, ed anzi tutto della propria generosità e di lor grazie si compiacea. Pensate ora voi se restasse avvilito, quando, presentatosi, non ebbe da madre e figlia altra risposta che di muto e quasi sdegnoso stupore. Scambiollo pur prima per mal avveduta modestia; e volendo loro lasciar tempo a riprender gli spiriti, non senza alcune mal composte parole, dicendo di non volerle troppo pressare, e che tornerebbe la domane, le lasciò. Allora consigliavansi madre e figliuola, se consiglio dee dirsi tra una risolutissima, e l'altra che volea pur parerlo, ma invero cominciava a dubitare e per la lettera di Manfredi, e per l'amor alla figlia che in lei vincea tutto, anche l'odio ai potenti. Benchè il medesimo amore, siccome sincerissimo, facendole cercare la felicità della figliuola, gliela faceva cercare quale desideravasi da questa; non come solete voi troppo sovente nel dar le figlie a marito, che pare voi dobbiate maritarvi e non esse. Perciò disse alla figlia quanto le parve, non a rimuoverla da sua fedeltà duranti i cinque anni, che a lei sarebbe paruto gran fallo; ma perchè s'indugiasse la risposta fin dopo a quel tempo, non sapendosi mai che potesse succedere, e che so io. Ma rispondendole la fanciulla molto caldamente, che se non avesse mai conosciuto Manfredi, ella non avrebbe pure sposato Rambaldo mai! e che se le fosse stata offerta la mano non che di Rambaldo ma di qualunque maggior principe della terra, ed ella avesse poi conosciuto Manfredi, Manfredi pure avrebbe sempre voluto, ed altre simili cose; l'amorosa madre non pensò ad altro più che a cansarle la pena d'avere a riveder Rambaldo; e il dì appresso, mandata la figliuola da una buona vecchia loro vicina, ella sola lo ricevette; e perchè costumata era in ogni cosa, come meglio seppe, gli diè pure il necessario commiato.
Che ne sentisse Rambaldo, chiaro debb'esservi, se avete atteso alla sua natura, più che innamorata, superba. Dolsegli della perduta fanciulla; ma più dell'aversi a ricredere, co' genitori e parenti ed amici, delle anticipate confidenze fatte loro di suo amore: nè seppe altro modo, per non parer ributtato egli, che di far credere avesse egli ributtate le nozze. Cominciò a dire che avendola veduta più da presso non gli era paruta così bella, ma perchè questo non lo poteva a nissuno che l'avesse veduta una volta persuadere, aggiugnea che parlandole l'avea conosciuta molto semplice e sora; e nè ciò avendo ombra di verità, mutò un'altra volta discorso, e così, con una certa aria misteriosa, e con quel tacere più perfido che le istesse parole, fece intendere ch'egli avea sue ragioni per non ir oltre alle nozze ideate; ed avrebbe avuto facilità a ben altro anche che nozze, ma a lui non era piaciuta mai la soverchia facilità; e non sapea qual malinconia gli fosse già entrata in capo di pensar mai a coteste donne; le quali a dir vero, non erano molto dappiù che non fossero stati lor uomini, tanti anni innanzi ben degnamente cacciati e condannati. E così, come dicesi una parola traendo l'altra, anzi una bugia facendo un'altra necessaria, venne a chiaramente far intendere, che avendo la fanciulla per amanza ei non si curava più d'averla per moglie. Aiutollo la serva di quelle povere donne, a cui non pareva vero che un signore sì ricco e sì grande avesse voluto sposar la padrona, ed ella l'avesse così stoltamente ributtato. Onde, il giorno ch'egli ebbe il commiato dalla madre, la serva lo seguì per la via; e dicendogli di non disperare, se gli era profferita non per nulla di male, ma per vedere se pur vi fosse verso di rannodar il rotto trattato. Rambaldo tutto turbato allora non le avea risposto altro se non che venisse a trovarlo; ma venuta dopo alcuni giorni, le incominciò a dar moneta, e ragionarle del suo amore. Nè si conviene poi supporre ogni cosa alla peggio; forse qualche speranza dettata da sua medesima superbia rimaneva a Rambaldo. Ma se l'aveva, non istette molto a perderla quando la serva gli narrò degli incontri mattutini di Manfredi e Francesca, e poi delle visite di quello e della sua dipartita per Terra Santa, e della croce e della fascia, e in somma tutti i particolari del loro dolcissimo amore. Allora invase il petto di Rambaldo una subitanea gelosia; e gelosia di superbia tanto più feroce ed accanita, che non gelosia di vero amore. Perchè, badate bene, figliuoli miei, i gelosi innamorati o serbano tuttavia qualche tacita speranza, ed han riguardi all'amata, o la loro disperazione più contro sè stessi che contro lei si rivolge. Ma i gelosi per superbia, questi sono che non la perdonano alle povere donne, e fanno poi gli scandali e i guai che vediamo troppo sovente. Rambaldo era di questi; rivide più volte la serva, ed una volta che ella pareva più che mai impietosita, e pronta a fare ogni cosa per lui, egli le chiedette che involando la croce d'oro della fanciulla glie la recasse come a consolazione e sollievo della sua sventurata passione. La serva dubitò; disse che per nulla al mondo non vorrebbe far male alla padrona, nè cosa illecita mai, e questo era rubare, ed altre cose simili; ma egli pressando e dicendo che l'avrebbe poi restituita, o datone una più bella, finalmente n'ebbe la promessa, e in breve la croce. Perchè una notte che la fanciulla era in profondissimo verginal sonno immersa, e forse i dolci giorni del ritorno sognava, accostasi al lettuccio la traditrice serva pian piano, le recise la nera benda che teneale la croce dì e notte appesa al bianchissimo collo, che più pietà sarebbe stato, cred'io, in quel punto trafiggerglielo. Perchè svegliata appena all'alba la meschina, e volendo, come solea, prima d'ogni cosa baciar la croce, e farvi sopra la preghiera mattutina, invano la cercava al collo ed al petto, invano tra i veli e i panni e nella camera e in tutta la casa, e diceva che era certissima d'essersi alla sera coricata con quella, e che le era stata involata, e piagnendo miseramente si disperava. Nè tuttavia aveano in sospetto la serva stata loro sempre fedele, nè Rambaldo, di che mai più non aveano udito, nè niun altro; ma credettero o che la fanciulla si fosse ingannata credendo di averla al collo la sera innanzi, e l'avesse smarrita per via; o forse, perchè in quell'età facilmente credevasi a prodigi ed augurii, che succeduta qualche disgrazia grande, forse la maggiore, a Manfredi, si fosse la croce sua miracolosamente perduta. E così aiutando la solitudine siffatte immaginazioni, tanto ci si internò la Francesca, che la sua nativa ma fin allora dolce malinconia incominciò a farsi amarissima, e tristi i suoi giorni, e irrequiete le notti, e grave il capo, or tutto ristretto or tumido e palpitante il cuore, impallidito il bel volto, languidi gli occhi, e fievole tutta la gentile persona. Non si figurava tanto Rambaldo; nè mai si figura gli strazii dell'infelice l'uomo felice che li causò. Anzi, avuta la croce, e fattane alcun tempo menzognera mostra ai compagni, presso i quali era nota anzi famosa la croce d'oro e il nastro nero e il collo bianco della bella Francesca, in breve non se ne diede più pensiero di sorta alcuna, e trovò consolazioni e distrazioni in altri amori, e poi ne' maneggi e negozi pubblici dov'era molto adoprato. A' quali attendendo egli con nuovo ardore, accadde che avendo la repubblica a mandare un ambasciadore al Papa, egli fu scelto, e molto volentieri, e lietamente con un grande e nobile accompagnamento a Roma se n'andò.
Non era allora per anco il quarto anno compiuto dalla partenza di Manfredi. Ma vedendo egli troppo mal arridergli la fortuna, e disperandone oramai, e pungendolo il desiderio della amata vista, e ridotto poi anco dalla sperienza a più prudenti pensieri, lasciati i sogni e le immaginazioni, facea ritorno alla patria con animo di offerirsi quale era povero cavaliero a povera fanciulla, e colle poche sostanze e il molto amore, viversi insieme felici. Baciò approdando dalla nave genovese il dolce suolo d'Italia: palpitavagli il cuore cavalcando ad ogni terra ed ogni luogo ch'egli veniva riconoscendo per via; e come riconobbe i paesi all'intorno di sua città, e i campi testimonii di sua fanciullezza e del suo amore, e poi le torri e le mura, e finalmente le case, e quella dell'amata, poco mancò che non potesse proseguire e cadesse. Pur facendosi cuore, giunse, e precipitò di sella, e montò le scale, e fu nella cameretta delle donne, che diedero un grido, e la fanciulla cadde, e la madre sclamando: «Siete voi dunque? voi già? voi che morto quasi tenemmo? deh perchè a questo modo?» e simili tronche parole, correva alla figliuola e sorreggevala sulle braccia e la soccorrea. Soccorrevala Manfredi, e a poco a poco facevanla riavere; ed ella apriva gli occhi e buttava le braccia al collo a lui, e pendendone dava in un dirottissimo pianto. Piangeva egli, e diceva: «Non quale promettevo già, fo io ritorno; povero, ignoto com'io mi partiva;» e poi miravala, e quasi non la riconoscea, tanto mutata era da quella ch'egli avea lasciata; e meravigliandosi e rimirandola più e più, mise gli occhi al bel collo e non gli venne veduta la croce. Ritraevasi allora alquanto, e ricompiangea sua mala ventura, e mostrava la fascia del proprio sangue invano macchiata, e chiedea della croce, e le donne glie ne dicevano la storia, ora meno che mai intesa da esse; e come, avendola perduta, aveanlo tolto ad augurio quasi certo di morte; e questo era che avea tanto afflitta e martoriata la povera Francesca, che quasi n'era per morire. «Deh non sia ora troppo tardi!» e ricominciava la madre a dolcemente dolersi della sua venuta troppo repentina rispetto alla debolezza della fanciulla; e dicendo la fanciulla di no, e che ella or si riavrebbe, ora tornerebbe quella di prima, ed altre cose simili, finalmente il cavaliero si partì da esse, e fece alla propria casa ritorno. Nè dirovvi come e quanto bene vi fosse accolto dal fedel servo; benchè meravigliato anch'egli del ritorno improvviso del padrone, e men lieto forse che questi non s'aspettava. Nè è cosa poi che tanto accori quanto, tornando in patria, trovar le cose e gli uomini diversi non solo da ciò che s'era lasciato, ma anche da ciò che di quella diversità s'era immaginato. Che se io fossi uno di questi narratori di novelle, che so io, io qui vi ridirei tutte le ciarle del buon vecchio, e le risposte del padrone, e come di una in altra cosa, od anzi da ogni cosa tornando sempre alla medesima, cioè all'amore, ed a Francesca, in ultimo venne a dire, aveva saputo dalla serva che, assente lui, s'era presentato Rambaldo, e l'avea chiesta in isposa, e veramente era stato ributtato, ed egli credeva assolutamente; pur la serva aggiugnea che non era tutto finito, massimamente che Manfredi tenevasi morto, ed elle n'avean preso quasi certo segno la croce, che dicevano sparita; ma egli non ne aveva mai creduto nulla ed aveva pensato che la madre l'avesse forse tolta ella per isviar la fanciulla dall'antico amore, e rivolgerla al nuovo. Della figlia si vedeva dal suo languire la sincerità; tuttavia le donne son sempre donne; pensasse egli bene prima di risolversi; gran carico in povertà donna e fanciulli; e tornava a dire, che prendesse informazioni, badasse bene, e che so io; cose e reticenze, che quasi fecero impazzire lo infelicissimo giovane. Nè ebbe posa che uno o due giovani compagni suoi antichi non trovasse; ma uno già del suo amore confidente, parea nol volesse più essere; e schermivasi dal rispondere, o rispondea come il vecchio. L'altro che non ne sapea nulla, messo in discorso sopra Francesca, e come così bella fanciulla non avesse per anco marito, e che dovea almeno aver amatori, rispose più apertamente; essersi non so che detto di lei e di Rambaldo, e non sapeva a che ne fossero; ma certo questi aveva a lui ed altri giovani mostrato loro una tal croce, che tutti aveano per l'innanzi veduto sempre al collo di lei. «Menti» fu per dire il trafitto Manfredi, e per trarre il ferro, e vendicar l'ingiuria fatta all'amata. Ma troppo chiara la verità, troppo inutile la disdetta, troppo certo, troppo scellerato il tradimento, troppo inevitabilmente infelice egli. Tennesi quindi un istante; poi, per non isvelar l'angoscia, partì dall'amico, e tornò a casa; e fatta ripor la sella al cavallo, ed indossate l'armi di nuovo, senza rispondere parola al buon vecchio, abbassata la visiera, molle il volto di cocenti lacrime, quasi senza scorgere sua via, nè saper dove andasse, per deserti calli, la sera del medesimo giorno ch'era giunto, ripartì.
Intanto Rambaldo avea felicemente compiuta l'ambasceria, ed era per tornare molto lieto alla città; se non che essendo allora il tempo della settimana santa, egli volle per anco fermarsi a Roma, dove sempre fecersi quelle funzioni bellissime più che in niun paese della cristianità, ed anche poi per far sua pasqua. Perchè ricordatevi quello che io vi dissi di Rambaldo; e tutti poi ne conosciamo di questi che più di undici mesi si divertono col demonio, e per un quindici dì rifanno pace con Dio; ed altri peggiori che tutto l'anno vanno dall'uno all'altro; ed altri pessimi, che in verità sendo sempre del demonio, fingono essere tutti di Dio. Rambaldo poi era solamente de' primi, e cercando un prete da confessarsi; s'accusò sinceramente de' suoi peccati, anche di quelli che credea più veniali, e fra gli altri di questo che erasi dato vanto su una fanciulla, e le avea fatto involare certa croce per mostrarla; ma era pronto a fargliela restituire. «E 'l onor tolto siete voi pronto a restituirlo?» disse il buon religioso. E Rambaldo: «Come si fa? Nè io 'l dissi deliberatamente per torle l'onore, nè credo glie l'abbia potuto tôrre, nè saprei come ora raccapezzare tutti i giovani appo i quali io me ne facea bello, nè parmi cosa da meritare disdetta, ed è di quelle che rimescolandole peggiorano.» Ma rispondea il religioso: grave peccato la calunnia anche piccola; non il calunniatore, ma il calunniato solo giudice del danno arrecato; essere la riparazione necessaria, urgente; doversi intiera finchè è possibile; gridar vendetta al tribunale di Dio la morte dell'innocente calunniato; stolto il credere gl'innocenti satisfatti della propria coscienza; la quale è tutto, sì, dinanzi al sapientissimo Iddio, ma presso agli uomini ingiusti ed ignoranti è un nulla; anzi i più teneri di coscienza tanto più teneri dell'onore; epperciò tanto più crudele loro involarlo. – Colle quali parole, e con di molti begli esempi tratti dalla Scrittura e dalle vite dei Santi, sforzavasi il buon prete trarre il peccatore alla dovuta risoluzione, ed alla disdetta ch'egli ponea pure quasi sola penitenza. Ma non vi fu verso che Rambaldo vi si volesse ridurre. E partitosi non assolto, andò poi da un altro prete, e poi da un altro, e tutti gli dicevano il medesimo e la medesima penitenza gli davano. Ed egli non la volendo pur fare; e come era uomo di guerra, poco dotto in teologia e casi di coscienza, pensando che il Papa, il quale può tutto nella Chiesa, potesse pure assolverlo da questa penitenza; e perchè avea con esso trattato molto amichevolmente, sperando averne questa grazia, fu da esso, e domandollo che lo volesse confessare. Il Papa, che molto santo uomo era, e non che questo od ogni altro gran signore, ma qualunque più misero peccatore avrebbe confessato, disse, che volentieri; e l'udì. E venuto alla penitenza, pur gli pose la medesima che gli altri confessori. Allora disse Rambaldo: «Santo Padre, come avete potuto udire, ei non è stato nella mia confessione peccato così grave, nè caso riservato ch'io non potessi a qualunque più umile fraticello dire, e averne facilmente l'assoluzione: nè per altro mi sono io, voi isturbando, a' vostri piedi santissimi prostrato, se non per ciò che per questo peccato, dell'aver mal parlato di quella fanciulla, tutti i confessori mi vogliono dare la medesima penitenza: la quale io veramente per ora non mi sento molto disposto di fare; onde bramerei che la vostra Beatitudine, usando la sua suprema potestà, me ne dispensasse, e mutassela in qualunque altra; ch'io son pronto a fare, di preghiere, opere pie, limosine, e se fosse mestieri, che veramente non parmi, di pellegrinaggi; i quali con gran disagi intraprenderei, anzichè ridurmi a quella umiliazione della disdetta, troppo dura a un cavaliero.» Il Papa udendo questo, benchè molto gli dolesse rimandar un amico suo non contento, e più un cristiano non assolto, pur gli disse che non poteva, e volle fargli intendere la distinzione tra le regole di giustizia e quelle di disciplina; e come ei poteva dispensare da queste, non da quelle. Ma il cavaliero o non intendeva o non voleva intendere, e contendeva col Santo Padre. Il quale in ultimo, quasi da celeste ispirazione compreso: «O figliuolo», diceva, «sallo Iddio quanto mi dolga vedere in questa ostinazione un cavaliero altrimenti così buono, e della Chiesa Romana così meritevole. Deh che non posso far io per voi questa penitenza, e per me servo de' servi del Signore prendere questa umiliazione che a voi tanto incresce, ed è pure la sola che possa oramai darvi pace con Dio, e con voi stesso? Perchè queste sono umiliazioni che innalzano; e chiamata dal mondo viltà, questa è fortezza. Ma posciachè non è conceduta tal efficacia a mie parole da potervici persuadere, io ben credo che Iddio pietoso per la salute vostra, e in considerazione dell'altre vostre bontà mi spiri di darvi ora un'altra penitenza, la quale compiuta, io confido, Egli voglia perdonarvi questo e gli altri vostri peccati. E fia la penitenza che, come siate tornato alla vostra città, la prima notte che vi passerete, poi la passiate intera vegliando, e divotamente pregando nel duomo. Or faretelo voi?» «Certo sì» rispose il cavaliero, al quale non parea vero uscirne a sì poco costo. «Ed io» disse il Papa «così vi dono condizionale assoluzione; e quando abbiate compiuto la penitenza, vi fieno rimessi i vostri peccati; e vi prolungo la pasqua a quel tempo, che allora la potrete fare.» E così, dette le solite parole, e fatte le solite preghiere, e baciato il piede al Papa, partivasi molto lieto di aver il suo intento ottenuto Rambaldo dal santo tribunale, e poi di Roma; e col suo séguito alla sua città si avviava.