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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II

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CAPITOLO XXVI

Il 1870 – Digione – Entrata in Roma

Sul principio del 1870, scoppiavano una dietro l'altra, le notizie dell'anno terribile; l'antico duello tra Francia e Germania ripreso; il primo esercito francese distrutto a Worth e a Gravelotte; il secondo annientato a Sedan; l'imperatore stesso fatto prigioniero; l'impero caduto e in Francia la repubblica proclamata; gli eserciti di Germania sotto le mura di Parigi.

La Francia, troppo grande per darsi vinta, faceva sforzi eroici per rialzarsi.

Mentre il governo italiano spinto dall'unanime sentimento del partito liberale si apprestava alla conquista di Roma, Garibaldi offriva la sua spada alla repubblica francese. Ma al governo della difesa nazionale non giunse gradita l'offerta, e l'avrebbe respinta se il generale Bordone, amico di Garibaldi, non si fosse assunto l'incarico e la responsabilità di scrivergli che sarebbe stato accolto a braccia aperte dal popolo francese.

Saputo che il generale voleva andare in Francia, Elia, che con molti altri era pronto ad accompagnarlo, gli scriveva che esso e i compagni aspettavano una sua chiamata, desiderosi di seguirlo; contemporaneamente scriveva all'amico Canzio che così rispondevagli:

Genova, 28 settembre 1870.

Mio carissimo Elia,

"Il generale è prigioniero a Caprera e Menotti a Catanzaro, e in Francia non ci vogliono.

"Codesti novelli Bruti, che oggi reggono la cosa pubblica in Francia, vogliono diplomatizzare e non pensano a prepararsi a lotta suprema, che abbia per obbiettivo, la cacciata dell'invasione straniera.

"M'ingannerò, ma essi non servono, come dovrebbero, la Francia e la causa repubblicana.

"Alla generosa e patriottica offerta del generale non risposero ancora; allo slancio dei volontari contrappongono ordini rigorosissimi ai consoli e ai confini donde siamo rimandati.

"Domani avrò lettera dal generale e ordini suoi, che immediatamente ti comunicherò; per ora io ti consiglio a non muoverti.

"Saluto gli amici.

"Aff.mo tuo
"S. Canzio".

E così Elia e gli amici, che sarebbero andati con lui, non si mossero.

Coloro che seguirono il generale Garibaldi tennero alto anche una volta il valore italiano fugando a Digione le schiere degli invasori, vendicando in modo così generoso il fratricidio della repubblica Romana ed il fatto di Mentana.

Nobile sangue italiano fu versato sul suolo francese ed è titolo di gloria il rammentare, che l'unico trofeo che si conserva in Francia di quella guerra disastrosa, è la bandiera del 61o reggimento prussiano strappata sotto un grandinare di palle dai garibaldini, comandati da Ricciotti Garibaldi.

Ecco quello che Garibaldi dice nel suo libro: "Memorie Autobiografiche" della Campagna di Francia.

"Il governo della difesa nazionale, composto di tre onesti individui meritevoli della fiducia del paese, mi accolse perchè imposto dagli avvenimenti, ma con freddezza; coll'intenzione manifesta di volersi servire del mio povero nome, ma non altro; privandomi dei mezzi necessari a che la cooperazione mia potesse riuscire utile.

"Gambetta, Cremieux, Glain-Bizoin individualmente furono con me gentili; ma il primo, più di tutti, da cui avrei dovuto aspettarmi un concorso energico, mi lasciò in abbandono durante un tempo prezioso.

"Nei primi di settembre 1870 fu proclamato il governo provvisorio in Francia, ed io il 6 di quel mese offrii i miei servizi a quel governo; e quel governo stette un mese senza rispondermi; tempo prezioso in cui si sarebbe potuto far molto, e che fu intieramente perduto.

"Solo ai primi di ottobre seppi che sarei stato accolto in Francia, ed il generale Bordone, a cui solo si deve la mia accettazione, venne a cercarmi in Caprera col piroscafo la Ville de Paris, capitano Condray, sul quale giunsi a Marsiglia il 7 ottobre.

"Esquiros, prefetto dell'illustre città e la popolazione entusiasmata mi accolsero festosamente; un telegramma del governo di Tours mi chiamava immediatamente presso di sè.

"A Tours perdetti vari giorni per l'indecisione del governo, e mi trovai sul punto di dovermene tornare a casa, perchè compresi che ero poco gradito; l'incarico che si voleva darmi, quello di organizzare alcune centinaia di volontari italiani che si trovano a Chambery ed a Marsiglia, lo dimostrava.

"Dopo controversie coi signori del governo, mi recai a Dôle per raccogliervi quegli elementi d'ogni nazionalità che dovevano servire di nucleo al futuro esercito dei Vosges.

"I Prussiani marciavano su Parigi dopo Sédan, e naturalmente sul loro fianco sinistro, ove s'addensavano le nuovo reclute della Francia, essi dovevano tenere dei fiancheggiatori, e questi più volte comparvero sino nei dintorni di Dôle, ove tenevo pochi uomini in via d'organizzazione, poco equipaggiati, e, quel che è peggio, per molto tempo male armati; il nostro contegno, comunque, fu energico, prendendo posizione a Mont Rolland prima, e poi nella Foret de la Serre, dimodochè Dôle rimase inviolata per tutto il tempo che noi vi soggiornammo.

"Da Dôle ebbi ordine in novembre di portarmi colla mia gente nel Morvan, minacciato dal nemico, assieme all'importante stabilimento metallurgico del Creuzot.

"Io scelsi Auton per porvi il mio quartier generale; l'arrivo degli Italiani di Janara e di Ravelli, di alcuni Spagnoli, Greci, Polacchi, e di alcuni battaglioni di mobili cominciò a rialzare l'effettivo del nostro piccolo esercito, perchè avemmo alcuni pezzi da montagna, due batterie di campagna e alcune guide a cavallo; la maggior parte d'italiani.

"Si organizzarono tre brigate; la prima comandata dal generale Bossack; la seconda dal colonnello Delpeck che poi passò sotto gli ordini del colonnello Lobbia, e la terza comandata da Menotti; la quarta brigata sotto il comando di Ricciotti, si componeva da principio di sole compagnie di franchi tiratori, operanti in colonne volanti, e sull'ultimo della campagna venne accresciuta con alcuni battaglioni di mobilizzati. Capo di Stato Maggiore dell'Esercito fu il generale Bordone, che in occasione di mia infermità supplì me stesso in ogni circostanza; Capo del mio quartier generale fu il colonnello Canzio, sinchè prese il comando della quinta brigata alla quale aggiunsi la prima, dopo la morte del generale Bossack; comandante dell'artiglieria fu il colonnello Olivier.

"I due nostri squadroni di guide furono comandati dal Forlatti; il dottore Timoteo Riboli fu capo dell'Ambulanza; comandante di piazza presso il quartier generale il tenente colonnello Demag; capo del genio il colonnello Gauklair.

"Con tale organizzazione alquanto improvvisata, movemmo verso la metà di novembre per Arnay-le-Duc e la Valle dell'Ouche che scende a Dijon, ove si trovava l'esercito prussiano di Werder che minacciava la vallata del Rodano, e che teneva i suoi avamposti verso Dôle, Nuits, Soubernon, taglieggiando con delle scorrerie tutti i paesi circonvicini.

"Il sedicente esercito dei Vosges, forte di circa ottomila uomini, marciava dunque contro l'esercito vittorioso di Werder di circa ventimila uomini con molta artiglieria e cavalleria.

"I nostri tiratori impegnarono subito varie scaramuccie di non grande rilievo, eccettuata la brillante impresa di Ricciotti su Châtillon sur Seine, e quella d'Ordinarie. Nella prima, i franchi tiratori della quarta brigata eseguirono una magnifica sorpresa, la quale è narrata nell'ordine del giorno seguente:

ORDINE DEL GIORNO

"I franchi tiratori dei Vosges, i cacciatori dell'Isêre, i cacciatori delle Alpi (Savoiardi), il battaglione del Doubs, ed i cacciatori dell'Hâvre che sotto la direzione di Ricciotti Garibaldi han presa parte all'affare di Châtillon, hanno ben meritato della Repubblica.

"In numero di quattrocento essi assalirono circa mille uomini, li sconfissero, fecero loro centosessantasette prigionieri, fra cui tredici ufficiali, presero ottantadue cavalli sellati, quattro vetture d'armi e munizioni e il carro della posta. I nostri ebbero sei morti e dodici feriti, assai più i nemici. Raccomando i prigionieri alla generosità francese.

"Arnay-le-Duc, 21 novembre 1870.

G. Garibaldi".

"Eravamo alla metà di novembre e nulla si era ancora da noi operato d'importante; qualche cosa conveniva fare.

"Misurarsi in un attacco di giorno contro l'esercito di Werder che occupava Dijon, sarebbe stata una stoltezza, si poteva fare un tentativo di notte. Di notte la diversità delle armi spariva, giacchè anche in Francia c'eran toccati i soliti ferracci, e questi nelle tenebre potevano sembrare fucili ad ago, con cui erano armati i nemici; oltre che io avevo per massima che non si deve sparare in un attacco di notte, massime da militi nuovi.

"La mattima del 26 novembre, essendo io montato a cavallo a Lantenay per riconoscere quell'altipiano, mi trovavo con lo Stato Maggiore su quelle alture, quando una colonna di più migliaia di prussiani con le tre armi, uscita da Dijon, avanzavasi per la strada maestra verso noi.

"Ordinai a tutte le forze che si trovavano nel villaggio di Lantenay di salire sull'altipiano, e le collocai di mano in mano che arrivavano nei loro posti di battaglia, a destra e sinistra della strada per cui giungevano, lasciando sulla stessa strada alcuni battaglioni in colonna come riserva, e per una carica decisiva, in caso che il nemico si spingesse sino alle nostre linee. La maggior parte della terza brigata, che formava il nerbo delle nostre forze, occupava la sinistra schierata sull'orlo del bosco, con le sue linee di tiratori in fronte sul ciglione della collina che dominava il bosco stesso. Le riserve nella strada appartenevano esse pure alla terza brigata.

 

I carabinieri genovesi erano collocati all'estrema sinistra, e la nostra artiglieria composta di una batteria di campagna, da 4 rigata e di due batterie da montagna, si era collocata alla sinistra dei genovesi in posizione dominante tutte le altre.

"Sulla nostra destra eranvi i franchi tiratori di Lhost che furono poi rinforzati da quei di Ricciotti. La poca cavalleria composta di trenta cacciatori e di alcune guide, s'era collocata in fronte del centro nostro in una depressione del terreno. Si aveva una forza di cinquemila uomini in tutto.

"Nel combattimento di Lantenay, 26 novembre 1870, non prese parte nè la prima nè la seconda brigata. La prima, perchè nel giorno anteriore, verso Fleury in conseguenza di quel combattimento, erasi ritirata su Pont de Pany. La seconda era in marcia ed arrivò il 27 a Lantenay.

"Il reggimento Ravelli della terza brigata, composto d'italiani, era pure assente, trovandosi verso l'Ouche.

"Occupato Paque dal nemico, io feci avanzare due pezzi della nostra artiglieria sostenuti da alcune linee di tiratori, che cacciarono con pochi tiri il nemico dal villaggio.

"Mentre ciò succedeva, i Prussiani avevano fatto gran mostra delle loro forze schierandole sulle dominanti alture di Prenois. Mentre il loro battaglione si ritirava con precipitazione da Paques, appena sostenuti da alcuni pezzi, non fecero avanzare la superba linea che stava in riserva – "Dunque essi non sono in gran forza!" ecco il ragionamento che io mi feci subito – "Non vengono? ebbene andiamo noi a trovarli". – Mi decisi quindi di attaccarli, e marciammo risolutamente contro il nemico, colla stessa ordinanza di battaglia con cui lo avevamo aspettato nelle posizioni nostre.

"I nostri franchi tiratori di destra caricarono la sinistra nemica bravamente, minacciando di avvolgerla. La terza brigata avanzava in ordine perfetto, colle sue linee di bersaglieri al fronte, seguita da colonne di battaglioni così serrate da destare invidia ai soldati i più agguerriti.

"Io andavo superbo di comandare tale gente contemplando la bell'ordinanza su di un campo di battaglia vero, e tanta intrepidezza da parte dei miei giovani fratelli d'armi.

"Le artiglierie nemiche collocate sulle alture di Prenois, fulminavano le nostre linee, come sanno fare i pezzi prussiani; eppure non si scorgeva nei centri la minima esitazione; nessuna ondulazione nelle linee, ammirabile il loro contegno; l'energia, la fermezza e la fredda bravura delle truppe repubblicane, scossero l'impassibile intrepidezza dei vincitori di Sédan; e quando essi videro che non si temevano le loro granate, ma si avanzava coraggiosamente e celeramente alla carica, cominciarono la loro ritirata su Dijon. Due sole nostre compagnie che avevano fiancheggiato il villaggio sulla destra in sostegno della nostra cavalleria, caricarono insieme un battaglione di riserva prussiana, che con due pezzi d'artiglieria era rimasto indietro, per proteggere la ritirata, cagionandogli forti perdite. Si distinsero in quella carica il colonnello Canzio ed il comandante Boudet, che entrambi ebbero morti i cavalli.

"Lo spirito dei miei militi era stupendo; eravamo stati sì felici nella giornata che io presi la risoluzione di tentare un colpo disperato, che riuscendo avrebbe potuto rialzare le sorti della sventurata repubblica e forse obbligare il nemico ad abbandonare l'assedio di Parigi, vedendosi minacciato sulle principali sue linee di comunicazione. Ma quali mezzi aveva posti in mia mano il governo della difesa? Io rabbrividisco pensandovi! Era troppo presumere, sperando una vittoria! Però in una notte piovosa della fine di novembre pensai di fare un tentativo, confidando che in caso di non riuscita avremmo avuto tempo sufficiente per ritirarci: decisi l'attacco. L'inaspettata aggressione produsse in Dijon una qualche confusione; ma, sia detto in onore della Germania, i numerosi corpi ivi stanziati, scaglionaronsi prontamente nelle forti posizioni di Talant, Fontaine, Hauteville, Daix e ci ricevettero con una grandine tale di fucilate, come non vidi mai l'eguale.

"I miei giovani militi tennero testa e compirono quanto si poteva compiere in tale circostanza. I posti esterni dei prussiani furono assaliti uno dopo l'altro, conquistati e distrutti malgrado una fiera difesa.

"La mattina i nostri cadaveri si trovavano ammonticchiati sui cadaveri dei nemici, la maggior parte di questi forati da bajonette, giacchè l'ordine era di non sparare.

"Giunti, sotto Talant, il fuoco nemico era troppo formidabile per poterlo superare e si dovette ripiegare a destra ed a sinistra della strada maestra, per scansare i tiri diretti che la solcavano orribilmente e facevano strage.

"Il nostro assalto alle posizioni di Dijon cominciò verso le sette pomeridiane; era molto buio e tempo piovoso. Sino alle 10 ebbi molta fiducia di riuscire; ma scorsa quell'ora i capi della mia avanguardia mi fecero sapere essere inutile persistere nell'assalto, essendo spaventosa la resistenza del nemico ed impossibile fare avanzare la nostra gente. Con reluttanza mi dovetti conformare alle asserzioni dei miei fidi e dovetti ordinare la ritirata che per essere di notte potè effettuarsi senza perdite. Il nemico non si mosse dalle sue posizioni e noi non fummo disturbati.

"Luogo di concentramento di tutti i corpi in ritirata del sedicente esercito dei Vosges su Autun.

"Il 1o decembre il nemico, imbaldanzito dalla nostra ritirata, venne di sorpresa ad attaccarci ad Autun. Collocate le loro artiglierie sulle alture di Saint Martin cominciarono a fulminarci – Era verso il mezzogiorno.

"Feci collocare i nostri diciotto pezzi in posizione dominante quella nemica e questi serviti con ardore e bravura dai nostri giovani artiglieri, tempestarono di projetti l'avversario e lo obbligarono dopo più ore di combattimento, a portare indietro i propri pezzi.

"Alcune compagnie di franco tiratori ed alcuni battaglioni di mobili lanciati sul fianco sinistro dei Prussiani, completarono la giornata, ed il nemico fu obbligato a ritirarsi.

"A Autun servimmo di cortina e protezione ai due movimenti di fianco che si operarono da Chagny a Orleans dal generale Crousat, e dal grande esercito della Loira, comandato dal generale Bourbaky verso l'est. In conseguenza del movimento del generale Bourbaky, i prussiani abbandonarono Dijon, e noi l'occupammo con alcune compagnie di franchi tiratori e dipoi con tutte le nostre forze".

Prima di abbandonare Autun il generale consegnava a suo figlio Ricciotti il seguente:

ORDINE DEL GIORNO

"Partendo da Autun devi pigliare la direzione di Sémur e di Montbard per turbare le comunicazioni del nemico, il quale occupa Troyes e Auxerre, e di quello che occupa Dijon.

"Potendo arrivare a Montbard, Châtillon, Chaurmont, Neufcháteau, sulla gran linea delle comunicazioni dell'inimico, la quale va da Strasburgo a Parigi, l'operazione diventerà molto più ardua e più importante.

"All'uopo di compiere con successo tale missione ci vogliono militi ad hoc, cioè uomini forti ed agili; quanti nol fossero debbono rimanere ad Autun nei depositi, ove serviranno di nocciolo per l'istruzione dei nuovi franchi tiratori.

"Sorpassati gli avamposti del nostro esercito verso il nord, i tuoi movimenti hanno sempre ad effettuarsi di notte.

"Che l'aurora ti trovi sempre imboscato preferibilmente nei lembi dei boschi, sempre pronto a sorprendere gli esploratori nemici, i loro corrieri, o le loro vettovaglie, e sempre a portata dei boschi e delle montagne, per assicurarti la ritirata.

"Non essendo punto possibile il trar carri e muli con munizioni di riserva, ciascun milite deve curare diligentemente le proprie cartuccie, epperò sparare di rado e bene.

"Ti raccomando severissimamente un buon contegno cogli abitanti, i quali devono amare e stimare i militi della repubblica. Amati dagli abitanti si avranno facilmente buone guide, il che non deve mai mancarti, come pure esatte informazioni delle posizioni del nemico, delle sue forze, ecc.

"Giunto sulle linee di comunicazioni di lui, urge distruggervi le vie ferrate e i telegrafi.

"Venendoti fatto di distruggere quella da Strasburgo a Parigi, sarebbe un vero colpo di mano.

"Mi riprometto da te ogni notizia che possa interessarmi, sia mediante telegrafo, sia in qual'altro modo che ti sarà possibile.

"Ottocento uomini sono troppi per tenerli tutti uniti; bisogna dunque suddividerli, e non adoperarli uniti, che quando si tratti di un fatto serio.

"Epperò tu devi a tal'uopo munirti di buone carte dei luoghi e dei dipartimenti che occupi, le quali tu domanderai alle autorità municipali.

"Incalzato, o inseguito da forze superiori, spartirai i tuoi in tanti piccoli distaccamenti, i quali inganneranno il nemico, pigliando direzioni diverse, e ai quali tu indicherai un punto di ricongiungimento.

"Autun, 11 novembre.

G. Garibaldi"

Questo dispaccio è di una grandissima importanza storica, giacchè si è tentato di accusare Garibaldi di non avere prestato il suo concorso all'armata dell'est comandata dal generale Bourbaky, mentre le mosse eseguite da Garibaldi, sostenute da combattimenti, provano il contrario.

I fatti furono i seguenti:

Il generale Bourbaky, comandante l'armata dell'est (quello che passò in Svizzera con 120,000 soldati francesi) si era mosso per accorrere in aiuto di Belfort, piazza fortificata fra il Doubs e l'Oignon nei Vosgi; mossa ardita che avrebbe invertite le sorti della Francia, se questa manovra fosse riuscita.

La stampa francese volle censurare il generale Garibaldi nientemeno di tradimento, per avere permesso, secondo essa, al corpo del generale Manteuffel di intercettare la linea d'operazione.

Importa notare: che la marcia del generale Menteuffel avvenne nei giorni 21, 22 e 23 gennaio 1871, giorni di sanguinosi combattimenti per l'esercito dei Vosgi forte di 20.000 combattenti italiani, spagnoli e francesi, trattenuti dalla forze imponenti del generale Kettler.

Il giorno 24 fu impiegato a riordinare le truppe alquanto scompaginate dai combattimenti. Il giorno 25 di primo mattino il colonnello Baghina partiva con gli ordini ricevuti alla testa di 12 compagnie ed un mezzo squadrone di cavalleria alla volta di Auxosnne, e la sera del 26, il Monte-Roland, chiave di Dôle cadeva in potere delle truppe comandate dal Baghina, per il qual fatto la via di ritirata a sud-ovest era aperta all'armata del Bourbaky.

Questo avveniva per le disposizioni strategiche e previdenti di Garibaldi, mentre la divisione comandata dal Crenier villeggiava inoffensiva tra Gray, Vesoul e Montebouzon, senza utilità alcuna per la Francia.

E il generale Garibaldi continua così:

"Il movimento del generale Bourbaky ben ideato era d'impossibile esecuzione, perchè le condizioni di quel grande esercito erano assolutamente disastrose.

"Venti giorni di più di organizzazione o di riposo, passata la terribile stagione della neve e dei ghiacci di gennaio, quel numeroso e giovane esercito avrebbe potuto ravvivare le speranze della Francia esausta e prostrata: invece esso fu sprecato e distrutto in modo orribile.

"Il movimento di Manteuffel parallelo a quello di Bourbaky, per ingrossare le forze di Werder e degli assedianti di Belfort, mi era noto: e io avrei fatto tutto il possibile per arrestarlo nella sua marcia di fianco. Mi vi provai, ed ero uscito da Dijon col nerbo delle mie poche forze per attaccare il nemico a Is-Sur-Till, lasciando al comando della città il generale Pellisier; ma le forti colonne che mi stavano di fronte mi persuasero a ripigliare le primitive posizioni: nondimeno due delle mie quattro brigate, la seconda e la quarta, operavano sulle comunicazioni del nemico, congiuntamente a tutte le compagnie dei miei franchi tiratori.

"Deciso di difendere Dijon, la mia prima cura fu di continuare le opere di fortificazione che erano state incominciate dai Prussiani.

"Le posizioni di Talant e Fontaine che dominano la strada principale che va a Parigi, furono le prime ad essere coronate da opere volanti e vi si collocarono a Talant due batterie di campagna da 12 e due da 4, a Fontaine una batteria di 4 di campagna ed una di montagna dello stesso calibro. Altre batterie da 12 si collocarono in altre opere innalzate a Montemuzard Monthappè, Bellair, e in altre posizioni nella cinta di Dijon, per tener lontani i fuochi del nemico in caso di attacco, che io mi aspettavo da un giorno all'altro.

"Difatti il 21 gennaio il nemico ci attaccò dalla parte di ponente.

 

"Con forti posizioni, coperte da muri e ripe, con linee di tiratori a destra e a sinistra della strada maestra, e con trentasei pezzi di artiglieria collocati sulle formidabili posizioni di Talant e Fontaine, la nostra difesa riuscì brillantissima. La formidabile colonna che ci venne dalla parte di Parigi poteva ben chiamarsi una colonna di acciaio! Furono appena bastanti a fermarla i nostri trentasei pezzi infilanti la strada e varie migliaia dei nostri migliori tiratori, distesi dietro i ripari. L'attacco fu veramente formidabile; io vidi in quel giorno soldati nemici, come mai avevo veduti migliori. La colonna che marciava sulle nostre posizioni dal centro, era ammirabile di valore e di sangue freddo. Essa ci giungeva sopra, compatta come un nembo a passo non accelerato, ma uniforme, con un ordine ed una pacatezza spaventevoli.

"Questa colonna, battuta da tutte le nostre artiglierie in infilata e da tutte le linee di fanteria in avanti di Talant e Fontaine lateralmente alla strada, lasciò il campo coperto di cadaveri, e per varie volte riordinandosi nelle depressioni del terreno, essa ripigliava l'attacco, collo stesso ordine e pacatezza ammirevole.

"Che famosi soldati!

"Molto valore mostrarono pure i nostri in quella memoranda giornata e furono veramente degni dei nemici che ci assalivano.

"La battaglia durò dalla mattina sino al tramonto, con quanto accanimento fosse possibile da una parte e dall'altra e senza vantaggio marcato di nessuno. Al tramonto noi eravamo padroni delle nostre posizioni ed il nemico stava nelle sue.

"Il 22 l'attacco si ripetè con eguale accanimento; la valanga dei prussiani era sì grande che fummo minacciati d'esserne sepolti.

"Verso la metà della giornata, ci minacciarono di un attacco su Fontaine, e v'inviarono alcuni battaglioni, fingendo un assalto, ma subito dopo comparvero a settentrione sullo stradale di Langres in due colonne, e con altre forti colonne di fiancheggiatori da Levante verso Montmuzard, a Saint-Apollinaire.

"L'attacco sulla via di Langres fu formidabile, degno del terribile esercito che ci stava di fronte; quasi tutti i nostri corpi piegavano, meno la quarta brigata che si sostenne fortemente in una fabbrica di nero animale, munita di un chiuso, ove si eran praticate delle feritoie. Alcune centinaia di militi della terza brigata in formazione, già decimata nel combattimento del 21, sostennero pure l'urto in uno stabilimento contiguo più indietro e si riunirono poi alla quarta. Questi corpi rimasero per un pezzo avviluppati dal nemico, per la ritirata della nostra ala destra.

"Avendo il nemico collocate le sue artiglierie sulla prima collina che domina Pouily e Dijon a tramontana e tirando con quella maestria a cui ci avevano assuefatto i prussiani, smontarono in poco tempo tutti i nostri pezzi del centro collocati sullo stradale e lateralmente, rispondendo con qualche tiro da parte nostra i due pezzi di Montmuzard, e due del Montechappè ed altri due che si collocarono su di una strada obliqua allo stradale sulla destra, quando si vide l'impossibilità di tenerli nella prima posizione, fulminata dalle artiglierie nemiche.

"Verso il tramonto la nostra situazione era delle più critiche; i prussiani padroni del campo, minacciavano di assaltare la città. Ai nostri corpi che si ritiravano si procurava di assegnare posizioni più indietro presso la cinta, con buoni recinti alcuni dei quali muniti di feritoie; ma invano: questi presi da panico non pensavano che mettersi in salvo, spargendo l'allarme in città e lo spavento dovunque.

"La nostra estrema sinistra, formata per la maggior parte della terza brigata, e situata a Talaut e Fontaine, alla vista della ritirata del centro, aveva spinto i suoi franchi tiratori sulla destra nemica, e marciava risolutamente per sostenerlo; sull'imbrunire alcuni corpi di mobilizzati sulla nostra destra, spiegandosi energicamente su Pouilly, obiettivo principale del campo di battaglia, ricacciarono il nemico dal terreno conquistato, e lo respinsero sino al di là del Castello. In tal modo la quarta brigata, cui si doveva l'onore della pugna, venne sbarazzata dal nembo nemico che l'aveva avvolta da un pezzo; anzi, onore maggiore, nel respingere i reiterati assalti del 61o reggimento prussiano, e combattendo corpo a corpo, essa pervenne a togliergli la bandiera che, eroicamente difesa e sepolta sotto un monte di cadaveri, fu con altrettanto ardimento conquistata dai nostri, che la vollero trofeo del valore italiano.

"Io mi sono trovato presente a pugne ben micidiali, ma certamente, poche volte ho veduto sì gran numero di cadaveri ammonticchiati su piccolo spazio, come ne vidi in quella posizione a tramontana, occupata dalla quarta brigata e da parte della quinta.

"Nelle prime ore della notte il nemico era in piena ritirata, e per vari giorni ci lasciò tranquilli a Dijon avendo sgombrato pure i villaggi circostanti che furono occupati da noi.

"Le notizie dell'armistizio, e poscia della capitolazione di Parigi, e finalmente l'emigrazione dell'esercito di Bourbaky in Svizzera, cambiarono la faccia delle cose.

"Il nemico, libero dall'assedio di Parigi e dell'esercito dell'Est passato in Svizzera, cominciava ad ammassare su di noi forze imponenti, e, malgrado tutte le opere di difesa da noi eseguite, esso avrebbe finito per ischiacciarci ed attorniarci, come aveva fatto a Metz, a Sedan, ed a Parigi.

"Per ordine del governo di Bordeaux dovevasi trattare coi Prussiani per l'armistizio, ed il generale Bordone capo del mio stato maggiore, si recò più volte al campo nemico; ma il risultato della sua missione fu, che per noi non vi era armistizio.

"Dal 23 gennaio al 1o febbraio ci tenemmo come meglio si potè nella capitale della Borgogna in tutte le nostre posizioni. Il nemico aveva capito che per scuoterci occorrevano grandi forze, e ne accumulava molte, tanto che alla fine di gennaio, le sue colonne occupavano con grandi masse il nostro fronte, e cominciavano a stendersi per avviluppare i nostri fianchi. L'esercito di Manteuffel, libero di quello dell'est di Bourbaky, scendeva verso la vallata del Rodano, e minacciava la nostra linea di ritirata.

"Il 31 gennaio si cominciò a combattere verso la nostra sinistra dal mattino, e si continuò sino a notte avanzata. Il nemico ci tastava su vari punti, prendendo posizioni al di fuori di Dijon per un attacco generale. Alcuni corpi prussiani mostravansi nella valle della Saone, minacciando di prenderci a rovescio per la nostra destra.

"Non v'era tempo da perdere. Noi eravamo l'ultimo boccone, che avidamente solleticava il grande esercito vincitore della Francia, e voleva farci pagare cara la temerità di avergli contrastato per un momento la vittoria.

"Ordinai la ritirata in tre colonne: la prima brigata comandata da Canzio, a cui s'era aggregata la quinta, doveva scendere parallelamente alla strada ferrata di Lione, proteggendo l'artiglieria pesante e il nostro materiale che marciavano in vagoni. La terza brigata con Menotti s'incamminò per la vallata dell'Ouche verso Autun. La quarta preso la via di Saint-Jean di Losne, per la sponda destra della Saone verso Verdun. Il quartiere generale partì in via ferrata dopo avere fissato a Chagny il punto centrale della riunione dell'esercito; i vari altri corpi e compagnie di franchi tiratori distaccati dalle brigate, furono pure dirette al punto di convegno.

"Tutto fu eseguito col migliore ordine possibile, grazie all'attività del capo di stato maggiore, del comandante generale d'artiglieria colonnello Olivier, e dei comandanti dei corpi, senza essere molestati dal nemico.

"Da Chagny il quartier generale passò a Chalons sur Saone, poi a Courcelles".

Dopo la vittoria di Lantenay e la ritirata di Dijon, il generale Garibaldi emanò il seguente proclama:

Ai prodi dell'Esercito dei Vosgi.

"Voi avete certamente la coscienza d'avere compiuto il vostro dovere. Dopo d'aver valorosamente combattuto un nemico superiore di forze per due giorni, voi non abbandonaste il vostro posto d'onore ad onta delle fatiche, delle privazioni e dei rigori di una stagione orribilmente piovosa e fredda.

"Il vostro coraggioso esempio servirà alle giovani milizie che hanno abbandonato il loro posto per inesperienza, e insegnerà loro d'ora innanzi a tenersi più compatte e più costanti, nella missione onorevole che la Francia repubblicana ha loro affidata.