Kitobni o'qish: «Quasi morta», sahifa 4

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CAPITOLO SETTE

Cassie si scostò dalla porta dell’ufficio, sperando che la sig.ra Rossi non si fosse resa conto che lei aveva udito. Si sentiva profondamente scioccata. La giovane impiegata era stata licenziata per un fraintendimento in merito ad una posizione lavorativa?

Non poteva essere l’intera storia. Dovevano esserci altre cose che aveva sbagliato. In ogni caso, Cassie sperava che fosse così. Con un brivido, si rese conto che forse questo era ciò che serviva per costruire un impero, ed era il motivo per cui così poca gente aveva successo. Errori e scuse non erano accettabili. Questo significava che lei sarebbe dovuta stare molto attenta, e fare del suo meglio per non fare casini.

Immaginò se stessa fare qualcosa di sbagliato e la sig.ra Rossi che le urlava quelle tremende parole contro, dicendole di fare i bagagli ed andarsene. Era parsa furiosa, una persona completamente diversa. Cassie non riuscì a non sentirsi dispiaciuta per la sfortunata Abigail, ma ricordò a se stessa che non aveva alcun diritto di giudicare la situazione, e non conosceva niente del loro passato.

Cassie fu felice di vedere arrivare la governante, e potersi così allontanare dalla nervosa conversazione a senso unico che poteva ancora sentire provenire dall’interno dell’ufficio. La donna in uniforme parlava solo italiano, ma le due furono in grado di comunicare a gesti.

Uscirono nel parcheggio, e la donna mostrò a Cassie dove avrebbe dovuto parcheggiare in seguito, in una piazzola coperta dietro la casa. Le diede la chiave del portone e un telecomando peril cancello, poi l’aiutò a portare le valigie al piano di sopra.

Cassie girò in automatico a destra, verso le camere dei bambini, ma la cameriera la richiamò indietro.

“No!” disse, e Cassie fu felice che questa parola fosse identica in italiano.

La cameriera indicò il corridoio dalla parte opposta del ferro di cavallo.

Cassie cambiò direzione, confusa. Aveva dato per scontato che la sua stanza fosse vicino a quelle delle bambine, in modo da poter badare a loro se avessero avuto bisogno. Dal lato opposto dell’enorme casa, non sarebbe stata in grado di sentirle se avessero pianto. La stanza della sig.ra Rossi, al centro del ferro di cavallo, era più vicina.

Ciononostante, aveva già visto quanto fossero indipendenti le bambine, per la loro età, e forse ciò voleva dire che non avevano bisogno di aiuto durante la notte – o se così fosse stato, che si sentissero sicure abbastanza per attraversare la casa e andare a chiamarla.

La sua enorme camera, con bagno privato, si trovava completamente al lato opposto del ferro di cavallo. Guardando fuori dalla finestra, Cassie vide che la stanza si affacciava su un giardino e un cortile, con una fontana ornamentale al centro.

Osservando dall’altra parte dello stesso, riuscì a vedere le finestre delle camere delle bimbe, e a dire il vero, nella luce del tardo pomeriggio, vide la testa scura di una bambina seduta alla scrivania, impegnata con i compiti. Dato che le bambine portavano la stessa coda di cavallo e avevano un’altezza molto simile, non riuscì a capire chi fosse esattamente, perché il retro della sedia copriva il vestito, che l’avrebbe invece aiutata a scoprirlo. Ciononostante, era buona cosa il fatto che potesse vederle anche dalla sua camera lontana.

Cassie voleva fare tutto il giro del ferro di cavallo e conoscere meglio le bambine, così da poter essere certa di partire col piede giusto.

Le bambine, però, stavano facendo i compiti, e poi sarebbero uscite con la madre, perciò avrebbe dovuto attendere.

Allora Cassie si occupò dei bagagli e si assicurò che la stanza e l’armadio fossero in ordine.

La sig.ra Rossi non le aveva chiesto se assumeva qualche tipo di medicinale, perciò Cassie non le aveva parlato delle pillole per l’ansia che la mantenevano stabile.

Mise i flaconi lontano dalla vista, in fondo al cassetto del comodino.

Cassie non si era aspettata di passare la prima sera da sola; si diresse verso la cucina e cercò nei cassetti finché non trovò i menù.

Il frigorifero era pieno di cibo, ma Cassie non sapeva se fosse riservato per pasti futuri, e non c’era nessuno a cui chiedere. Tutto il personale, compresa la cameriera che l’aveva aiutata, sembrava aver terminato il turno per quel giorno. Si sentì a disagio e strana al pensiero di ordinare del cibo per se stessa sul conto della famiglia la sua prima sera, ma decise che sarebbe stato meglio seguire le indicazioni della sig.ra Rossi.

C’era un telefono in cucina, perciò chiamò uno dei ristoranti della zona e ordinò una lasagna e una Coca Light. La cena arrivò mezz’ora più tardi. Non volendo sedersi a mangiare nella sala da pranzo formale, Cassie esplorò un po’. L’area al piano terra aveva molte piccole stanze, e una di loro, che lei ritenne essere una sala da pranzo per bambini, aveva un piccolo tavolo con quattro sedie.

Si sedette lì e mangiò il suo cibo, mentre studiava il frasario di italiano. Poi, esausta per gli eventi della giornata, andò a letto.

Proprio prima che si addormentasse, il suo telefono vibrò.

Era l’amichevole barista dell’ostello.

“Ehi Cassie! Penso di essermi ricordato dove lavorava Jax. Il nome del paese è Bellagio. Tengo le dita incrociate e spero ti sia d’aiuto!”

Cassie si sentì invasa dalla speranza leggendo quelle parole. Questo era il paese – il paese esatto – in cui sua sorella aveva vissuto. Aveva lavorato lì? Cassie sperò che si fosse fermata in un albergo o in un ostello, perché in quel modo avrebbe potuto rintracciarla. Avrebbe iniziato le sue indagini appena avesse avuto il tempo, e Cassie era sicura che avrebbe ottenuto risultati.

Com’era quel paese? Il nome sembrava affascinante. Perché Jacqui aveva deciso di fermarsi proprio lì?

C’erano così tante domande che le passavano per la mente, e Cassie impiegò molto più di quanto pensasse ad addormentarsi.

Quando finalmente ci riuscì, sognò di essere in quel paese. Era pittoresco e scenografico, con terrazzamenti sinuosi ed edifici con mattoni a vista. Camminando per la strada, chiese a un passante “Dove posso trovare mia sorella?”

“È là!” L’uomo indicò la collina.

Mentre camminava, Cassie iniziò a domandarsi cosa vi fosse lassù. Sembrava lontanissimo da tutto. Cosa ci faceva Jacqui là? Perché non era andata incontro a Cassie, dato che sapeva che sua sorella era in paese?

Infine, senza fiato, raggiunse la cima della collina, ma la torre era scomparsa, e tutto ciò che poteva vedere era un enorme lago scuro. La sua acqua torbida colpiva le rive di scura pietra friabile che lo circondavano.

“Eccomi”.

“Dove?”

La voce sembrava provenire da molto lontano.

“Sei arrivata troppo tardi”, bisbigliò Jacqui, con la voce rauca e colma di tristezza. “Papà è arrivato prima”.

Inorridita, Cassie si sporse e guardò verso il basso.

Ecco Jacqui, distesa sul fondo della fredda acqua scura.

I capelli le giravano intorno e gli arti erano bianchi e senza vita, appoggiati come alghe sulle rocce affilate, mentre gli occhi vacui fissavano il vuoto sopra di lei.

“No!” urlò Cassie.

Si rese conto che non si trattava per niente di Jacqui, e che non era in Italia. Era di nuovo in Francia, e da oltre il parapetto di pietra fissava il corpo disteso molto più in basso. Non si trattava di un sogno, ma di un ricordo. Si sentì oppressa dalle vertigini, e afferrò la pietra, terrorizzata all’idea di cadere, perché si sentiva talmente debole e impotente.

“Ecco a cosa servono i papà. Questo è ciò che fanno”.

La voce canzonatoria proveniva da dietro di lei, e Cassie si girò, vacillando.

Eccolo lì, l’uomo che le aveva mentito e l’aveva ingannata, e aveva distrutto la sua autostima. Ma non stava guardando suo padre. Era Ryan Ellis, il suo datore di lavoro in Inghilterra, con la faccia distorta dalla felicità.

“È ciò che fanno i papà”, bisbigliò. “Feriscono. Distruggono. Non sei stata brava abbastanza, e ora è il tuo turno. È ciò che fanno”.

La sua mano tesa le afferrò la maglietta e spinse con tutta la sua forza.

Cassie urlò in preda al terrore quando sentì che le stava scivolando la presa, con la pietra che le sfuggiva dalle mani.

Stava cadendo, cadendo.

E poi atterrò, sedendosi, prendendo fiato, col sudore freddo che le faceva venire i brividi, nonostante l’enorme stanza fosse calda.

La configurazione della camera non le era familiare; annaspò per un po’ di tempo prima di riuscire a trovare il comodino e poi, finalmente, l’interruttore della luce.

Lo accese e si sedette, volendo una conferma disperata del fatto che l’incubo fosse finito.

Era nel grosso letto matrimoniale, con la testiera decorata in metallo. Dall’altro lato della stanza c’era l’enorme finestra con le tende dorate chiuse.

Alla sua destra vi era la porta della camera, e sulla sinistra quella del bagno. La scrivania, la sedia, il frigo bar, l’armadio, era tutto come lo ricordava.

Cassie esalò un profondo respiro, rassicurata dal fatto di non essere più intrappolata dentro al suo sogno.

Anche se era ancora buio, erano già le sette e un quarto del mattino. Con un sussulto, si ricordò di non aver ricevuto alcuna istruzione in merito a cosa dovessero fare le bambine. Oppure le aveva avute, ma se ne era scordata? La sig.ra Rossi aveva detto qualcosa riguardo la scuola?

Cassie scosse la testa. Non riusciva a ricordare nulla e non pensava che le avesse detto niente in merito agli orari.

Scese dal letto e si vestì in fretta. Nel bagno, domò le sue onde rosse, dandogli un aspetto ordinato, che sperò fosse accettabile in questa casa incentrata sulla moda.

Mentre si guardava allo specchio, sentì un rumore provenire dall’esterno.

Cassie rimase immobile ad ascoltare.

Riuscì a udire il suono di passi leggeri, che grattavano la ghiaia. Il vetro ghiacciato della finestra del bagno si affacciava all’esterno, verso il cancello.

Era un addetto del personale della cucina?

Cassie aprì la finestra e sbirciò fuori.

Nell’oscuro grigiore della mattina presto, vide una figura ricoperta di nero che si muoveva con cautela intorno alla casa. Mentre fissava, stupefatta, identificò la figura di un uomo con un cappuccio nero che trasportava un piccolo zainetto scuro. Lo vide solo per un secondo, ma notò che si stava dirigendo versa la porta sul retro.

Il suo cuore accelerò appena pensò agli intrusi, al cancello automatico, e alle camere di sicurezza.

Si ricordò le parole della sig.ra Rossi, e il chiaro avvertimento che le aveva dato. Si trattava di una famiglia ricca. Senza dubbio erano l’obiettivo di un furto o persino un rapimento.

Doveva andare ad investigare. Se avesse pensato che potesse essere pericoloso, avrebbe potuto lanciare l’allarme, urlare, e svegliare la famiglia.

Mentre si affrettava al piano di sotto, decise il suo piano di azione.

L’uomo si era diretto verso il retro della casa, perciò lei sarebbe uscita dal portone. C’era abbastanza luce ora per riuscire a vedere, e la notte fredda aveva lasciato brina sull’erba. Sarebbe stata in grado di seguire le sue tracce.

Cassie uscì, chiudendosi la porta principale alle spalle. La mattinata era calma e gelida, ma lei era così nervosa da accorgersi a malapena della temperatura.

Ecco le impronte, deboli ma visibili nella brina. Giravano intorno alla casa, sopra il prato perfettamente tosato, e sulle piastrelle del cortile.

Seguendole, Cassie vide che portavano alla porta sul retro, che era spalancata.

Salì i gradini silenziosamente, notando le impronte caratteristiche su ogni gradino di pietra.

Fece una pausa all’ingresso, in attesa, cercando di sentire qualunque rumore sospetto sopra il battito del suo cuore.

Non riusciva a sentire nulla provenire dall’interno, anche se le luci erano accese. Percepì un lieve odore di caffè. Forse quell’uomo era un fattorino che stava consegnando qualcosa, e il cuoco l’aveva fatto entrare. Ma dov’era allora, e perché non riusciva a sentire alcuna voce?

Cassie entrò in cucina in punta di piedi, ma non trovò nessuno.

Decise di andare a controllare le bambine e assicurarsi che stessero bene. Poi, quando era certa che fossero al sicuro, avrebbe svegliato la sig.ra Rossi e spiegato ciò che aveva visto. Poteva essere un falso allarme, ma meglio prevenire che curare, specialmente perchè l’uomo sembrava svanito nel nulla.

Era stata una visione talmente fugace che se non avesse visto le impronte, Cassie avrebbe pensato di essersi immaginata il personaggio furtivo.

Corse su per le scale e girò verso le camere delle bambine.

Prima di raggiungerle, si fermò nuovamente, portandosi la mano davanti alla bocca per sopprimere un urlo.

L’uomo era proprio lì – una figura magra vestita di scuro.

Era fuori dalla stanza della sig.ra Rossi, e stava raggiungendo la maniglia con la mano sinistra.

Cassie non riusciva a vedere la sua mano destra, perché era di fronte a lui, ma da quell’angolazione, era ovvio che avesse qualcosa in mano.

CAPITOLO OTTO

Avendo bisogno di un’arma, Cassie afferrò il primo oggetto che i suoi occhi in preda al panico riuscirono a scorgere – una statuetta di bronzo posta su un tavolino accanto alle scale.

Poi corse verso l’uomo. Lei avrebbe avuto il vantaggio della sorpresa, dato che lui non sarebbe stato in grado di girarsi in tempo. Lo avrebbe colpito con la statuetta, prima sulla testa e poi sulla mano destra, per disarmarlo.

Cassie fece un balzo in avanti. L’uomo si stava voltando – era la sua possibilità. La ragazza sollevò la sua arma improvvisata.

Poi, quando lui girò il volto verso di lei, si bloccò di scatto. Il suo grido di sorpresa fu soffocato dall’urlo scioccato dell’uomo.

L’uomo, basso e magro, stava reggendo una tazza di caffè d’asporto.

“Che diamine?” urlò.

Cassie abbassò la statuetta e lo fissò incredula.

“Stavi cercando di attaccarmi?” disse lui con tono arrogante. “Sei impazzita? Me lo hai quasi fatto cadere”.

Guardò il caffè, che era uscito attraverso il foro sul coperchio, ed era spruzzato sulla sua mano.  Alcune gocce erano cadute sul pavimento. L’uomo prese un fazzoletto di carta dalla tasca e si piegò per pulire.

Cassie dedusse che fosse appena trentenne. Sembrava molto ben curato. I suoi capelli castani erano sfumati alla perfezione, e portava una barba corta e in ordine. Cassie notò un accenno di accento australiano nella sua voce.

Raddrizzandosi, lui la osservò.

“Chi sei?”

“Sono Cassie Vale, la ragazza alla pari. Chi sei tu?”

Le sopracciglia dell’uomo si sollevarono.

“Da quando? Ieri non c’eri”.

“Mi hanno assunto ieri pomeriggio”.

“Ti ha assunto la Signora?”

L’uomo enfatizzò l’ultima parola, e fissò Cassie per qualche secondo, durante i quali lei si sentì sempre più a disagio. Annuì senza proferir verbo.

“Capisco. Beh, io sono Maurice Smithers, e sono l’assistente personale della sig.ra Rossi”.

Cassie rimase a bocca aperta. Il ragazzo non rispecchiava l’immagine di assistente personale che lei si era fatta.

“Perché sei entrato furtivamente in casa?”

Maurice sospirò.

“La serratura della porta d’ingresso si apre a fatica quando la temperatura è bassa. Fa un rumore terribile e non mi piace disturbare la famiglia quando arrivo presto. Perciò entro dal retro, è meno rumoroso”.

“E il caffè?”

Cassie fissò la tazza, ancora sorpresa dalla stranezza dell’aspetto dell’uomo e del suo presunto ruolo.

“È di una fabbrica artigianale che vi è in fondo alla strada. Il preferito della Signora. Gliene porto sempre una tazza quando abbiamo la nostra riunione mattutina”.

“Così presto?”

Anche se aveva un tono accusatorio, Cassie si sentiva in imbarazzo. Aveva creduto di far la parte dell’eroe, agendo nell’interesse della sig.ra Rossi e delle sue figlie. Ora si stava rendendo conto di aver commesso un grave errore, e di aver cominciato la sua relazione con Maurice col piede sbagliato. Come suo assistente personale, lui era certamente una figura influente nella vita della Signora.

Le prospettive di un futuro tirocinio sembravano improvvisamente meno certe. Cassie non riusciva a sopportare l’idea che il suo sogno potesse già essere compromesso per via delle sue azioni avventate.

“Oggi abbiamo una giornata davvero intensa. La sig.ra Rossi preferisce iniziare presto. Ora, se non ti spiace, vorrei consegnarle il caffè prima che diventi freddo”.

Bussò rispettosamente alla porta, e questa fu aperta un attimo dopo.

“Buongiorno, Signora. Come sta questa mattina?”

La sig.ra Rossi era vestita e truccata di tutto punto. Oggi indossava un diverso paio di stivali; erano rosso ciliegia, con grosse fibbie argentate.

“Molto bene, grazie, Maurice”. Prese il caffè dalle sue mani.

Cassie comprese che i convenevoli italiani erano una formalità, prima che Maurice proseguisse la conversazione in inglese.

“Fa freddo fuori. Vuole che vada ad accendere il riscaldamento nel suo ufficio?”

Fino a quel momento, Cassie non aveva capito che Maurice potesse anche sorridere, ma ora il suo volto era teso in un sorriso adulatorio e lui era estremamente in agitazione per via del desiderio di accontentare la Signora.

“Non staremo qui a lungo. Sono certa che il riscaldamento va bene com’è. Portami il cappotto, per piacere”.

“Certo”.

Maurice prese il cappotto con il collo di pelliccia dall’appendiabiti in legno accanto alla porta della camera. Seguendo la Signora da vicino, cominciò a parlare in modo animato.

“Aspetti di sentire cosa abbiamo in serbo per la Settimana della Moda. Abbiamo avuto un incontro eccellente col team francese ieri. Ho registrato tutto, ovviamente, ma ho anche il verbale e il riassunto pronti”.

Cassie si rese conto che la sig.ra Rossi non le aveva detto una parola. Doveva averla vista lì in piedi, ma la sua attenzione era completamente rivolta a Maurice. Ora entrambi si stavano dirigendo verso l’ufficio in cui il giorno prima Cassie aveva sostenuto il suo colloquio.

Non pensava che la sig.ra Rossi la stesse deliberatamente ignorando – o almeno, sperava non fosse così. Sembrava più che fosse completamente distratta dal lavoro, con la sua totale attenzione alla giornata lavorativa che aveva di fronte.

“Ho il resoconto delle vendite della settimana passata, e i fornitori indonesiani hanno mandato una risposta”.

“Spero si tratti di buone notizie”, disse la sig.ra Rossi.

“Credo di sì. Chiedono informazioni aggiuntive, ma sembra positivo”.

Maurice stava praticamente adulando la sig.ra Rossi, e Cassie non capiva se lui la stesse ignorando senza farlo apposta o di proposito, forse per sottolineare la sua importanza nella vita della sig.ra rispetto a quella di Cassie.

Lei li seguì verso l’ufficio, rimanendo indietro di qualche passo, attendendo una pausa nella conversazione, per poter chiedere dei programmi delle bambine.

Dopo breve tempo le fu chiaro che non ci sarebbe stata alcuna pausa. Con le teste piegate sul portatile di Maurice, nessuno dei due la stava neanche guardando. Cassie fu certa, in quel momento, che Maurice la stesse ignorando di proposito. Dopo tutto, lui sapeva che lei era lì.

Pensò di interromperli, ma l’idea la rese nervosa. La loro concentrazione era elevata, e Cassie non voleva far arrabbiare la sig.ra Rossi, soprattutto dopo che la conversazione che aveva udito il giorno prima le aveva dimostrato quanta poca pazienza avesse la donna d’affari.

Cassie si era sentita al settimo cielo dopo essere stata assunta, lodata ed elogiata da questa donna influente. Questa mattina, era come se lei per la sig.ra Rossi non esistesse.

Voltandosi, si sentì scoraggiata ed insicura. Cercò di respingere i pensieri negativi, e di ricordarsi che il suo ruolo era quello di badare alle bambine, e non monopolizzare l’attenzione della sig.ra Rossi quando era impegnata. Sperava che Nina e Venetia sapessero quali fossero i loro impegni.

Quando Cassie andò nella stanza delle bambine, le trovò vuote. Entrambi i letti erano stati fatti alla perfezione e le camere erano in ordine. Ritenendo che fossero scese per fare colazione, Cassie si diresse verso la cucina, e fu sollevata nel trovarle lì.

“Buongiorno, Nina e Venetia”, disse.

“Buongiorno”, risposero educatamente.

Nina era seduta su una sedia, mentre Venetia, alle sue spalle, le legava un elastico intorno alla coda di cavallo. Cassie ritenne che Nina avesse appena fatto lo stesso per la sorella, perché i capelli di Venetia erano già ordinatamente legati.

Entrambe le bambine indossavano uniformi scolastiche rosa e bianche. Si erano preparate un toast e del succo di frutta, che erano posti sul bancone.

Cassie fu colpita nel vedere che sembravano comportarsi come una squadra. Da quanto aveva visto fino a quel momento, le bambine avevano una relazione armoniosa; non vi erano stati segnali di litigi o anche solo prese in giro. Cassie pensò che essendo di età tanto simili, le due fossero più come gemelle che sorella maggiore e minore.

“Siete molto bene organizzate voi due”, disse Cassie in ammirazione. “Siete molto in gamba a badare a voi stesse. Posso prendervi qualcosa da mettere sul toast? Cosa mangiate di solito? Marmellata, formaggio, burro di arachidi?”

Cassie non era certa di cosa vi fosse in casa, ma pensò che questi fossero alimenti base a disposizione.

“A me piace con solo il burro”, disse Nina.

Cassie diede per scontato che Venetia dicesse la stessa cosa. Ma la piccola la guardò con interesse, come se stesse prendendo in considerazione i suoi suggerimenti. Poi disse, “Marmellata, per favore”.

“Marmellata? Nessun problema”.

Cassie aprì i vari pensili, fin quando non trovò quello con le creme spalmabili. Erano su una mensola in alto – troppo alta perché le bambine potessero raggiungerla.

“C’è marmellata di fragole e di fichi. Quale preferisci? Oppure c’è la Nutella”.

“Fragole, per favore”, disse Venetia educatamente.

“Non ci è permesso mangiare la Nutella”, spiegò Nina. “È solo per le occasioni speciali”.

Cassie annuì. “Ha senso, dato che è così buona”.

Passò la marmellata a Venetia e si sedette.

“Cosa dovete fare questa mattina? Sembrate pronte per andare a scuola. Vi devo accompagnare? A che ora inizia e sapete come arrivarci?”

Nina finì il suo boccone di toast.

“La scuola inizia alle otto, e oggi finiamo alle due e mezza perché abbiamo lezione di canto. Ma abbiamo un autista, Giuseppe, che ci porta e ci viene a prendere”.

“Oh”.

Cassie non riuscì a nascondere il proprio stupore. Questa famiglia era molto più organizzata di quanto si aspettasse. Si sentì come se il suo ruolo fosse superfluo, e fu preoccupata che la sig.ra Rossi si rendesse conto di poter fare a meno di lei, e potesse non aver bisogno della sua presenza per gli interi tre mesi dell’incarico. Doveva rendersi utile. Sperò che quando le bambine fossero tornate da scuola avessero dei compiti da fare, in cui lei avrebbe potuto aiutarle.

Rimuginando sulla strategia da adottare, Cassie si alzò per prepararsi un caffè.

Quando si girò nuovamente, vide che le bambine avevano finito di fare colazione.

Nina stava infilando piatti e bicchieri nella lavastoviglie, e Venetia aveva trascinato uno degli sgabelli della cucina vicino ai pensili. Mentre Cassie guardava, vi salì sopra, e cercò di raggiungere più in alto che poteva per mettere la marmellata a posto.

“Non preoccuparti. Lo faccio io”.

Venetia sembrava tremolante sullo sgabello, e Cassie la raggiunse di fretta, prevedendo che sarebbe potuta finire in un disastro.

“Lo faccio io”.

Venetia strinse il barattolo di marmellata tra le mani, rifiutando di lasciare che Cassie lo prendesse.

“Non è un problema, Venetia, io sono più alta”.

“Devo farlo io”. La piccola sembrava emotiva. Inoltre, pareva volerlo disperatamente fare da sola.

Sulla punta dei piedi, con Cassie che le stava alle spalle pronta ad afferrarla in caso la sedia cadesse, Venetia rimise la marmellata a posto, spingendola con attenzione nell’esatto posto in cui si trovava in precedenza.

“Bravissima”, la congratulò Cassie.

Ritenne che questo comportamento fiero facesse parte del carattere e dell’educazione delle bambine. Le pareva un po’ insolito, ma in fondo lei non aveva mai lavorato per una famiglia d’alto rango come questa.

Rimase in piedi a fissare Venetia che riponeva lo sgabello nella sua esatta posizione. A quel punto, Nina aveva già messo il burro in frigorifero e il pane nel cesto. La cucina aveva un aspetto immacolato, come se nessuno vi avesse mai fatto colazione.

“Giuseppe sarà qui tra poco”, Nina ricordò alla sorella. “Dobbiamo lavarci i denti”.

Le bambine uscirono dalla cucina e si diressero al piano di sopra, nelle loro stanze, con Cassie che le guardava meravigliata. Tornarono cinque minuti dopo, portando gli zaini e i cappotti, e uscirono.

Cassie le seguì all’esterno, ancora concentrata sulla questione della sicurezza, ma una Mercedes bianca si stava già avvicinando alla casa. Pochi attimi dopo, si fermò sul vialetto circolare, e le bimbe entrarono in macchina.

“Arrivederci”, disse Cassie, salutando con la mano, ma probabilmente non l’avevano sentita, perché nessuna delle bambine fece un cenno in risposta.

Quando Cassie rientrò, vide che anche la sig.ra Rossi e Maurice se n’erano andati. Sembrava non esserci nessun altro in servizio in quel momento.

Cassie era completamente sola.

“Non è quello che mi aspettavo”, si disse.

La casa era molto tranquilla, e trovarsi lì da sola era inquietante. Aveva pensato che avrebbe avuto molto più da fare, e che sarebbe stata più coinvolta con le bambine. Quel tipo di organizzazione pareva strano, come se effettivamente non avessero alcun bisogno di lei.

Cercò di rassicurare se stessa, ricordandosi che erano i primi giorni, e che sarebbe dovuta essere grata per il tempo a disposizione per se stessa. Probabilmente si trattava della calma prima della tempesta, e quando le bambine fossero tornate da scuola, avrebbe dovuto correre ovunque.

Cassie decise di sfruttare il tempo libero per seguire la traccia che aveva ricevuto il giorno prima. L’inaspettata mattinata libera che si stava godendo in questo momento sarebbe potuta essere l’unica possibilità di scoprire dove fosse Jacqui.

Non aveva molto su cui basarsi. Il solo nome di un paese non era tanto.

Ma era tutto ciò che aveva, ed era decisa a farselo bastare.

*

Usando il Wi-Fi della casa, Cassie trascorse un’ora a scoprire di più sul paese in cui Jacqui viveva – o per lo meno dove lei, qualche settimana prima, aveva detto a Tim di vivere.

Il lato positivo era che Bellagio era un paese piccolo e non un luogo enorme. Un paese piccolo implicava pochi ostelli ed hotel, e c’era anche più possibilità che tutti conoscessero gli affari di tutti, e che ci si ricordasse di una bella donna americana.

Un altro vantaggio era il fatto che si trattasse di un luogo turistico – un luogo scenografico che si affacciava sul Lago di Como, offrendo viste meravigliose, e molti negozi e ristoranti.

Mentre faceva le sue ricerche, Cassie si chiese come potesse essere vivere in quel paese. Calmo, bellissimo, e colmo di turisti in piena estate. Immaginò Jacqui pernottare in uno dei piccoli hotel o in un appartamento in affitto – probabilmente uno piccolo, che si affacciava su una via di ciottoli, accessibile da una ripida scalinata in pietra, con un davanzale pieno di fiori colorati.

A Cassie servirono due ore per familiarizzare con quel luogo e fare un elenco di tutti gli ostelli e alberghi, dei numerosi Airbnb, e delle agenzie che affittavano appartamenti. Sapeva che probabilmente si era lasciata sfuggire qualche posto, ma sperò che la fortuna girasse a suo favore.

Poi fu il momento di iniziare a fare telefonate.

Cassie si sentì la gola secca. Stilare quell’elenco aveva fatto aumentare le sue speranze. Ogni nome e numero rappresentavano una nuova possibilità. Ora sapeva che le sue speranze sarebbero state nuovamente infrante, col diminuire dei posti in cui Jacqui poteva aver soggiornato.

Cassie compose il primo numero, quello di una pensione in centro.

“Buongiorno”, disse. “Sto cercando una donna di nome Jacqui Vale. È mia sorella; ho perso il telefono e non riesco a ricordare dove alloggia. Sono in Italia e vorrei incontrarla”.

Anche se non era la verità, Cassie ritenne che potesse essere un’ottima scusa per una telefonata. Non voleva imbarcarsi in una lunga storia complicata, perché temeva che il proprietario potesse divenire impaziente, o persino sospettoso.

“Potrebbe aver prenotato col nome di Jacqueline. Negli ultimi due mesi”.

“Jacqueline?” Ci fu un breve silenzio, e Cassie sentì il suo battito cardiaco accelerare.

Poi le sue speranze si infransero quando la donna disse, “Nessuno con quel nome ha pernottato qui”.

Cassie si rese conto che quello era un compito lungo e frustrante, che le stava prendendo molto più tempo del previsto. Alcuni alberghi si rifiutarono di aiutarla totalmente, per questioni di privacy. Altri erano occupati, quindi avrebbe dovuto trovare il tempo per richiamarli.

Fece passare tutte le opzioni della sua lista, finché ebbe quasi raggiunto il fondo. Erano rimasti solo tre numeri, dopo i quali avrebbe dovuto ammettere la sconfitta.

Digitò il terzultimo numero, sentendosi frustrata, come se l’evasiva presenza di Jacqui la stesse prendendo in giro.

“Posso aiutarti?” chiese l’uomo dall’altro capo della linea.

Cassie aveva imparato che il significato di quella frase era “Posso aiutarti?”, ma l’uomo non sembrava molto disponibile. Sembrava impaziente e stressato, come se avesse avuto una brutta giornata. Cassie pensò che sarebbe stato di uno di quelli che le avrebbe detto che non poteva darle alcuna informazione perché erano dettagli confidenziali. Lo avrebbe detto solo per farla riattaccare, perché aveva dei clienti in attesa, o perché doveva uscire.

“Sto cercando Jacqui Vale. È mia sorella. Avevo in programma di incontrarla mentre sono in Italia, ma ieri mi hanno rubato il telefono e non mi ricordo dove dorme”.

Cassie aveva innalzato la drammaticità della sua storia, sperando di ottenere più comprensione.

“Sto chiamando in giro per cercare di rintracciarla”.

Udì l’uomo digitare su una tastiera.

Poi Cassie quasi cadde dalla sedia quando l’uomo disse, “Sì, abbiamo avuto una Jacqui Vale qui con noi. È stata qui quasi due settimane, e poi si è trasferita, in un appartamento condiviso credo, perché lavorava qui vicino”.

Il cuore di Cassie ebbe un sussulto. Quest’uomo la conosceva – l’aveva vista, ci aveva parlato. Era una svolta incredibile nella sua ricerca.

“Mi ricordo ora, aveva un lavoro part-time nella boutique dietro l’angolo, da Mirabella. Volete il numero del negozio?”

Bepul matn qismi tugad.

42 861,24 soʻm
Yosh cheklamasi:
0+
Litresda chiqarilgan sana:
02 sentyabr 2020
Hajm:
312 Sahifa 5 illyustratsiayalar
ISBN:
9781094306070
Mualliflik huquqi egasi:
Lukeman Literary Management Ltd
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Ushbu kitob bilan o'qiladi

Sotuv xitlari
4,3
18