Finestre Oscurate

Matn
0
Izohlar
Parchani o`qish
O`qilgan deb belgilash
Shrift:Aa dan kamroqАа dan ortiq

CAPITOLO DUE

Craddock iniziò l'interrogatorio. Aveva l'ombra di un sorriso sulle labbra. Chloe era certa che cercasse di farla sentire più a suo agio, tuttavia dava l'impressione di godersi il fatto di sottoporla a quella tortura.

"Agente Fine, come ha fatto a sapere dove si trovava sua sorella?"

La verità, naturalmente, era che Danielle l'aveva chiamata da un telefono pubblico. Ma la verità le avrebbe rovinate entrambe. Tirò fuori la storia che avevano inventato mentre seppellivano il padre e la recitò.

"Sinceramente, è stato quasi un colpo di fortuna. Quando ho capito che c'era qualcosa che non andava, ho iniziato a pensare ai posti in cui mio padre avrebbe potuto portarla. Danielle ha vissuto a Millseed, in un periodo della sua vita in cui era apertamente in conflitto con nostro padre. Mi diceva sempre che l'unica volta che aveva parlato con lui – quando era andata a trovarlo in prigione – le aveva detto che un posto come Millseed faceva proprio per lei. Una misera cittadina, lasciata a morire. Diceva che sarebbe stato un posto terribile dove morire, ma forse era quello che Danielle si meritava."

"Suo padre è sempre stato così teatrale?" chiese Kirsch.

"Perdonatemi se non voglio discutere con voi della personalità di mio padre. Volete parlare di lui o interrogarmi ancora una volta su tutto quello che è successo?"

Craddock e Kirsch si scambiarono uno sguardo perplesso, prima di continuare. Johnson la fissò, con un'espressione che trasmetteva un semplice messaggio: Attenta a come parla.

"Può dirci esattamente cosa è successo quando è arrivata?" Chiese Kirsch.

"È stato facile trovare il posto. Danielle mi aveva raccontato delle storie su alcune cose non esattamente legali che lei e alcuni amici erano soliti combinare in quel vecchio capannone. Mi sono dovuta fermare in un negozio e chiedere come arrivarci. Quando sono arrivata, ho visto che l'aveva legata a una sedia e la stava schiaffeggiando. L'ho affrontato, c'è stata una breve lotta e lui è riuscito a scappare."

"Definisca lotta." disse Craddock.

"Uso dei pugni per colpirsi l'un l'altro. E anche dei calci. Tentativo di sopraffare l'avversario con la forza fisica."

"Agente Fine" disse Kirsch, "Le suggerisco di prendere questa indagine seriamente".

"Oh, lo sto facendo. E l'ho presa sul serio anche le altre due volte che sono stata interrogata a riguardo." Si fermò un attimo, facendo una serie di respiri per cercare di mantenere il controllo. "Sentite. Capisco il bisogno di comprendere tutto e accetto pienamente le mie colpe nell'aver cercato di prendere in mano la situazione da sola. Ma dovete capire… questo non è solo un caso. Si tratta di mia sorella e di mio padre e di tutta la deplorevole storia che c'è stata tra noi. Non mi piace affatto essere sottoposta continuamente a questo tormento".

Il suo piccolo discorso parve funzionare, almeno in parte. Craddock e Kirsch si scambiarono uno sguardo dispiaciuto. Poi guardarono Johnson, che alzò le spalle.

"Naturalmente stiamo cercando di tenerlo in considerazione", disse Craddock. Poi, come scegliendo ogni parola con attenzione, chiese: "Pensa di averlo ferito, durante la lotta?"

Forse il discorso non era stato così efficace come pensava. Adirata, rispose alla domanda. Mentì, dicendo che forse poteva avergli incrinato o spezzato una costola. Era un dettaglio aggiuntivo e inutile, ma in quel tipo di interrogatori, sapeva che erano dettagli del genere a suscitare interesse.

Mentre continuavano a interrogarla, Chloe si rese conto di cosa stavano facendo esattamente. Le stavano facendo ripercorrere il suo racconto, da punti di vista diversi, per vedere se avrebbe cambiato qualcosa. Cercavano di coglierla in fallo… solo che non era esattamente sicura del perché.

Forse hanno scoperto qualcosa che ha fatto crollare la nostra versione, pensò. Ma era improbabile. Se così fosse, le domande sarebbero state più dirette e avrebbero potuto anche formulare un'accusa.

Invece no… cercavano delle crepe nella sua storia. E Chloe non aveva intenzione di dargliene.

Ma si chiese come sarebbe stato se Danielle fosse stata seduta al suo posto. Se avessero portato lì Danielle e le avessero fatto ripercorrere la storia per la terza volta in un contesto più ufficiale, circondata da federali impettiti, avrebbe ceduto?

Il pensiero la spaventava. Così fece del suo meglio, ingoiando la rabbia e continuando a rispondere alle loro domande come una brava bambina.

***

Fu più veloce di quanto si era aspettata sedendosi. Craddock e Kirsch si congedarono quindici minuti dopo. Quando se ne furono andati, Johnson la guardò dall'altra parte del tavolo. Chloe era curiosa di vedere se avrebbe cercato di recitare la parte del capo solidale o se si sarebbe schierato dalla parte della coppia che aveva appena lasciato il suo ufficio.

"Mi dispiace averle fatto rivivere tutto di nuovo."

"Davvero? Mi è sembrato che abbia fatto un buon lavoro a non darlo a vedere".

"Fine… capisco che è sotto un'immensa pressione emotiva, ma ho comunque bisogno che faccia attenzione al suo tono e al suo atteggiamento. Sto cercando di essere il più ragionevole possibile, ma presenterò sicuramente una segnalazione per insubordinazione, se continuerà a rivolgersi a me e agli altri suoi superiori in questo modo impertinente".

Ingoiando di nuovo la rabbia e l'orgoglio come una pillola amara, annuì. "Capisco. Ora, posso andare?"

"Sì, dovrebbe trovare i suoi incarichi sulla scrivania. Un'intercettazione telefonica e una richiesta di ricerca da parte di un agente sul campo a Philadelphia, credo".

"Mi prende in giro?"

Uscì dal suo ufficio prima che lui avesse il tempo di dare una risposta o una spiegazione. Anche se di certo non pensava di essere al di sopra dei banali incarichi da scrivania che molti agenti svolgevano settimanalmente, sembrava comunque un passo indietro. Non poteva fare a meno di chiedersi se fosse una sorta di punizione – e se lo era, si chiese per quanto tempo sarebbe durata.

Di solito era brava a trattenere le sue emozioni, ma Chloe si trovò a lottare per tenere a freno la propria rabbia. Camminò con calma verso il suo cubicolo, sapendo che si sarebbe infuriata ancora di più quando avrebbe visto gli incarichi di merda che Johnson aveva preparato per lei. Era così presa dal suo caos emotivo che quasi non si accorse del volto familiare che spuntava da un ufficio in fondo al corridoio. Era Rhodes, con la faccia rivolta verso il basso mentre guardava qualcosa sul suo cellulare. Quando alzò lo sguardo e vide Chloe lì in piedi, parve prima allarmata, poi sollevata.

"Stai bene?" Chiese Rhodes.

"Sì. Ma ci siamo viste già ieri. Perché me lo chiedi adesso?"

"Le voci corrono. Ho sentito che oggi sei stata convocata per un colloquio con Johnson. Ho anche sentito che era presente il direttore Craddock. Immagino che ti abbiano accusato di qualcosa".

"No, non proprio. È solo che… continuano a voler tirare fuori la vicenda di mia sorella e di mio padre, e io ho chiuso con questa storia".

Rhodes guardò su e giù per il corridoio, come se volesse assicurarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze. "Mi chiedo se stiano cercando di capire se ti abbia colpito emotivamente… magari per vedere se sei in grado di lavorare, dopo un evento così personale e traumatico".

"Ne dubito."

"Non lo so. Potrebbe spiegare il motivo per cui mi è stato appena assegnato un incarico senza di te come partner. So che non siamo ancora diventate partner ufficiali, ma sembra essere proprio un caso adatto a te".

"Cosa? Quando hai ricevuto l'incarico?"

"Mezz'ora fa. Sto per organizzare il trasporto proprio adesso. La spiegazione che mi è stata data è che Johnson non era sicuro che tu te la sentissi. Pensava che avessi bisogno di un po' di tempo per riprenderti".

Chloe sorrise, ma solo perché era più facile che trattenere un urlo di rabbia. "Sto perfettamente bene. A quanto pare, la sua idea di farmi riprendere è mettermi ad ascoltare intercettazioni e dare una mano al dipartimento di ricerca".

"Poverina. Se vuoi, potrei insistere per farti assegnare alle indagini".

"Lo apprezzo, ma penso che farò io stessa la richiesta".

Rhodes annuì, ma era chiaro che non le piaceva la piega che stava prendendo la situazione. "Non insistere, però. Non vorrei che ti mettessi nei guai".

"Non lo farò".

Stava per voltarsi e tornare nell'ufficio di Johnson, poi però le balenò in mente un pensiero. Non era da Rhodes mostrare quel genere di preoccupazione. La parte del "non vorrei che ti mettessi nei guai" non era affatto da lei.

"Rhodes… hai sentito qualcosa? Su di me o su mia sorella?"

"Niente che gli altri non abbiano già sentito. Diciamo che si è sparsa la voce che sei andata in Texas e hai avuto una specie di scontro con tuo padre. La maggior parte delle persone qui pensa che sia stato eroico da parte tua. Credo che probabilmente lo pensi anche Johnson… è solo che i suoi superiori gli stanno col fiato sul collo".

Chloe non era del tutto sicura del perché, ma non le credeva. Sentiva ormai di conoscere Rhodes piuttosto bene, e c'era qualcosa nel modo in cui aveva risposto alla domanda che non quadrava. Tuttavia, se voleva occuparsi di quel caso e cercare di andare avanti con la sua vita come al solito, avrebbe dovuto lasciar perdere, per il momento.

Tornò a piedi lungo il corridoio fino all'ufficio di Johnson e lo incontrò per caso nel corridoio mentre stava andando da qualche altra parte.

"Allora, ho parlato con Rhodes. Perché non mi è stata data la possibilità di lavorare a questo nuovo caso con lei?"

"Non che debba risponderle, ma non sapevo se sarebbe stata pronta a tornare sul campo, visto tutto quello che ha passato".

 

"Lo apprezzo, signore. Ma, se non altro, penso che potrebbe addirittura aiutarmi".

Lui fece una smorfia, che Chloe non riuscì a capire se fosse di disgusto o un vero sorriso. "La aiuterebbe anche a superare questo suo atteggiamento di insubordinazione?"

"Non posso prometterlo." Lo aveva detto per scherzo, sperando di convincerlo.

"Rhodes deve andarsene entro poche ore. Può mollare tutto così in fretta e andare con lei?"

"Sì, signore."

Johnson ci pensò un attimo e poi sospirò. "Il caso sembra proprio fare per lei". Poi si strinse nelle spalle e disse: "Va bene. Parli con Rhodes e si faccia mandare da lei tutti i dettagli del caso. È ufficialmente assegnata alle indagini, ma ho bisogno che sia responsabile. Se va là fuori e scopre di non essere ancora pronta per questo, ho bisogno che sia sincera".

"Certo. E grazie, signore."

Si voltò e si diresse verso l'ufficio di Rhodes prima che lui potesse cambiare idea.

CAPITOLO TRE

Danielle aveva affrontato le conseguenze di Millseed, in Texas, più o meno come si aspettava. Poiché aveva sempre preferito rimuginare in solitudine, piuttosto che cercare di essere propositiva, Danielle aveva trascorso i cinque giorni successivi al suo ritorno chiusa nel suo appartamento. L'unica cosa che aveva fatto per cercare di prendersi cura di sé era stato andare dal medico per le sue ferite. Aveva subito una lieve commozione cerebrale e una leggera distorsione alla caviglia, a causa dello scontro con il padre, ma niente di più.

Eppure, le faceva male dappertutto. Aveva letto da qualche parte di come il corpo abbia un'ottima memoria, di come anche quando non c'è un trauma psicologico, i muscoli e le terminazioni nervose ricordino la tensione di un determinato momento o luogo e possano farla riemergere.

A quanto pareva, era esattamente quello che stava facendo il suo corpo adesso.

Inoltre, stava affrontando anche il fatto di non avere rimpianti. Era contenta che il bastardo fosse morto, contenta persino del fatto di aver contribuito lei stessa a quella fine. Quando ripensava alla fatica di scavare la tomba e poi buttarcelo dentro, si sentiva piena di sollievo e di orgoglio, piuttosto che di tristezza.

Queste erano tutte cose che non avrebbe mai rivelato a Chloe. Sapeva bene che Chloe aveva sempre pensato che fosse un po' squilibrata. Era difficile capire cosa pensasse Chloe al riguardo, però. A volte lo affrontava come una sorta di comico sollievo quasi passivo, mentre altre volte sentiva che Chloe la guardava quasi dall'alto in basso a causa di questo.

Onestamente, Danielle voleva solo tornare alla sua vita, tornare al lavoro, tornare a fingere che suo padre non esistesse. Sentiva ancora che era stato ingiusto da parte sua riemergere dopo che lei aveva passato gran parte della sua vita a fingere che non esistesse.

Ora, il quinto giorno dopo tutto quello che era successo a Millseed, Danielle era seduta sul suo divano, cercando di decidere cosa guardare su Netflix. Sapeva di aver bisogno di una doccia, sapeva di dover chiamare al lavoro per vedere quando le avrebbero permesso di ricominciare a fare i turni. Ma sapeva che, una volta fatto questo, la sua vita sarebbe ricominciata. E per quanto sembrasse banale, sapeva che adesso che suo padre era morto, il nuovo capitolo della sua vita sarebbe iniziato appena avesse deciso di alzare il culo dal divano.

Come se le avesse letto nel pensiero sulla necessità di passare all'azione, il suo cellulare squillò sul tavolino da caffè. Lo prese e si stupì di vedere che si trattava di Chloe. Avevano parlato solo una volta, da quando erano tornate dal Texas. Non era da Chloe prendere le distanze dopo un evento così straordinario, ma Danielle pensava che avesse le sue ragioni. Le bugie che avevano architettato erano così intricate e numerose che probabilmente aveva pensato che fosse meglio non parlare per un po'.

Allora perché chiama adesso?

Curiosa, rispose alla chiamata. "Ciao, sorellina."

"Ehi, Danielle. Come ti senti?"

"Riposata e per lo più in forma, direi. Tu?"

"Lo stesso. Però non dormo molto bene. Sento il bisogno di ricominciare la mia vita, capisci?"

"In realtà, sì, ti capisco. Non dormi bene… hai degli incubi?"

"No, è solo ansia, credo. Senti, D… al lavoro sta succedendo qualcosa di strano e volevo avvertirti. Stamattina sono stata interrogata di nuovo su quello che è successo. Questa volta, però, non c'era solo il mio direttore. Ha chiamato altre persone dei piani alti, il tipo di persone che vengono coinvolte solo quando potrebbero esserci dei potenziali problemi".

"Com'è andata?" Chiese Danielle. Sapeva quanto sua sorella fosse prudente. Non pensava che Chloe fosse crollata sotto la pressione, ma non ne era sicura al cento per cento. Se una delle due fosse crollata o avesse fatto un passo falso e le loro storie all'improvviso non avessero più combaciato, sarebbero state entrambe nella merda fino al collo.

"Sono stata brava, ma sono preoccupata che possano convocare anche te".

"Non devo essere arrestata perché possano interrogarmi?"

"No, a questo punto è quasi considerato un atto di cortesia. Ti hanno già interrogata, quindi si aspettano che tu li assecondi di nuovo".

"Al diavolo. Perché dovrei voler rivivere tutto?"

"Se ti contattano, non puoi avere un atteggiamento del genere".

Danielle alzò gli occhi al cielo. "Allora devo solo inchinarmi e continuare a portare avanti la cosa fino a quando gli pare?

"Per un po', sì. Ti prego… Danielle, per favore, attieniti alla storia. Non lasciare che le tue emozioni o la tua irritazione prendano il sopravvento".

"E' davvero questo il motivo per cui hai chiamato?"

"Sì. Cioè, questo e perché so che tendi a crogiolarti nelle tue emozioni quando le cose si mettono male. Come te la stai cavando?"

"Puzzo. E ho finito le serie da guardarmi su Netflix. Sto pensando di tornare al lavoro domani".

"Mi sembra una buona idea. Per favore non parlare di quello che abbiamo fatto ai tuoi colleghi, ok?"

"Oddio, Chloe. Non sono un idiota".

"Lo so, è solo che…"

"Chloe, lasciamo perdere. Che ne dici se tu riprendi la tua vita e io la mia? Concediamoci qualche settimana e vediamo come andrà. So come funzionano queste cose. Abbiamo vissuto una situazione decisamente incasinata. E non importa quello che ti piace immaginare, tu ed io non siamo mai state particolarmente unite. Non abbiamo un legame così stretto tra sorelle, no? Quindi forse non abbiamo bisogno l'una dell'altra per superare tutto questo".

Aveva intuito di aver detto troppo già a metà discorso, ma era troppo tardi per fermarsi a quel punto.

"Sì, forse hai ragione", disse Chloe. La sua voce era abbattuta e debole. Danielle aveva chiaramente ferito i suoi sentimenti – cosa di cui non era mai stata pienamente consapevole né da bambina né da donna adulta.

"Chloe…"

"Penso che dovresti tornare al lavoro", la interruppe Chloe. "Riprendi la tua vita com'era prima di tutto questo. E se il Bureau o la polizia ti chiamano, tutto quello che ti chiedo è che tu stia al gioco. Non prenderla sul personale. Dopotutto, stanno solo facendo il loro lavoro".

"Sì, lo so."

"Ti voglio bene, sorellina. Per ora, ciao."

Prima che Danielle potesse rispondere, Chloe terminò la chiamata. Danielle posò il cellulare lentamente, non sapendo bene perché fosse così infastidita dalla quella conversazione. Lei era sempre stata la sorella che non era mai turbata da discussioni ostili. Ma adesso, sentendo che Chloe era così irritata con lei, le sembrava di averla delusa.

È perché ti ha salvato il culo da uno stupido errore, pensò.

Già, le era venuto in mente più volte, negli ultimi giorni, che Chloe le aveva probabilmente salvato la vita. E questo avrebbe cambiato il corso del loro rapporto, d'ora in poi. Non essendo mai stata a suo agio nel sentire di essere in debito con gli altri, Danielle semplicemente non era sicura di come gestire la situazione.

Ricominciò distrattamente a scorrere la schermata iniziale di Netflix. Guardò di nuovo il cellulare e valutò se chiamare al lavoro. Magari poteva persino inserirsi nel turno di lavoro di quella sera.

Chloe aveva ragione, dopo tutto; a un certo punto avrebbe dovuto prendere in mano la situazione. Non aveva più l'ombra di suo padre che la guardava per incolparla di tutto. No, ora l'errore più grande era uno che doveva riconoscere – la consapevolezza di aver giocato un ruolo molto importante nella morte di suo padre.

Sì, avrebbe cambiato tutta la sua vita d'ora in poi, ma non era un motivo per gettare la spugna e rinunciare a tutto. Ma ciò che la spaventava di più era l'idea di scoprire – anche dopo che suo padre non c'era più – che forse non era lui l'unico problema, in fondo.

CAPITOLO QUATTRO

Chloe aveva esaminato le informazioni contenute nei fascicoli del caso nell'istante in cui le aveva ricevute. Non se ne rese conto in quel momento, ma si stava buttando nell'indagine allo stesso modo in cui un alcolista si buttava sulla bottiglia. Stava cercando di cancellare la realtà di ciò che lei e Danielle avevano fatto. Sentiva che, se fosse riuscita a seppellire tutto sotto la passione per il suo lavoro, dopo un po' sarebbe stata in grado di dimenticare tutto.

Erano dirette verso la cittadina di Pine Point, in Virginia. Situata a circa quindici chilometri da Winchester, aveva una popolazione di poco meno di diecimila abitanti, composta prevalentemente da famiglie benestanti, il che rendeva il caso simile a tutti gli altri a cui Chloe e Rhodes avevano lavorato. La differenza qui, però, era che le vittime erano entrambe di sesso maschile. Da quello che Chloe aveva potuto capire dai verbali, non c'era nulla di speciale o unico negli omicidi. Sembrava che in entrambi i casi gli uomini fossero stati picchiati a morte in modo piuttosto brutale, senza alcun legame apparente tra i due.

"Non ti sei ancora stancata di questi quartieri di lusso?" Chiese Rhodes da dietro il volante. Chloe, che stava guardando i dossier del caso sul suo tablet, alzò lo sguardo sul parabrezza. Erano già arrivate. La distanza tra Washington e Pine Point era solo di un'ora e mezza circa, ed era passata in fretta.

"Ci sono vicina" ammise Chloe. "Devi ammettere, però… che questa familiarità è piuttosto piacevole, no?"

"Sì, immagino di sì. Il dossier di questo caso, però… mi fa pensare che non si tratterà di altro che di un coglione super muscoloso che si sfoga su quelli che considera inferiori a lui, o una minaccia per lui".

Quel pensiero aveva sfiorato anche la mente di Chloe, ma non ne era troppo sicura. Una persona che uccideva per motivi del genere probabilmente non avrebbe avuto problemi a piazzare un proiettile in mezzo agli occhi o a tagliare la gola a qualcuno. Un pestaggio brutale in due occasioni distinte sembrava indicare qualcosa di un po' più oscuro.

C'era molto altro da analizzare, ma il suo cervello era come avvolto dalla nebbia. C'erano alcune domande che voleva fare a Rhodes – domande per aiutarla a capire cosa Johnson e altri nel Bureau credessero che avesse fatto con sua sorella. Non poteva fare a meno di chiedersi se sapessero più di quanto dicevano, ma non avessero prove sufficienti per affrontarla. Dopo tutto, era il fatto che Johnson era stato completamente disposto a mandare Rhodes a occuparsi di quel caso da sola a rendere Chloe paranoica, più di ogni altra cosa.

"Posso chiederti una cosa, Rhodes?"

"Certo".

"Sai niente di un'indagine interna sulle mie azioni riguardanti mia sorella?"

Tentò di interpretare la reazione di Rhodes, ma la sua partner aveva un'espressione imperscrutabile. Dopo qualche istante, scosse la testa. "Non credo proprio. So che ci sono state domande su tuo padre e sul rapimento di tua sorella, ma non ho sentito nulla su un'indagine interna ". Esitò per un attimo e poi si strinse nelle spalle. "Se sei preoccupata per il fatto che Johnson non ti abbia affiancata subito a me per questo caso, non ci darei troppo peso. Immagino che stesse solo valutando il tuo benessere psicologico".

"Può darsi."

"Ora… permettimi di chiederti una cosa", disse Rhodes. "E per favore, non prenderla nel modo sbagliato. Questo è solo tra noi due, ma devo saperlo. C'è qualcosa che devo sapere? C'è qualcosa su cui temi possano indagare?".

"No", disse Chloe. Temeva di aver risposto troppo in fretta, con un tono un po' troppo brusco.

"Dovevo chiedertelo. Visto che lavoriamo insieme. Non posso sostenere di capire quello che stai passando, quindi non ti tratterò con condiscendenza. Ma ho solo bisogno di sapere se sei davvero pronta. A pensarci bene, forse avrei dovuto chiedertelo prima che accettassi di aiutarmi con questo caso, ma sai come vanno queste cose".

 

"Sto bene".

Era per lo più vero, ma ora Chloe non poteva fare a meno di chiedersi se la curiosità di Rhodes avesse dei secondi fini. Johnson aveva parlato con Rhodes prima che lasciassero Washington, chiedendole di cercare di estorcerle informazioni? Non era da Rhodes fare domande profonde e personali. Di solito rimaneva sul superficiale, senza andare troppo in profondità. Il fatto che avesse cercato di impicciarsi così platealmente non sembrava da lei.

"Bene", disse Rhodes. "E spero che tu sappia che, se mai avrai bisogno di parlarne, o di elaborare la cosa o altro, io sono brava ad ascoltare".

"Grazie", disse Chloe, anche se il suo commento la rese ancora più sospettosa.

Le due rimasero in silenzio, mentre il navigatore del cellulare di Rhodes diceva loro di svoltare dopo ottocento metri. Oltre quella svolta c'era la loro destinazione, la scena del crimine della seconda vittima.

***

C'erano due poliziotti del posto ad aspettarle, come avevano concordato per telefono prima di lasciare la sede del Bureau. La loro auto era parcheggiata sul ciglio della strada, a pochi metri da un marciapiede dove si incrociavano due strade. Uno dei poliziotti, una donna dai capelli rossi molto alta, sorrise e indicò il posto proprio dietro la volante. Rhodes accostò e disse: "Questa qui mi sembra già una abituata a dare ordini."

Chloe e Rhodes scesero dall'auto e raggiunsero i due poliziotti sul marciapiede. La donna alta le salutò per prima, con un sorriso ampio e di una bellezza impressionante. Il secondo poliziotto era un uomo afroamericano che pareva sulla quarantina. Aveva l'aria di essere perfettamente consapevole di lavorare all'ombra della sua partner. Quando strinse le mani a Chloe e Rhodes, presentandosi come agente Benson, lo fece con un sorriso fiacco.

La spilungona rossa si chiamava Anderson, e parlava con un leggero accento del sud. "Piacere di conoscervi", disse strascicando le vocali come era tipico della parlata del sud.

"Allora", disse Anderson, "è una storia piuttosto semplice. Un tizio di nome Viktor Bjurman è stato trovato su questo marciapiede ieri sera. Lo hanno scoperto due adolescenti in bicicletta. Il sangue stava ancora uscendo dal corpo. È stato dichiarato morto subito dopo l'arrivo dell'ambulanza. L'ultimo rapporto di questa mattina ci dice che le cause del decesso sono molteplici: trauma da corpo contundente alla testa, una costola rotta che è stata spinta verso l'alto perforandogli il cuore, torace e sterno quasi completamente schiacciati, oppure un polmone collassato. Scegliete voi".

"Avete qualche idea sull'arma utilizzata?" Chiese Chloe.

"Tutti pensano che si tratti di una mazza da baseball. Il medico legale non l'ha ancora confermato, ma dice che se si trattava di una mazza da baseball, era di alluminio. Bjurman è stato colpito con una forza tale che una mazza di legno avrebbe lasciato delle schegge".

"C'è qualche collegamento tra Bjurman e la prima vittima?" Chiese Rhodes.

"Non ne abbiamo trovato nessuno", rispose Benson. "La vittima uno, un tizio di nome Steven Fielding, è stato trovato in casa sua. Sua moglie lo ha scoperto disteso sul pavimento del soggiorno".

"All'inizio sembrava un furto con scasso" proseguì Anderson. "Qualcuno si sarebbe introdotto in casa, avrebbe picchiato a sangue Fielding, che era appena rientrato, e avrebbe rubato un po' di roba. Ma al momento, la moglie non riesce a trovare nulla che manchi. Quindi sembra che il killer si sia intrufolato in casa solo per uccidere Fielding".

"Il dossier indica che il primo omicidio non è stato così brutale come il secondo, giusto?" Chiese Chloe.

"Dipende dalla sua definizione di brutale" disse Anderson. "E' stato colpito in testa e in faccia con qualcosa di duro, forse una mazza di alluminio anche qui, o forse no. Il naso di Fielding era spappolato. La cosa più disgustosa che abbia mai visto".

"Invece" disse Benson, "il volto di Bjurman non sembra essere mai stato colpito, anche se un colpo alla sommità della testa ha lasciato una leggera ammaccatura".

Chloe fece qualche passo avanti, guardando la zona sul marciapiede che era stata chiaramente il luogo dove Viktor Bjurman aveva trovato il riposo finale. Il sangue secco era ancora visibile, anche se era evidente che gli addetti alla pulizia della città avevano fatto del loro meglio per ripulirlo.

"C'è qualcosa di particolare in questo incrocio?"

"Niente di niente", disse Benson. "E' come qualsiasi altro incrocio di questa città".

Chloe arrivò all'angolo e guardò a destra. Se Bjurman era stato davvero aggredito lì per strada, quello era probabilmente il luogo in cui l'aggressore si era nascosto. Sarebbe stato abbastanza facile, supponeva. Non c'era nessun semaforo, solo un segnale di stop. Prima del cartello, però, c'era una gigantesca quercia che aveva disseminato ghiande su tutto il terreno. La quercia era delimitata da cespugli appassiti. Eppure, anche senza le foglie, avrebbero fornito uno spazio più che sufficiente perché qualcuno ci si potesse nascondere, restando accovacciato.

"Secondo i fascicoli, Bjurman era una specie di allenatore", disse Chloe. "Sapete di che genere?"

"Sì, era più un fissato del fitness, non un vero allenatore", disse Anderson. "Lavorava in una palestra privata, ma faceva anche visite a domicilio".

"Qual è la palestra?"

"La Fulbright Fitness. Un posto super costoso che promuove lo yoga, le saune e cose del genere".

"E Fielding?" Chiese Rhodes. "Che lavoro faceva?"

"Rivenditore di auto di giorno, barman di notte", disse Anderson.

Chloe faceva del suo meglio per non lasciare che i suoi problemi personali le offuscassero la mente, ma per il momento aveva difficoltà a trovare un collegamento tra i due uomini e il modo in cui erano stati uccisi. Stava rapidamente giungendo alla conclusione che non si trattava affatto di un caso seriale. Ma, anche se così fosse, restava il fatto che due uomini erano stati brutalmente uccisi.

"La vittima uno non viveva qui a Pine Point, giusto?" Chiese Chloe.

"No, ma non cambia molto", disse Benson. "Viveva a pochi chilometri dalla città, più vicino a Winchester. Una piccola città chiamata Colin".

Un altro punto a sfavore del fatto che si tratti di un palese serial killer, pensò Chloe.

"Qualcuno ha già parlato con la moglie di Bjurman?" Chiese Rhodes.

"Sì, ci ho parlato io", disse Anderson. "Strana situazione. Era molto triste, naturalmente, ma non così sconvolta come ci si aspetterebbe".

"Ha idea del perché?" Chiese Chloe.

"Non mi ha confidato niente. Potete parlarle voi stesse. Forse riuscirete ad ottenere da lei più di quanto abbia fatto io".

Non c'era disprezzo o giudizio nella sua affermazione. Sembrava che Anderson e Benson fossero contenti che il Bureau fosse arrivato a togliergli dalle mani quel casino. Entrambi rimasero in disparte, mentre Chloe e Rhodes scattavano qualche foto veloce della scena, come se aspettassero impazienti che facessero magicamente sparire il caso.